Melissa: terra di salvataggi a mare e…
… di storiche lotte bracciantili: l’oggi e la memoria
di Domenico Stimolo
Melissa è un piccolo comune calabrese in provincia di Crotone (3521 abitanti): il toponimo si riferisce al greco, richiama il miele, le api. Melissa torna alla ribalta nelle cronache nazionali giovedì 11 gennaio, a seguito dello sbarco di 51 profughi curdi, in fuga dalle aree di guerra del Kurdistan iracheno.
Melissa era già stata al centro dell’attenzione italiana sessantanove anni addietro, il 29 ottobre 1949, le forze di polizia spararono nel corso di una pacifica manifestazione di braccianti che si svolgeva nella frazione di Fragalà: tre contadini rimasero uccisi, quattordici feriti.
L’evento recente che poteva trasformarsi in tragedia è ormai noto ai più, anche se non ha avuto l’onore delle “prime pagine” informative. Giovedì 11 gennaio, quasi alba, ore 4.30, davanti al lungomare di Torre Melissa: una barca a vela non riesce ad approdare, il fondale è basso e le onde consistenti. Il natante si rovescia su un fianco, disperazione e urla si innalzano dall’imbarcazione. L’acqua del mare Ionio inizia ad entrare violentemente nella “stiva” dove si trovano i 51 profughi, tra cui sei donne e quattro bambini. Urla sempre più strazianti lacerano il buio della notte.
Le storiche guardie della trecentesca torre aragonese di Torre Melissa, messe ad avvistare le scorrerie dei pirati sulle coste ioniche, non possono più sentire. Ormai da tanti secoli, passato il pericolo, sono state smobilitate. Però, l’udito e i sentimenti dei residenti sono fini. Sentono le grida che arrivano dal ridosso del mare, e accorrono per prestare aiuto.
Sono i cittadini “anonimi” che in attesa dell’arrivo delle forze istituzionali diventano diretti protagonisti. Intrepidi e umani, noncuranti del freddo e delle onde frementi , dalla riva al mare, con in testa il sindaco (Gino Murgi) fanno catena umana. Non si fermano sulla tolda, entrano nel ventre del barcone capovolto, per tirare fuori i più deboli, i bambini, le donne.
Portano calore umano, civica solidarietà, vivi sentimenti di accoglienza, solidi bracci per il salvataggio, vestiti, provviste e quant’altro necessario. I salvati vengono portati in un vicino albergo che nel frattempo, nel cuore della notte, ha aperto le porte. Subito si inizia ad approntare quanto necessario.
E’ il cuore grande del Sud: pur fra le tante tenaci e dure contraddizioni (che contraddistinguono la struttura sociale tenuta sotto scacco da organizzazioni criminali) tiene alto i valori dell’umanità. La popolazione – memore del tragico “destino” di emigrazione, di sfruttamento e di lotte – resiste al becero odio che in questa fase storica viene brutalmente e quotidianamente propagandato e messo in opera contro gli esseri umani che cercano protezione e rifugio, cercando vilmente di aizzare i contrasti fra i poveri e i derelitti, gli emarginati più deboli, lasciando invece integri gli enormi e solidi capitali che caratterizzano il vertice della struttura sociale.
A 110 km da Melissa – provenendo da sud – c’è Riace, storica cittadina che dall’alto si affaccia sul mare Ionio, diventata famosa nel mondo per il suo collaudato innovativo sistema di solidarietà partecipativa nei riguardi dei profughi, inventato dal sindaco (ex) Mimmo Lucano….poi inquisito. Riace già nel 1998 (il 1 luglio) accolse con viva trepidazione umana circa trecento curdi, tratti in salvo alla Marina prima che il barcone dei profughi affondasse.
E’ questa la “costa dei greci”. Nel 1972 furono ritrovati a mare i famosi “bronzi di Riace” (due gigantesche statue bronzee di epoca ellenistica). Tutta l’area è un antico luogo di approdo dei profughi migranti provenienti dalla Grecia, che già alcuni secoli prima dell’era di Cristo sbarcarono per tanti anni numerosi in quelle rive (nel sud e in Sicilia) colonizzando, portando civiltà, democrazia e solidarietà. Il “fato” ha voluto che adesso 51 profughi curdi, provenienti da orribili zone di guerra, siano sbarcati a poca distanza dagli eventi di vent’anni addietro.
Il giorno prima (mercoledì 9 gennaio) dopo una lunga odissea sul mare in tempesta – durata 19 giorni – dopo un accordo tra vari Paesi europei finalmente sono sbarcati a Malta le 32 persone che si trovavano sulla nave ONG Sea Watch 3 e le 17 persone salvate 11 giorni prima dalla nave ONG Sea Eye. Da parte degli organi governativi insistentemente si affermava che i porti italiani “erano chiusi” mentre i traffici marittimi continuavano tranquillament. Ma il “destino umano” si era messo in moto, guardando a Melissa.
Il 29 ottobre del 1949 nella contrada Fragalà di Melissa assieme al forte vento fischiarono le pallottole di moschetto. Erano i colpi delle forze di polizia sparati contro i braccianti.
“I morti di fame” di sempre, gli sfruttati scheletri ambulanti senza scarpe, così come i figli e le mogli, i mangiatori di pane, cipolle e olive, cresciuti nell’analfabetismo come gabbia di vita, merce da strapiantare dai luoghi nativi specie per l’emigrazione americana (nord e sud) e australiana, nel crotonese e nel sud in generale. Prima e dopo l’Unità d’Italia, durante il fascismo schierato con i grandi proprietari terrieri che, come “rimedio” alla denutrizione, partì alla conquista delle colonie in massacrando i popoli etiopi, libici, eritrei e poi si infilò nella guerra assassina del 1940 (ma prima ancora con la monarchia che gestì il grande massacro del 15-18) sempre i braccianti fornirono la carne da macello nelle trincee.
Ma alla fine della seconda guerra mondiale i braccianti volevano vivere da uomini liberi, con l’obiettivo elementare di mangiare due volte al giorno, in case separate dalle stalle, con i vestiti, le scarpe, con lu cure essenziali, con la scuola per i figli, con la carne due volte al mese. Volevano il riscatto dall’asservimento di sempre, quindi pane, pace, giustizia e libertà. Volevano avere appezzamenti di terra da coltivare per la loro sopravvivenza, gestirsi direttamente, non più spolpati e schiavizzati come avvenuto nel corso dei secoli, rimpolpando esclusivamente le ricchezze dei latifondisti e dei loro lacchè. Intendevano affrancare il loro futuro. Immediatamente dalla fine della guerra in tutto il Meridione, con la spinta emotiva, politica e sociale della nuova Italia liberata che nasceva e dalla voglia di partecipazione diretta repressa dal fascismo, guidati dai nuovi Spartacus delle campagne e dalla CGIL-Federterra, centinaia di migliaia di contadini e braccianti iniziarono le loro strenue lotte, rompendo le catene secolari per rivendicare il diritto alla vita.
Tanti gli uccisi, a decine e decine, a centinaia i feriti, dalle pallottole delle forze dell’ordine e dagli uomini delle mafie, braccio armato dei latifondisti.
Partiti prima dell’alba del 29 ottobre 1949 i braccianti avevano occupato l’enorme feudo abbandonato a Fragalà di Melissai: il latifondo prendeva il nome Fragalà, nel 1811 metà dell’enorme estensione terriera era stata assegnata al Comune, assorbita poi dal latifondista barone Breviglieri. Si erano mossi a piedi e con gli asini, facendo parecchi chilometri. Volevano il LAVORO. La polizia aveva già caricato i braccianti che avevano occupato i feudi incolti nelle zone circostanti, a Polistena, Ferdinandea, Isola, Strongoli e in molti altri luoghi. I braccianti avevano la giusta pretesa che fosse applicata la nuova legge Gullo – ministro socialista, di Cosenza, nel 2° governo Badoglio – varata nell’ottobre del 1944 dal nuovo governo italiano (quando il nord era ancora occupato dai nazifascisti) contro i latifondisti e a favore dei contadini-braccianti. La legge si chiamava “Concessioni ai contadini delle terre incolte” finalizzata all’abolizione dei latifondi e alla distribuzione delle terre. Data la resistenza dei latifondisti, delle vecchie baronie e degli ambiti padronali in genere, la legge era rimasta ampiamente inapplicata.
Accolsero festanti le forze di polizia, davanti le donne e i bambini, poi gli spari quando i braccianti iniziarono a dissodare il terreno. Sulla nuda terra restarono Francesco Nigro di 29 anni, Giovanni Zito 15 anni mentre Angelina Mauro di 24 anni, gravemente ferita morì una settimana dopo e altri quindici rimasero colpiti. In dieci minuti furono sparati trecento colpi. Il giorno prima a Isola Capo Rizzuto (Crotone) era stato ucciso il contadino Matteo Aceto.
Onore civile e democratico a Melissa e ai suoi abitanti…ieri e oggi.
Un grazie di cuore a Domenico per la capacità di coniugare la memoria del passato con la grande generosità dell’oggi.Un esempio da trasmettere al mondo intero, per dimostrare che le politiche dell’accoglienza sono praticabili , a partire dalle coste del tanto bistrattato sud d’Italia.
Marcia dei braccianti a Fragalà
” Leonida Répaci, a breve distanza di tempo da quell’evento che lo emozionò e sdegnò, ne scrisse il racconto per un numero speciale, dedicato alla Calabria, della rivista Il Ponte di Firenze. Era l’autunno del 1950……………”
http://www.itacatabloid.it/mondo-calabria/marcia-dei-braccianti-fragala/