MilanOltre 2023 – 1986-2024 Back to the Future – I
susanna sinigaglia
MilanOltre 2023
1986-2024 Back to the future
Il festival, iniziato il 28 settembre, ha chiuso i battenti il 15 ottobre. Il suo titolo “1986-2024 Back to the future”, citazione del film di Robert Zemeckis (1985), sembra avere un valore programmatico, voler abbracciare tutto l’arco del proprio percorso per slanciarsi verso il futuro.
Si apre ospitando una compagnia che finora non ha mai partecipato al festival, gli Ick dell’italiano Emio Greco e l’olandese Pieter Scholten che inaugura il festival con
The Body in Revolt
Conferenza danzata
Ick Dans Amsterdam
Emio Greco/Pieter Scholten
È molto diversa dalle conferenze danzate condotte dal prof. Alessandro Pontremoli, cui ho assistito gli scorsi anni. Mentre le precedenti avevano un carattere piuttosto accademico – e comprensibilmente, in quanto vertevano sull’evoluzione storica delle danze europee –, la presente intende essere un’illustrazione pratica del metodo di ricerca della compagnia. Pieter Scholten ci spiega che il metodo considera innanzitutto il corpo nella sua qualità di “corpo intuitivo”, dove il binomio potere/fragilità che lo caratterizza è ben rappresentato dalla figura archetipica di Don Chisciotte. Scelta dai coreografi come punto di partenza, il loro lavoro procede orientandosi in relazione con parole essenziali, quali “respiro”; e lo spettacolo che presenteranno due sere dopo s’intitola proprio We, the Breath. In sede di conferenza ne mostra alcuni passaggi il gruppo Vivaio, formato da giovanissimi ma già esperti danzatori, nato nell’ambito del recente centro di produzione pugliese Porta d’Oriente e guidato da Victor Callens, storico collaboratore dei due coreografi. Nel corso della dimostrazione due danzatrici inoltre accennano a movimenti di lotta, con un corpo a corpo deciso e potente. È un’anticipazione della seconda performance che la compagnia presenterà al festival, Rocco. Il collegamento online con Suzan Tunka, la direttrice dell’Ick Academy, conclude la conferenza animata, alla fine, dalle domande rivolte dal pubblico a Pieter Scholten e Suzan Tunka.
We, the Breath
Ick Dans Amsterdam
Emio Greco/Pieter Scholten
Sei danzatori si trovano in una sorta di singole cabine aperte, collocate in fila in fondo al palco, e si muovono al ritmo piuttosto scatenato di una musica rock: sembrerebbe il riscaldamento prima d’iniziare la performance vera e propria. Infatti quando la musica cessa, i danzatori escono dal loro abitacolo e iniziano a inspirare profondamente ed espirare, avanzando lentamente insieme verso il limitare del palco. Lunghi tubi al neon rischiarano la scena peraltro piuttosto buia.
I danzatori alternano momenti in cui si abbandonano a movimenti sfrenati, correndo verso il pubblico e salendo lungo i gradini del teatro che si arrampica in verticale, a momenti in cui seguono semplicemente il ritmo del loro respiro e sembrano con questo voler quasi abbracciare e avvolgere gli spettatori. Li vediamo a un tratto indossare copricapi da cui pendono lunghe trecce come tentacoli di polpo rievocando tempi preistorici o anche, più vicino ai tempi nostri, Davy Jones, il leggendario personaggio della saga cinematografica “I pirati dei Caraibi”, capitano di un equipaggio composto da esseri per metà umani e per metà creature marine.
Malgrado non mi siano chiari i motivi che hanno spinto gli autori a introdurre questo elemento d’estraneità nella logica estetica della coreografia, riscontro tuttavia che aggiunge all’interpretazione un tocco di mistero.
E infine i performer, raggiunti sul palco da tutto il resto della compagnia, si lanciano in una danza travolgente sulle note di I feel love di Donna Summer, coinvolgendo il pubblico entusiasta che ne accompagna il ritmo battendo le mani e con una danza, anche se sul posto, liberatoria: un enorme divertente respiro di sollievo.
Prima di vedere We, the Breath, al Pac (Padiglione d’arte contemporanea) avevamo assistito alla performance di Cristina Kristal Rizzo interpretata da Megumi Eda.
Monumentum the second sleep
prima parte il solo
Cristina Kristal Rizzo/Megumi Eda
Megumi Eda siede sul pavimento nella galleria vetrata del Pac che si affaccia sul giardino circostante. L’atmosfera è molto zen, meditativa, cui rimandano alcuni oggetti che si trovano sparsi a terra. Con gesti misurati la performer ne prende uno a forma cilindrica che ricorda quella di un cannocchiale e, avvicinandolo agli occhi, scruta lo spazio circostante.
Seguendo lo svolgersi dell’azione, intendiamo che la performance ci vuol parlare del rapporto fra alto e basso, fra cielo e terra rappresentata da una rete color marroncino aggrovigliata. Lì sotto andrà a nascondersi Megumi
dopo aver volteggiato varie volte per tutta la lunghezza della galleria sotto lo sguardo, fra il curioso e il corrucciato, di due bambine che scrutano la scena attraverso la vetrata.
Intense le parti meditative mentre ho trovato un po’ scollate dal resto del lavoro e dalla sua coerenza interna quelle improvvisate, le traversate dello spazio. Molto suggestiva comunque la scelta della galleria del Pac, in sintonia con quanto il lavoro intendeva comunicare.