Macchè Halloween, il giorno dei morti è…
… una celebrazione della cura
Attraversando Messico, El Salvador, Sardegna, Valle di Susa e il mondo fantastico di Mafalda, la storia del giorno dei morti attraverso testimonianze ed immagini.
di Maria Teresa Messidoro (*)
IL PANE COMPRATO
Ricordo il tempo in cui molti studenti abruzzesi, residenti a Roma o a Napoli, ricevevano periodicamente il pane dalla famiglia. Non che fosse di una qualità eccelsa o che in città non se ne trovasse di equivalente; ma era il pane di casa.
Quando visitai l’ultima volta mia nonna per dirle che ero costretto ad espatriare, la povera vecchia accolse la notizia con indicibile tristezza; la sua età avanzata rendeva probabile che non ci saremmo più rivisti. Ma la sua preoccupazione era un’altra. “Chi ti farà il pane?” mi chiese. “Non è questa la difficoltà, – risposi – pane se ne trova dovunque”. Dopo una pausa penosa ella ripeté: “Ti ho chiesto chi te lo farà”. “Non lo so – risposi – come faccio a saperlo in anticipo? Lo pagherò per quel che costa”. “Povero figlio mio, – ella concluse con infinita compassione, – mangerai pane comprato”
Ignazio Silone
Dallo spettacolo Barbarià, Associazione ArTeMuDa, 21 luglio 2019, a Salbertrand
Il pane dei morti.
Dall’altra parte del globo: pardon, dall’altra parte della Globeta Madre Tierra, dice la abuela Kihili Kunturpillku (1)
Carlos Ramírez Roure è uno chef messicano.In un video realizzato dalla UNAM, la Universidad Nacional Autónoma de México, spiega che il pan de muerto è un elemento culturalmente importante per i messicani, perché, afferma orgoglioso, nessuno celebra la morte come loro.
Carlos Ramírez racconta che normalmente è un pane rotondo, sulla cui parte superiore vengono poste due strisce cilindriche, realizzate a mano con un pane leggermente più duro, che si incrociano; probabilmente rappresentando l’orientamento verso i punti cardinali.
Il pan de muerto può essere insaporito con fiori d’arancio, anice o qualsiasi altra spezia, dipende dal sesso, dall’età e dal gusto del morto.
E’ una tradizione che i bisnonni hanno tramandato ai nonni, i nonni ai genitori, i genitori ai propri figli e ai piccoli nipoti, trasmettendo una magia e una storia che trascende il luogo. (2)
Dalla nostra parte della globeta, in una isola troppe volte depredata. Spesso disprezzata. Ma mai domata.
Sardegna. Nella notte tra il 31 ottobre e il 1 novembre si festeggia su mortu mortu ( il morto morto) e is animeddas ( le anime dei nostri cari).
Su pani de sapa
Il pane con il mosto fermentato
Pane dei morti
Con le pabassinas ( da pabassa – una passa) che sono i dolci dei morti.
In Sardegna, il rapporto dei vivi con i morti è molto particolare.
Crudo e franco, senza mezzi termini.
I bambini apprendevano presto la presenza del morto e che non lo dovevano temere.
Proprio nella notte tra il 31 ottobre e il 1 novembre (la festa americana è venuta dopo!) passavano di casa in casa a chiedere qualcosa po is animeddas “ per le anime dei morti”, che di quel cibo si nutrivano: castagne, mandorle, noci e dolci, le pabassine soprattutto, che vengono cucinate in tutta la Sardegna (mosto fermentato, uva passa, noci, mandorle e quello che si trovava nel proprio paese). Nel sud della Sardegna i bambini chiedono da mangiare suonando alle porte dei vicini, dicendo “po su mortu mortu” “ per il morto che è morto”.
Immagine degli anni 50, donata da Alessia Etzi
Nel centro della Sardegna, invece, si intagliavano le zucche svuotate e al loro interno veniva messo un lumino che rappresentava l’incontro tra il defunto e i vivi. La zucca rimaneva accesa tutta la notte, per accompagnare la consumazione del pasto, lasciato sulla tavola apparecchiata.
Il rapporto con la morte è anche ben testimoniato da alcune figure propriamente sarde come s’accabadora e le maschere sarde di origine dionisiaca, su mamuthone, colui che muore e rinasce. (3)
Torniamo in Messico. A celebrare la cura dei propri cari. Nel giorno dei morti.
Doña Leonor, con le sue figlie Martha e Irene, ha incominciato a viaggiare a settembre, dal proprio paese, Zaachila, nelle cosiddette Valles Centrales messicane, fino alla città di Oaxaca, per comprare i peperoncini, il mais, il cacao e tutto ciò che serve per la celebrazione del Dia de los muertos.
La più importante dell’anno. Considerata dall’Unesco Patrimonio Cultural Inmaterial de la Humanidad.
Le immagini degli altari stracolmi di fiori, impreziositi da offerte di cibo e candele, nel classico stile ridondante centroamericano, hanno raggiunto una fama mondiale.
Ma quegli altari che “vivono” tre giorni, sono in realtà il risultato di un lavoro realizzato dalle donne delle comunità con settimane e forse anche mesi di anticipo.
A causa della pandemia, che ha provocato migliaia di morti, le autorità hanno imposto la chiusura dei cimiteri, sospeso le feste tradizionali e proibito l’installazione di mercati ambulanti.
Ma le donne di Oaxaca non si sono arrese. “Con cubrebocas y todo pero los muertitos van a visitarnos” dice Leonor.
“Con le mascherine e tutto ciò che è richiesto, ma i nostri morti vengono lo stesso a visitarci”
Leonor prepara come sempre una bevanda chiamata espuma, a base di cacao bianco, il patlasle, riso e cannella, ingredienti che verranno poi aggiunti, dopo essere stati ridotti in una poltiglia finissima, con l’atole, una bevanda caldissima a base di mais.
A Teotitlán del Valle, invece, la tradizione impone che per ricevere degnamente i morti, le donne devono sedersi su un tappeto con disegni tradizionali, sul lato destro dell’altare, mentre gli uomini si siederanno sulle sedie, a sinistra.
In questa foto, Concepción sta aspettando dalle 3 del pomeriggio, per accogliere come meritano i propri morti, che assaggeranno i suoi piatti.
Nelle Valles Centrales, il 1 novembre inizia molto prima che salga il sole, per poter ricevere degnamente i “fedeli defunti”. A Zaachila, ad esempio, si è soliti servire colazione, pranzo e cena prima a “los muertitos”, che visiteranno l’altare, e successivamente alla famiglia ed agli amici che verranno in visita. Il 2 novembre, l’altare sarà completato dai tamales appena cotti.
A Teotitlán invece, gli alimenti devono essere tutti pronti per il pomeriggio del 1 novembre, affinché los muertitos possano gustare ciò che piaceva loro quando erano vivi. Vengono accolti con l’incenso che indica il cammino da seguire.
In tutte le case, si colloca anche un altare più piccolo, per los angelitos, i minorenni che hanno perso la vita e che verranno sicuramente a visitare l’altare a loro dedicato. In questo caso, sono i bambine della famiglia ad arricchire la cerimonia con i propri disegni e caramelle.
Sia Leonor che Conchita hanno imparato a cucinare molto presto, perdendo quasi subito la paura del calore che emana la piastra di cottura necessaria per la preparazione prima di tutto delle tortillas; le loro mamme le hanno spiegato che un giorno o l’altro sarebbero diventate responsabili di alimentare a propria volta la loro famiglia, per poi poterlo insegnare alle figlie.
Secondo la Encuesta Nacional Sobre el Uso del Tiempo (ENUT), le donne in Messico dedicano in media 30 ora settimanali per lavori di cura non remunerati, di cui la metà relative alla preparazione e al servizio dei pasti.
Queste cifre sono il triplo del tempo che dedicano gli uomini a questi lavori. In stati messicani come Oaxaca, la forbice temporale tra uomini e donne è ancora maggiore. (4)
Ancora dalla nostra parte della globeta. Nell’area occitana della Valle di Susa (che vuole continuare a vivere, con la propria lingua e cultura).
“Ou sé arvilhà? Dizan unë priérë par votrou mor” (Siete svegli? Diciamo una preghiera per i vostri cari defunti)
I giovani del paese si rivolgevano in questo modo agli abitanti di ciascuna casa, dopo aver terminato il rito dell’Arvilbaou, nella notte di vigilia al giorno dei Morti, quando, al lume di una lanterna, passavano davanti alle finestre delle stalle, dove generalmente si trascorreva l’inverno, e intonavano il canto tradizionale.
Anziani, donne, uomini e bambini si univano quindi ai giovani nella recita del Miserere.
Ecco allora la nuova domanda degli arvilbé:
“Ou l’avé antandù?”
(Avete inteso?)
“Ouei, ouei, l0avan antandù! Marsì.
(Sì sì, abbiamo inteso! Grazie)
Questa era la risposta, prima che i giovani si incamminassero verso un’altra abitazione.
Era la tradizione del Réveillez (il risveglio) in francese, lingua ufficiale della zona dal 1539 alla seconda metà dell’Ottocento, Arvilbaou o Arvilbevoù in lingua occitana locale.
Secondo alcuni studiosi la frazione Amazas di Oulx sarebbe stato l’ultima borgata di Oulx ad ospitare la celebrazione nel 1919.
Secondo altre testimonianze orali, raccolte dall’Associazione ArTeMuDa (5), ci sarebbe stata una esecuzione del rito ancora nel 1939, lungo i vicoli della frazione San Marco, sempre di Oulx.
E addirittura esisterebbe una ulteriore versione della celebrazione, rappresentata per l’ultima volta dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel 1947, nel comune di Cesana.
Resta la magia di questa notte, raccontata da Enrico Faure nel suo romanzo, Arcadia Alpina:
“Ė la viglia del dì dei morti: la neve viene giù a larghe falde, quasi a coprire d’un bianco sudario i tumuli del camposanto che domani sarà visitato; i lapazzi e i cardi stecchiti che camuffano le croci lì attorno alla chiesa, crepitanti sotto il soffio del vento hanno mosse di fantasmi che riddino con dondolii e stridori strani…..”
Enrico Faure, “Arcadia Alpina”, Susa, Enrico Piazza, 1926, pag 30. (6)
E’ la stessa magia di Inverno, la canzone poesia di Fabrizio De Andrë (7)
Congiungendo gli angoli.
Spaziando in altri mondi.
https://www.pictoline.com/timeline/2020/11/02/16hrs57min02sec
Franca è una farfalla, riflessi dorati
Mirella la Luna con tutti i suoi cicli
Mio padre e mia madre si guardano
sullo sfondo del mare, …
Così la mia amica Nicoletta, che vive in Messico, ricorda quest’anno i suoi cari defunti.
Io penso a Nonna Suntina che non c’è più.
E mi ritrovo nel calore avvolgente delle madri e familiari delle vittime del conflitto armato, che in El Salvador, come ogni anno, abbelliscono il Monumento de la Memoria y Verdad del Parque Cuscatlán, a San Salvador.
Finché non si troverà una tomba da abbellire con i fiori, c’è chi continua a infiorare la speranza.
Come mi ritrovo nell’ostinata resistenza dei famigliari delle vittime di femminicidio in Messico.
E mi piacerebbe per un attimo transitare nel mondo fantastico di Mafalda, perché, ne sono sicura, avrà costruito un altare per Quino.
Abbellito da nuove vignette.
Da regalare al suo creatore.
Che vivrà per sempre.
Anche per noi.
https://www.pictoline.com/timeline/2020/11/02/12hrs11min04sec
- indigena colombiana, ricercatrice, viaggiatrice, capace di de-costruire il linguaggio imposto per ri-costruirlo con le proprie conoscenze di donna latinoamericana. Gustatevi alcune delle sue riflessioni in
2. lo spunto e l’immagine qui https://desinformemonos.org/pan-de-muerto-tradicion-unica-en-el-mundo/
3. ringrazio Alessia Etzi per la consulenza e le fotografie.
4. la storia di Leonor e Conchita, come di altre donne invisibili messicane qui https://pikaramagazine.acblnk.com/url/ver/52916363/1155919/8ee63f5c199af4b68910ec7eb383
5. l’Associazione ArTeMuDa da anni si propone di scavare nella cultura locale altovalsusina, realizzando convegni, pubblicazioni, readings, spettacoli, film, video e documentari. www.Artemuda.it
6. lo spunto e le citazioni provengono dal testo Réveillez-vous gens qui dormez! Il Memento moti del Chant de Réveillez in Alta Valle di Susa, di Renato Sibille, in “Memento Mori. Il genere macabro in Europa dal Medioevo a oggi”, a cura di M. Piccat e L. Ramello, Edizioni dell’Orso, Segrate 2014.
7. https://www.angolotesti.it/F/testi_canzoni_fabrizio_de_andre_1059/testo_canzone_inverno_33036.html
(*) vicepresidente Associazione Lisangà culture in movimento, www.lisanga.org
Grazie Maria Tersa, ho apprezzato moltissimo questo articolo, perchè tutti abbiamo nel cuore qualcuno che ci ha lasciato e di cui a volte non abbiamo potuto conoscere ed onorare la tomba lontana.