Metropolis: Thea contro Fritz?
Un film e un libro che 100 anni dopo ancora fanno discutere
di db
Non solo per cinefilia e non solo perchè si ama la fantascienza. Sono tante le persone che non appartengono a queste due categorie (o sette esoteriche?) ad avere visto – magari nella versione musicata, nel 1984 da Giorgio Moroder – il film «Metropolis» uscito nel 1927 (dunque è muto) del tedesco Fritz Lang e ambientato nel 2026. Un capolavoro? In ogni caso un’opera che ha influenzato tutto l’immaginario successivo: quasi 100 anni dopo le immagini (in particolare quelle della donna robot protagonista) di Lang si ritrovano più o meno consciamente ovunque: artisti geniali, illustratori pigri, pubblicitari paraculi saccheggiano «Metropolis» neanche fosse una Gioconda di Botticelli junior o una Venere che esce dalla vasca Jacuzzi-Gratta-&-daVinci.
Al mio amico Severo De Pignolis – il nome dice tutto? – piace precisare che quando il sonoro sbaragliò il cinema muto anche le bobine di «Metropolis» andarono perdute; oltretutto le pellicole erano in materiale assai infiammabile. Dunque il film visto (e studiato) da noi “nipoti” risulta un montaggio del tutto arbitrario e mutilatissimo. Fino al 2008 quando a Buenos Aires saltò fuori una bobina con il 95% del materiale perduto. Così garantiscono i langologi (studiosi del Fritz). Il film venne rimontato e ri-presentato anche con un’orchestrazione dal vivo, come usava all’epoca del muto. In Italia la versione più completa – 148 minuti – è uscita in dvd nel 2011 e fu pure distribuita (in 70 sale) nel 2015.
Dunque un film che continua ad appassionare. Oppure che il mercato ritiene vendibile a prescindere, come Van Gogh senza orecchio o Picasso con amanti; questa seconda interpretazione (non garantisco sia vera o falsa, probabilmente come per il gatto di Schroedinger dipende dal momento in cui guardiamo) è quella in cui il Mercato è Onnipotente e noi gonzi. Nella prima versione il gatto è vivo, cioè siamo dotati di un pur minimo libero arbitrio in “libero mercato”.
Però… fermi tutti: come «Blade Runner» è un film di Scott, tratto – in modo geniale secondo alcuni; punibile con “simbolico ergastolo” secondo altri – da un romanzo breve di Dick, anche «Metropolis» è tratto da un libro omonimo.
Lo scoprii quando – come d’abitudine in coppia con Riccardo Mancini – a inizio degli anni ’80 rovistavo sulle bancarelle di Porta Portese. Lo trovai/trovammo in edizione Proxima (una delle tante, scoprimmo poi). Ecco la copertina.
Erremme Dibbì (cioè io e Riccardo) ne s/parlò sul quotidiano «il manifesto» ma non ho trovato copia di quell’articolo. Ricordo vagamente che tentammo un raffronto letterario, politico e un po’ psicoanalitico tra il film e il libro.
«Metropolis» romanzo lo scrisse l’attrice Thea von Harbou, all’epoca moglie di Fritz Lang. Pare che lo abbia concepito proprio per farne il film; in ogni caso uscì a puntate su una rivista dell’epoca, suscitando molto interesse. Lang e la moglie poi scrissero insieme la sceneggiatura, litigando sul finale.
Chi conosce la vicenda ricorderà che il film termina (come il libro) con una sorta di accordo fra gli operai schiavizzati e i padroni della megalopoli; l’idea di Lang era invece di concludere il film con i due innamorati in fuga su un razzo mentre i ribelli distruggevano Metropolis.
Dunque il libro è stato più volte edito e tradotto in italiano, l’ultima volta l’anno scorso (*) a dimostrare un interesse continuativo.
Solo archeologia? Se la scrittura del romanzo può risultare vecchia e in alcune pagine insopportabilmente retorica, resistono però passaggi di grandissima forza: l’incredibile «Padre nostro» rivolto dagli operai alle macchine oppure i misteri della città sotterranea, per fare due esempi.
Sulle notevoli differenze fra romanzo e fim – come sui litigi fra Lang e la Von Harbou – però si innesca una questione politica che diverrà clamorosa negli anni seguenti: il regista era infatti schierato a sinistra oltre che essere di famiglia in parte ebrea mentre l’aristocratica moglie guardava a destra e aderì poi al nazismo. Per la verità quando i nazisti presero il potere cercarono in tutti i modi di cooptare Lang, considerato il regista più geniale in circolazione. Fonti storiche accreditano un incontro fra Joseph Goebbels, ministro della Propaganda di Hitler, e Lang: quando il regista fece cenno alle sue orgini semite, Goebbels se ne uscì con una frase passata alla storia: «signor Lang, decidiamo noi chi è ebreo».
A ogni modo il regista non si fece irretire – o non si fidò – e scappò negli Usa: dove fra l’altro realizzò, nel 1943, un bel film (quasi un “instant movie”) antinazista cioè «Anche i boia muoiono» sul gerarca nazista Reinhard Heydrich ucciso dai partigiani cecoslovacchi.
Volendo continuare sul versante delle complesse (ma forse anche mitizzate) relazioni fra Lang e Von Harbou ci sarebbe da accennare a una morte misteriosa a Berlino: quella di Elizabeth Rosenthal, una giovane ebrea lituana, amante e forse moglie di Fritz Lang. Ma questa storia è stata magnificamente raccontata in “bottega” da Fabio Troncarelli: “L’incidente” del 25 settembre 1920.
Mi ripropongo prima o poi (se il suddetto Fabio Troncarelli non mi precederà) di vedere l’edizione più credibile del film con accanto il romanzo per verificare quanto si discostano. Voi mi incoraggiate a raccontarvelo? Oppure mi dite: “ah db, ma lascia perde…”.
(*) A riportare in libreria il romanzo sono state da poco le Edizioni Clandestine, strano nome e strano catalogo visto che pubblicano Oscar Wilde, Freud, Jack London … ma anche Hitler e Le Bon (molto amato dal futuro Fuhrer).
Robba forte!!
Molto stimolante. Lo stimolo è rivedereil film, leggere il libro e poi rivedere il film e confrontare il film muto e quello musicato da Moroder. Quanto la musica ci costruisce un altro “Metropolis”? Il filologo confronta le diverse versioni, l’esteta-spettatore sceglie.