Meleto: rimozioni e censure
di Giuseppe Faso (*)
La seguente lettera aperta, firmata da quattro soggetti collettivi, fra cui un gruppo consiliare, riprende e aggiorna le informazioni che vi abbiano fornito sul centro di accoglienza di Meleto, frazione di Castelfiorentino (ne abbiamo parlato qui e qui). Alle numerose preoccupazioni già espresse nei nostri interventi si aggiunge ora un altro elemento molto preoccupante, la rimozione di questa lettera aperta dal sito di un quotidiano online, Gonews.
Il documento era stato postato il 9 agosto, poi rimosso il 10 pomeriggio, indi di nuovo postato alle 18.23, per essere definitivamente eliminato qualche ora più tardi. Per questo lo ospitiamo.
Sul motivo della rimozione sarà meglio evitare illazioni. Non ci sembra affatto che la lettera che riportiamo presenti elementi che ne sconsiglino la pubblicazione. L’argomentazione presente nella lettera può e deve dar luogo a controargomentazioni non a censure.
La censura interviene quando si fa agire un potere diverso rispetto a quello dell’argomentazione; ed è invece auspicabile che si rimanga nel campo della discussione argomentata per un approfondimento di metodo e un miglioramento pratico del Centro di Meleto (e dei troppi luoghi simili dispersi oggi per l’Italia). Purtroppo le controargomentazioni alle prime notizie su Meleto erano così deboli ed esposte da provocare preoccupazioni ulteriori sulla questione (leggi qui).
Aggiungiamo un altro elemento di perplessità. In un articolo uscito sul «Tirreno» di ieri (vedi qui) si risponde alla “Lettera aperta”. Una risposta per più versi insufficiente: per esempio vi trovano implicita conferma gravi ritardi nell’adattamento del casolare, l’allacciamento dell’acqua etc.; vi si parla di «alcune prescrizioni da parte della Prefettura che, dopo un sopralluogo, ha indicato gli aspetti da migliorare all’interno» (corsivo nostro) tacendo sul fatto che tali prescrizioni non erano un di più dell’ultimo minuto ma avevano a che fare con le gravi carenze dell’ambiente di accoglienza e comunque sono arrivate dopo la denuncia di cittadini e giornalisti. Della “lettera aperta” peraltro il cronista non riporta neppure un rigo: un bell’esempio di imparzialità giornalistica. Il giornalista invece insiste sulle difficoltà del compito dell’accoglienza, dovute al fatto che ci sono «culture e religioni a volte molto contrastanti tra loro» (corsivo nostro); ritroviamo un tormentone dell’ufficio stampa della Multicons. Continuiamo a fidarci poco della predisposizione al difficile compito dell’accoglienza in Centri chiusi da parte di chi evoca queste difficoltà, e ne sottace altre; più il Consorzio Multicons rilascia dichiarazioni ufficiali e più fornisce elementi di costernazione a chi è convinto dello stretto legame tra il dire e il fare, soprattutto nel caso della rappresentazione sociale che va sotto il cartellino “Centro”. Si tratta di un «luogo di residenza di gruppi di persone che – tagliate fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo – si trovano a dividere una situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato»: è la definizione che Goffman dava delle istituzioni totali. Sembra molto probabile che sofferenze e tensioni siano originate da questo modo di essere tenuti insieme e non da una mitizzata differenza culturale e religiosa preesistente.
C’è un non casuale parallelismo fra l’insistenza sulla originarietà degli eventuali motivi di tensione e quella sulla provenienza o meno della malattia che ha afflitto un migrante dall’Africa. In tutti e due i casi le agenzie coinvolte (Ente gestore del centro, amministrazione comunale, Asl) hanno interessi, differenti ma convergenti, a ridurre il focus dalla situazione del Centro (i suoi dispositivi di regolazione e la loro capacità di produrre sofferenza, l’inadeguatezza sanitaria del sito) e la mancanza di un intervento adeguato.
Non stupirà pertanto che sulla malattia contratta da un migrante ospitato nel centro (vedi qui) si affermi che la Asl di Empoli «ha accertato il fatto che il migrante ha portato dal Paese di provenienza la malattia e non la ha contratto (sic) all’interno del casolare». Così com’è la dichiarazione appartiene al giornalista e non alla Asl ed è così funzionale a una strategia di sviamento dai rischi che corre, di per sé, la struttura del centro da lasciare perplessi.
Naturalmente è possibile che, anche se il tempo di incubazione della malattia contrasta con questa conclusione, il migrante abbia contratto la malattia in Africa; ciò che non si capisce, fino a dichiarazioni ufficiali e argomentate, è come si possa essere sicuri che ciò non sia accaduto in un luogo a rischio come Meleto, che è stato sottoposto a disinfestazione solo dopo le denunce. Probabilmente la Asl 11 avrà una documentazione sufficiente a dirimere ogni dubbio e a non farne sorgere altri. Saremmo perciò lieti di vedere il documento originale della Asl richiesto nella lettera aperta censurata dal «Tirreno» e rimossa da Gonews.
Clicca qui per leggere la lettera aperta
(*) ripreso da www.cronachediordinariorazzismo