Milano Drive
di Susanna Sinigaglia
Milano Drive
All’ombra di Le Corbusier
di Cristian Chironi
Arrivo trafelata alle 19,45 all’appuntamento fissato per le 19,30 in via Orobia 26. È uno di quei giorni milanesi lattiginosi, umidi, in cui l’aria ti si appiccica addosso con il sudore. Mi sono mossa un’ora prima ma evidentemente non è bastato. Al luogo si accede da uno stradone punteggiato da ampi edifici, capannoni un tempo sedi di piccole fabbriche o lavorazioni artigianali. Perciò i numeri civici sono molto distanziati fra loro e prima di arrivare al 26, a piedi ovviamente, ce ne vuole. Mi accoglie Cristian Chironi sorridente e mi rassicura. Siccome gli altri due partecipanti al tour non sono arrivati, mi hanno ovviamente aspettato e io sarò l’unica passeggera a spasso nella Fiat 127 Special d’epoca, del 1971 per l’esattezza, colorata con tinte pastello; i colori – mi dicono – di Le Corbusier.
La proposta infatti consiste nell’esplorazione – a bordo di questa particolare auto – del quartiere circostante, con Chironi alla guida che funge da Cicerone. La Fiat è stata soprannominata “Camaleonte” perché in relazione al luogo in cui viene utilizzata per la performance, ne cambiano di volta in volta i colori anche se sempre e rigorosamente tratti dalla tavolozza cara a Le Corbusier.
Essendo io l’unica passeggera, per farmi compagnia sale a bordo anche la fotografa personale di Chironi. L’artista comincia, oltre che a guidare, a raccontare.
È nato a Orani, un piccolo paese sardo, dove vivevano il fratello – Chischeddu – e il nipote – Daniele – di Costantino Nivola, celebre artista che risiedeva a Long Island ed era amico di Le Corbusier. Un bel giorno, a metà anni ’60, Costantino era ritornato al paese natale portando con sé un progetto di casa firmato da Le Corbusier, e l’aveva donato a Chischeddu perché da muratore qual era lo realizzasse e consegnasse poi l’abitazione a Daniele. Però il progetto non fu mai realizzato. Perché? Perché a Chischeddu e Daniele la casa, “senza porte né finestre”, sembrava un “tugurio”. Questo episodio è stato molto importante nel determinare la scelta di Cristian Chironi di avvicinarsi a Le Corbusier, di studiarne le idee e iniziare però anche un’approfondita riflessione sullo scollamento fra opera architettonica e suo ipotetico fruitore.
Mentre Chironi racconta, ci spostiamo verso l’inizio di via Orobia dove si trova la Fondazione Prada, il cui spazio espositivo ha trovato sede in uno dei tanti vecchi edifici ristrutturati della zona.
L’artista mi parla dell’importanza di far convivere conservazione e innovazione, mi spiega che non si tratta tanto di andare a scoprire in quali luoghi abbia lasciato il segno a Milano Le Corbusier, forse nessuno almeno direttamente, quanto di guardare le architetture, la struttura dei quartieri e della città adottando il punto di vista del grande architetto. Per esempio, mi spiega ancora, Le Corbusier sosteneva che i vecchi edifici non andrebbero conservati ma abbattuti. E io mi chiedo: chissà se la penserebbe ancora così in quest’epoca di gentrificazione selvaggia?
Proseguiamo il nostro viaggio lungo via Ripamonti
ma dopo il cavalcavia Chironi inverte la marcia e ritorniamo indietro, mentre prosegue il suo racconto parlandomi di un gruppo di musicisti di Parigi che, in base alle misure di un’opera architettonica di Le Corbusier, ha costruito uno spartito musicale da cui è nata la composizione che mi fa ascoltare. Anche se la sperimentazione non è nuova, mi ha particolarmente colpita la capacità di tradurre un’opera artistica a partire, dalle sue caratteristiche misurabili, in un’altra opera artistica … davvero affascinante!
Tornati alla base, mi guardo intorno. Mi trovo in un ampio cortile rettangolare racchiuso da lunghe costruzioni basse parecchio rovinate. Lo stesso locale che funge da garage e base operativa dell’artista ha le pareti scrostate e il pavimento sconnesso.
Nel cortile s’intravedono due auto; in fondo, nascosti, si trovano dei panni stesi, segno che quelle casette in rovina sono tuttora abitate. Mi chiedo perciò se questa operazione di Cristian Chironi non intenda anche portare l’attenzione sull’abbandono in cui si trovano tante zone di Milano, dove non è tanto l’armonica convivenza fra vecchio e nuovo che s’impone ma lo stridore fra uno stato di estrema emarginazione e un’opulenza malcelata dietro la foglia di fico del recupero ambientale e architettonico.