Michel Bussi, Dario Ferrari con…
… con Gavin Francis, Lucia Votano, Domenico Amirante
5 recensioni di Valerio Calzolaio
Codice 612. Chi ha ucciso il Piccolo Principe?
di Michel Bussi
Traduzione di Alberto Bracci Testasecca
Edizioni e/o – 2023 (orig. 2021)
Pag. 191 euro 17
Dalla Francia meridionale a isole sparse nei bacini oceanici. 2015. Neven Le Faou, goffo e gigantesco, ex aviatore (o aviatore mancato) e meccanico all’Aeroclub du Soleil XIII, sposato con la bionda Véronique senza figli, viene contattato al telefono dal miliardario camerunense quasi settantenne Oko Dòlo e convocato sul suo enorme yacht Diamante delle isole, al Calanque de Sormiou, vicinissimo a Marsiglia. Gli mostra una stilografica Parker 51 e i rottami di vecchie lamiere di un Lockheed P-38 Linghtning, pare risalgano a quando Antoine de Saint-Exupéry s’inabissò da quelle parti il 31 luglio 1944, trovati incidentalmente pochi anni prima. Gli propone una missione strabiliante e pericolosa: Neven dovrà pilotare un magnifico jet privato e fare squadra con la giovanissima Andie (o Ondine), detective stagista alla Fox Company, carina minuta lentigginosa, faccia tonda e capelli rossi, che va pazza per Il Piccolo Principe fin da quando era piccola, cura un blog a lui dedicato, è in contatto con i fan dell’intero pianeta e sa tutto in argomento. Devono incontrare persone molto distanti l’una dall’altra, gli altri cinque componenti del Club 612. A differenza del mitico personaggio letterario non ci sono pianeti ma isole da raggiungere. Dall’isola dell’uomo d’affari (Riou, Mediterraneo) partono per l’isola della vanitosa, sorvolano il triangolo delle Bermude e giungono a Manhattan (Atlantico), dove incontrano appunto la tale ottantenne Marie-Swan. Dopo di lei, Moïsès sull’isola di Conchaita (Pacifico) a El Salvador, Izar nell’arcipelago delle Orcadi (Atlantico e Mare del Nord) presso il Regno autonomo di Herminia, Hoshi sull’isola del faro di Gedda in Arabia Saudita (Mar Rosso e Indiano), un geografo altrove (sperso forse proprio là per le Bermude). Sono sapiens molto particolari, serpenti e morte sono dietro l’angolo. Il tutto per scoprire cosa davvero ha ucciso sia lo scrittore (incidente, sabotaggio, suicidio, falsa scomparsa) che il suo personaggio (esistendo pure più versioni).
Lo scrittore già professore di geografia all’università (in aspettativa dal 2016) Michel Bussi (Louviers, 1965) vive sempre a Rouen in Normandia e pubblica ottimi gialli di successo da oltre una quindicina d’anni (avendoli cominciati a scrivere ben prima). L’autore francese è stato un discreto studioso della sua disciplina (di cui continua a essere innamorato), divenuto specialista di geografia elettorale. Gli oltre quindici romanzi pubblicati hanno una precisa ricostruzione dei “luoghi”, veri o immaginati, in cui sono ambientati e una notevole completezza di riferimenti alle specie vegetali o animali oltre che ai confini istituzionali o amministrativi. La sua professione gli ha imposto una maggiore attenzione nel trattare anche le altre discipline scientifiche, comunque quelle biologiche. Bussi entrò nelle alte classifiche letterarie d’oltralpe già nel 2014, all’8° posto (quasi 480.000 libri venduti nel 2013); poi 5° nel 2015 (quasi 840.000 libri venduti nel 2014), poi 3° nel 2016 (più di un milione di libri venduti), 2° nel 2017 (1,1 milioni libri venduti), 3° nel 2018 e ancora 2° nel 2019. Dalla metà del secondo decennio del millennio il successo si è esteso all’estero, con traduzioni in decine di lingue (35, sembra), ben conosciuto in Cina, Brasile, Russia e in tutt’Europa, molto apprezzato in Italia. Ognuno dei “pezzi unici” ha trame estremamente arzigogolate, usando vari marchingegni letterari di difficile trasposizione e replicazione, sono scritture da scienziato geografo, non da sceneggiatore sincopato. Da noi si scontra un poco con il giustificato prevalente amore per il noir, i suoi sono gialli. Anche in questo vi sono intrighi e colpi di scena, possibili colpevoli e richiami ad Agatha Christie, oltre che continui cortocircuiti con la biografia di Saint-Exupéry e i testi del Piccolo Principe. L’ottimo traduttore deve chiarire fin da subito che “nonostante l’esistenza di diverse edizioni italiane” del famoso testo ha dovuto ritradurre gli innumerevoli brani citati, “per questioni di coerenza interna al romanzo”, frutto di una ventina d’anni di ricerche dell’appassionato Bussi. Tutti i fatti esposti sono veri, tutti gli aneddoti reali, tutte le citazioni (anche del manoscritto originale) fedeli, tutti i riferimenti alle esitazioni dell’autore, alle cancellature, ai disegni, alla mappa di Piri Reis del 1513 (con il pezzo tronco sulle Bermude) esatti, investigatori, componenti del club e conclusione romanzati ma plausibili. L’enigma permane ancor oggi. Non mi strapperete una parola in più sulla trama e sulla coppia di protagonisti che si danno del lei e, malgrado tutto, si piacciono. Si parla di un grande scrittore studiatissimo, da centosettanta milioni di copie vendute nel mondo, con un volumino universale che ha avuto quattrocentotrentaquattro traduzioni in lingue diverse, il più venduto e tradotto dopo la Bibbia, e si scoprono cose nuove, un’ulteriore ipotesi anche sulla sua scomparsa e sull’interpretazione del suo stesso capolavoro (visto che forse contiene codici segreti, da cui il titolo della nuova meticolosa documentata divertente fiction). Segnalo i silenzi, a pag. 133 (Saint-Exupéry come Pennac). Birra scura e mescal. La vie en rose al juke-box.
Guarigione. L’arte perduta della convalescenza
di Gavin Francis
Traduzione di Anna Lovisolo
EDT – 2022
Pag. 124 euro 12
Corpo e mente umani, quasi ovunque, quasi sempre. I termini “guarigione” e “convalescenza” in linea di massima non compaiono tra gli argomenti dei manuali di medicina (forse non solo inglesi), eppure le patologie hanno risvolti psicologici e sociali anch’essi da “curare” e la convalescenza è un processo tutt’altro che passivo al quale “concedere” tempi, spazi, energia e rispetto adeguati al processo di cura. Meglio fissare gli obiettivi più che le date. Certo, ogni malattia si presenta come un unicum di disagi personali e sociali, ciascuno avrà bisogno di una conseguente propria strategia, tuttavia si possono fissare alcuni principi e punti fermi per acquisire il nuovo adattato linguaggio corporeo e tentare di imparare arte e scienza della convalescenza, verso un’effettiva guarigione. La salute è un equilibrio fra estremi, diverso per ogni sapiens, piuttosto che una delle estremità da “raggiungere” o da “ottenere”. Il medico, pertanto, è più una guida soggettiva di cui si possa aver fiducia che un guaritore oggettivo e separato. La malattia è una parte della vita che può insegnarci qualcosa di prezioso. L’essere umano comprende il mondo attraverso le storie: non tutte avranno un finale felice, ma ciascuno di noi può contribuire a scrivere la propria. La salute dipende non solo dall’anatomia e dalla fisiologia, ma anche dalle nostre priorità, aspettative, obiettivi. Cerchiamo di riempire l’ambiente in cui guarire di luce, pulizia, piante, tranquillità. Facciamoci aiutare, conversiamo, interagiamo, leggiamo. Riposiamo, ma senza esagerare. Facciamo attività, ma non troppo.
L’ottimo medico di base, scrittore no fiction e viaggiatore isolofilo Gavin Francis (Ayrshire, Scozia, 1975) con un agile volumetto dispensa consigli utili, esperti e leggiadri sul lungo periodo che ogni volta dobbiamo affrontare dopo la conclusione della fase acuta e critica di una malattia. Non è una strada tutta scontata e in discesa: richiede presenza accorta, impegno persistente, scelte delicate per i tempi e per gli spazi. In premessa, spiega di aver raccolto spunti ed esperienze in trent’anni di studio e di pratica della medicina, prevalentemente ma non solo a Edimburgo, con formazione ed esercizio professionali che riflettono la visione che ha del corpo la nostra medicina occidentale. Francis riconosce il valore e la qualità di altri approcci e tradizioni, talora vi fa riferimento, soprattutto quando richiama filosofi e studiosi antichi. Parte comunque sempre da episodi personali sia per trattare le questioni di comune frequenza (l’ospedalizzazione, i certificati e la rete sociale di protezione, la fisioterapia, il riposo e il sabbatico, i viaggi fisici e mentali, l’assistenza di parenti e amici, la vaccinazione, i ricostituenti, per esempio) sia le malattie sociali contemporanee (quelle infettive e l’ultima pandemia, quelle mentali e la depressione, quelle psicosomatiche e l’effetto placebo, le lesioni cerebrali, per esempio). Tutto viene narrato con parole semplici, garbo e pazienza, attraverso una 15ina di brevi capitoli, è la giusta compagnia per una convalescenza (in corso o futura), non un manuale o un’enciclopedia. Attenzione: classificare una patologia può portarci all’errata sensazione di averla definita per sempre; invece il corpo e la mente sono realtà dinamiche, soggette a cambiamento; i farmaci sono una piccola parte della cura ed esistono molti tipi di terapie. Equilibrio!
Una storia di successo. L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare
di Lucia Votano
Di Renzo – 2022
Pag. 177 euro 15
Italia. 1951-2021. L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) è stato fondato nel dopoguerra e ha festeggiato nel 2021 i primi settanta anni di gloriosa storia all’interno della migliore ricerca scientifica pubblica, italiana e internazionale. Il decreto istitutivo del presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) risale all’8 agosto 1951, su impulso della chiara visione strategica di poche menti illuminate, soprattutto due: Edoardo Amaldi e Gilberto Bernardini, con l’obiettivo di dare un assetto istituzionale moderno alla fisica nucleare e particellare, rivitalizzando l’eredità di una grande scuola che era stata capace di risaltare in Europa. Questo è il punto: non una decisione imposta dall’alto per colmare un vuoto, piuttosto una strutturazione collaborativa e reciprocamente fertile di scuole e fermenti preesistenti. Dopo il notevole contributo italiano allo sviluppo della scienza di fine Ottocento e inizio Novecento (astronomia, chimica, biologia e medicina, matematica, fisica), in particolare dalla fine degli anni Venti e per tutti gli anni Trenta la fisica italiana si era indirizzata intorno a due filoni e a due grandi maestri, Enrico Fermi a Roma (via Panisperna) rispetto allo studio dei costituenti del nucleo atomico, Bruno Rossi a Firenze e Padova rispetto allo studio dei raggi cosmici, entrambi giunti al top internazionale in un rapporto di stima reciproca. Arrivarono le pessime violente disastrose leggi razziali e la fisica italiana pagò un prezzo altissimo. Fermi a Stoccolma per il premio Nobel vinto nel 1938 non indossò l’uniforme e non fece il saluto fascista, la moglie Laura Capon era ebrea e non fecero più ritorno in Italia, esuli prima a Copenaghen poi negli Stati Uniti. Rossi era ebreo, fu espulso dall’università e abbandonò anche lui il nostro paese, prima a Copenaghen (sempre da Niels Bohr) e poi a Manchester e negli Stati Uniti. Entrambi rimasero in contatto con Amaldi, gli antenati nobili dell’INFN.
La grande scienziata Lucia Votano nasce nel novembre 1947 a Villa San Giovanni, in fondo alla penisola sullo stretto di Messina, padre Ciccio medico radiologo (specializzatosi a Modena) e madre Alfonsina emiliana (appunto), sposatisi a Crevalcore, dove nel dicembre 1944 nasce la sorella maggiore Graziella, e poi trasferitisi insieme in Calabria. Lucia ha tre anni quando viene fondato l’INFN, ragazzina diligente e allegra a scuola, spirito libero e critico verso il piccolo ambiente locale, vocata e iscritta alla facoltà di Fisica della Sapienza ad appena 17 anni, immigrata a Roma dove da allora risiede, insegnando e ricercando per università e laboratori non solo italiani, a lungo protagonista in quelli INFN di Frascati, prima donna a dirigere quelli INFN del Gran Sasso. Racconta qui due storie scientifiche di successo (da cui il titolo): quella dell’istituto italiano e quella, inevitabilmente e sommessamente, propria. La prefazione è di Antonio Zoccoli, attuale presidente INFN. La premessa dell’autrice risulta esemplare: parte dai numeri, da alcuni recenti dati sulla popolazione del nostro paese, i bambini nati innanzitutto, una decrescita quasi continua a partire dal picco del 1964, a tratti solo rallentata grazie al fenomeno dell’immigrazione. Votano è esplicitamente consapevole delle dinamiche complesse e interdisciplinari necessarie ad analizzare le statistiche (come anche l’invecchiamento progressivo delle madri al momento del parto, l’aumento percentuale di genitori non coniugati o di almeno un genitore straniero, la tendenza anche delle donne immigrate a fare meno figli); i numeri servono a porsi domande, a controllare fattori diversi o politici e ad allargare lo sguardo verso il futuro comparato dei sapiens sul pianeta. Non a caso l’autrice fa spesso riferimento al compianto comune esimio amico Pietro Greco, per esempio sulla Società della Conoscenza e sulla storia della scienza in Europa. Sempre con garbo critico e linguaggio chiaro, i passaggi cruciali nella vita dell’INFN, istituzionale e scientifica (fin da subito collante dell’identità europea verso il CERN, oggi in cinque continenti e oltre trenta paesi, con migliaia di ricercatori e ricercatrici) vengono scanditi da una quindicina di capitoli cronologici, talora intervallati da foto, da poesie e soprattutto dai cenni al personale percorso di ricerca e collaborazione: l’amata Calabria della Costa Viola e dell’Aspromonte, laurea nel 1971, vincitrice di concorso CNEN nel 1974, figlio nato a gennaio 1975, nell’organico INFN dal 1976 al pensionamento nel 2012 (prima più nel campo della fisica delle particelle, poi più in quella astroparticellare, delle grandi dimensioni e dell’universo), successivamente associata senior e oggi emerita. Dopo le pacifiche conclusioni, manca purtroppo un indice finale dei nomi con le tante straordinarie personalità più volte citate entrando nel merito del loro ruolo scientifico.
La ricreazione è finita
di Dario Ferrari
Sellerio – 2023
Pag. 469 euro 16
Viareggio, Pisa e Parigi. Settembre 2016 – dicembre 2019. Marcello Gori (Viareggio, 1986) è un inconcludente giovane alla soglia dei trent’anni. Studente universitario abbastanza mediocre, si è laureato in Lettere poco più di un decennio dopo l’iscrizione, con una tesi su Kafka. Vive ancora con la madre e gira in Vespa PK; è fidanzato senza sforzo con Letizia (più giovane, ricca, perfetta, studentessa di Medicina, “il miglior acchiappo immaginabile”); il quasi 70enne e separato padre interista ha un bar e lui non lo vuole assolutamente ereditarlo; accumula lavoretti e racimola in nero non più di 500 euro al mese. Per caso e per spirito di contraddizione, dopo aver incontrato l’assegnista del dipartimento di Italianistica Carlo Ceccanti, pur sapendo di avere poche possibilità di farcela, decide di partecipare al concorso che assegnerà due borse di dottorato. Probabilmente il potente carismatico preside della facoltà Raffaele Sacrosanti (alto, folti capelli grigi con ciuffo imperioso), deus ex machina del dipartimento, avrà già i suoi prescelti. Comunque, dopo lo scritto sul grottesco, viene ammesso bene all’orale, arriva secondo dietro l’eccelsa favorita Agnese e subito prima degli altri quotati Pier Paolo e Virginia. Le “chiacchiere” ci sono il 10 novembre e, alla fine, risulta terzo. Accade che la prima rinunci, ha vinto, dopo cinque anni si toglie la barba, può iniziare! Quando presenta un personale progetto di ricerca, il professore lo indirizza, invece, sul viareggino Tito Sella (1953-1998), terrorista negli anni settanta (ai tempi in cui pure Sacrosanti era un rivoluzionario con l’eskimo e le molotov), morto in carcere da apprezzato scrittore (poi presto dimenticato). Dovrebbero esserci archivio e inediti autobiografici presto disponibili alla Biblioteca Nazionale Mitterrand a Parigi. Marcello inizia con i romanzi e si appassiona. Deciderà addirittura di andare nella capitale francese. Gli cambierà la vita e l’indagine su quanto accadde davvero il 17 ottobre 1977 sarà quasi un colto giallo, con tristi foschie noir.
Lo scrittore Dario Ferrari (Viareggio, 1982), laureato in filosofia e dottore di ricerca a Pisa, è oggi autore di un gran bel romanzo. Il titolo è una frase pronunciata all’interno della Brigata Ravachol di Viareggio, il gruppetto di fuoco dei rivoluzionari cani sciolti che decide di passare all’azione dopo il “non luogo a procedere” verso chi aveva buttato giù un operaio dalla balaustra del Ponte di Pisa: furto, azione dimostrativa durante il Carnevale, auto fatta esplodere, esproprio proletario, rapina, sequestro, infine un rapimento vendicativo finito male. La frase spesso usata dal nuovo leader ribalta il senso di quella pronunciata da De Gaulle; sempre dopo i contorcimenti dialettici degli avversari, non arriva la politica autoritaria, piuttosto la scelta violenta. Il periodo della contestazione 1968-1977 e la stagione degli anni di piombo assorbono tutta la curata parte centrale della narrazione (qui in terza persona, fissa sull’evoluzione di Tito), circa centocinquanta pagine intitolate La Fantasima, ricostruite tramite gli appunti privati rintracciati a Parigi. I tre capitoli precedenti e il successivo (insieme all’epilogo) costituiscono invece il racconto in prima persona al presente dei tre anni di dottorato dell’ipersensibile Marcello (che via via affina altre “arti”): lo studio intenso e meditato dei romanzi di Sella, le dinamiche di baronie e intrighi dentro l’accademia universitaria (i personaggi dei confronti sulla storia della letteratura e di alcuni incontri “seri” sono personalità reali, come Gadda o Mari), la relazione e le amicizie comunque coltivate, il lungo periodo di apprendistato parigino, la stesura della tesi finale. La superficialità (di Tito e Marcello) può talora forse “proteggere”, tenendoci “a distanza dal baratro in cui scivola chi si concede integralmente, senza remore e senza protezioni, con il rischio di essere risucchiato dall’abisso senza nemmeno rendersene conto”. Segnalo lo sgarbo al professor Morelli dell’Università di Macerata, durante la preparazione (realisticamente terribile e divertente) del mega convegno, e le note differenze fra i fragili dottorati in Italia e quelli lunghissimi in Francia. Vini e liquori di tutti i tipi, la bolla uterina della generazione di Marcello può essere prodotta solo dagli 883.
Costituzionalismo ambientale. Atlante giuridico per l’Antropocene
di Domenico Amirante
Il Mulino – 2022
Pag. 273 euro 24
Pianeta. Gli ultimi decenni. Il diritto deve contribuire in maniera decisiva a rafforzare e a dar corpo alle istanze di tutela ambientale, ormai sempre più presenti nelle società contemporanee, e a superare quell’impasse culturale, politica ed economica che le ha costantemente frenate. Finora non ha raggiunto i risultati sperati, in particolare quello ambientale, collezionando una serie di sconfitte sui piani sia della repressione dei comportamenti dannosi sia della delineazione di un quadro normativo efficace (anche nello stimolare comportamenti virtuosi). Per riuscirvi occorre recuperare la dimensione biologica ed ecologica della vita dell’uomo sulla terra e nella terra, partendo dai testi aggiornati o da aggiornare delle costituzioni, dalla trasformazione in senso ambientale degli ordinamenti giuridici nazionali, da una svolta nelle agende politiche di parlamenti e governi. La nozione di Antropocene comporta un superamento oggettivo della distinzione natura-cultura, non si può più aprioristicamente escludere la possibilità di conferire personalità giuridica a elementi naturali, passando dall’individualismo liberale di stampo sette-ottocentesco al concetto di autonomia cooperativa della persona. Ci si sta provando: nel 2022 più di tre quarti degli ordinamenti mondiali riconoscono testualmente la tutela ambientale nelle proprie costituzioni (grazie soprattutto alla spinta propulsiva di molti paesi appartenenti al sud del mondo), la maggior parte degli altri li tutela attraverso la giurisprudenza delle proprie corti supreme. Un nuovo integrale costituzionalismo ambientale non può che constatare che le tre nozioni connesse all’individuale, al sociale e al biologico sono indissociabili: è una bella sfida per tutti.
Il bravo docente universitario napoletano Domenico Amirante disegna un interessante ricco atlante costituzionale comparato di diritto ambientale, che mostra e analizza le più importanti tendenze in atto a livello globale. Nel primo capitolo del bel volume l’autore spiega la metodologia di diritto comparato come bussola per la rivoluzione copernicana imposta dalla nozione di Antropocene. Nel secondo delinea i fondamenti del costituzionalismo ambientale come disciplina multilivello, opzione che consente di evitare i rischi sia dell’approccio universalistico e unificante del diritto internazionale, sia dell’estremo particolarismo e tecnicismo del diritto amministrativo. Nel terzo affronta i relativi percorsi storici, segnalando come siano protagonisti dell’attuale fase adulta molti testi costituzionali di Africa, America Latina e Asia, promulgati o fortemente emendati negli ultimi trent’anni. Nel quarto, anche con l’ausilio di tabelle riepilogative, esamina dettagliatamente i dati quantitativi e qualitativi, globali e accorpati per continente. Il quinto e ultimo capitolo individua le prospettive più innovative, dalle teorie sul costituzionalismo ecologico al nascente costituzionalismo climatico, concentrando l’attenzione sui paradigmi economici, politici e giuridici basati sui concetti di responsabilità e interdipendenza tra l’essere umano e la natura. Si nota talora (anche nelle note bibliografiche e nell’indice dei nomi) una certa approssimazione nei riferimenti alla cultura scientifica proveniente da quello che Amirante chiama “il mondo delle cosiddette scienze esatte”, evidente per esempio nell’idea che “in epoche passate gli esseri umani hanno vissuto in modo sostenibile, in armonia con la natura, rispettando i limiti dei confini planetari e delle regole ecologiche”, in cui si confermano giustamente i danni del modo di produzione degli ultimi secoli ma si rintraccia ancora poco delle culture evoluzionistica, biologica, ecologica, antropologica e demografica che hanno descritto la vita bipede per i milioni di anni delle specie umane e i centinaia di migliaia dei sapiens, nelle nicchie dei vari ecosistemi, globale e specifici. Parziale ma utile l’accenno (nella postfazione) alle recenti modifiche costituzionali italiane degli articoli 9 e 41, anche sulla base di una personale esperienza e competenza.