«Manca la percezione dell’emergenza abitativa»
intervista a Massimo Pasquini, segretario nazionale Unione Inquilini
di Gianluca Cicinelli
E’ l’unica organizzazione di sinistra rimasta tra quelle nate nel 1968. L’Unione Inquilini da oltre 50 anni non si limita a difendere le persone con un problema abitativo, ma propone piani di recupero dei territori guardando alle ricadute ambientali e occupazionali, interloquendo con le istituzioni e le associazioni dei proprietari. Mentre si ripropone la questione di una proroga degli sfratti L’Ui mette il dito dove c’è la piaga: non è vero che non ci sono soldi per le politiche abitative, al
contrario non vengono spesi o vengono impiegati male. In questa emergenza abitativa dovuta all’esplosione della pandemia da Covid ci sono molte cose che si possono fare da fin da subito, come ci spiega il segretario nazionale Massimo Pasquini in questa intervista.
Domanda: Facciamo una fotografia dell’emergenza sfratti.
Risposta: Tra dati ufficiali e semi ufficiali nel 2019, dal rapporto del Ministero dell’Interno, abbiamo avuto 100 mila richieste di esecuzione di sfratti. Di queste ne sono state eseguite con la forza pubblica circa 30 mila, nonostante i tribunali siano stati chiusi per molti mesi a causa dell’emergenza Covid, ci sono state comunque circa 40.000 sentenze di sfratto, di queste circa 37 mila per morosità, parliamo di famiglie non di persone. Se a marzo o a giugno dovesse finire la proroga sfratti rischiamo di avere decine di migliaia di richieste di esecuzione sfratti da eseguire con la forza pubblica. A questo dobbiamo aggiungere che a fronte di 100-150 mila richieste la forza pubblica non riesce a eseguirne più di 25-30 mila per limiti organizzativi.
D Insomma tra tutte le emergenze quella abitativa è stata ignorata?
R Si è perso un anno, perché insieme alla sospensione degli sfratti si sarebbero dovuti creare i presupposti per adottare le misure per affrontare quello che sarà comunque uno tsunami sociale. Non si è fatto nulla e questo apre delle questioni molto forti. Segnalo che nel 2020 le risorse stanziate dal Parlamento e dal governo sono 270 milioni di euro e di questi soldi non è arrivato un centesimo alle famiglie. Ad oggi abbiamo anche altri 210 milioni stanziati per il 2021 più altri 50 milioni del fondo morosità incolpevole già stanziati, quindi oltre 500 milioni in tutto che però non stiamo usando. Per quanto riguarda i Comuni questi sono stati incapaci di spendere i soldi per le politiche abitative. Un comune come Roma che dopo uno sgombero trova una soluzione in alloggi impropri per carenza di servizi e igiene pagando 20 euro a persona, che vuol dire per tre persone spendere 1800 euro al mese. A quel punto dando 1000 euro a quella famiglia si risolve prima il problema risparmiando.
D Quindi la proroga degli sfratti non risolve il problema?
R Dal punto di vista sociale la discussione oggi su proroga degli sfratti si o no è una discussione falsa. Il governo Conte 2 ha fatto un errore molto grave nel senso che uno dei modi per affrontare la situazione era quello di concedere Ristori anche ai proprietari o per esempio sospendere o non pagare l’Imu per il 2020. Sarebbe stato equo visto che abbiamo erogato in sussidi e Ristori per altre categorie oltre 200 milioni. Nel 2020, contestualmente all sospensione sfratti, si fossero stanziati poche centinaia di milioni di euro per i proprietari avrebbe creato condizioni diverse. Invece le associazioni dei proprietari hanno cavalcato l’onda con un atteggiamento molto retrivo, dicendo che gli inquilini sono parassiti o ladri senza capire che il problema non era difendere o non difendere gli sfratti.
D Voi avete proposto che i vari decreti Ristori riguardassero anche i piccoli proprietari penalizzati come gli inquilini dalla crisi?
R La responsabilità dei sindacati e delle associazioni dei proprietari dovrebbe essere chiedere misure strutturali attraverso le quali evitare nel futuro il ricorso a proroghe sfratti per cui non avremo mai più bisogno di usare la parola sfratti, le proroghe degli sfratti per noi sono soltanto un allungamento dell’agonia. Anche in tempo di pandemia se noi avessimo avuto in questo anno disponibilità di case popolari in numero adeguato, non ci sarebbe stato neanche bisogno di una proroga sfratti perché li avremmo governati attraverso meccanismi di passaggio da casa a casa. A Roma per esempio accade un fatto incredibile. Il bando contributo affitto ordinario di febbraio 2020, che fa riferimento ad affitti del 2018 non ha ad oggi viste lavorate le domande e pochi giorni fa in commissione trasparenza hanno detto che affideranno all’esterno la lavorazione delle domande. Quindi forse tra un anno arriveranno quei soldi. Mentre al bando contributo affitto covid finito a maggio hanno partecipato 49000 famiglie contro le 15.000 del bando precedente, migliaia le hanno scartate per errori minimi o banali. Ad oggi del bando di maggio covid solo a circa 6.000 famiglie su 49.000 è stato erogato un contributo di 245 euro, non al mese ma in tutto, non è certo plausibile affrontare 8 mesi di affitto non pagato con 245 euro quando ci sono ancora decine di milioni di euro disponibili. Ma come è possibile che in tempi di pandemia si riescono a dare in 20 giorni rimborsi a 700 mila persone per i monopattini mentre passano 3 anni per il contributo affitto?
D C’è un modo per accelerare i tempi?
R Si può fare in modo che i contributi per gli affitti vengano dati tramite l’Agenzia delle Entrate con domanda telematica, visto che l’Agenzia delle Entrate ha già i contratti registrati, ne conosce gli importi ha i dati di inquilino e locatore e in 20 giorni potrebbe erogare i contributi. Altrimenti dopo tre anni rischi di dare il contributo affitto a una persona che è già uscita di casa da anni. Manca in tutto il ceto politico locale e nazionale la percezione di un problema che comunque riguarda 650 mila famiglie collocate nelle graduatorie per una casa popolare, 50 mila famiglie ogni anno subiscono una sentenza di sfratto. Mentre nel 2020 600 mila famiglie hanno chiesto il contributo affitto.
Durante il 2020 qualche risultato l’abbiamo ottenuto, sia nel decreto rilancio, dove siamo riusciti a far approvare una risoluzione nella quale si impegnava il governo a definire un piano nazionale di edilizia residenziale pubblica a canone sociale senza consumo di suolo, attraverso il recupero dell’esistente. Cosi come nella risoluzione approvata da Camera e Senato con la risoluzione sulle priorità del Recovery Plan dove si impegna il governo alla definizione di un piano di Edilizia Residenziale Pubblica a canone sociale che è una cosa diversa dal Social Housing.
D La risposta quindi non è soltanto di costruire nuove abitazioni?
R Si, non c’è alcun bisogno di continuare nella cementificazione del suolo, oggi è possibile recuperare l’esistente patrimonio immobiliare pubblico e privato inutilizzato significa incidere molto anche sull’impatto ambientale. Non a caso l’Ispra ha denunciato come la cementificazione del suolo comporta un innalzamento di 2 gradi della temperatura nelle città che, appunto, si verifica quando vengono fatte nuove colate di cemento, si tratta di una rigenerazione urbana sociale che ha un’importanza e un riverbero notevole anche sull’occupazione che genera, in linea con le indicazioni dell’Unione Europea, una risposta che diventa abitativa, culturale e sociale.
D Ma ci sono i soldi per le politiche abitative che proponete?
R Non è vero che mancano i soldi, quello che non manca nelle politiche abitative sono proprio i soldi noi abbiamo ancora oggi 980 milioni inutilizzati di fondi Gescal, che sono finiti nel ’95. La regione Lazio per esempio ha 200 milioni di fondi Gescal inutilizzati. Quando ci dicono che non ci sono i soldi non è vero. Il Recovery Fund potrebbe essere un importante volano di risorse e poi abbiamo i fondi europei 2021-2027 che finanzieranno i principi presenti nel Pilastro sociale europeo, che al punto 19 cita le politiche abitative. Quello che manca, ripeto, è la percezione del problema, la politica deve capire le politiche abitative pubbliche non sono una spesa ma un investimento per una infrastruttura sociale strategica. Se non riusciamo a far capire questo è difficile che a cascata dal governo ai ministeri alle regioni ai comuni ai municipi qualcuno si interessi a questo settore. Inoltre anche i sindacati degli inquilini e i movimenti per la casa devono interloquire cercando alleati in chi la casa ce l’ha e deve capire che è centrale la riqualificazione delle aree urbane dove ci sono palazzi vuoti lasciati nel degrado questo migliora sia la qualità della vita che il valore stesso dei beni circostanti. Altrimenti continueremo in pochi a organizzare mobilitazioni.