Macché guerre, partecipate alla Grande Caccia
Ovvero il film «La decima vittima» di Elio Petri e dintorni
di Fabrizio «Astrofilosofo» Melodia
Lo sapete che già negli anni ’60, il Grande Fratello era una realtà? Ce ne informa il regista Elio Petri il quale, con la sapiente sceneggiatura di Ennio Flaiano e Tonino Guerra, realizzò un reality show antelitteram, ispirandosi al racconto «The seventh victim» di Robert Sheckley, apparso nell’antologia «Le meraviglie del possibile» (a cura di Carlo Fruttero e Sergio Solmi, Einaudi, 1959) e in seguito più volte ristampato.
Il film di Petri – «La decima vittima» – esce nel 1965, vituperato dalla critica ma rivalutato tempo dopo come un fulgido esempio di fantascienza all’italiana, al sapore di spaghetti e commedia.
L’ipotesi di Sheckley è choccante ma non del tutto irrealistica. In un imprecisato futuro prossimo, viene istituita a livello mondiale una competizione, la «Grande Caccia», per regolamentare la violenza individuale e dare sfogo agli istinti aggressivi, evitando che prendano la forma collettiva delle guerre. A questa competizione partecipano in due: il «Cacciatore» e la «Vittima», vince chi uccide l’avversario. La gara diventa un grande spettacolo popolare.
Le regole sono: «Ogni iscritto deve impegnarsi a partecipare a dieci cacce nel ruolo di Cacciatore alternandosi con altrettante nel ruolo di Vittima. La scelta del Cacciatore e della rispettiva Vittima è stabilita da un computer a Ginevra. Al Cacciatore vengono fornite tutte le informazioni sulla sua Vittima designata. La Vittima ignora le generalità del proprio Cacciatore dovendo così individuarlo ed eliminarlo per non restare uccisa. Una vittima può reclutare informatori, se può permetterselo. Il vincitore di ogni singola Caccia riceve un premio».
Compiendo cinque imprese come cacciatore e sopravvivendo ad altrettante come vittima – uccidendo dunque dieci individui – il partecipante viene proclamato decathon con onori e festeggiamenti, ricevendo un premio di un milione di dollari oltre a grandi benefici (esenzione totale dalle tasse, ecc).
La statunitense Caroline Meredith (interpretata da una giovane Ursula Andress) è giunta abilmente alla sua decima e ultima caccia. Per conquistare il titolo deve eliminare un’ultima vittima, l’indolente romano Marcello Poletti (Marcello Mastroianni) che ha superato 6 cacce senza dimostrare particolari capacità o impegno, preso piuttosto dai problemi familiari, la richiesta di annullamento del matrimonio con l’avida Lidia (Luce Bonifassy) e il tentativo di liberarsi anche della giovane amante Olga (la bellissima Elsa Martinelli), in ossessiva attesa di sposarlo.
Tormentato dalle due donne, che hanno raggiunto una morbosa intesa contro di lui, Marcello rimane affascinato da Caroline, che l’ha raggiunto a Roma e avvicinato con la proposta di un’intervista. La giovane ha progettato di ucciderlo davanti alle telecamere, nello scenografico tempio di Venere, per guadagnare il compenso di uno sponsor pubblicitario, il quale ha organizzato una troupe video che segue l’evento in una sorta di reality show.
Marcello sospetta presto che la donna sia il proprio “cacciatore” e organizza un analogo spettacolo mortale (con tanto di alligatore come mezzo per eliminarla) esitando però a mettere in pratica il progetto: da un lato per il timore di un errore di persona, che potrebbe costargli trent’anni di carcere, dall’altro perché finisce per innamorarsene.
Marcello cade nella trappola, ma Caroline commette l’errore di sparargli con la pistola di lui, caricata a salve. L’uomo tenta a sua volta di ucciderla, ma non sa della sua invisibile protezione antiproiettile e fallisce. Infine, braccati da Lidia e Olga, decisi a vendicarsi, i due scappano insieme su un aereo, dove Marcello, sotto la minaccia di un’arma, finisce per sposare Caroline.
Il tema della caccia all’uomo è stato affrontato dal cinema fin dal 1932, nel classico del genere fantastico «La pericolosa partita» di Ernest B. Schoedsack, che ha avuto diversi remake , più o meno espliciti: «A Game of Death» (1946) di Robert Wise, «La preda umana» (1956) di Roy Boulting, «Senza tregua» (1993) di John Woo.
La componente spettacolare della caccia è predominante in «L’implacabile» (1987) di Paul Michael Glaser, da un romanzo di Stephen King, e in «Contenders – Serie 7» (2001) di Daniel Minahan, che aggiorna il tema ai tempi della real tv.
«La decima vittima» è, dal punto di vista visivo, una delle ispirazioni per il film «Austin Powers: Il controspione» (1997) di Jay Roach, ma le sue idee sono anche alla base di «Endgame – Bronx lotta finale», diretto da Joe D’Amato nel 1983.
Profonde le differenze con il racconto originale di Robert Scheckley. I protagonisti sono entrambi statunitensi; i ruoli sono invertiti, la donna, che nel racconto si chiama Janet è la vittima, la settima per il cacciatore Stanton, commerciante di “articoli da Caccia”. Si parla di spettacoli circensi con gladiatori, un espediente catartico istituito prima della Caccia. Sottrarsi alla Caccia è un reato gravissimo mentre i vincitori di tutte le cacce divengono membri del «Club della Decina». Nel racconto c’è un anziano membro del Decaclub che rimpiange le passate emozioni di cacciatore e vittima, al punto da contestare la regola ferrea che non ammette la re-iscrizione. Nel film di Petri i toni da commedia all’italiana tradiscono completamente il finale: nel racconto invece l’epilogo è tragico per Stanton che viene ucciso all’insegna di un paradossale umorismo: la vittima infatti ha la facoltà di usare armi non convenzionali, qui una pistola camuffata da accendisigari.
In tempi di Grande Fratello e simili, la televisione non è più l’oggetto da vedere ma il cuore della casa: l’arredamento è completamente ridisegnato intorno a lei, con l’avvento del moderno home theather. Per tacere in Italia della tassa di possesso alquanto onerosa e assai poco costituzionale, spacciata in vari modi come un canone alla Rai.
All’epoca il film di Elio Petri assunse la caratteristica di una parabola: un film ben girato con mezzi esigui e ben interpretato. Il regista imbastì una denuncia contro il sistema capitalistico e l’invadenza dei mass media. Per altre notizie confronta la scheda in «Fantafilm», a cura di Bruno Lattanzi e Fabio De Angelis.
E oggi? Mentre il sistema capitalistico e monetario internazionale distrugge Paesi interi e mentre la tv rende vera solo la realtà che passa attraverso di lei, la «Grande Caccia» sarebbe realistica, magari come “naturale” evoluzione risolvere rapidamente le controversie. Sicuramente contribuirebbe a snellire le cause civili pendenti, a tutt’oggi in Italia se ne registrano 6 milioni in attesa di risoluzione o impantanate in una rete inestricabile, tessuta dagli interessi degli avvocati (a farle durare all’infinito) e da giudici oberati di lavoro. Aiuterebbe a eliminare la violenza negli stadi o le violenze domestiche? Sicuramente molti all’Estrema Destra apprezzerebbero.
Tra breve potrebbe arrivarvi a casa, insieme alle proposte Sky anche la cartolina per l’iscrizione alla «Grande Caccia»?
«Perché controllare le nascite quando possiamo controllare i decessi?» recita uno dei potenti slogan pubblicitari che si possono vedere nel film di Petri. «Solo la Grande Caccia può darvi un senso di sicurezza». Non servirebbe più blindare le città, come qui a Padova, con ingenti forze di polizia ed esercito, aiutate da ronde di cittadini ed esercenti virtuosi e impauriti… e allora cosa aspettate a comprare la vostra bella Beretta e relative cartucce, magari riceverete in omaggio un bel Barrett calibro 12 con due pacchetti di cartucce.
Amo molto Petri. E amo moltissimo Flaiano, sia quello ironico che quello drammatico (poco conosciuto) di «Tempo di uccidere». E neanche a dirlo “adoro” Robert Sheckley. Aggiungo che Mastroianni è sempre bravo e che la Andress se non proprio un’attrice vera era comunque (così si diceva all’epoca con il minimo di maschiocentrismo possibile) «la seconda meraviglia della Svizzera dopo le Alpi». Ma questo cocktail, a mio avviso, non ha funzionato. Secondo me il film non è all’altezza del racconto: non drammatico, non sarcastico, non visionario. Dissento dunque da Fabrizio (spero che sopravviverà a una prova così dura) e per una volta dissento anche con la famiglia cinematografica Morandini che nel celebre «il Morandini, dizionario dei film» scrive: «Tolto il debole finale, imposto dal produttore Carlo Ponti, Petri ha vinto la rischiosa scommessa, grazie anche all’apporto di Ennio Flaiano in sceneggiatura, con un curioso e affascinante film dove la science fiction si mescola al western, al cinema di spionaggio, alla commedia romanesca». Troppa grazia, sant’Antonio.