Mahler: Sinfonia numero 3

di Mauro Antonio Miglieruolo

 

Propongo, prima ancora di affrontare la lettura di quanto segue, d’ascoltare il finale della Terza Sinfonia nell’esecuzione della Wiener Philharmoniker, diretta da Claudio Abbado. L’espressione del Maestro alla conclusione del brano, il silenzio del pubblico, la rispettosa attesa diranno all’ascoltatore sulla stessa molto più di quanto possa dire io adesso o in qualunque altro momento.

Si spengono le note della sinfonia, Abbado rimane composto (e commosso) nel suo raccoglimento. Trascorrono diversi secondi e finalmente si scuote dall’incanto della retorica musicale di Mahler. Il brano è intitolato “Ciò che mi racconta l’amore”. Ecco il link: https://www.youtube.com/watch?v=UTXW5_u-SRs&list=OLAK5uy_kpYAMGUPj7yh5wq9WRmVU9XqRiQqUN7QI&index=24

Agli eventuali giganti della pazienza suggerisco invece l’esame integrale della sinfonia, nell’interpretazione magistrale che ne ha dato lo stesso Claudio Abbado al festival di Lucerna il 19 agosto 2007.

Mahler, straordinario artista, che aveva previsto l’eclissi che sarebbe seguita alla sua morte; e previsto la “riscoperta” sessant’anni più tardi…

La sinfonia si articola nei seguenti tempi:

Parte Prima: I. Kräftig, Entschieden

Parte Seconda: II. Tempi di Menuetto; III. Comodo. Scherzando; IV. Sehr langsam. Misterioso; V. Lustig im Tempo und keck im Ausdruck; VI. Langsam. Ruhevoll. Empfunden.

Lucerne Festival Orchestra, Women of the Arnold Schönberg Choir, Vienna, Tölz Boys Choir

Anna Larsson – contralto

Link: https://www.youtube.com/watch?v=9Yr720ftjaA

Come per tutte le prime quattro sinfonie, in origine Mahler aveva previsto una sorta di programma, abitudine diffusa nell’Ottocento, che aiutasse a spiegare il contenuto musicale della composizione. In questo caso aggiunse un titolo per ciascuno dei sei movimenti:

1-Pan erwacht. Der Sommer marschiert ein (Pan si risveglia, arriva l’estate)

2-Was mir die Blumen auf der Wiese erzählen (Quello che i fiori del prato mi raccontano)

3-Was mir die Tiere im Walde erzählen (Quello che gli animali della foresta mi raccontano)

4-Was mir der Mensch erzählt (Quello che l’uomo mi racconta)

5-Was mir die Engel erzählen (Quello che gli angeli mi raccontano)

6-Was mir die Liebe erzählt (Quello che l’amore mi racconta)

I titoli vennero eliminati prima della pubblicazione nel 1898.

Un ascolto, quello che propongo, estremamente faticoso per chi è avvelenato dall’abitudine dei 3/5 minuti d’attenzione che comporta un brano musicale “popolare”. Brano per lo più composto utilizzando un linguaggio elementare, fatto per la fruibilità immediata, per un ascolto di “prima lettura”, di quelle cioè in cui è il godimento in tempo reale a essere preso in considerazione; né sono ordinariamente previsti significati nascosti da scoprire, o suggerimenti di valori e di possibilità che vanno oltre la consuetudine; elementi invece sempre presenti nella musica migliore. In ogni caso gli oltre 95 minuti di pazienza che è necessario mettere in campo per renderne possibile l’ascolto integrale, costituiscono una fatica che è più di quanto un ascoltatore medio possa sopportare. L’unica alternativa è dunque quella proposta all’inizio: saltare gli altri movimenti e concentrarsi sul finale. Ma anche quello, con i suoi “soli” 25 minuti di tirannia nei confronti della condiscendenza dell’ascoltatore medio (sto cercando di spaventarvi, non mi date ascolto) costituisce un ostacolo non indifferente. Per non attardarsi sul sound, sulla calligrafia sonora di fine secolo; sfigurata purtroppo dalle imitazioni banalizzanti dei compositori di musica per cinema, che ne abusano. Quel “sound” (quello di Mahler meno di altri) richiede un più d’attenzione, senza la quale non è possibile venire a capo del messaggio complessivo dell’opera. È in questa doppia difficoltà (dilatazione della forma sonata e utilizzo di un linguaggio nuovo, presentimento del Novecento) che si consumano molti rifiuti. L’educazione culturale sufficiente ad apprezzare Beethoven non basta per venire a capo di Maher. Occorre qualcosa di più. La pazienza, come ho appena indicato: quella pazienza che è anche perseveranza, la perseveranza necessaria per ottenere risultati fecondi; insieme alla disponibilità a proiettarsi in mondi nuovi, lontani e diversi, mondi che non sono altro che il nostro stesso mondo visto da differenti angolature; e filtrato da una sensibilità e da uno sguardo dissimile da quello di tutti. In breve, disponibilità a prendere atto che non tutto quello che ci presenta il mondo può essere preso a testimonianza della natura del mondo. Che molto altro esiste, altro che non vediamo, ma che presentiamo. O immaginiamo. È la stessa disponibilità che costituisce il lasciapassare per accedere alle speculazioni fantascientifiche. In questo caso, inorridite cultori della sacralità della musica classica, accesso ai mondi di Mahler.

L’incontro con il grande sinfonista avviene negli stessi anni in cui ho incontrato la musica classica (fine anni sessanta), una dozzina di anni dopo la scoperta della fantascienza. In entrambi i casi si è trattato di una folgorazione più che di un incontro. Una caduta da cavallo sulla via di Damasco. A questo proposito confesso il mio stupore quando scoprii che anche Bukowsky, il grande scrittore nordamericano, nutriva il medesimo interesse per Mahler. Un interesse che nella sua quotidianità sopravanzava ogni altro. Escluso, si capisce, il prendersi sbornie, masturbarsi, partecipare a risse, scommettere sui cavalli e affacciarsi seminudo alla finestra del tugurio in cui abitava per gratificare i vicini con ululati che (a suo dire) somigliavano molto alla preghiera di un muezzin. E pensare che per anni mi sono immaginato unico ed isolato ammiratore (nel mio ambiente lo ero) di Mahler. Unico: una sorta di eretico raddoppiato che pativa una forte diminuzione, se non il discredito, a causa di scelte musicali davvero strane, persino aberranti (Mahler, Bach; e a seguire, Pachelbel, Buxtehude, Perosi, alcune cose di Wagner, Sibelius, Palestrina, Haendel, Orff, Mendelssohn ecc.); a cui aggiungevo altra aberrazione interessandomi a un genere letterario al quale era stato attribuito l’inaudito nome “Fantascienza” (mio dio!). Ma mentre sul piano della musica l’interesse di Bukowsky per Mahler era decisamente esclusivo; per me, il contatto con la musica classica aveva innestato una reazione a catena, con un allargamento progressivo all’insieme della musica (escluso il jazz freddo). Lo stesso allargamento verificatosi dopo la scoperta di Van Vogt. Mi ero allora scatenato per le vie cittadine alla ricerca di Simak, Heinlein, Wyndham, Williamson, Sturgeon, Hamilton e tutti gli altri. Ho conosciuto i dintorni di Via Lavinio 20, condominio nel quale vivevo quasi da sequestrato, proprio esplorando i vicoli nei quali stazionavano i carrettini dell’usato, in specie quello tenuto da una degnissima anziana signora, denominata da altro frequentatore “vecchia rimbambita”, ma che rimbambita non era. Ci andava solo un po’ troppo per le spicce. Lo stesso per quanto attiene alla zona adiacente piazza San Giovanni, in una traversa di via Emanuele Filiberto, dove avevo scoperto l’esistenza di un altro possibile fornitore di fantascienza a basso costo. La stradina era vicinissima a una piccola attività di torrefazione (l’odore di caffè torrefatto si spandeva per decine di metri). È possibile che qualche mio contemporaneo conservi ricordo di quell’attività.

Elementi comuni ai due generi erano all’origine dell’interesse. Di Mahler apprezzavo, con scarsa consapevolezza critica, l’ansia di trasmettere messaggi che non riguardavano gli ipotetici assetti futuri della società, e però dischiudevano orizzonti che oggi sono in grado di tradurre in parole: spiegazioni nuove sulla vita e ciò che rende plausibile e positiva la vita. La vera bellezza della vita. Nella Fantascienza invece apprezzavo, a parte l’elemento ludico, le prospettive di vita aumentata. Procedendo nelle letture, leggendo e rileggendo, individuai, di là dall’effetto che producevano in me, l’influenza che esercitava sulla realtà. Sul costume e sulla mentalità di larghe masse. Non direttamente, ma attraverso gli appassionati che la seguivano. I quali hanno portato i suoi contenuti sull’insieme dei mezzi di comunicazione.

Coglievo, tra l’altro, la capacità di apprestare rappresentazioni forti della realtà, visionarie, tanto più vicine al presente, quanto più (apparentemente) se ne allontanavano; ma sempre mostrando grande capacita di afferrarne il nocciolo, individuarne le contraddizioni e denunciarne gli elementi di ingiustizia e invivibilità. Ma, non è forte e visionaria la rappresentazione di Mahler? Il suo proiettarsi nel futuro, consapevole di stare scrivendo per il futuro, immaginando una musica che avrebbe avuto riconoscimento nel futuro?

Mahler in proposito non ha avuto dubbi. La sua musica, sessant’anni dopo la sua morte e un periodo di relativo oblio, sarebbe ritornata suscitando grandi entusiasmi. Grandi entusiasmi accompagnati da grandi incomprensioni. La terza in particolare è stata efficacemente distrutta da due amiche con le quali avevo tentato di fare opera di proselitismo. I commenti immediati erano stati: 1) Sembra musica hollywoodiana; 2) Sembra un’agonia…

Dio le perdoni. E perdoni me per la superficialità con la quale avevo cercato di coinvolgerle, scegliendo persone che infine scoprivo indisponibili a farlo.

2

Per la decifrazione della sinfonia credo anzitutto sia necessario lasciar parlare Mahler. Ciò che ha da dire sulla sua propria composizione non è tutto, ma certamente è all’inizio di tutto.

La mia Sinfonia sarà qualcosa che il mondo non ha ancora udito. La natura parla qui dentro e racconta segreti tanto profondi che forse ci è dato presentire solo nel sogno. Talvolta mi sento veramente a disagio e mi pare di non essere io a comporre: proprio perché riesco a realizzare ciò che voglio

Gustav Mahler

La natura parla dentro la sinfonia. Dice cose, non parole, che non appartengono a Mahler, ma che lo rappresentano. Mi chiedo se siamo autorizzati a porle in relazione con le vite nostre bistrattate, in questo procedere smemorato che ci consuma inesorabilmente, nello stesso tempo che riconosciamo il tutto (se abbiamo l’audacia di farlo) come il risultato delle nostre azioni. Sì, credo proprio si possa trarre questo insegnamento. Ognuno innocentemente e implacabilmente costretto a volgersi in direzione di un risultato prestabilito. A meno che non faccia riferimento, come anche credo, all’unità interna d’ognuno, riflesso dell’unità cosmica. A quell’unità che occorre conquistare per poter comporre tutt’insieme l’unità degli uomini, che ci permetterà di entrare in sintonia col mondo e il sovramondo contemporaneamente. Rispetto delle leggi universali, ricerca della fratellanza, rispetto e aiuto reciproco, giustizia, condivisione della buona e della cattiva sorte (siamo tutti sposati, gli uni con gli altri), amore…

3

Ma, di cosa parla la musica, di là dai commenti e presentimenti di Mahler?

Il lunghissimo primo tempo, che in realtà sarebbe l’ultimo, essendo stato scritto dopo tutti gli altri e in un certo senso ne sarebbe la conclusione (oltre mezz’ora di durata) inizia con un plastico tema eseguito dagli otto corni all’unisono, che verrà sviluppato per tutto il movimento; solo dopo una smisurata e cupa introduzione il movimento si trasforma a poco a poco in una marcia quasi orgiastica.

Il secondo movimento guarda decisamente alle atmosfere ovattate del classicismo. Fu il primo movimento a essere composto e il primo ad essere eseguito, da solo, il 9 novembre 1896, sotto la direzione di Arthur Nikisch.

Il terzo movimento è una specie di cavalcata notturna con motivi rielaborati dal Wunderhorn, inframmezzato da lunghe oniriche frasi affidate ad un flicorno che interviene da dietro le quinte (corno di posta).

Nel quarto e quinto tempo Mahler introduce la voce umana (l’ha già fatto nella seconda sinfonia). Il quarto movimento è un lied per contralto e orchestra. Il quinto tempo è un breve lied di nuovo tratto dal Wunderhorn, intonato da un coro femminile, con un nuovo intervento del contralto e con l’accompagnamento di un coro di bambini che imita onomatopeicamente il suono delle campane.

La sinfonia si conclude col vastissimo Adagio in re maggiore del quale ho parlato agli inizi, suggerendone l’ascolto. Il tempo è introdotto da una lunga frase degli archi che sfocia nel tema principale, una sorta di corale che viene sviluppato nel corso del movimento attraverso svariati episodi, fino ad apparire alla fine esposto a piena voce da tutta l’orchestra. Estremamente suggestivo, persino poetico, nonostante l’accentuata retorica musicale. Il VI movimento rappresenta la nascita della vita. Il groviglio sonoro creato con i movimenti precedenti viene acquietato dall’incedere da marcia delle ultime misure.

(ripreso da internet introducendo qualche personale licenza)

Con la Terza, Mahler intese delineare una sorta di cosmogonia, un grande poema musicale che abbraccia tutti gli stadi dello sviluppo cosmico, procedendo a gradini, dalla natura inanimata alla vita vegetale, a quella degli animali, all’uomo, per arrivare infine agli angeli e all’amore di Dio. La concezione trova limite nel tipo di apologo che lo ispira. La sua è una storia di pacificazione che ambisce giungere all’anima, meta ultima da assegnare all’uomo. Sembra quasi configurare una sorta di aspirazione a una nuova gnosi.

Il problema, suo e nostro, è che esce dalla Storia del Mondo (storia cosmica) nel quale il processo dovrebbe compiersi. Sentire la parola di Dio, comprenderla, farne strumento per l’elevazione. Mahler, uguale a tanti mistici, sembra ignorare che quella parola trova espressione nella realtà e attraverso l’intervento nella realtà che il piano divino può compiersi. Uscendo dalla storia del mondo esce quindi anche dal concreto del processo che è necessario innestare per guardare alla meta dell’elevazione. Voltando le spalle alle contraddizioni, ai salti e alle deviazioni che è necessario dare per avanzare; non tenendo conto delle costanti irruzioni dell’imprevisto che alterano ogni cammino, che impongono ritorni indietro, finisce con il voltare le spalle a sé stesso. Qui nel transitorio nel quale siamo stati gettati, qui dove le cose non parlano con la loro voce, le cose chiedono in prestito ai poeti le parole e i suoni con i quali esprimerle.

Peccato che i poeti, i quali alle cose sanno arrivare, rifiutano o mostrano di non avere (che non abbiamo) gli strumenti per dargliele queste parole.

Non ancora.

 FRA 168 ORE (7 giorni circa) – QUI IN “BOTTEGA” – MAURO ANTONIO MIGLIERUOLO AFFRONTERA’ LA DECIMA DI MAHLER

 

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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