Meowrrrr

  «Libera Società Anarchica delle Colonie Feline del Mondo» ecc: la sesta volta di Johnny Sheetmetal (*) parte da «Il gatto di Schrodinger» di Lukha Kremo; ma dopo il racconto-recensione occhio al PS redazionale per…“gattonare” ancora

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Titolo: «IL GATTO DI SCHRÖDINGER E ALTRE STORIE»

Autore: LUKHA B. KREMO

Editore: KIPPLE OFFICINA LIBRARIA

«[…] Schrödinger era celebre proprio per il paradosso del “gatto”. Aveva ipotizzato di rinchiudere un gatto in una scatola insieme a una fiala di gas letale e un meccanismo che avrebbe rotto la fiala se si fosse verificato il decadimento di un campione di materiale radioattivo. Dato che non c’è modo di sapere quando il campione avrebbe rilasciato la radiazione, Prosperi si era chiesto in quali condizioni lo avrebbe trovato prima che la scatola fosse stata aperta. Per la quantomeccanica, è impossibile sapere se il gatto è ancora vivo o è già morto. Infatti, la funzione di onda che descrive gli stati del gatto è una sovrapposizione di un gatto vivo e uno morto. Sembrerebbe assurdo» (citazione dal racconto «Il gatto di Schrödinger»).

Io sono il gatto di Schrödinger. Quello vero, intendo dire. In carne, ossa, peli e vibrisse.

Nessuno lo sa, ma quel maledetto pazzo un giorno mise davvero in pratica il suo cosiddetto “esperimento immaginario”. Prese me, che all’epoca avevo sei anni e mi chiamavo Hans, e mi chiuse nella scatola insieme alla fiala di gas e al meccanismo letale basato sul decadimento di un campione radioattivo. Neppure un boccone di pesce o qualche avanzo di pollo mi lasciò, quel fetente. E dire che per farmi entrare usò come esca un’aringa, pinzata tra pollice e indice… Che idiota ad abboccare, ma all’epoca ero un semplice gatto, e come tale mi comportavo. Senza cibo né acqua, chiuso in quella scatola, sarei morto ben presto, che decadesse o meno il campione radioattivo. Non ci aveva pensato, quello scienziato da strapazzo?

Miagolavo e sgraffignavo le pareti, lì dentro, ma c’era ben poco da fare. A un certo punto mi rassegnai, sperando che Greta, la mia padroncina (assistente di un collega di Schrödinger, peraltro), venisse ad aprirmi la porta e a salvarmi. Così mi acciambellai abbastanza distante dalla fiala di gas, che all’olfatto mi risultava sospetta, e mi addormentai. Feci un sogno strano: i misteriosi suoni che emettono gli umani viaggiavano nell’aria fra me e le mie vibrisse, io li “vedevo” e riuscivo a decifrarli. Era una sensazione perturbante, bellissima. Un odore pungente mi destò. La fiala puzzolente era rotta sul pavimento della scatola, lì davanti a me. Il campione radioattivo era decaduto, e anche con una certa fretta, accidenti a lui. Cominciai a tossire. Mi sentivo anche tutto accaldato, come se fossi più forte, e nella mia testa c’erano degli strani rumori, suoni articolati che tutto subito mi parvero echi del mio sogno.

Cominciai a fare un casino d’inferno, soffiando, graffiando, dimenandomi come un ossesso, perché se non uscivo il veleno mi avrebbe ucciso. Sentii i passi di qualcuno, lo sportello venne aperto. Balzai di scatto fuori, senza neanche degnare di un’occhiata il mio salvatore (che dall’odore e dalle urla riconobbi in Greta), e fuggii via. Mai sarei tornato al laboratorio, decisi: a parte Greta, i professori erano tutti pazzi e odiavano noi gatti. La mia padroncina avrebbe dovuto rassegnarsi a raccogliere qualche altro piccolo randagio, io non sarei tornato indietro. Fu così che iniziai a peregrinare per il vasto mondo.

Infatti Schrödinger non poteva saperlo, ma la sovrapposizione di un gatto vivo con un gatto morto aveva fatto di me un gatto immortale. O forse era stata semplicemente l’esposizione al materiale radioattivo, non saprei. Sta di fatto che invece di nove vite, come un gatto normale, ne avevo a disposizione un numero infinito. Almeno questo è ciò che credo, visto che oggi mi ritrovo sul groppone ottantasette anni, che per un gatto sono una bella età, e mi sento ancora agile e veloce come un cucciolo.

Nel corso degli anni ho girovagato in lungo e in largo per l’Europa, le Americhe e le Terre Australi. Da subito mi resi conto che nella mia testa qualcosa succedeva. Osservavo le cose, i fenomeni, gli accadimenti, e li collegavo gli uni agli altri. Mi si presentò lampante nella testa il principio di causa ed effetto. Capii che l’istinto era forte ma che se avessi seguito questa nuova sensazione avrei vissuto meglio. Non mi ammalavo mai: grazie ai pensieri, sempre più chiari e complessi, e alla ragione, evitavo gli incidenti e sapevo mettere un limite alla mia curiosità, che come dice il proverbio molto spesso uccide noi gatti.

Imparai a leggere abbastanza in fretta. Mi capitava di trovare, soprattutto nei parchi e tra i rifiuti, libri abbandonati; li afferravo tra le mascelle e li nascondevo nel mio rifugio occasionale. Leggevo di tutto, anche se avevo un debole per i classici francesi, e non disdegnavo le riviste pulp e la fantascienza. A volte i miei simili, che presto intuirono in me (ingannandosi) una qualche superiorità e vollero eleggermi Re, mi chiedevano di tradurre loro in linguaggio gattesco qualcuna delle storie che leggevo. Lo facevo volentieri, anche perché non di rado le gatte sentendomi miagolare così ardentemente andavano in calore. Spesso accompagnavo letture di svago a saggi storici, scientifici, in particolare zoologici e di veterinaria, o socio-politici. Mi sarebbe piaciuto innalzare la cultura della razza felina, in modo da renderla autocosciente, e liberarla per sempre dal giogo che la tiene asservita agli umani.

Non si tratta di odio, o di ribellione. Noi gatti ci affezioniamo a voi, se ci trattate bene, ma come sapete tendiamo all’indipendenza. Volevo semplicemente insegnare la ragione al mio popolo, in modo da rendere più felice la sua vita, randagia o domestica che fosse. Il mio sogno era veder costituita, in un lontano futuro, la Libera Società Anarchica delle Colonie Feline del Mondo. Essa avrebbe convissuto con la società umana, in uno scambio reciproco e fruttuoso volto al progresso comune. Mi resi presto conto che ciò non sarebbe mai stato possibile, perché i miei simili non erano schiavi di voi umani, ma semplicemente del loro istinto, e questo non si lasciava soppiantare da nessuna favola, teoria o enunciato che fosse.

Qualche anno fa arrivai in Italia a bordo di una nave da crociera. Sbarcai a Genova e, devo dire, mi ci trovai bene. Ebbi pure una relazione con la nipote di una gatta divenuta proverbiale, quella evocata da Gino Paoli nella sua canzone. Già da tempo avevo imparato l’utilizzo del personal computer. Spesso entravo nelle stanze dei miei padroni occasionali: mentre loro erano via accendevo il pc e scrivevo pagine di appunti, inviavo mail in giro per il mondo, creavo e cancellavo profili fake sui social network, arricchivo la mia già smisurata cultura immergendomi nei meandri della rete. Nella città ligure venni adottato da una giovane donna che lavorava per una casa editrice. Faceva l’editor e la lettrice di manoscritti. Sabrina, più perspicace e attenta dei miei precedenti ospiti, intuì ben presto le mie potenzialità. Un giorno fece finta di uscire e poco dopo mi sorprese mentre con le zampe battevo sulla tastiera e con il muso spostavo il mouse. Dopo qualche settimana di incredulità e sorpresa, alla fine accettò la realtà, ma fu anche così sensibile da non rivelarmi al mondo. In cambio decisi di aiutarla nel suo lavoro: fu così che entrai a tutti gli effetti nella redazione della casa editrice.

Ieri Sabrina mi ha passato un pdf da leggere, un manoscritto arrivato in redazione qualche tempo fa. Quando ho scorto il titolo, mi si sono rizzati tutti i peli della coda. “Il gatto di Schrödinger e altri racconti”… Ma il gatto di Schrödinger sono io! Ho letto il nome dell’autore, che mi è risultato sconosciuto, apparendomi in tutta evidenza come uno pseudonimo. Che ci sia in giro qualcuno che conosce la mia storia? Non è possibile. Non ho mai raccontato a nessuno le mie peripezie, se si eccettua qualche gatta di cui mi innamorai quand’ero ancora ingenuo. Ma i felini tradizionali non parlano con gli umani, almeno non come potrei fare io. E allora?

Beh, ho appena finito di leggere il manoscritto in questione. In effetti si compone di quattro racconti più una sorta di appendice. Ho deciso di leggerli nell’ordine in cui l’autore li ha inseriti nel libro, nonostante avessi una voglia sfrenata di andare a sbirciare subito quello che dava il titolo alla raccolta. So già, ovviamente, che quel pazzo che è stato artefice del mio strano destino si fece un nome ed è considerato uno dei padri della meccanica quantistica. So anche che il suo “esperimento immaginario” è diventato proverbiale, almeno fra gli addetti ai lavori. Solo io, naturalmente, sono al corrente del fatto che l’ha davvero messo in pratica (e con quali effetti, poi…). Ciò che ignoravo era che qualcuno, addirittura, ne avesse tratto spunto per scriverci una storia.

Cosa dire di questi racconti?

«Quello che resta del sole» è un racconto distopico a frammenti, infarcito di pseudoteorie quantistiche che la mia ignoranza di gatto non mi permette di pesare. Bello il primo frammento, che rivede in chiave di contrappasso il famoso episodio della statuetta del Duomo tirata in testa a Silvio Berlusconi; è forse la cosa migliore di tutto il libro, anche se a noi gatti non ci è mai importato nulla di queste cose. Nel complesso questo racconto andrebbe ampliato e approfondito in personaggi e intreccio, così risulta una raccolta di episodi frammentari. Andrebbe invece ridotta, a mio avviso, la parte pseudoscientifica (parlandone da gatto), che risulta criptica e alla fine annoia perché troppo insistita. Non dico che la scrittura non ci sia, ma quello che manca, a fiuto mio, sono peso e profondità.

«Ghiaccio mauve» fa il verso a Kurt Vonnegut nel titolo, riproponendo ambienti e atmosfere che da «Blade Runner» in avanti si sono visti e letti milioni di volte. (Il film di Scott lo vidi la prima volta nel lontano 1984, in un Drive In di Fresno, accucciato sul cofano caldo di una Chevrolet. Che bei ricordi…). Non dice nulla di nuovo, e ancora una volta è evanescente, rimane troppo in superficie. In una parola: è velleitario.

«Lativa & Koror» ripropone il tema della coscienza delle macchine. Anche questo è già stato esplorato in milioni di altri libri. Non viene detto nulla di nuovo: la scrittura passa sulla mia coscienza di gatto mutato senza lasciare traccia, anzi seminando una lieve irritazione.

Ed eccoci a «Il gatto di Schrödinger». Che dire? Il cuore mi batteva forte quando l’ho iniziato, ma immediatamente il mio elettrocardiogramma è tornato nella norma. Si immagina davvero che l’esperimento venga realizzato, ma al posto del gatto c’è un vecchio professore che vuole tendere una trappola al collega che va a letto con sua moglie. Questi umani, così influenzati dalle emozioni e dalle apparenze… Molte cose in questo racconto, che in certo qual modo fa venire in mente un giallo classico all’inglese in cui l’autore bara, secondo il mio istinto gattesco non funzionano. Soprattutto, la costruzione appare messa in piedi soltanto per spiegare il paradosso scientifico di cui mi vanto di essere omonimo, e per questo azione e personaggi risultano forzati. Inoltre il presupposto, cioè il paradosso stesso, è spiegato malissimo (“Sembrerebbe assurdo”… Che significa “sembrerebbe assurdo”? Perché “sembrerebbe” e non “sembra”? O meglio: perché non “è assurdo”? Fsssstt!), e risulta incomprensibile sia a me che, immagino, al lettore umano medio. O forse sbaglio, visto che io sono un semplice gatto; non ho la scienza e la coscienza che avete voi bipedi evoluti. Un effetto l’ha ottenuto: mi ha fatto tornare in mente quella terribile esperienza, e tutto ciò che ne conseguì, tanto che l’ho messa per iscritto. Tutto d’improvviso mi è sorta una domanda; sembra incredibile, ma è la prima volta che me la pongo. E se l’effetto dell’esperimento sulle mie facoltà mentali e sulla mia presunta immortalità avesse un termine? Meglio non pensarci…

L’appendice «THE TIME AFFAIR – Lo Spostamento Spaziotemporale Istantaneo Reversibile con la tecnica del Divaricatore Sonico Corbucci attraverso il ponte Einstein – Rosen individuato nel varco nucleare dell’Atomo-112» è la giusta apoteosi del libro, e già lo si capisce dal titolo chilometrico che anche voi umani, dotati di voce, fatichereste a pronunciare tutto d’un fiato così com’è scritto. E’ di fatto un dipanarsi di termini scientifici e pseudodimostrazioni messe insieme, a mio istinto, solo per il suono criptico “da iniziati” che evocano certe espressioni («paradigma olografico», «Cesura di Hawking», «Divaricatore Sonico Corbucci»…), il tutto per stupire superficialmente o per riempire la bocca. E’ un libro di racconti, questo, o è l’imitazione di un saggio di meccanica quantistica? Certo le mie affermazioni potrebbero sembrare quello che sono: stupide congetture di un gatto ignorante di meccanica quantistica; ma siamo sicuri che un potenziale lettore medio, anche di fantascienza, si discosti così tanto dalla mia condizione? Si intuisce qualche buono spunto (la teoria delle dimensioni inesplose e il conseguente inframondo, che esplicitano la possibilità di universi presenti nell’infinitamente piccolo, e qui il mio cervello felino ha avuto un brivido di eccitazione), ma andrebbero sviluppati in una struttura più forte, mettendoli in scena con personaggi veri e drammi ben costruiti, in modo da farli davvero arrivare al lettore.

Ora devo redigere la scheda per Sabrina. Che posso scrivere? Che strano mal di testa m’è venuto. Meowrrrr. Penso che questo libro non sia pubblicabile, ecco tutto. Lap lap lap lap…. Nonostante una scrittura corretta e qualche buona intuizione. Purrr… Troppo cervellotico, troppo divulgativo. Miao… Gratt gratt gratt gratt… Cervellotico? Divulgativo? Sniff sniff sniff… wow, che bel calduccio l’aria che esce da lì… Purrrrr… Cosa sono segni, punto che scorre? Fssst! Croccantini croccantini!… Miao, MIAO!…

Il gatto di Schrödinger saltò giù dalla scrivania e trottò verso la ciotola dei croccantini. Mentre sgranocchiava rientrò la sua padrona. Come non aveva mai fatto prima, il gatto che fu di Schrodinger non le corse incontro, ma continuò a mangiare dalla ciotola, senza neppure girarsi a guardarla.

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(*) Come qualcuna/o sa – dai 5 precedenti post in “bottega” – «Johnny Sheetmetal» è lo pseudonimo scelto da un collaboratore del Marte-dì. Ogni mese rumina un racconto/recensione, ovviamente con idee, protagonisti e ambientazioni diverse ma in stretta relazione al libro “censito” … sempre muovendosi nei vasti territori del fantastico. Anche stavolta il titolo è mio e non di Johnny; questo mese il nostro amatissimo Jacek Yerka non era abbastanza “gattofilo” e dunque per le immagini si è scelto diversamente. Diamo appuntamento a Sheetmetal per luglio. Se avete consigli per altri libri da recentare, cioè da recensire/raccontare sono ben accetti da Johnny, chiunque sia. (db)

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PS PER GATTOAMANTI

Troppo ghiotta la recensione in prima persona di un gatto per non lanciare un appello: come sapete la letteratura fantastica e in particolare la fantascienza – lo vedete anche da un paio di illustrazioni inserite all’uopo – sono piene di gatte/i non conformi… E dunque, allora. orsò, poffarbacco chi si offre di preparare un bel dossier «Fantascienza micia»? (db)

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Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

3 commenti

  • Ottimo, abbondante e ti lascia sazio e leggero.

  • Irresistibile recensione che strizza l’occhio al povero Algernoon! Ma, si sa (si sa…?), i gatti sono più cinici dei topi, per cui il sarcasmo, in questo caso, la fa da padrone… Complimenti a Johnny e lunga vita ai gatti!

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