Messico: operai agricoli tra sfruttamento e resistenza
Messico: operai agricoli tra sfruttamento e resistenza
di David Lifodi
San Quintín è la valle dei contrasti, dello sfruttamento, ma anche della resistenza e dei conflitti sociali, paradigma di un Messico che nonostante tutto non si rassegna ad abbassare la testa. La valle di San Quintín si trova nella Bassa California, dove i jornaleros, i lavoratori agricoli che faticano nei campi per 10-12 ore al giorno, ricevono salari da fame e vivono di stenti. È per questi motivi che hanno deciso di ribellarsi, facendo capire, a forza di scioperi e blocchi stradali, che se incrociano le braccia ad andare in crisi è buona parte della produzione agricola messicana.
Somos hombres y mujeres de carne y hueso, no sólo manos para trabajar el campo, protestano i lavoratori, le cui condizioni di sicurezza e i diritti sono inesistenti, come da noi sono quelle de i migranti impiegati per la raccolta dei pomodori nel sud Italia e schiavi del caporalato. In Bassa California i jornaleros sono legati mani e piedi alle grandi imprese agricole e lavorano nei campi in condizioni di vera e propria schiavitù: è da questo proletariato agricolo multietnico (la maggior parte dei lavoratori è indigena e proviene dagli stati di Oaxaca, Michoacán e Guerrero, da cui sono fuggiti in cerca di migliori condizioni di vita) che è sorta la mobilitazione degli ultimi mesi. Sessanta ore di lavoro settimanali, esposizione a pesticidi e agrotossici, sfruttamento del lavoro minorile, assenza di servizi medici e assicurazioni in caso di infortuni, violenze sessuali nei confronti delle operaie, scandiscono le giornate di queste immense maquiladoras a cielo aperto. I frutti della terra che raccolgono i jornaleros arrivano nei supermercati degli Stati Uniti, dove ignari consumatori acquistano la merce senza conoscere le storie drammatiche che si nascondono dietro agli ortaggi, la frutta e la verdura importate da una dozzina di imprese agricole messicane padrone del mercato. Buona parte dei lavoratori indigeni, soprattutto triquis, mixtecos e zapotecos, sono arrivati in fuggendo da povertà, esclusione e sfruttamento, ma invece di trovare migliori condizioni di vita e di lavoro sono stati abbandonati dallo stato e costretti a sperimentare condizioni di vita ancora più precarie rappresentando, paradossalmente, una fonte di guadagno per le imprese agricole. Lo sfruttamento dei jornaleros di San Quintín fa riflettere anche sui legami, assai stretti, tra imprese agricole e stati del Messico, che utilizzano questa manodopera ricattabile e a bassissimo costo generando fonti di ulteriore guadagno per le elites imprenditoriali. Pur essendo costretti a lavorare in una situazione di illegalità tollerata dalle istituzioni, i jornaleros hanno mostrato la loro dignità ricevendo la solidarietà di organizzazioni sociali e sindacali non solo del Messico, ma anche degli Stati Uniti. Purtroppo la valle di San Quintín e la Bassa California non sono l’unica zona del paese dove prevale la schiavitù. In Messico almeno 266mila persone vivono in condizioni di schiavitù, soprattutto nei settori agricolo, minerario e turistico e lo stesso Messico detiene il poco invidiabile primo posto, a livello latinoamericano, secondo l’Índice Global de Esclavitud. A questo proposito, la Red de Jornalero Agrícola denuncia che la schiavitù è pratica comune in almeno 18 stati del paese, tra cui Querétaro, Veracruz, Morelos, Hidalgo, Chihuahua, Zacatecas, Chiapas, Jalisco e Michoacán. Alle proteste dei jornaleros lo stato ha sempre risposto con la repressione: più volte Francisco Arturo Vega, il governatore della Bassa California, ha inviato la polizia munita di gas lacrimogeni e proiettili di gomma sparati contro i manifestanti, riuniti sotto le sigle della Alianza de Organizaciones Nacional, Estatal y Municipal por la Justicia Social e del Frente Indígena de Organizaciones Binacionales (Fiob). Spesso i negoziati tra lavoratori agricoli e imprese sono falliti per la mancanza di volontà da parte dello stato della Bassa California e delle imprese, che da sempre lucrano sulle vite precarie degli operai, in buona parte migranti, indigeni e contadini. Eppure i jornaleros hanno mostrato non solo dignità, ma anche capacità di resistenza e organizzazione, a partire dalla battaglia per l’iscrizione all’Instituto Mexicano del Seguro Social, passando per la richiesta di un giorno di riposo garantito alla settimana, l’impegno per veder riconosciuti i propri diritti alle madri lavoratrici e lottando per una riduzione dell’orario di lavoro e il riconoscimento degli straordinari pagati. Purtroppo la disperazione degli operai agricoli non è mai stata presa in considerazione dal governo e dalle imprese, che hanno proposto aumenti salariali ridicoli con il preciso intento di far saltare i negoziati e incolpare i lavoratori. La maggior parte dei jornaleros, circa 80mila nella valle di San Quintín, vive sotto la soglia della povertà, nonostante sia costretta ad orari di lavoro massacranti. Uno studio della Red de Jornaleros internos evidenzia come non ci sia alcun meccanismo di vigilanza, controllo e protezione da parte del governo e questo permette, tra le altre cose, l’abuso del lavoro minorile. In questo contesto, i jornaleros denunciano anche la totale assenza dei sindacati ufficiali, i quali, a dispetto delle loro battagliere denominazioni, si guardano bene dal difendere i diritti dei lavoratori, ma sono strettamente alleati con l’agroindustria, è il caso della Confederación Revolucionaria de Obreros y Campesinos, la Confederación Obrera Mexicana e la la Confederación de Trabajadores de México.
“Ci trattano come animali”, dicono i jornaleros, che nonostante le condizioni di lavoro disumane sono riusciti a non rimanere invisibili: blocchi stradali e scioperi selvaggi sono stati approvati anche dagli operai agricoli statunitensi, che pur svolgendo lo stesso lavoro, possono vantare guadagni migliori. Lo sfruttamento dei jornaleros rappresenta l’ultima frontiera di sfruttamento per le imprese legate all’agroindustria, ma al tempo stesso la resistenza dei lavoratori segna la nascita di un nuovo conflitto sociale in un Messico stanco e stremato dalle politiche neoliberiste.