Messico: il massacro di Ayotzinapa non si insabbia

Nonostante la latitanza del governo e del presidente uscente Obrador, movimenti sociali e familiari dei normalistas desaparecidos dalla notte tra il 26 e il 27 settembre 2014 tornano a denunciare lo stretto legame tra Stato, militari e criminalità organizzata.

di David Lifodi

Foto: https://www.resumenlatinoamericano.org/

A poco più di dieci anni dalla sparizione dei 43 normalistas della Escuela Normal Rural “Raúl Isidro Burgos”, avvenuta tra il 26 e 27 settembre 2014, la Comisión Interamericana de Derechos Humanos e l’Esercito zapatista di liberazione nazionale sono tornati denunciare il patto del silenzio e i ritardi della giustizia sui fatti di Iguala, nello stato messicano del Guerrero. I familiari dei giovani desaparecidos e l’intero Messico sono ancora in attesa di ricevere delle spiegazioni che, probabilmente, non otterranno mai. Troppo forte il legame tra istituzioni e criminalità organizzata, un muro sempre più difficile da abbattere.

Nel luglio 2023 il Grupo Interdisciplinario de Expertos Independientes aveva abbandonato il paese in segno di protesta contro le Forze armate, accusate di ostruzionismo e di non aver consegnato tutta la documentazione in loro possesso, nonostante gli stessi militari fossero stati inclusi, dall’ex presidente López Obrador, nella Commissione per la verità da lui creata e che aveva definito i fatti di Ayotzinapa un crimine di stato.

La palla passa adesso a Claudia Sheinbaum, insediatasi a Los Pinos il 1° ottobre scorso. Quel 26 settembre 2014 i normalistas erano diretti a Iguala, dove avevano cercato di prendere degli autobus per partecipare alla commemorazione del massacro degli studenti uccisi dai militari il 2 ottobre 1968 a Tlatelolco, Città del Messico, ma furono bloccati da un vero e proprio attacco in stile paramilitari compiuto da polizia, gruppi criminali e la copertura dell’esercito. La “verità storica”, difesa da Enrique Peña Nieto, il presidente sotto al quale avvenne l’uccisione dei ragazzi, consiste nel divulgare la tesi che i desaparecidos furono consegnati dalla polizia alla criminalità comune per poi essere uccisi e, successivamente, bruciati nella discarica di Cocula.

Durissimo il commento del subcomandante zapatista Moisés, che ha sottolineato il doloroso percorso dei familiari degli scomparsi, “traditi da persone abili ad utilizzare il dolore solo per guadagnarsi un incarico pubblico o del denaro”. Non solo i familiari non hanno mai ottenuto né verità né giustizia, ma il massacro di Ayotzinapa ha legittimato molti altri casi di sparizioni successive.

¡Fue el Estado! è lo slogan gridato ad ogni manifestazioni in ricordo dei 43 normalistas. La società civile, di fronte ai mille distinguo delle istituzioni, sa che per il crimine di Ayotzinapa non è responsabile esclusivamente l’esercito, né soltanto Peña Nieto, ma tutto quell’apparato che si riconosce nel sistema politico messicano, dedito costantemente a rimandare, a deviare e a far cadere nell’oblio la memoria dei desaparecidos.

Nos faltan 43, ancora oggi, rimane l’atto d’accusa verso la politica messicana che, invece di far luce sull’accaduto, ha contributo, con il proprio disinteresse, ad alimentare un decennio di interrogativi. Da un lato il sistema politico asserisce di voler combattere la corruzione, ma dall’altro fa di tutto per far prevalere quell’impunità che permane ogni volta che il potere costituito attacca i movimenti sociali e, nel caso specifico di Ayotzinapa, cerca di disarticolare il cosiddetto normalismo rural tornando ad utilizzare i metodi tipici della guerra sporca.

Dietro alle manovre per gettare fumo negli occhi sui fatti di Iguala pesa, probabilmente, un patto non scritto tra governi e militari per far prevalere l’interesse politico ed economico sulla giustizia e la storia si ripete beffardamente sia per il massacro di Tlatelolco del 1968 sia per quello dei normalistas, anch’essi privati almeno di una giustizia post mortem e nemmeno arrivati a commemorare quei loro coetanei di 46 anni prima, entrambi vittime di uno Stato che ancora non riconosce i diritti civili basilari perché distrutto dagli interessi e dai metodi corruttivi di pochi.

Come non ha mancato di ricordare anche Gloria Muñoz Ramirez, i piccoli progressi sulla sparizione dei normalistas, al pari delle molteplici commissioni sul caso, nate e morte rapidamente, si sono arenate ogni volta che si è convenuta l’urgenza di aprire gli archivi delle Forze armate, in particolare quelli della caserma di Iguala.

Ancora oggi, i familiari dei desaparecidos continuano a chiedere che la Secretaría de la Defensa Nacional (Sedena) renda pubbliche le carte secretate sulla morte dei 43 ragazzi poiché non è concepibile che un paese intero, e in particolare i governi succedutisi alla guida del Messico, in particolare quello obradorista, sia ostaggio dei militari tanto da non voler forzare loro la mano.

Ayotzinapa ci ha insegnato a pensare a risvegliare la nostra coscienza, ha ricordato il giornalista Luis Hernández Navarro: probabilmente è proprio per questo che la notte di Iguala, per lo Stato, deve continuare a rimanere una ferita aperta senza alcuna possibilità di giustizia, ma nonostante i molteplici tentativi di insabbiamento, i movimenti sociali e i familiari dei desaparecidos continuano a non arrendersi.

La nuova presidenta Claudia Sheinbaum si trova di fronte ad un bivio: chiedere scusa a nome dello Stato e, contemporaneamente, adoperarsi con tutte le sue forze per giungere alla verità, sfidando il potere dei militari e quello delle lobby criminali che, all’interno e all’esterno delle istituzioni li sostengono, oppure limitarsi a discorsi ufficiali e di facciata senza fare alcun passo avanti come ha fatto il suo predecessore.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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