Mark Adin: «Il paradosso valdese»
Il meglio del blog-bottega / 79…. andando a ritroso nel tempo (*)
La montagna è autorevolmente innevata, il breve corteo funebre prende per il minuscolo cimitero racchiuso tra quattro mura non molto alte. Non un bisbiglio, solo il rumore dei passi, attenzione a non scivolare. Dentro, le lapidi spuntano appena dalla neve, leggo i cognomi affioranti dei morti: Ribet, Long, Arnaud, Bouchard, Revel, Peyron… Verso il cielo solo montagne e tanto silenzio.
Risuona nitida la voce del pastore, un uomo piccolo di statura, elegante in un cappotto nero, camicia e cravatta, scarpine lucide e inspiegabilmente indenni da neve, zoccoli di capriolo, in piedi sulla esigua e scivolosa striscia di terra antistante la buca profonda che spicca, scura, tra tutto quel bianco abbagliante. Sta in equilibrio perfetto come una capra, la bibbia stretta al petto, la voce ferma e penetrante. Poche cose, dette senza ampollosità. Poi la recitazione del Credo. Parola forte, significante e potente: “Credo”. Due sole sillabe, sonore, la prima crepitante, creatrice, fatta di pura energia; la seconda così ferma e conclusiva, definitiva.
Anche il nome del paladino Rolando è fatto di simili consonanze, la R di rombo e la D che ne chiude l’azione. Mi pare di vederlo in una valle simile a queste, disperato, suonare l’olifante sino a perdere la ragione per lo sforzo inumano. Non dissanguandosi, perdendo il senno dall’orecchio. Non per emorragia, bensì per fatale de-menza.
Il piccolo pastore-capriolo, ritto in equilibrio sull’orlo della fossa nella quale io, pur da pochi metri, non riesco a vedere la cassa di legno dolce appena calata, tanto è profonda e scura, traspare fierezza pronunciando il Credo, una fierezza antica e rocciosa.
E’ il commiato alla mamma del mio amico G., fraterno amico. Un’amicizia nata in modo improvviso e spiazzante, io e lui una “strana coppia”. Lui Valdese, nato in queste valli e in queste valli ritornato dopo essere stato pastore a Torino, Ivrea, Biella, e nella Milano dove ci siamo conosciuti, lui il più giovane Moderatore della Tavola Valdese. Io che non ho mai trovato la strada, io che credo la strada non esista. Non tanto per aver letto Eliseè Reclus, o De Sade, o Bakunin, diciamo quindi per formazione, ma semplicemente per la sommessa, rispettosa, intima convinzione che Dio non ci sia, che la ragione mi porti inesorabilmente a pensare così.
Eppure mi sento molto vicino a G., per questo sono qui oggi tra le sue montagne, in Val Chisone, a fargli compagnia in un momento per lui di tristezza e di lutto. Qui sono le valli valdesi, la Val Pellice e la Val Germanasca, e alcune minori contigue. Qui vivono la maggior parte dei Valdesi italiani, quelli a cui molti devolvono l’otto per mille per simpatia, senza conoscerli, senza sapere neppure chi sono.
G. mi racconta del Sinodo che ha presieduto in qualità di Moderatore della Tavola durante il quale si votò per accedere al diritto a riscuotere tale obolo fiscale. G. votò, insieme ad altri, contro il beneficio. La maggioranza decise invece di avvalersene a una condizione: che non sarebbe mai stato utilizzato come sostegno economico alla Chiesa, ma unicamente per finanziare opere a carattere sociale. E così, da allora, i pubblici bilanci documentano. Preciso-preciso come il Vaticano.
Gente strana, i Valdesi. Non fanno proselitismo, non tirano per la giacchetta. Da sempre progressisti e accoglienti, sono portatori di istanze tra le più avanzate. All’ultimo Sinodo, tenutosi nella bella Torre Pellice, è stata approvata la benedizione alle coppie omosessuali. Al tempio di Milano si raccolgono le complesse formalizzazioni del testamento biologico. Posizioni di assoluta avanguardia anche per la sinistra, mantenute con sobrietà e impegno. Sorprende la loro laicità.
Ma non è forse una contraddizione in termini essere così laici e nello stesso tempo così religiosi? E poi cosa ci faccio, io senzadio, a bere whisky in una casa vecchia di cinquecento anni con due pastori valdesi, io in soverchia minoranza? Sono ubriaco? Mi pare di no.
Ascolto G. raccontar di suo padre, anch’egli Pastore, condannato a morte dai tedeschi durante la Resistenza. Sapete come sono i montanari, è gente fatta così, sono testardi. Quando si impuntano su qualcosa non c’è verso di fargli cambiare idea.
(*) Come l’anno scorso, ad agosto la “bottega” – che prima dell’11 gennaio 2015 fu blog – recupera alcuni vecchi post che a rileggerli, anni dopo, sono sembrati interessanti. Il motivo? Un po’ perché 10mila articoli (avete letto bene: 10 mila) sono taaaaaaaaaaanti e si rischia di perdere la memoria dei più vecchi. E un po’ perché nel pieno dell’estate qualche collaborazione si liquefà: viva&viva il diritto alle vacanze che dovrebbe essere per tutte/i. Vecchi post dunque… all’incirca di 5 anni fa: recuperati con l’unico criterio di partire dalla coda ma valutando quali possono essere più attuali o spiazzanti. Il “meglio” è sempre soggettivo ma l’idea è soprattutto di ritrovare semi, ponti, pensieri perduti… in qualche caso accompagnati dalla bella scrittura, dall’inchiesta ben fatta, dalla riflessione intelligente: con le firme più varie, con stili assai differenti e quel misto di serietà e ironia, di rabbia e speranza che – speriamo – caratterizza questa blottega, cioè blog-bottega. (db)