Meravigliosa avventura di Peppe Sbagliato – di Mark Adin
La vita se lo voleva scrollare di dosso, Peppe, come un cane la pioggia. Lui barcollava tutte le sere, dal tramonto in avanti. Abbracciava lampioni che non davano retta, inghiottiva pessimi vini e liquori di risulta, impastava la bocca di sapori che non ti perdonano. Peppe Sbagliato aveva una grande passione per il pesce in carpione.
Quando prosciugavano le risaie, si metteva chino su certi fossi, calzoni tirati al ginocchio, piedi nudi nell’acqua, e con le mani tanava: agguantava le carpe, con i palmi a conchiglia, e le catapultava a riva che ancora si dimenavano, nel verde del prato, al sole guizzando brillanti riflessi d’argento. La mamma, paziente, le teneva per giorni a spurgare nell’acqua di un vecchio mastello, a perdergli il gusto del fango, le infarinava ben bene e le tuffava nell’olio bollente. Quando erano perfettamente dorate le lasciava asciugare sui sacchetti del pane, preparava il carpione con l’aceto e il vino bianco, alloro, salvia e cipolla, e lo versava sul pesce adagiato nei vasi di vetro puliti accuratamente e che stavano lì, sul tavolo di cucina, allineati, spalancati come bocche da sfamare.
Peppe Sbagliato portava poi tutto alla Luigina, dell’Osteria del Grappolo d’Uva, che in cambio gli dava del vino, quello nero come l’inchiostro, denso, che mandava in cirrosi, quello che sfegatava: un vino costituente una sfida agli dei, una sfida impossibile e stupida, perché gli dei vincono facile e sempre.
Un giorno che non era il suo compleanno e neanche domenica, Peppe Sbagliato aveva cenato con una minestra di riso e prezzemolo e per secondo il suo pesce in carpione, e aveva bevuto molto, sino a sentire il vino che traboccava.
Prima che si addormentasse con il capo appoggiato sul tavolo, la Luigina lo aveva scosso con decisione e gli aveva detto, con voce ferma, di togliersi dalle balle e andarsene a casa a dormire. E senza farla lunga, porca madòcina! La chiusa del porca madòcina escludeva ogni forma di appello, così Peppe se n’era uscito. Non sapeva che ore fossero e non aveva nessuna curiosità nel merito, ma sentiva che quella era la fine del giorno, che si sarebbe buttato vestito nel letto e si sarebbe ritrovato sveglio per l’indomani, che neanche si sarebbe poi ricordato di niente, con un giorno di calendario all’attivo. Uscendo dall’osteria e dal suo chiasso del gioco delle carte, si era appoggiato al muro per una breve pausa, poi si era avventurato nel suo percorso, che a tappe lo avrebbe rimesso nella strada di casa.
In fondo alla via, però, c’era qualcosa di insolito. Stropicciandosi gli occhi, Peppe Sbagliato vedeva un baluginare di luci colorate che non riusciva a distinguere. Avvicinandosi, i colori prendevano forme e contorni, e un sommesso vociare diventava grosso, con una musica di balera che gracchiava da vecchi altoparlanti: era il Luna Park.
Impossibile resistere. Una gran folla di tutte le età gremiva la piazza: disposti in circolo i baracconi del tiro a segno, che se colpivi in centro perfetto con la carabina ad aria compressa ti scattava la foto e la potevi poi tenere nel portafogli per esibirla agli amici; la pesca di piccoli cigni di plastica con una lenza culminante in anello; il baracchino con il punching-ball con la lancetta per misurarti su scala la forza del pugno; i venditori di torroni e croccanti; e nel centro l’attrazione delle attrazioni: il “calcio in culo”, una giostra al cui grande tamburo rotante erano fissate catene penzolanti che assicuravano sedili monoposto. Roteando in velocità, per effetto della forza centrifuga, i sedili schizzavano verso l’esterno, alzandosi a temerarie altezze da terra e suscitando urla di paura e popolare eccitazione.
Peppe Sbagliato, uomo di mondo, conosceva l’ordigno. L’aveva già visto da militare a Casale e poi, un paio di volte, alla festa del santo patrono, ma non ci era mai salito. Un crocchio di persone lo aveva notato, con gli occhi sognanti, ammirare a bocca semiaperta le evoluzioni divertite dei ragazzi che roteavano in aria, e un paio di quelli rimasti a terra aveva cominciato ad urlare qualcosa al suo indirizzo: “Vai Peppe! Vai su anche te!!”, e ridevano tra loro sguaiatamente, “Dai Peppe! Avrai mica paura, no? Forza, che ti passa la ciucca!”. Lui non li conosceva, ma loro evidentemente sì, e si divertivano a prenderlo in giro: “L’hai presa secca stasera, eh?… Ostia! Non stai neanche in piedi!” e si avvicinavano al Peppe, ormai più che convinti di aver trovato lo zimbello con cui passare la serata. Lui non rispondeva, si scherniva, aveva messo le mani nelle tasche e le aveva rivoltate, mostrando al gruppetto che soldi non ce ne aveva proprio. E loro giù, ancora, a prenderlo in giro: “Ostia, Peppe, se l’hai presa, la balla! Va’ che non stai neanche in piedi! Ti gira la testa? Vuoi farti un giro sul calcio in culo che così ti passa?” Avevano preso a sghignazzare tra loro, indicando col dito un po’ lui e un po’ la giostra, piegandosi in due nello sforzo del ridere e facendo occhi da lupo. “Vieni qua, Peppe, che te lo paghiamo noi un giro!”.
La gente era disposta in cerchio attorno alla giostra, le famiglie intere, le mamme coi bambini, le coppie di fidanzati che si tenevan per mano, le compagnie di ragazzi e ragazze. Tutti col naso all’in su. Il giro stava finendo, e una ragazza tutta rossa in viso, lanciata più in alto, con una spinta da tergo del suo ragazzo (il calcio in culo, appunto), era riuscita ad afferrare il pupazzo della scimmietta appesa a una canna, vincendo per questo un altro giro.
A Peppe avevano già messo in mano il gettone che dava diritto a provare l’ebbrezza del volo. Era quindi salito anche lui, gli avevano sistemato la catenella che serviva da cintura di sicurezza, che lui non ce la faceva a allacciarla da solo, e la corsa era partita.
Peppe Sbagliato era in aria come un uccello, felice, e guardava il mondo, più vicino alle stelle: volava.
Fu incontenibile impulso, nemmeno si rese conto: il vomito uscì a getto di gola ed asperse, acre e fumante, come una pioggia infame, sventagliando sugli spettatori, dai bambini con in mano lo zucchero filato, ai morosi inteneriti, ai ragazzi eccitati, alle famiglie in festa. Li prese tutti come uno schiaffo improvviso.
Quando la corsa finì, un giovane carabiniere dovette faticare non poco per sottrarre Peppe alla folla rabbiosa. Lo protesse come potè, facendogli scudo con la divisa e accompagnandolo via.
Bisogna dire che il pesce in carpione, di solito, per cena l’è un bel po’ pesantino.
Mark Adin
e’ una storia bellissima e divertente mi piace molto,vorrei poterne leggere ancora perche’ le racconti così bene che pare d’esserci,bravo
Marcoooooo….oh cielo me so’ arivoltolato per tera…. Sei FANTASTICO! (cmq se uno lo pija co’ l’arpione magari je arisulta un po’ piu leggerino…)
grazie dell’allegria 🙂
superdivertente! grazie!!!!
grande
concordo, soprattutto ricrea un’atmosfera d’altri tempi, dei nostri , dove un giro nel ” calci in culo ” era un’avventura e di Peppe “veraci” se ne incontravano