Messico: la resistenza dei comuneros di Cherán
Dopo aver affrontato i taglialegna illegali ed uno stato spesso legato alla criminalità organizzata, la piccola comunità di Cherán, nello stato del Michoacán, ha dato vita ad un processo di autonomia e ai autogoverno che, per molti aspetti, si avvicina a quello in essere nel Rojava.
di David Lifodi
È il 2009 quando una ventina di comuneros di Cherán (comunità indigena della popolazione Purépecha che si trova nello stato messicano del Michoacán), finiscono uccisi, sequestrati o diventano dei desaparecidos a seguito delle azioni promosse da gruppi armati dediti al disboscamento illegale. I familiari non solo non avranno mai giustizia per i loro cari, ma, al contrario, capiscono presto la collusione tra la criminalità e le istituzioni.
Di fronte ad uno Stato totalmente assente, se non complice dei gruppi armati, la comunità di Cherán, a partire da donne, giovani, contadini, maestri e molti altri decide di percorrere la strada dell’auto-organizzazione e, il 15 aprile 2011, affronta apertamente i talamontes (i taglialegna) per bloccare il commercio illegale del legname e mettere fine sia agli abusi di potere sia agli episodi di estorsione da parte del crimine organizzato.
Le azioni di autodifesa, messe in atto dalla Ronda Comunitaria, rappresentarono il primo atto di autonomia politica nei confronti dello stato messicano volto ad impedire sia l’ingresso nella comunità ai trafficanti della droga che alla polizia sia a controllare affinché non entrassero armi destinate ai taglialegna nascosti, ma anche droghe o le campagne pubblicitarie dei partiti politici ufficiali.
Appellandosi ai propri diritti come popoli indios, i comuneros di Cherán iniziarono a chiedere con forza il riconoscimento di una forma di governo autonoma a partire da un governo comunale composto da un Concejo Major a cui si aggiungono dodici mayores scelti tramite un’assemblea che vota a mano alzata. Fu così che sorse il primo organo collegiale di Cherán.
Successivamente nacquero otto Concejos Operativos: beni comunali, amministrazione locale, coordinamento dei quartieri, amministrazione della giustizia, politiche giovanili, politiche femminili, programmi sociali, economici e culturali e degli affari civili, ognuno dei quali rimane in carica per una durata di tre anni.
Il diritto di autogovernarsi in qualità di popolo indigeno, compreso un corpo di sicurezza comunitaria, ha molti aspetti in comune con i processi di autonomia e rivoluzione del confederalismo democratico del Rojava.
Un ruolo significativo, per quanto riguarda l’auto-organizzazione di Cherán, è rivestito dalle donne, tra le prime a mobilitarsi per la difesa del territorio e delle sue risorse naturali dall’estrattivismo e nel contribuire alle attività di un governo autonomo dal potere centrale. Definito come uno dei movimenti sociali emergenti più importanti degli ultimi anni in Messico, il processo rivoluzionario di Cherán rappresenta un esempio di alternativa politica, economica, sociale e culturale.
Quello di Cherán è un movimento che, per sua stessa definizione, si definisce “per la giustizia, la sicurezza e la ricostituzione del proprio territorio”. Ricostruire uno stile di vita fondato sui propri usi e costumi è stato uno degli obiettivi più difficili che la comunità ha dovuto affrontare sfidando sia la burocrazia amministrativa e i partiti politici sia il crimine organizzato, spesso alleato dello stato.
Accompagnata dal Colectivo de Estudios Críticos del Derecho y las Humanidades, un gruppo di giovani ricercatori vicini alle organizzazioni popolari, la comunità di Cherán, costituita da poco più di quattordicimila abitanti, rappresenta ancora oggi un’esperienza di autonomia tra le più originali presenti in Messico e in tutta l’America latina.
Nell’articolo “A Chéran senza partiti, narcos e polizia”, pubblicato da comune-info.net il 13 aprile 2023, si ricorda che “tra il 1976 e il 2005, ben 20mila ettari di foresta sono stati persi così sull’altopiano purépecha del Michoacan, secondo le stime il 71,24% della sua intera copertura forestale. A partire dal 2006, con la comparsa di un cartello della droga, la perdita di foresta era cresciuta di 1.500 ettari l’anno. Il narcotraffico nel Michoacán è collegato alla deforestazione degli ecosistemi boschivi per due ragioni: il disboscamento clandestino favorisce la creazione di laboratori della droga e di percorsi sicuri per la distribuzione, poi c’è il riciclaggio di denaro che ne deriva e favorisce, a sua volta, l’espansione di piantagioni commerciali”.
La battaglia per evitare il taglio e il commercio illegale del legname prosegue ancora oggi e rappresenta sia un esempio di resistenza di fronte al crimine organizzato che, in parte, è stato allontanato, sia un’attività virtuosa, quella relativa alla riforestazione dei diecimila ettari di boschi che erano stati in gran parte distrutti dai taglialegna e dall’estrattivismo di stato e multinazionali.