Mi chiamo Jean Marie…
… e sono nato a Metz, l’8 gennnaio 1933, dunque domani faccio 86 anni.
ECCO LE VICENDE BIOGRAFICHE E LE IDEE DI STRAUB come forse le proporrebbe lui – a Chief Joseph – magari per farne un film (*)
Mi chiamo Jean Marie, sono nato a Metz, nel 1933, ho studiato dai Gesuiti, poi al liceo e ho frequentato l’università a Strasburgo e Nancy. Mi piace il cinema, vederlo e farlo. Giovanissimo divento direttore di un cineclub. Nel 1958, un tribunale francese mi condanna a un anno di reclusione perché renitente alla chiamata alle armi nella guerra contro l’Algeria. Con la mia compagna e coautrice di tutti i miei film, Danièle, abbandoniamo la Francia. Siamo prima esuli in Olanda, poi in Austria e nella Germania Est, infine ci stabiliamo, definitivamente, nella Germania Federale. E continuo a fare cinema con la mia compagna. Uno dei miei film, “Non riconciliati”, è stato addirittura definito dalla critica come uno dei capolavori della cinematografia moderna. Nel 2006 a Venezia abbiamo ricevuto il Leone Speciale per l’innovazione al linguaggio cinematografico. Non voglio attori professionisti, perché non hanno una radice sociale, costituiscono una casta a sé e il pubblico li identifica con i personaggi precedentemente interpretati e questo non va bene. C’è tanta gente interessante per la strada, così non ho assolutamente l’esigenza di cercare divi. Molto spesso metto in bocca testi letterari ai miei personaggi presi dalla strada. Questo fa imbestialire i signori dell’industria cinematografica che la ritengono una cosa sacrilega. Non ho mai ceduto alle sirene della cultura di massa, come ad esempio Bertolucci che ha incominciato con me, andando in giro con le pizze sottobraccio e poi – lui che era veramente bravo – si è stancato di vedere emeriti imbecilli guadagnare soldi a palate e ha deciso di prostituirsi. Ma ci sono esempi di registi che sono riusciti a mantenere una loro identità precisa, portando avanti un discorso davvero diverso. Visconti e Pasolini mi sembrano due nomi significativi. Altri si sono persi per strada. Bellocchio ha fatto un buon primo film, poi però è arrivato a presentare cose come “Marcia Trionfale”, con Franco Nero e una musica che sembra fatta apposta per ammazzarti. Mi sono domandato che senso abbia avuto il suo girovagare per l’Italia, documentandosi sulla vita in caserma. Forse per scoprire che il comportamento di un ufficiale è legato a sadismo e frustrazione? Addirittura ci sono buoni libri trasformati in pessimi film, come “Padre Padrone” dei fratelli Taviani. Sembra la reclame di un carosello. In certi momenti si ha l’impressione di essere in una stazione ferroviaria e leggere cartelli del tipo: «Vieni nella Polizia, dove troverai il tuo futuro». Ma la colpa più grave di questi registi, cosiddetti impegnati, di sinistra, è rappresentato dalla loro insistenza sui rapporti personali, in modo tale che alla fine come nel caso di “Padre padrone”, lo spettatore esce dalla sala cinematografica con la convinzione che la causa dei mali di Gavino sia da imputarsi ai comportamenti del padre. Di questa casta di registi, quello più pericoloso è Francesco Rosi, che, passando per essere un regista impegnato, riesce a fare film come “Cristo si è fermato ad Eboli”, organicamente funzionale al sistema. All’interno del cinema italiano è stato molto più deleterio Rosi di Fellini, che è figlio del potere in modo dichiarato ed esplicito.
Credo che non sia tanto il mio cinema a essere difficile quanto la realtà stessa. Per questo cerco di provocare emozioni nello spettatore. L’emozione è completa quando, nel momento in cui si accende, si diventa portatori attivi di quel sentire che entra a far parte delle relazioni e della quotidianità. In caso contrario, ci si potrà commuovere fino alle lacrime ma una volta asciugati gli occhi quel sentire morirà insieme al fazzolettino gettato nel cestino. I film commerciali sono completamente privi di emozioni nel senso che, anche quando presentano problematiche legate alla realtà, queste non hanno non hanno mai la possibilità di riproporsi, nello stesso modo, all’interno della vita quotidiana. Svolgono un ruolo funzionale al sistema capitalistico, perché hanno come obiettivo fondamentale far dimenticare la realtà, o meglio addomesticarla per lo spettatore. C’è chi pensa che la cultura e la conoscenza possano servire per capire il mondo, altri le addomesticano per adeguarsi, qualcuno le brandisce per cambiarlo. Io – Jean Marie Straub – con la pizza della pellicola sottobraccio, e la mia amata compagna Danièle Huillet abbiamo cercato, per tutta la nostra vita, di mettere a disposizione ciò che avevamo imparato, con l’obiettivo di costruire qualcosa insieme agli altri, a coloro che il nostro cinema ci faceva incontrare.
(*) onde evitare polemiche con Chief Joseph, la “bottega” chiarisce che il pensiero di Straub corrisponde a quanto dichiarò in una intervista pubblicata (il 6 gennaio 1980) sul quotidiano “Lotta Continua”
MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.
Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.
La redazione – abbastanza ballerina – della bottega