Maurizio Cometto: l’ultimo giorno
Nota: questo racconto è stato scritto nel 1998, personaggi e trasmissioni televisive si riferiscono pertanto a quel periodo.
“Che diavolo gli prende a questo catorcio?” sbraitò Alberto, picchiando il pugno sul televisore. Prima, sullo schermo, c’erano le ballerine; adesso c’era un’immagine confusa, classica degli apparecchi malsintonizzati. Shhhhhh, si lamentava l’altoparlante.
“Maledettissima tv” pensò. Chi gliel’aveva regalato quel televisore? Angela? Era stata Angela, tanti anni addietro, a regalarglielo? Non ricordava più. Del resto non ricordava nulla della sua vita che andasse oltre il ventotto settembre di quell’anno. Quel giorno l’avevano licenziato. E quello stesso giorno, Angela l’aveva mollato.
Perché, aveva chiesto lui? Che cos’ho che non va? E’ lo stesso motivo per cui ti hanno licenziato, aveva risposto lei. Anzi: è “sostanzialmente” lo stesso motivo, aveva puntualizzato, calcando l’accento su quel “sostanzialmente”. Poi aveva tirato fuori una frase: “sei il classico trentenne incapace di vivere”, o qualcosa del genere. Il classico trentenne incapace di vivere. Ma lui sospettava che ci fosse qualcun altro. Esattamente come alla ditta: qualcuno di più bravo, certo, lo ammetteva; qualcuno di molto più bravo, che gli aveva soffiato il posto.
Aveva cominciato a bere, allora; superalcoolici, soprattutto. “Il brandy che crea un’atmosfera” diceva una réclame. Ah, quant’era vero!, lui sì che lo sapeva. Ogni sera si chiudeva a chiave, per non permettere a sua madre di entrare. Poi tirava fuori la bottiglia dal mobile e si buttava sulla poltrona. Non c’era bisogno di accendere la tv., in casa sua era sempre accesa. E allora s’immergeva nella vera vita. Era molto più piena, quella, di ogni altra vita. Molto più completa, più… più viva, ecco. Altroché lavorare in quella ditta di gusci salvatelecomando: otto ore al giorno davanti a una specie di impastatrice, puah! Meglio così, pensava. Molto meglio così.
Peccato che fosse tutto dentro quella scatola, e che lui non potesse toccare con mano. Sarebbe stato bello poterci entrare, là dentro; sì, poterci entrare, ed esser chiamato tra il pubblico a Carramba che sorpresa!; poterci entrare, e ballare con le stangone di Beato tra le donne; poterci entrare, e far morir dalle risate il pubblico del Maurizio Costanzo Show; compreso lo stesso Maurizio Costanzo, che invece non rideva mai. Sì, sarebbe stato un sogno…
Per Angela, invece, gli dispiaceva un po’. Forse aveva anche pianto. “Il classico trentenne incapace di vivere”, aveva detto proprio così. Ecco perché aveva pianto: gli bruciava quella frase. Era come avercela infilata tra le budella.
Shhhhhh, si lamentava il televisore.
Provò a fare un giro sugli altri canali.
Shhhhhh. Shhhhhh. Shhhhhh.
“Ma allora è un guasto dell’apparecchio” pensò. Sentì bussare alla porta.
“Alberto…”, la voce di sua madre. Abbassò il volume.
“Che c’è?”.
“Per domani a pranzo, vuoi le bistecche o lo spezzatino?”.
“Fa lo stesso, mamma, fa lo stesso”.
“Sei arrabbiato con me? Ti faccio un po’ di camomilla?”.
“Lasciami in pace, va bene?”, urlò. “Lasciami in pace, santo Dio”.
Udì un singhiozzo soffocato; poi il passo di lei, strascicato, che si allontanava. Sentì qualcosa come un nodo alla gola. Riportò il volume al livello di prima. Shhhhhh.
“Oh, santo Dio, ‘sto maledetto televisore!”. Calò un pugno sull’apparecchio. Niente da fare. Andò al mobile-bar, si versò un bicchiere di brandy e lo bevve tutto d’un fiato. Gli parve che il nodo alla gola si sciogliesse.
“Il brandy che crea un’atmosfera”. Ah!, com’è vero, com’è dannatamente vero!, pensò. E adesso potrei essere Paolo Bonolis in mezzo alle stangone; oppure una vittima di Carramba che sorpresa!, destinata a momenti di felicità immensa; oppure ancora, un famoso scrittore ospite del Maurizio Costanzo show col pubblico incatenato alle mie parole; compreso lo stesso Maurizio Costanzo che sembra sempre tanto annoiato. Avrebbe potuto essere uno di questi e tanti altri ancora; e perfino tutti insieme, contemporaneamente, con l’aiuto dello zapping.
Se solo quel maledetto televisore non avesse fatto le bizze… d’improvviso tese l’orecchio. Silenzio
Si voltò. Sullo schermo campeggiava una scritta:
Ci scusiamo per la momentanea interruzione.
Tra breve andrà in onda, a reti unificate, un messaggio di Dio.
Al termine riprenderà la normale programmazione.
Alberto sgranò gli occhi; li chiuse, se li stropicciò, li riaprì. Niente da fare: quella scritta c’era sempre. Bevve un’altro sorso di brandy. Gli parve che la stanza oscillasse. Barcollò verso la poltrona e si sedette, in una mano la bottiglia nell’altra il telecomando. Fece un giro su tutte le reti, comprese quelle locali e le varie pay-tv. Niente da fare: sempre quel messaggio; variava solo qualche parola ogni tanto. Per esempio: “Tra poco andrà in onda…” invece che “Tra breve andrà in onda…”; oppure “la consueta programmazione” invece che “la normale programmazione”.
Si fermò su un canale privato, trangugiando un sorso di brandy. Che cavolo significa “un messaggio di Dio”?, si chiese. Il nodo alla gola era sparito.
Gli parve di avvertire, tutto all’improvviso, uno strano profumo. Di fiori freschi, o qualcosa del genere. Non li conosceva bene i fiori, lui; per lui dire ciclamino o dire violetta era la stessa cosa. Anche per questo, forse, Angela l’aveva mollato. Oh, al diavolo Angela! Che gliene fregava, adesso?
Però, buono questo profumo, pensò. E fu sicuro che proveniva dal televisore; anzi, dall’interno del televisore.
D’un tratto la scritta svanì. Il profumo si fece più intenso; gli parve che una nuvoletta bianca, adesso, circondasse lo schermo. Nascondeva il muro alle spalle del televisore, almeno parzialmente; la foto di nonna Giuseppina, per esempio, proprio sopra l’apparecchio, adesso non si vedeva più. Meglio così; in quella foto, scattata quando aveva novant’anni, nonna Giuseppina pareva una mummia.
Si alzò, ingoiando un altro sorso, e si avvicinò allo schermo; ma proprio in quel momento comparve l’annunciatrice. Aveva… Dio mio, aveva il volto di Angela. Angela! Allora capì.
“Angela”, disse. “Tu mi ami ancora, vero che mi ami ancora? Sei venuta per accompagnarmi nel viaggio che mi attende verso una nuova vita… è così?”. Si chinò e depositò un bacio sullo schermo, più o meno dove stava la bocca di lei. Si staccò subito. “Perché sei così fredda?”
Va ora in onda, a reti unificate, un messaggio di Dio.
Angela sparì. Comparve quasi subito un vecchio in primo piano. Non si capiva nulla del luogo delle riprese: alle sue spalle era tutto bianco. E non era una parete o un fondale perché ogni tanto, in lontananza, pareva di veder passare qualcosa in volo.
“E così questo è Dio” pensò Alberto. D’istinto cadde in ginocchio. Era bellissimo; era proprio come doveva essere, ne più ne meno di quanto lui avrebbe potuto aspettarsi. Era il suo Dio, quello: il suo Dio personale. Aveva un viso rotondo, piccolo rispetto alle spalle; era anche un po’ stempiato. Ma soprattutto, aveva una lunga e foltissima barba bianca. Tanto folta che pareva quasi finta.
Finalmente Dio cominciò a parlare. Un leggero accento siciliano colorava la sua voce. “Scusate, scusate”, esordì, come rivolgendosi a un pubblico. Alberto era tutt’orecchi. “So benissimo che interrompo altri programmi ma, che volete, la legge del più forte è la legge del più forte. Signori, ho un annuncio importante da fare”. Il primo piano s’allargò, diventando un campo lungo; e Dio a grandi falcate prese a percorrere lo schermo, da sinistra verso destra e poi dietrofront da destra verso sinistra e così via.
“Trent’anni compiuti”, declamò a voce alta agitando una mano con l’indice teso. “Disoccupato e alcoolizzato. La ragazza l’ha lasciato da poco, la mamma lo vizia da sempre. Poca voglia di lavorare e tanta voglia di far niente”. Si fermò tutto di colpo e fissò la telecamera. “Insomma, signori, diciamocelo: un eroe; un eroe da lodare, da imitare e da santificare”.
“Avete indovinato di chi sto parlando?” Pausa ad effetto.
“Signore e Signori: Alberto Pestini!”. Si udì un lungo applauso.
Alberto, ancora in ginocchio, avvertì una lacrima scorrergli sul viso. S’aggrappò alla bottiglia di brandy trangugiandone un lungo sorso. Gli veniva da ridere e da piangere insieme; vedeva Dio lì, a dieci centimetri dal suo naso, col dito puntato su di lui.
Il profumo di fiori s’era intensificato; la nuvoletta, adesso, circondava anche lui.
“Sì, caro Alberto”, prese a dire Dio. “Sto parlando proprio di te. Un esempio per tutti; un modello per ogni telespettatore; il prossimo stadio evolutivo dell’homo sapiens-sapiens. Per questo ho pensato che meriti un premio. Sì, Alberto: tu meriti di far parte della nostra grande famiglia”.
“Solo così potrai attenderti sorprese meravigliose!” esclamò, fece un gesto e comparve una scena di Carramba che sorpresa!, in cui lui, proprio lui, sotto i lucidi occhi di Raffaella Carrà, e in un mare di lacrime, abbracciava una persona che non vedeva da dieci anni, suo cugino Paolo, con cui nell’infanzia aveva diviso i propri giochi.
“Solo così potrai goderti la tua stangona preferita!” esclamò ancora Dio, fece un altro cenno e comparve, questa volta, una scena di Beato tra le donne, in cui affiancati sul bordo della piscina c’erano lui e un armadio dalla faccia di bronzo, e passava la sua stangona preferita e buttava in piscina proprio lui, Alberto, ma poi anche lei si buttava in piscina e si toglieva il costume e facevano all’amore, furiosamente, sotto gli sguardi delle telecamere e tra gli applausi di tutti.
“Solo così potrai esibirti in tutta la tua intelligenza!” fece ancora Dio e comparve una scena del Maurizio Costanzo Show, un “uno contro tutti”, con Maurizio Costanzo in persona seduto, legato e imbavagliato sulla sedia in mezzo al palcoscenico, e lui a ronzargli intorno cartellina in mano e occhiali sulla punta del naso, e a prenderlo in giro con pesanti allusioni, e il pubblico a ridere e ridere e ridere, e certe abbronzate signore impellicciate sedute in prima fila a lanciargli lunghe occhiate roventi di passione.
Ricomparve Dio. Questa volta, però, era seduto in poltrona davanti a un caminetto in cui ardeva un fuoco vivace; fuori di una finestra si vedeva che nevicava. In mano teneva un bicchiere di brandy.
“Allora, che ne dici?” disse. “Ti propongo la fine di un mondo, quello in cui vivi adesso, sciatto e insignificante; l’inizio di una nuova vita, quella che si vive qui dentro, lucente, varia e soprattutto vera. E’ un premio alla tua fede”. Fece una pausa.
“Tuttavia, devi deciderlo tu, caro Alberto, se vuoi venire fra noi” continuò. “Ci vuole un piccolo sforzo, infatti, una minima dose di coraggio”. Bevve un sorso del brandy. “Ah, proprio vero che crea un’atmosfera. Guarda che fuocherello allegro, che tepore, che calduccio. Te l’immagini tu e la stangona, soli qua dentro? E ci sono anche le telecamere, ovviamente, cosa credi? Verreste ripresi in tutto e per tutto e poi, chissà, magari sfondereste nel campo della pubblicità…”.
“Allora… hai deciso?”
Alberto, il viso un palmo dallo schermo, era esaltato. Oramai non percepiva più nulla della stanza, nulla che non fosse la televisione e il bicchiere di brandy. Bevve un altro sorso. Quant’era fortunato, pensava: vedere Dio in persona che ti chiama a sé; addirittura, Dio che ti dà facoltà di scegliere il paradiso! Non capita certo a tutti; e lui, ovviamente, avrebbe detto di sì. Rinunciare alle sorprese? Rinunciare alla stangona, al bagno in piscina, all’atmosfera e al brandy? Rinunciare all’esibizione davanti al pubblico del Costanzo Show?
“Sei solo un trentenne incapace di vivere” aveva detto Angela. Certo, incapace di vivere quella vita falsa; perché lui, lui era nato per la vita vera, la vita che scorreva dentro quella scatola. Sì, proprio dentro quella scatola.
“Vedo che hai compreso”, disse Dio. “Allora tanto vale che mi tolga questa”. Si portò una mano alla barba
“No!” urlò lui. “Aspetti, la prego, non lo faccia!”. Tutto d’un tratto, il profumo di fiori s’era tramutato in un fragrante aroma di caffè, e in sottofondo era comparsa una musica tropicale.
“Non dovrei farlo? E perché non dovrei farlo? Sarebbe un perfetto colpo di scena. I contatti salirebbero alle stelle, gli inserzionisti morirebbero di piacere”.
“No, la prego”, disse Alberto. “E’ tutto così perfetto, non rovini l’illusione”.
Dio ci pensò con calma, sorseggiando il suo brandy. “E va bene”, concesse alla fine. “Mi dà un po’ di fastidio, ma tra breve sarà tutto finito”. Poi si alzò in piedi. “Signore e signori”, declamò, “è con grande piacere e un pizzico di orgoglio che vi annuncio lo spettacolo di stasera. Alberto Pestini, un giovane coraggioso e intraprendente, tenterà di passare dalla sua vita, falsa e insignificante, alla nostra vita, l’unica e vera”.
Alberto sapeva quel che doveva fare. Si trattava di sfondare il diaframma che divideva i due mondi. Indietreggiò di qualche passo, barcollando leggermente. Si fece forza e ingoiò un altro po’ di brandy.
Gli capitò di alzare gli occhi; sopra il televisore, in mezzo alla nebbia, si distingueva ancora il ritratto di nonna Giuseppina.
“Alberto!” tuonò questa dal ritratto. “Che stai facendo?”
“Nonna”, disse lui, “sto per raggiungerti…”.
“Sì? Bene, sono contenta. Prima di raggiungermi, però, me lo faresti un favore? Sposteresti la mia… ehm… la mia casa… dall’altro lato della stanza, sulla parete di fronte a questa? Perché da qui mi è impossibile vedere Stranamore… ti prego, Alberto, ti scongiuro…”.
“Fermo!”, s’intromise Dio. “Non farlo, per l’amor di… per l’amor mio medesimo. E’ il suo inferno, quello, non lo capisci?”.
“Tua nonna condusse una vita di lavoro e di fatica”, spiegò. “E mai una volta, dico mai e poi mai si degnò di gettare un occhio sul nostro mondo. Bene, questo è il castigo che si merita: ora che ha compreso dov’è la vera vita, non le sarà neppure concesso di contemplarla. E questo nei secoli dei secoli”.
“Amen…”, rispose Alberto, che dava ragione a Dio.
Nonna Giuseppina fece una smorfia, poi tornò immobile come sempre.
“Avanti, cosa aspetti?” incalzò Dio dopo un po’. Si lisciò la barba posticcia.
“Aspetto un pubblico col fiato sospeso, un rullo di tamburi e un vostro segnale, santità”, disse Alberto.
Dio lo accontentò; lo scenario nel televisore mutò e comparve l’arredamento tipico del varietà; il pubblico mormorava impaziente e il direttore d’orchestra fece un cenno al batterista, il quale cominciò a rullare.
Dio, vestito col frac e totalmente a suo agio, cominciò il conto alla rovescia: “Cinque, quattro, tre, due, uno… VIA!”.
Alberto caricò sul diaframma, la testa china come un toro.
L’impatto gli parve gommoso, come contro una parete elastica. Poi si ritrovò a lottare. Era come se fosse rimasto incastrato, metà da una parte metà dall’altra. Vedeva Dio proprio dinanzi a sé; e a un certo punto, gli parve che allungando una mano avrebbe potuto perfino toccarlo. Ma dalla parte opposta ogni tanto gli giungevano come delle voci.
…Dottore, mi dica, c’è speranza?…
“Forza” urlavano tutti. “Dai, dai che ce la fai”.
“Non aiutatelo!”, s’intromise il signor No. “E’ vietato dal regolamento”.
“Dai, dai” urlava ancora Dio. Ma l’incitamento della folla cominciò a scemare. Piovevano ortaggi e pomodori, adesso, e addirittura qualche monetina; alcuni si alzarono, scesero sul palcoscenico e cominciarono a malmenare Dio. “Buffone”, gli urlavano. “Lo vedi? E’ solo un trentenne incapace di vivere. Chi credevi di ingannare con il tuo spettacolo?”.
Alberto si sentiva molto debole; aveva rinunciato a lottare perché non ne aveva più la forza. Ancora quelle voci dalla parte opposta…
…Reagisce, dottore? Ce la può ancora fare?…
…Non possiamo sbilanciarci…
“Sono in coma” pensò Alberto.
Intanto Dio giaceva a terra privo di sensi, e il caos più totale serpeggiava tra il pubblico. C’erano fischi e urla di disapprovazione. Alcune telecamere finirono per terra. “Stop! Stop!” sbraitava il regista.
Venne mandata la pubblicità. ‘Il brandy che crea un’atmosfera…’.
Finalmente capì. Aveva sfondato con una testata lo schermo del televisore; e, molto probabilmente, il suo corpo giaceva ancora lì, adesso, con la testa dentro l’apparecchio. O forse era già in ospedale?
…Alberto, ti prego, reagisci…
Non era né vivo né morto; era in coma, in quel limbo misterioso tra l’aldilqua e l’aldilà. E si accorse di aver trovato il suo habitat naturale. La condizione ideale per un trentenne come lui: un trentenne incapace di vivere. Semplice, molto semplice: né vita né morte, ma ciò che sta in mezzo. Soltanto a metà strada: dove nulla potrà mai farti male.
Terminò la pubblicità. Per qualche istante non vide più nulla, poi udì in lontananza una musica di arpa. Era sempre più vicina, sempre più distinguibile. Alla fine la riconobbe; una dolce sensazione di sollievo lo pervase, tanto che si lasciò cullare da quelle note famigliari.
Comparve anche la scritta, sull’immagine di un panorama:
Intervallo
Maurizio Cometto è nato a Cuneo il 29.09.1971. Nel marzo 2006 è uscito presso le edizioni Il Foglio il romanzo Il costruttore di biciclette, con prefazione di Valerio Evangelisti. Nel settembre 2008 è uscita sempre per le edizioni Il Foglio la riedizione riveduta e corretta della sua raccolta di racconti L’incrinarsi di una persistenza e altri racconti fantastici (ne trovate la recensione su questo blog in data 1 dicembre 2008). Laureato in ingegneria meccanica, vive a Collegno.
Gran bel racconto, Maurizio.
zzz