Marx contro Marx 3
Quello che qui sotto presento è la terza e ultima parte di un articolo di Maria Turchetto che tratta un aspetto importante della riflessione althusseriana sull’opera di Carlo Marx (che cosa ha effettivamente prodotto il pensiero di K. Marx?).
Riflessione quest’ultima che valutata nei suoi vari aspetti, risulta cruciale: l’insieme dei concetti elaborati da Althusser, a partire da Leggere il Capitale e Per Marx, testi che tanta fortuna hanno avuto, per arrivare alle acquisizioni sul “materialismo aleatorio” degli ultimi anni della vita, modificano radicalmente le letture classiche del marxismo terzointernazionalista; e pone le basi per l’elaborazione del marxismo del XXI secolo. Un marxismo capace ormai di affrontare criticamente anche l’opera del fondatore; e nel quale sono diventati residuali le letture storiciste e economiciste, ma sopratutto quelle deterministiche che hanno caratterizzato anche le posizioni antistaliniste del Novecento.
La scelta di presentare la sottolineatura dell’opera di Althusser per mezzo di uno scritto breve, ma prezioso, di Maria Turchetto è dovuto al linguaggio che l’epistemologa normalmente utilizza; un linguaggio che, pur scientificamente appropriato, risulta comprensibile anche per chi, come il sottoscritto, non è in possesso di specifiche competenze in materia: è sufficiente la sola volontà di riflettere sulle frasi e sui concetti esposti per arrivare a avere ragione delle difficoltà inerenti a un pensiero (quello di Althusser) che per la sua novità può indurre a qualche timore in proposito. Valuto questa scelta di dare accessibilità ai propri lavori merito non secondario di Maria Turchetto.
La quale riassume con l’abituale chiarezza l’opera di Althusser nel modo che segue:
la lettura althusseriana ci consegna un Marx non solo liberato dall’interpretazione ortodossa ma decisamente all’altezza dei tempi. L’operazione di Althusser, d’altra parte, non è indolore: fa violenza allo stesso Marx in quanto gioca una parte di Marx contro lo stesso Marx.
Era ora, non solo per noi, ma per Marx medesimo, che un tale gioco venisse giocato.
Mauro Antonio Miglieruolo
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Maria Turchetto è docente presso il Dipartimento di Filosofia e Beni culturali dell’Università Ca’ Foscari di Venezia; dal 1995 segue le attività dell’Associazione Louis Althusser, che cura la pubblicazione delle opere di Althusser e su Althusser in Italia. Associzione il cui indirizzo è: http://www.mercatiesplosivi.com/althusser/
Dirige l’“Ateo”, periodico dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, vedi: http://www.uaar.it/uaar/ateo/
Due interviste a M. Turchetto possono essere lette ai seguenti indirizzi:
http://www.centroriformastato.it/crs/Testi/interviste/Marx/Turchetto.html
http://www.adolgiso.it/enterprise/maria_turchetto.asp
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L’articolo è tratto da “Althusseriana Quaderni”, Giornate di Studio dul pensiero di Louis Althusser – Venezia 2004, pag. 117-126
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Che cosa significa “scienza della storia”?
di
Maria Turchetto (3)
3. La storia diventa scienza
Ma veniamo a Marx e alla “scienza della storia”. Senza dubbio, Althusser interpreta Marx in modo da attribuirgli le due mosse fondative dell’oggettività scientifica che abbiamo sopra analizzato.
La prima – che Althusser cerca nel Capitale soprattutto negli anni ’60 – è la definizione della “formazione sociale” come sistema complesso, “struttura” (com’è noto, il termine è impiegato da Althusser in un’accezione che si lascia alle spalle la coppia struttura/sovrastruttura del marxismo tradizionale), “tutto strutturato a dominante”: ciò che costringe a «pensare la determinazione degli elementi di una struttura e i rapporti strutturali esistenti tra questi elementi e tutti gli effetti di questi rapporti dipendenti dall’efficacia di questa struttura»[1], dunque a pensare in termini di causalità “metonimica” anziché “transitiva” o “espressiva”. Sono le tematiche di Leggere Il Capitale.
La seconda – cui Althusser dedica attenzione soprattutto negli anni ’80 – è la genesi aleatoria del capitalismo, quale emerge nel capitolo del Capitale dedicato alla “cosiddetta accumulazione originaria”: incontro di processi storici diversi che ad un certo punto “fa presa”[2], determinando l’emergenza della capacità di autoriproduzione del rapporto sociale capitalistico.
L’individuazione della “prima mossa” – definizione della formazione sociale capitalistica come sistema complesso – comporta notevoli problemi interpretativi soprattutto per le difficoltà che il nuovo pensiero di Marx ha ad autodefinirsi, impaniato com’è nelle terminologie della tradizione hegeliana:
questo nuovo pensiero, deciso e puntuale nel processo all’errore ideologico, non arriva ad autodefinirsi senza difficoltà e senza equivoci. Non si rompe di colpo con un passato teorico: sono comunque necessarie parole e concetti per rompere con altre parole e concetti, e sono spesso le nuove parole ad essere investite del protocollo della rottura, per tutto il tempo che dura la ricerca delle nuove[3].
L’individuazione della “seconda mossa” – genesi aleatoria del capitalismo – comporta problemi ancora maggiori, perché richiede di giocare Marx contro Marx, di individuare in questo autore due diverse teorie della formazione del capitalismo «che non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra»[4], e di scartare proprio quella scelta dal marxismo successivo a Marx.
La prima va fatta risalire alla Situazione delle classi operaie di Engels, che ne è il vero iniziatore: essa si ritrova nel celebre capitolo sull’accumulazione originaria […]. La seconda si trova nei grandi passaggi del Capitale sull’essenza del capitalismo, così come del modo di produzione feudale e del modo di produzione socialista, e più in generale nella “teoria” della transizione o forma di passaggio da un modo di produzione ad un altro.[5]
La seconda teoria della formazione del capitalismo è «la tesi di una mitica “scomposizione” del modo di produzione feudale e della nascita della borghesia nel cuore di questa scomposizione», cioè l’idea di un percorso predestinato, retto dalle “leggi dialettiche” della “contraddizione”, della “negazione”, del “grande rovesciamento”; una storia piena di problemi, di misteri («che è dunque questa strana classe che è la borghesia, in futuro capitalista, tuttavia formatasi ben prima di ogni forma di capitalismo ma anzi sotto la feudalità?»), di “vicoli ciechi”; una teoria della storia “filosofica”[6] e improbabile quanto la “metafisica” teoria dell’evoluzione di Lysenko. La prima concezione, invece
ci spiega che il modo di produzione capitalistico è nato dall”‘incontro” tra il “proprietario di denaro” e il proletario sprovvisto di tutto, salvo che della propria forza-lavoro. “Capita” che questo incontro abbia avuto luogo, ed abbia “fatto presa”, il che vuol dire che non si è dissolto non appena avvenuto, ma è durato ed è diventato un fatto compiuto, il fatto compiuto di questo incontro, che provoca dei rapporti stabili ed una necessità il cui studio fornisce delle “leggi”, beninteso tendenziali: le leggi dello sviluppo del modo di produzione capitalistico […]. Quello che è importante in questa concezione non è tanto il dispiegarsi di leggi […] quanto il carattere aleatorio della “presa” di questo incontro che dà luogo al fatto compiuto, di cui si possono enunciare le leggi. Detto in altri termini: il tutto che risulta dalla “presa” dell”`incontro” non è anteriore alla “presa” degli elementi ma posteriore e perciò avrebbe potuto non far presa e, a maggior ragione, l’incontro avrebbe potuto non aver luogo[7].
Questa concezione mi sembra del tutto coincidente con quel «preordinare l’emergenza alla teleonomia» che Monod attribuisce a Darwin e che considera l’atto di fondazione della biologia scientifica. Ne sembra con-vinto lo stesso Althusser:
anziché pensare la contingenza come modalità o eccezione della necessità, bisogna pensare la necessità come il divenire necessario dell’incontro di contingenti. E così che si vede non soltanto il mondo della vita (i biologi se ne sono resi conto recentemente, proprio loro che avrebbero dovuto conoscere Darwin), ma anche il mondo della storia consolidarsi in certi momenti fortunati nella presa di elementi congiunti da un incontro adatto a disegnare una tale figura: una tale specie, un tale individuo, un tale popolo”[8].
Questa “seconda mossa”, si è detto, è fondamentale. Preordinare l’emergenza (cioè la genesi casuale, nel senso di imprevedibile, non deduci-bile da alcuna “legge”) al funzionamento autoriproduttivo della struttura sociale è di fondamentale importanza per poter uscire dalle storie ideologiche e fondare una storia scientifica.
Ma è essenziale anche la “prima mossa”, quella che definisce le formazioni sociali come insiemi di rapporti sociali strutturati a dominante, determinati “in ultima istanza” dai rapporti di produzione, e va tenuta distinta[9]. E l’operazione concettuale che dà alla storia un nuovo oggetto, e da cui ci aspettiamo come effetto teorico che eviti di introdurre dualismi di principio.
Un netto dualismo viene ad esempio introdotto da Monod quando affronta la storia degli uomini con la categoria di “noosfera” – termine assai sospetto e sintomatico, osserva Althusser[10], visto che Monod lo trae da quel Teilhard de Chardin che aveva prima accusato di “metafisica”[11]. La categoria di noosfera è infatti «in grado di gettare le basi per una teoria idealista della storia»[12]: una storia dell’uomo in quanto dotato di linguaggio simbolico e di tecniche per trasmetterlo, dunque una storia delle idee e della loro evoluzione. Una “teoria idealista della storia”, perchè basata sulla «credenza che siano le idee che governano il mondo»[13] (rectius, la storia). Una “teoria idealista della storia”, perché introduce un dualismo tra il mondo delle cose (la biosfera, il mondo fisico e biologico oggetto delle scienze della natura) e il mondo delle idee (il mondo umano e storico oggetto delle scienze della cultura). E – aggiungerei – anche una teoria antropocentrica della storia, poiché solo l’uomo possiede il linguaggio simbolico e la capacità di trasmetterlo – la “cultura” – dunque solo l’uomo ha propriamente una storia e non semplicemente una evoluzione. E pensare che Monod sa assai bene quanto nuoccia alla ragion scientifica I'”illusione antropocentrica”[14].
Ben diversamente stanno le cose se definiamo invece come oggetto della storia le “formazioni sociali”: ossia insiemi di relazioni sociali relativamente stabili (capaci di autoriprodursi) strutturate “in ultima istanza” a partire dai “rapporti di produzione”, cioè da quelle relazioni sociali che si instaurano nel ricambio organico con la natura. Otteniamo una teoria materialista della storia. E non tanto per la scelta di definire le società per come producono e non per quel che pensano di se stesse – scelta pure importante, compiuta da Marx fin dall’Ideologia tedesca, anche se con una connotazione ancora antropologica[15]; quanto perché le società vengono in questo modo pensate – e “classificate” – come strutture di rapporti conflittuali, matrici di ruoli dominanti e dominati. E una storia dei rapporti sociali conflittuali è, a tutti gli effetti, “storia di lotte di classe”, come re-cita la celebre frase del Manifesto comunista cui Althusser, almeno nei testi degli anni ’60 e ’70, si mantenne sempre fedele.
[1] L. Althusser, L’oggetto del Capitale, cit., p. 195.
[2] Cfr. L. Althusser, La corrente sotterranea del materialismo dell’incontro, in L. Althusser, Sul materialismo aleatorio, Unicopli, Milano 2000, p. 111.
[3] L. Althusser, Per Marx, Editori Riuniti, Roma 1974, p. 19.
[4] L. Althusser, La corrente sotterranea del materialismo dell’incontro, in L. Althusser, Sul materialismo aleatorio, cit., pp. 105-106.
[5] Ivi, p. 106.
[6] Cfr. ibidem. Il termine è qui usato in un’accezione negativa, affatto simile a quel la con cui Monod impiega, nella Lezione inaugurale, il termine “metafisica”.
[7] Ivi, pp. 106-107.
[8] Ivi, p. 101.
[9] Le due problematiche si trovano invece ancora confuse in Leggere Il Capitale, dove si ritiene indispensabile una «teoria della transizione da un modo di produzione a un altro»: cfr. L. Althusser, L’oggetto del Capitale, cit., p. 207 e ss.
[10] L. Althusser, Filosofia e filosofia spontanea degli scienziati, cit., p. 112.
[11] Cfr. J. Monod, Lezione inaugurale, cit., p. 175.
[12] L. Althusser, Filosofia e filosofia spontanea degli scienziati, cit., p. 125.
[13] Ivi, p. 130
[14] Cfr. J. Monod, Il caso e la necessità, cit., p. 41 e ss.
[15] Cioè ancora nell’ambito di una problematica di individuazione dell’”essenza dell’uomo”.
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Le prime due parti dell’articolo sono state rispettivamente pubblicate (1) alle ore 07 e (2) alle ore 12.
http://miglieruolo.wordpress.com/2013/05/29/marx-contro-marx-3/