Militarizzazione Usa in America Latina
di David Lifodi (da www.peacelink.it del 17 maggio)
E’ la fine di marzo quando il Comando Sur de los Estados Unidos (Cosur) e il governatore della provincia argentina del Chaco, con la scusa di presentare ufficialmente il “Programa de Fortalecimiento del Sistema Provincial de Emergencias”, inaugurano una nuova base militare in America Latina.
Certo, i lavori sono in fase di ultimazione, ma intanto gli Stati Uniti piazzano un’altra bandierina nel loro risiko sudamericano. Solo pochi giorni dopo, il 5 aprile, il presidente cileno Sebastián Piñera spalanca le porte del suo Paese allo stesso Cosur: stavolta viene inaugurata con tutti gli onori la base militare di Forte Aguayo, ubicata a circa 20 chilometri a nord di Valparaíso e distante solo 130 dalla capitale Santiago del Cile. In questa circostanza la scusa ufficiale è un’altra: il complesso militare servirà per l’addestramento dei soldati impiegati nelle missioni di pace delle Nazioni Unite. Questa ulteriore penetrazione degli Stati Uniti in America Latina è preoccupante: da tempo hanno schierato la IV flotta in acque sudamericane (soprattutto per tenere sotto controllo il Venezuela) e le basi in Cile e Argentina vanno a sommarsi a quelle già presenti in Paraguay, El Salvador, Costarica, Guatemala, Honduras, Panama, Colombia, Perù ed Ecuador. In alcuni di questi Paesi lo schieramento di truppe Usa a scopi “umanitari” è servito come grimaldello per installarvisi militarmente. Inoltre, il Comando Sur mantiene minacciose navi militari poco lontano dalle isole di Aruba e Curaçao, nel Mar dei Caraibi. Solo per rimanere alla più recente attualità basta ricordare come il colpo di Stato del giugno 2009, che rovesciò Manuel Zelaya, il presidente honduregno democraticamente eletto, partì dalla base di Palmerola, cioè dallo stesso Paese centroamericano dove “casualmente” era presente il Comando Sur: grazie al pronto intervento del Cosur si consumò il primo golpe dell’era Obama, che ha trasformato l’Honduras nel buco nero della democrazia. Lascia inquieti anche la presenza di personaggi dalla dubbia affidabilità all’inaugurazione delle due basi. In Argentina il centro militare è sorto nei dintorni dell’aeroporto di Resistencia, capitale della provincia del nord del Chaco, con la benedizione di Edwin Passmore, comandante di spicco del Cosur. Il curriculum di Passmore parla da solo: ha preso parte, in qualità di colonnello, alla “guerra umanitaria” d’invasione dell’Afghanistan, dal 2005 al 2008 ha lavorato come addetto militare Usa in Venezuela, prima che il presidente Chávez ne decretasse l’espulsione per attività volte alla destabilizzazione del governo e del Paese, infine nel 2011 fu sorpreso all’aeroporto internazionale di Ezeiza (Buenos Aires) mentre stava provando a far entrare in Argentina apparati in grado di intercettare comunicazioni riservate, software da utilizzare per azioni di spionaggio e alcune sostanze narcotiche. In Cile la neonata base militare ha ospitato un altro figuro poco raccomandabile, Leon Panetta, scelto da Obama all’inizio del 2009 per guidare la Cia. Sia la base del Chaco sia quella cilena sono state denominate dagli Stati Uniti come “emplazamiento cooperativo de seguridad”, cioè un bastione di sicurezza dedito alla tutela dei cittadini, ma in realtà un cavallo di Troia per mascherare la potenza di fuoco statunitense presente a sud del Río Grande. La base militare chaqueña serve per monitorare una zona chiave dell’America Latina, quella della Tripla Frontera, dove convergono appunto le frontiere di Brasile, Paraguay e Argentina e dove è situato l’Aqüífero Guarani, una delle maggiori riserve di acqua dolce del mondo. Il distaccamento militare cileno invece servirà per reclutare manodopera locale, cioè soldati sudamericani sottoposti al Comando Sur. Tutto questo allo scopo di controllare da vicino i Paesi dell’Alba (l’Alleanza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América, che comprende, fra gli altri, Bolivia, Venezuela, Cuba, Ecuador e Nicaragua), ma anche i Paesi “rosa”, o comunque più moderati, quali Argentina, Brasile ed Uruguay. Gli Stati Uniti hanno appena ricevuto un netto rifiuto dal Brasile alla proposta di condividere la gestione della base spaziale di Alcántara: gli stessi esponenti del mondo scientifico e militare hanno incolpato la Cia e il Pentagono in relazione agli ultimi fallimenti in campo spaziale. Aprire alla condivisione di Alcántara significherebbe per il Brasile autorizzare gli Usa a installarsi legalmente sul proprio territorio, un passo che il Planalto assolutamente non intende compiere. Per quanto riguarda i Paesi dell’Alba, alti esponenti del Cosur, fra cui il generale Douglas Fraser, hanno fatto intendere che il Pentagono attende fiducioso una crisi in grado di destabilizzare i Paesi che fanno parte dell’Alleanza bolivariana. Di più: lo stesso Fraser ha dichiarato più volte di considerare inammissibile lo stretto legame fra l’Iran e alcuni Paesi dell’Alba, tra cui Venezuela, Ecuador e Nicaragua. Tradotto: gli Usa intendono compiere tutte le mosse necessarie per destabilizzare gli Stati leader dell’Alba. Detto per inciso, fa sorridere l’irritazione degli Stati Uniti per il legame fra Teherán e Managua, dove un governo sandinista solo di nome è uno dei discepoli prediletti del Fondo Monetario Internazionale. In ogni caso, il tentativo del governatore del Chaco Jorge Capitanich, paradossalmente kirchnerista, ma ben lontano dalla politica estera condotta prima da Nestor Kirchner e adesso dalla presidenta Cristina Fernández, di far passare la base di Resistencia come un centro per gli aiuti umanitari, non convince nessuno. E’ facile mascherarla in “Centro de Emergencias” poiché le sofisticate tecnologie militari consentono di dirigere i droni, gli aerei senza pilota, in qualsiasi angolo del mondo da migliaia di chilometri di distanza, senza la necessità di schierare una grande forza militare sul campo. In realtà, a smentirlo ci hanno pensato proprio gli esponenti dell’ambasciata Usa in Argentina, che hanno definito la base militare come uno dei progetti più importanti a cui hanno lavorato Washington e Buenos Aires, pur bypassando la presidenta Cristina Fernández. La base militare, o “Centro de Emergencias” che dir si voglia, ha richiesto un investimento di tre milioni di dollari, donati dall’ambasciata statunitense in Argentina: Capitanich si è affrettato più volte a garantire che il “centro” avrà scopi esclusivamente civili, quali il supporto alla popolazione in caso di epidemia da dengue, carestie e inondazioni. Il governatore chaqueño, che ha creato addirittura una fondazione regionale per rafforzare i legami fra il Chaco (come se fosse uno Stato) e gli Usa, cerca di trarre vantaggi per le grandi corporations provando a porre le basi per una nuova Alca, il trattato di libero commercio per le Americhe rifiutato dai popoli e dalla maggior parte dei Paesi latinoamericani proprio in Argentina, a Mar del Plata, nel 2005, con buona pace del suo principale anfitrione George W. Bush. E proprio le multinazionali sono fortemente interessate all’estrazione mineraria, alle riserve di acqua dolce e ai processi produttivi di carattere energetico: da un eventuale unione di tutto il continente americano sarebbero le prime a guadagnarci, insieme agli stessi Stati Uniti, impegnati a riposizionarsi nella tempesta della crisi finanziaria globale. Inoltre, l’attivismo di Capitanich è presto spiegato: nel pacchetto firmato con gli Stati Uniti per la presenza della base militare è rientrato anche un contratto per il quale l’impresa Forbes Energy investirà cento milioni di dollari nel Chaco allo scopo di produrre bioetanolo grazie alla monocoltura della canna da zucchero, con tutto quello che ne conseguirà per i piccoli agricoltori, i campesinos e il fragile ecosistema circostante.
La presenza delle basi militari, seppur mascherate, ha creato una forte opposizione in Cile ed Argentina. Sono in molti a chiedersi il motivo per cui, in caso di emergenze climatiche, debba intervenire il Comando Sur de los Estados Unidos e non le organizzazioni umanitarie deputate a lavorare in situazioni di questo tipo. Eh già, perché?