«Madres de la plaza, el pueblo las abraza» di David Lifodi
La casa delle Madres de Plaza de Mayo Linea Fundadora si trova in Calle Piedras, poco lontano da quella piazza che da oltre trent’anni le vede manifestare per chiedere verità e giustizia per i trentamila desaparecidos eliminati dalla giunta militare dei Videla, Astiz, Masera che hanno portato il terrore in Argentina a partire dal golpe militare del 1976. Ogni giovedì, fra le 15,30 e le 16, le Madres sfilano intorno alla piramide della Plaza de Mayo, di fronte alla Casa Rosada, per non far cadere nell’oblio i delitti di una delle peggiori dittature del continente sudamericano, ma soprattutto per ricordare i figli di una generazione che nonostante tutto lottò per una società migliore.
Così anche giovedì 4 febbraio: nell’umidità soffocante di Buenos Aires e sotto un sole che brucia loro non demordono, mentre la gente intorno a loro canta «Madres de la plaza, el pueblo las abraza». Alcune portano appese al collo le foto dei desaparecidos, tutte indossano il pañuelo blanco, il simbolo che le identifica, spiegano durante l’incontro presso la loro sede. Marciano dietro uno striscione su cui è scritto: «Luchemos contra la riqueza de la oligarquia terrateniente». Rappresentano una spina nel fianco per l’Argentina che si rese complice della dittatura, per la giunta militare e per tutte quelle figure di secondo piano che scelsero di appoggiare la strada della pulizia sociale voluta dai militari. «Non furono solo i guerriglieri o i militanti più in vista che facevano politica alla luce del sole o i sindacalisti a essere uccisi, ma anche tanta gente comune», precisano le Madres mentre illustrano le attività che portano avanti quotidianamente. Pagarono in prima persona l’impegno per un’Argentina libera dalla dittatura i cristiani di base legati all’opzione per i poveri della Teologia della Liberazione, gli studenti delle scuole superiori impegnati nei movimenti giovanili, le persone che avevano ospitato in casa amici “sbagliati” in quel determinato momento storico.
La detenzione in luoghi clandestini, le torture, i voli della morte (spesso sul Rio de la Plata) rivivono nelle parole delle madri, non soltanto allo scopo di ricordare ciascuna i propri parenti, ma al fine di mantenere viva la memoria tramite la parola, strumento ancora in grado di salvare la verità, allontanare l’oblio, e rendere sempre attuale una storia che in tanti hanno cercato di seppellire. Durante i mondiali di calcio del 1978 il generale Videla sostenne che gli argentini erano «derechos e humanos», diritti e umani, una dichiarazione mediatica per allontanare le crescenti proteste delle associazioni per i diritti umani quando l’Argentina era nell’occhio del ciclone per ospitare la massima competizione calcistica e al tempo stesso oscurare i sequestri e le sparizioni. Il regime non riuscì però a nascondere ciò che avveniva nel Paese, spiegano con orgoglio le madri, che da allora sono riuscite a tramandare i valori della partecipazione politica, della dignità umana, della condivisione solidale.
Ciascuna di loro ha una storia dolorosa da raccontare, riguarda i figli, ma anche alcune delle stesse madri fondatrici vittime della dittatura e ora ricordate da una foto nella loro sede accanto ad altre centinaia di fotografie in bianco e nero, talvolta sbiadite, dove accanto a ogni persona è riportato il nome, l’età, e la data della scomparsa. Poco più in là un monito: «No olvidamos, no perdonamos, no nos reconciliamos».
«Non siamo come loro», precisano la Madres, sottolineando che hanno fatto del rifiuto alla rassegnazione la loro bandiera, senza però mai abbassarsi agli insulti e alle provocazioni di quella parte del Paese rimasta ancora oggi fedele alla volontà di estirpare il comunismo dall’Argentina che aveva mosso i generali e convinto la parte più reazionaria e conservatrice. In realtà, quando le madri cominciarono a riunirsi, a chiedersi quante fossero ad aver patito la scomparsa dei propri cari, non erano spinte dall’ideologia o da una determinata condizione sociale, ma dall’unico scopo di rendere evidente l’imperversare del terrorismo di Stato, denunciato ancora oggi dalle scritte sul selciato della Plaza de Mayo accanto al disegno di tanti pañuelos bianchi.
Il trascorrere degli anni non ha mai fermato le numerose attività delle Madres, venute spesso anche in Italia per raccontare le loro storie. «Iluminando el pasado, denunciando el presente, desafiando el futuro» è scritto nel salone centrale della loro casa e questa convinzione abbraccia anche tutte quelle lotte nell’intero continente latinoamericano che reclamano i diritti umani, sociali e dei popoli di fronte al neoliberismo.
UNA NOTA STORICA:
Nel 1986 c’è stata la scissione all’interno dell’Asociación Madres, da cui è sorta l’Asociación madres de plaza de Mayo inea fundadora. In breve, e senza prendere le parti per l’una o l’altra fazione: l’associazione Madres de plaza de Mayo, capeggiata da Hebe de Bonafini, contesta alla Linea Fundadora di aver accettato dal governo un risarcimento per i desaparecidos, inoltre non condivide necessariamente la scelta pacifista di queste ultime. Sulla separazione peserebbe anche la scarsa orizzontalità all’interno delle madres che fanno capo ad Hebe Bonafini. Per una spiegazione più dettagliata sulle motivazioni che hanno portato a questa scelta dolorosa si consiglia di leggere il capitolo «Que se vayan todos? I movimenti sociali dopo l’argentinazo» di Ugo Zamburru all’interno del volume «America Latina: l’avanzata de los de abajo, movimenti sociali e popoli indigeni», coordinato da Aldo Zanchetta. Massimo Carlotto, nel suo libro «Le irregolari: Buenos Aires horror tour» ha scritto che fa male vederle divise.
David Lifodi fa parte di Mani Tese ed è redattore di Peacelink. Spero di averlo spesso su questo blog.
sentire parlare delle mie adorate Madres de Plaza de Mayo è sempre una emozione per me.
Grazie per la condivisione
Ugo Zamburru
Mi fa piacere aver condiviso con te l’emozione delle Madres, quando raccontano la loro storia mettono i brividi. Durante il mio viaggio in Argentina, alla sede delle Madres ho comprato un dvd su di loro, composto più che altro di testimonianze, che si intitola appunto “Madres”. Non so se ti ricordi di me,io sono David di Siena, ci siamo conosciuti e abbiamo scambiato qualche parola in occasione del primo seminario sull’America Latina organizzato da Aldo Zanchetta a Pietrasanta. Ciao, David