Maya se ne è volata, dalla gabbia
di Daniela Pia
«Ho imparato che ogni giorno dovresti spingerti a toccare qualcuno. La gente ama una carezza affettuosa o soltanto un’amichevole pacca sulla schiena». Così consigliava Maya Angelou,
una di quelle donne che hanno fatto la storia con le unghie e con i denti, con il corpo e con la mente, con la danza e le parole. Morta ieri a 86 anni. Nel suo ultimo post ha scritto: «Ascoltatevi dentro, nella quiete forse udirete la voce di Dio». Una voce che tanti cercano a lungo senza trovarla. La sua, di voce, si è fatta molto sentire negli ultimi 60 anni: voce baritonale e inconfondibile – la raccontano – di donna che ha saputo battersi per i diritti civili, capace di amare molto, dopo aver molto sofferto per poter affermare la propria libertà. Donna di talento con il coraggio delle idee nate da una vita di povertà e discriminazioni segnata dalla violenza. Una meravigliosa fenice capace di risorgere dalle ceneri di un destino che l’ avrebbe voluta vinta e che l’ha potuta contemplare vittoriosa sulle avversità.
Autrice di «Il canto del silenzio», primo bestseller scritto da una donna di origini africane, «attraverso la scrittura recuperò la privazione della parola, protrattasi per più di cinque anni a causa di un trauma dovuto alla violenza subita. Ma è stata donna di rara forza che è riuscita a meritarsi anche una borsa di studio, quella che le consentì di librarsi in aria nell’armonia della danza capace di sottrarla al dolore: in quella forma d’arte seppe dar voce alle sue molteplici anime esibendosi nei teatri della California e di San Francisco. Divenuta madre a 16 anni capì che poteva contare solo su se stessa e, fra i tanti lavori ai quali non si sottrasse per mantenere se stessa e la sua creatura, fu la prima persona di colore a condurre un mezzo pubblico; allo stesso modo, quando nel 1972 le fu affidato l’ incarico di scrivere la sceneggiatura di «Georgia», fu la prima donna afro-americana ad accedere alla nomination per il premio Pulitzer. Di lei mi piace ricordare qui la poesia in grado di descriverne la forza e la delicatezza insieme.
So perché canta l’uccello chiuso in gabbia
Un uccello libero salta sulla schiena
del vento e fluttua fino a valle,
alla fine della corrente, e intinge un’ala
nell’arancione dei raggi del sole
e osa rivendicare il cielo.
Ma un UCCELLO che perseguita la sua stretta gabbia
può vedere raramente attraverso le sue sbarre di rabbia
le sue ali sono tagliate e le sue zampe legate
così apre la gola per cantare.
L’uccello in gabbia canta con un temibile trillo
di cose sconosciute ma ancora sospirate
e la sua melodia si sente sulla collina distante perché
l’uccello in gabbia canta la libertà.
L’uccello libero pensa a un’altra brezza
e agli alisei delicati attraverso
i sospiri degli alberi
e ai vermi grassi che aspettano scintillante d’alba
un prato e lui nomina il cielo come suo.
Ma un UCCELLO in gabbia si erge sulla tomba dei sogni
la sua ombra grida sopra un urlo da incubo
le sue ali sono tagliate e le sue zampe legate
così apre la gola per cantare.
L’uccello in gabbia canta con
un temibile trillo di cose sconosciute
ma ancora sospirate e la sua
melodia si sente sulla collina distante
perché l’uccello in gabbia canta la libertà