Mi piacciono i nonni

di Lucia Pepe

Io lo so che per te è troppo pesante questo sacchetto con la spesa, ma come posso aiutarti? E anche se potessi, sono certo che tu non me lo lasceresti fare; ricominceresti con la solita storia che “qualche” anno fa portavi enormi carichi di frutta raccolta nei campi, senza il minimo sforzo, che sei sempre stato un grande lavoratore infaticabile… Eppure a guardarti bene, quando racconti di “qualche” anno fa, sembra davvero che ti ritorni la forza e il vigore di quegli anni; per un attimo raddrizzi la schiena ricurva, ti si schiarisce la voce e negli occhi ti passa uno strano luccichio.

Ma guarda un po’ questo come spintona! ma che fretta hai? Non lo vedi il mio padrone?! Basta guardare lui per capire che ancora ne hai di vita davanti, gustatela!

Dai su, siamo quasi arrivati a casa: gli ultimi gradini, ti do una mano io tirandoti un po’.

Oggi è domenica, arriveranno anche i nipotini; io non ho ancora la sua età eppure mi stanco subito fra carezze, palline da riportare e rincorse varie; lui invece sembra ricaricarsi appena li vede, e poi ha sempre un aneddoto nuovo da raccontare; e loro, solitamente iperattivi e facilmente distraibili, rimangono lì immobili, catturati da quell’atmosfera che il nonno magistralmente riesce a ricreare.

La scorsa domenica, mentre lui era intento in uno dei suoi racconti, in cucina parlavano sottovoce e io, fingendomi interessato solo alla mia ciotola, origliavo: dicevano che casa nostra è troppo grande, che sarebbe meglio che vivessimo vicino a qualcuno di loro e che c’è un ottima casa di riposo… così pensai: «Mmh io questa parola l’ho già sentita: casa di riposo… mmmh, ah sì ecco, adesso mi ricordo! Eravamo al parco, e quel suo amico, il padrone di quella bella meticcia, gli raccontava di suo fratello che era stato in questo strano posto, dove, a quanto pare, per “riposo” intendono tanta noia e il negarti la possibilità di fare molte delle cose che, seppur con fatica, amavi fare da solo. Il mio padrone si era messo a urlare che lui non voleva affatto riposarsi prima della morte e che non aveva intenzione di andare a vivere in un posto asettico quando già viveva felicemente in una casa nella quale aveva un forte legame con gli odori, gli oggetti e persino il rumore delle porte cigolanti».

Dunque questa casa di riposo – pensai – è qualcosa che al mio padrone non va proprio giù: userò la mia solita mossa e loro diranno la solita frase «Sembra proprio che capisca quello che diciamo, o forse è un segno, meglio lasciar perdere» così mi girai puntai il fondoschiena del primogenito e….gnam/argh!

 

Mi piacciono i nonni. E con nonni chiaramente intendo anche le nonne (scusate, ma non riesco proprio ad abituarmi all’uso dell’asterisco a fine parola per rendere i diversi generi, ma poi parliamo di nonni!!); i nonni che furono genitori severissimi e che poi si ritrovano a gattonare o farsi colorare la faccia dai nipotini; nonni che sono quel compagno di giochi e di confidenze che nessun amichetto potrà mai equiparare: i primi adulti che ti prendono sul serio e i primi amici che ti rimproverano.

Ci sono nonne che non fanno che parlarti del defunto marito, tanto da fargli raggiungere il podio delle star dell’infanzia, insieme a Babbo Natale, quando la mattina del 2 novembre (*) ti fa trovare il giocattolo tanto desiderato nonché un vassoio stracolmo di biscotti e cioccolata di ogni genere.

Quando ero piccola, i miei nonni erano supereroi, ancora più potenti dei genitori: gli unici a poter scalfire l’autorità di mamma e papà, facendolo sembrare un gioco divertente, una rivincita.

Oggi, vedo una nonnina per strada e mi sembra così piccola e fragile in mezzo alla folla distratta che va di corsa; lei lenta e insicura, eppure se incroci il suo sguardo in un attimo riconosci tutto il vigore che si porta dentro.

Sì, perché i nonni anche se possono apparire indifesi, in realtà hanno tutti una straordinaria forza, data da anni di esperienze, dall’aver visto il mondo intorno trasformarsi, adattandosi o resistendo ai cambiamenti, eppure a guardarli negli occhi vedi anche l’impotenza di chi tanto ha vissuto e tanto sa, ma viene trattato come superfluo.

Mi piacciono i nonni che raccontano storie e insegnano motivetti e filastrocche di un tempo lontano. Mi piace ascoltarli, anche quando sai già come va a finire la storia, solo per il gusto di rivedere brillare i loro occhi come se il momento narrato si riproducesse in quell’istante.

Mi piace vederli fieri padroni di casa; case con un odore che richiama alla mente innumerevoli ricordi, case piene di oggetti che hanno tutta una storia dietro, della quale solo loro sono preziosi custodi.

E poi chissà perché hanno questo fortissimo legame con la propria abitazione; dal punto di vista della nostra generazione che viaggia, si trasferisce e ha chiamato casa più di una città, sembra una stranezza; ma è come se, a un certo punto, dopo aver visto così tante cose, così tanti rapporti cambiare intorno a loro, riconoscessero in quelle mura tanto solide, un punto fermo, un equilibrio stabile, spesso conquistato con grandi sacrifici e duro lavoro.

Mi piace paragonarli a quegli alberi centenari, come i ficus, i cui rami scendono fino a terra e rientrano nel terreno per diventare radici, così i nonni maestosi e carichi di esperienza, ritornano in basso per sostenere nuova vita.

(*) è un ricordo d’infanzia dovuto a una tradizione del paese di mia madre: la mattina del 2 novembre, come quella del 25 dicembre, i bambini si svegliano e corrono nel salone dove sanno che troveranno i regali e un vassoio pieno di biscotti e cioccolato che il nonno defunto ha lasciato per i nipotini durante la notte.

 

 

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