Modello Genova e modello Fincantieri
due articoli di Salvatore Palidda e di Giancarlo Bonifai-Antonio Bruno
Modello Genova: ma per favore
di Giancarlo Bonifai (*) e Antonio Bruno (**)
La ricostruzione del Ponte di Genova può davvero essere di esempio per la costruzione di infrastrutture in Italia?
A leggere il decreto Semplificazioni del Governo Conte pare proprio di sì. Al contrario esso costituisce un pesante arretramento di almeno quarant’anni degli interventi sul territorio e della gestione trasparente e partecipata della cosa pubblica.
Cerchiamo di spiegare perchè. Ripercorrere la storia del “Modello Genova” permette di capire come l’insofferenza verso le regole di tutela ambientale, la partecipazione dei cittadini (ma anche degli organi rappresentativi) stia ridisegnando la gestione del territorio verso un modello autoritario, chiuso in se stesso, fondato sul paradigma “fare presto comunque sia”. Anche se quest’ultima affermazione non sempre ha fondamento.
La storia
A seguito del tragico crollo (14 agosto2018) del viadotto Polcevera dell’autostrada A10, il Ponte Morandi, il Consiglio dei Ministri dichiarò lo stato di emergenza, nominando Commissario Straordinario il Presidente della Regione Liguria Giovanni Toti. Successivamente, con Decreto Legge 28 settembre 2018 n. 109 (Decreto Genova), il Sindaco di Genova Marco Bucci, è stato nominato Commissario Straordinario di Governo per la ricostruzione, con l’autorizzazione ad operare “in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n.159, nonché́ dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea”, per occuparsi della demolizione, della rimozione, dello smaltimento e del conferimento in discarica dei materiali di risulta, oltre che della progettazione e dell’affidamento dei lavori per la ricostruzione dell’infrastruttura e del ripristino del connesso sistema viario.
Il “FARE IN FRETTA” Questo paradigma ha impedito una progettazione che consentisse di superare l’emergenza e di ipotizzare, allo stesso tempo, un sistema viabilistico più efficace di quello precedente al crollo, notoriamente inadeguato rispetto alle esigenze della Città e del suo Porto (vedi la commistione dell’entrata in città tra traffico privato e commerciale).
I poteri forti hanno martellato l’opinione pubblica con l’assunto secondo cui il rispetto delle norme (di pianificazione, ambientali, di sicurezza) renderebbe impossibile la gestione dei problemi complessi, nonostante il fiasco della berlusconiana “Legge Obiettivo”, che partiva dagli stessi presupposti. Il Potere decide a priori quali siano le opere strategiche (opere puntuali anche sconnesse da una progettazione piu’ ampia) che possono di fatto evitare Valutazioni Ambientali Strategiche.
Un uomo solo al comando
Nel caso della ricostruzione del ponte sulla Valpolcevera, il Sindaco Bucci ha ignorato ogni confronto pubblico con altre soluzioni che non fossero l’abbattimento del ponte e il rifacimento secondo il progetto dell’ingegnere Renzo Piano, affidato a Fincantieri. Il commissario ha consapevolmente evitato spiegare il rifiuto delle alternative proposte da autorevoli voci tecniche; proprio quando le prove di carico effettuate sulle strutture sopravvissute sembravano avere dato risultati positivi, si è invece deciso di demolirle, con un evidente aggravio di tempi e costi.
La giusta urgenza di ricostruire ha messo la sordina a qualsiasi discussione.
La struttura commissariale, nei mesi trascorsi prima del concreto inizio delle opere di demolizione, avrebbe potuto studiare le alternative e confrontarsi con i tecnici che le avevano proposte.
Al contrario, non sono stati valutati i progetti presentati da importanti Aziende e progettisti di fama nell’ambito delle manifestazioni di interesse, pur sollecitate dal Commissario, perché difformi dall’idea della semplice demolizione dell’infrastruttura.1
D’altronde, le Istituzioni avevano già deciso, all’indomani della tragedia e ancora prima di intraprendere la procedura negoziata senza previa pubblicazione, prevista dall’art. 32 della Direttiva 2014/24/UE, chi avrebbe realizzato la progettazione, la demolizione e la ricostruzione dell’opera, anche a prescindere da cosa sarebbe stato fatto. 2
Questo è il Modello Genova, che non consente di scegliere tra progetti confrontando diverse idee dello sviluppo del Paese o di una città, e che finisce anche per cogliere risultati modesti.
Se si esclude la positiva accelerazione di vecchi progetti riguardanti la viabilità a mare ed il suo collegamento con Genova Aeroporto (anche se a una sola corsia), l’unico risultato ottenuto consiste nella riproposizione di un viadotto, costato a preventivo oltre 220 milioni di Euro nella stessa posizione del precedente, su cui sarà necessario imporre un limite di 80 Km/h e curve paraboliche (sic!), pur rimanendo una tratta autostradale, senza che nessuna delle criticità preesistenti sia stata affrontata né, quantomeno, risolta.
A questo proposito, è forse il caso di rammentare che la stessa ASPI (Autostrade per l’Italia spa), in occasione del dibattito pubblico sulla Gronda (un raddoppio autostradale da Genova Vesima a Genova Bolzaneto), con il Morandi in funzione, ne aveva proposto la traslazione, per migliorare il raccordo con la viabilità cittadina. Sarà forse il caso di ricordarlo, quando saremo in coda sul nuovo viadotto.
Si vuole che il Modello Genova diventi il paradigma per la gestione dei lavori pubblici in Italia.
Dopo due Codici dei contratti pubblici, innumerevoli Leggi e Decreti che li hanno modificati negli ultimi 10 anni ed il varo di provvedimenti dai titoli fantasiosi ed evocativi, quali Decreto Rilancio o Sblocca Cantieri, di cui si attende ancora il previsto Regolamento Unico, anche il preannunciato Decreto Semplificazione conferma la stessa impostazione, risalente alla Legge Obiettivo, che è stata notoriamente improduttiva di qualsiasi effetto di rilancio del nostro sistema infrastrutturale e pesantemente impattante sulle casse dei contribuenti e sull’ambiente e il territorio.
Il provvedimento prevede la nomina di Commissari straordinari per le opere ritenute strategiche, nominati direttamente dal presidente del Consiglio, su proposta del Ministro delle Infrastrutture, per gli interventi che questo, ARBITRARIAMENTE, riterrà prioritari, con il ruolo di stazione appaltante ed il potere di agire in deroga al codice degli appalti e alle norme di tutela ambientale, paesaggistica ed artistica.
I Commissari potranno procedere ad espropriazioni ed occupazioni d’urgenza, sostituire la propria approvazione ai pareri e alle autorizzazioni normalmente richiesti, come è avvenuto con il Commissario Straordinario di Governo per la ricostruzione del viadotto Polcevera.
L’idea di fondo è forse quella di illudere che si potrà fare in fretta, dal momento che finora non ci si è riusciti, annullando la centralità del progetto, e quindi la potestà degli Enti pubblici di decidere come realizzare i propri interventi, reintroducendo di fatto l’appalto integrato che consegna al costruttore la regia dell’intervento pubblico, attraverso la scelta del progettista e del progetto, come per il Ponte Morandi.
Il Codice degli appalti del 2016 e la Direttiva UE 24/ 2014, pur prevedendo le necessarie accelerazioni in presenza di eventi eccezionali ed imprevedibili, sembrava invece prospettare uno scenario in cui, per opere di tale importanza, sarebbe stato necessario un concorso internazionale di progettazione, sulla base di prefissati obbiettivi culturali e criteri prestazionali, definiti da un committente pubblico in grado di decidere il carattere tipologico dell’opera e del paesaggio urbano su cui la stessa insiste.
Una tale soluzione si sarebbe potuta attuare in tempi rapidi per il Morandi, se fosse esistita la volontà politica e la capacità tecnica di realizzarla, e non avrebbe escluso a priori l’opzione del restauro e della riabilitazione del Ponte, nella parte in grado di essere recuperata, con risparmio di tempi e di costi. Secondo una denuncia presentata alla Corte dei Conti, infatti, l’opera sarebbe costata decine di milioni di Euro più delle alternative proposte al Commissario. Ad oggi non si ha però notizia degli sviluppi, se mai ci sono stati, di questa inchiesta.
Così non è stato, nel silenzio di tutte le Istituzioni e di quasi tutte le forze politiche e associative, ed a breve, giusto in tempo per le elezioni regionali, assisteremo all’inaugurazione di un’opera che avrebbe potuto essere il presupposto per il ridisegno del nodo autostradale di Genova, ma che non lo sarà.
Inoltre l’opera non sara’ pienamente utilizzabile dopo l’inaugurazione vista la necessità di mettere in sicurezza le gallerie da essa collegate e, a quanto si apprende, il gasometro che la sovrasta.
Per questi motivi non ci pare proprio il caso di continuare ad indicare il Modello Genova quale esempio per la realizzazione delle opere pubbliche in Italia e,sommessamente, inviteremmo a una forte mobilitazione a difesa della trasparenza, della buona spesa, della partecipazione, in buona sostanza della democrazia nel nostro paese.
(*) Giancarlo Bonifai, già Assessore ai Lavori Pubblici Comune di Genova
(**) Antonio Bruno, già Consigliere Comunale Comune di Genova
L’immagine – scelta dalla “bottega” – è di Vauro
NOTE
1 prof. Ugo Carughi (pres. Do.Co.Mo.Mo Italia) “Anche a Genova si sarebbero dovute immediatamente progettare e realizzare delle strutture metalliche adeguate a puntellare le parti superstiti dell’opera, ben prevalenti rispetto a quelle crollate; necessarie, come strutture provvisionali anche per un eventuale ripristino..E …avrebbero consentito di studiare e verificare in loco…lo stato delle parti superstiti del viadotto, programmando le indagini e gli interventi necessari di ripristino, di integrazione, di modifica o, in ultima analisi, di abbattimento, se necessario”.
– 14 agosto 2018, Renzo Rosso (docente Costruzioni idrauliche e marittime e Idrologia a Milano, Henry Darcy Medal 2010) “Genova, crollo di ponte Morandi. Rosso: le cause del crollo non sono idrauliche, il pilone non sembra essere stato eroso”, Marco Pasciuti, Il Fatto Quotidiano Online.
– 17 agosto 2018, Ugo Carughi (pres. di Do.Co.Mo.Mo), “Non demolite quel sogno”, La Repubblica, “Vogliamo cancellare, anche con considerazione tecniche legittime ma tardive, una stagione di idee, sperimentazioni, competenze, inventive, che hanno avuto pochi eguali al mondo?..L’ingegnere per primo si accorse dei problemi del viadotto. Si intervenga ma la storia non deve essere cancellata”.
– 17 agosto2018, Nadia Urbinati (direttore di dipartimento),” Ponte Morandi se il degrado é anche etico”, La Repubblica. “È una componente essenziale del paesaggio che, assieme al patrimonio storico artistico, l’art. 9 della Costituzione assegna alla Repubblica il dovere di tutelare”.
– 29 agosto 2018, Antonio Saggio, Università̀ La Sapienza Roma. “Salvare Ponte Morandi. No alla demolizione precipitosa Sì all’analisi costi benefici” “Petizione di professionisti ed esperti contro l’abbattimento, firmata da professionisti di spicco come l’ingegner Edoardo Cosenza e l’architetto ligure Gianluca Peluffo”.
– 4 Settembre 2018, Edoardo Cosenza (Pres. Ordine Ingegneri Napoli),” Ponte Morandi, mantenere o no? Intervista a Edoardo Cosenza”, convegno “Ponte Morandi venti giorni dopo..” ,Palazzo Ducale organizzato da Ordine Ingegneri e Società Scienza Costruzioni, Ge”Per il mantenimento della memoria storica del Morandi. No alla demolizione precipitosa. Si all’analisi costi e benefici .. Le fondazioni già̀ ci sono e non hanno mai dato problemi, le parti in cemento armato sono in buone condizioni e ripristinare il calcestruzzo corticale con calcestruzzi ad alte prestazioni ed anche eventualmente fasciarle con materiali moderni come le fibre di carbonio è semplice ed economico. Gli stralli sono già̀ stati sostituiti”.
– 19 Settembre 2018, Ugo Carughi , “Genova, il paradosso del Ponte Morandi”, Corriere della Sera. “Il ponte sul Polcevera era un’opera di preminente carattere strutturale e funzionale, documentata sui libri di architettura e ingegneria di tutto il mondo…Esso costituisce piuttosto una straordinaria miniera di ricerca e di operatività̀ in cui il concetto di conservazione coincide con quello di innovazione, intesa come progresso sociale e culturale”.
– 25 settembre 2018, Gabriele Camomilla (ing. Autostrade fino al 2005 autore del restauro della pila 11 del Ponte Morandi negli Anni Novanta), “RESTAURO e RIPARAZIONE del PONTE MORANDI: le motivazioni tecniche di una scelta razionale”, INGENIO, magazine online: “Ponte Morandi, si parla solo di demolizione. Sorprende quindi che non si stia valutando, invece, quella che è la soluzione più̀ ragionevole: procedere con una verifica dell’esistente, seguita da una ricostruzione della parte crollata, utilizzando la sua fondazione. Questa scelta potrebbe dar luogo ad una struttura funzionale e durevole nel tempo, rispettando il vincolo spesso indicato di un anno”.
– 29 settembre 2018, Gabriele Camomilla “Salvare le parti integre, così ci vuole un quarto del tempoper riaprirlo”, “Ci sono 650 metri di ponte, passatemi la provocazione, in ottime condizioni. Se lo buttano giù̀, ci vorrà̀ il quadruplo per avere un ponte nuovo…”. L’ingegnere, che ha fatto manutenzione su oltre 200 ponti italiani, non vuole proprio sentir parlare di demolizione di quel che è rimasto in piedi del viadotto, crollato il 14 agosto provocando 43 morti. La maggior parte dei ponti italiani è messo peggio di quel che è rimasto del Morandi. Perché́ si devono buttare giù̀? Lei ha sentito qualcuno capace di dirlo in maniera ragionevole?”. Andrea Tundo Il fattoquotidiano.it.
– 1 Ottobre 2018, Luca Zevi (vicepresidente IN/ARCH), “Convegno in/arch ponte Morandi: è meglio restaurare e reintegrare”, Facoltà̀ Architettura, Sapienza Università̀ di Roma” Per ripristinare rapidamente e in piena sicurezza il sistema della mobilità urbana. Per restituire ai cittadini le loro case e gli insediamenti produttivi evacuati. Per non privare Genova di un’opera di eccellenza della Rivoluzione Industriale Italiana”.
– 9 Ottobre 2018, Vittorio Sgarbi, “Memento Morandi”, il Giornale“Dall’abbattimento del ponte uscirebbero due errori: la cancellazione di un episodio storicamente rilevante e la ricostruzione del nuovo ponte nello stesso luogo” “Senza alcun intervento, se non il consolidamento dei tronconi, si otterrebbe il risultato di conservare la testimonianza di una grande opera di ingegneria di cui eloquentemente parlano le rovine, senza provocare inconvenienti e condizioni di precarietà̀ agli abitanti”
– 11 Ottobre 2018, Francesco Karrer, Tullia Iori, Roberto Realfonzo, “Ripristinare Ponte Morandi? Soluzione rapida e sostenibile”, Il Sole 24 Ore, Milano.
2 4 settembre 2018, Il Secolo XIX Genova scriveva: “Venerdì̀ 8 settembre, a Genova, probabilmente in regione il primo incontro ufficiale tra ad di Autostrade Giovanni Castellucci e Giuseppe Bono di Fincantieri, società̀ partecipata da Cdp (cassa depositi e prestiti) e che il governo ha voluto fortemente come playmaker nel progetto di ricostruzione del ponte della A10. All’incontro anche Renzo Piano, l’architetto e senatore a vita genovese, che ha già̀ portato in dono alla città la sua idea di ponte: “che porti con sé i tratti della genovesità, della qualità̀ e un po’ della nostra parsimonia”. Al tavolo venerdì̀ anche Giovanni Toti e il sindaco BUCCI. Sarà la prima riunione sulla ricostruzione. L’idea di Ponte suggerita da Piano sarà̀ messa a disposizione dei tre studi di ingegneria che per conto di Autostrade e Fincantieri stanno già̀ lavorando a bozze e ipotesi”;
– 7 settembre 2018, Alessandro Cassinis, La Repubblica, informava che “Renzo Piano rivela i primi dettagli del progetto che questa mattina consegnerà̀ a Regione Liguria e comune di Genova nella riunione che Autostrade, Fincantieri e Cassa e depositi e prestiti. Mi piacerebbe che a costruirlo fosse qualcuno che fa navi. E il riferimento alle navi, non è casuale, suona come un benestare all’idea del governo di far costruire il ponte a Fincantieri Infrastrutture…Non decido io chi lo farà̀, ma non mi sembrerebbe sbagliato…Ma questa volta non sono stato io a propormi: sono stati il sindaco Marco Bucci e poi il governatore Giovanni Toti a chiedermi una mano…Non è una gara di progetti che io sappia… Non si possono fare concorsi per il ponte, perché́ non c’è tempo, mi hanno promesso che si faranno per il grande cantiere della Val Polcevera”.
– 12 Settembre 2018, Stefano Origone, La Repubblica, intervistava Marco Bucci, “Non mi importa chi lo fa purché́ sia finito in fretta” -” Ma lei come si muoverà̀? Voglio arrivare il più̀ in fretta possibile all’esecuzione del ponte. Questo è il mio obiettivo. Non vado a vedere se uno è più̀ bello dell’altro, anche perché́ ho un’offerta solo, non due o tre” “Che ne pensa dell’architetto Renzo Piano sul nuovo ponte? Vorrei che il suo progetto fosse realizzato. È un bel progetto e penso che sia quello di cui Genova ha bisogno”.
– 12 Settembre 2018, Massimo Minella, La Repubblica, era perentorio: “Fincantieri costruirà̀ il ponte per decreto– Apa, Uilm ‘Scelta Giusta’.
– 12 Settembre 2018, Michela Bompani, La Repubblica, “Toti, la terza via ‘Costruisce Fincantieri ma la concessione resta ad Autostrade’”.
– 5 Ottobre 2018, Matteo Pucciarelli, La Repubblica, “Genova, Bucci commissario ’Il nuovo ponte in 16 mesi, si riparte dal progetto Piano’”.
– 19 Novembre 2018, Massimo Minella, La Repubblica, “Bucci: molte aziende porteranno il progetto di Piano”.
– 20 Novembre 2018, Massimo Minella, La Repubblica, “Fincantieri, in attesa del nuovo Morandi ecco il primo ponte”.
– 27 Novembre 2018, Massimo Minella, La Repubblica, “Ponte, Piano ispira Fincantieri e Salini ‘Pronto in 12 mesi’”.
– 8 Novembre 2018, Michela Bompani, La Repubblica, “Giovanni Toti: Scelgo Piano, Genova gli deve tantissimo ma deve scegliere Bucci”.
Super sfruttamento e corruzione nel subappalto al cuore del sistema di produzione Fincantieri (*)
di Salvatore Palidda
Fincantieri è una delle più grandi aziende italiane quasi interamente di proprietà statale. Costruisce grandi navi da crociera ma anche per la marina militare di diversi Paesi e ha appena costruito il nuovo ponte a Genova. Per diversi decenni, questo colosso della costruzione navale civile e militare ha gradualmente ridotto i suoi dipendenti, ricorrendo sempre più al subappalto delle diverse lavorazioni. Venti anni fa alcuni operai miei studenti mi dissero che attraverso queste società di subappalto nei cantieri lavoravano anche lavoratori al nero e migranti privi di documenti. A Monfalcone, vicino a Venezia, in uno dei più grandi cantieri navali di Fincantieri oggi i dipendenti di questa grande azienda sono solo 2.500 mentre quelli del subappalto che svolgono la maggior parte del lavoro sono più di 14.000. Come racconta un sindacalista della CGIL, negli anni ‘70 i dipendenti diretti di Fincantieri erano 11 mila. L’80% del lavoro è oggi svolto mediante subappalto. In breve, Fincantieri ha scoperto la manna, scommettendo quasi tutto sul suo nuovo “sistema” di produzione basato sul subappalto.
Negli ultimi quindici anni, il “sistema Ficantieri” si è perfezionato: il subappalto è stato affidato sempre più ai cosiddetti imprenditori etnici, vale a dire bangladeshi, albanesi, marocchini e rumeni. In effetti, i funzionari di Fincantieri hanno scoperto che queste imprese e quindi i loro lavoratori erano una straordinaria manna senza precedenti. Questi imprenditori di origine immigrata, tutti appartenenti a reti della stessa nazionalità, hanno facilità di reclutamento di lavoratori connazionali che sono stati rapidamente assoggettati alle peggiori condizioni di lavoro e alle retribuzioni miserabili: 4 o 5 euro l’ora, fino a 14 ore di lavoro al giorno, senza indennità di malattia o per gli straordinari e sempre costretti a tacere con la minaccia di essere licenziati o addirittura picchiati da alcuni sgherri del capo. Tutto ciò si legge oggi nell’ordine di carcerazione di alcuni imprenditori etnici indagati nei siti Fincantieri di 10 città italiane: inquisite 19 aziende, 34 persone, tra cui 12 funzionari di Fincantieri attraverso 80 perquisizioni. Le indagini risalgono al 2015 e sono iniziate grazie a decine di denunce di lavoratori immigrati che hanno trovato il coraggio di farlo. Una volta arrestato, uno degli imprenditori “etnici” ha giocato a fare il pentito e questo ha contribuito a raccogliere prove contro il “sistema Fincantieri”.
Ali Md Suhag è un bangladeshi arrivato in Italia nel 1998, con suo padre e suo fratello, all’età di 15 anni. Ha iniziato a lavorare come operaio nell’azienda di Ali Mohamed, notabile della comunità bangladeshi in Veneto. Messo in cassa integrazione ha creato la sua attività seguendo i consigli di Mohamed. In breve tempo Suhag e suo fratello hanno creato diverse imprese per il subappaltato in Fincantieri. Suhag ha avuto più di 250 lavoratori e 4,5 milioni di fatturato (ufficiale) nel 2017. I funzionari di Fincantieri hanno scommesso su di lui perché ha sempre accettato contratti miserabili, il che lo ha costretto a ridurre il più possibile i salari dei suoi lavoratori e obbligarli a lavorare anche 14 ore al giorno a 4-5 euro l’ora, dando loro quello che in queste società di subappalto si chiama «paga globale». Ma ad alcuni ha dato ufficialmente una “ricca” retribuzione fino a 2.000 euro al mese, costringendoli però a restituire subito più della metà attraverso bonifici sui conti correnti di suoi famigliari. Come testimoniano molti lavoratori ha minacciato anche di far picchiare duramente coloro che si lamentavano. Suhag ha confessato di aver dato mazzette e regali di lusso ai funzionari Fincantieri per oltre 100 mila euro l’anno.
Per anni la Fiom-CGIL ha accusato Fincantieri di praticare l’iper-sfruttamento del subappalto, che aumenta anche il rischio di infortuni sul lavoro a causa del fatto che i lavoratori sono costretti a lavorare 14 ore al giorno senza le misure di prevenzione dei rischi peraltro obbligatorie per legge. Ma Fincantieri è come la Fiat di Agnelli, che non ha mai esitato a dire «la polizia non verrà mai a casa mia» e in effetti gli ispettorati del lavoro, della salute e le polizie non hanno mai messo piede in un cantiere navale tranne adesso grazie alle tante lamentele dei lavoratori.
Fincantieri ha sempre affermato che non è mai stato oggetto di inchieste giudiziarie in materia di subappalto e che ha firmato protocolli di legalità con il ministero dell’Interno e le Prefetture, «dedicando attenzione in particolare al rispetto delle norme sul rapporto di lavoro delle aziende con il subappalto». Inoltre, durante una conferenza, l’amministratore delegato di Fincantieri, Giuseppe Bono, ha dichiarato: «Ci mancano 6 mila persone… sono preoccupato perché nei prossimi 2-3 anni avremo bisogno di 5-6 mila lavoratori e non so dove andare a cercarli … abbiamo lavoro da dieci anni, abbiamo un tasso di crescita del 10%, ma sembra che i giovani abbiano perso il desiderio di lavorare … preferiscono fare rider a 600 euro al mese. Con noi un lavoratore medio guadagna 1600 euro». Secondo Roberto D’Andrea, coordinatore nazionale della Fiom-Cgil, «Fincantieri potrebbe assumere per prima i lavoratori del subappalto che oggi hanno una misera retribuzione e per nulla i 1600 euro di cui parla il signor Bono». E ancora la direzione di Fincantieri ha avuto il coraggio di rispondere: «Prendiamo atto delle posizioni ideologiche effimere di coloro che ovviamente sono molto lontani dalla conoscenza del sistema produttivo di Fincantieri (SIC!) e, molto probabilmente, del mercato del lavoro in generale. D’Andrea e Fiom, piuttosto che dedicarsi alle dichiarazioni senza ancorarsi alla realtà produttiva, dovrebbero preoccuparsi di collaborare attivamente per recuperare nel nostro Paese una vera cultura del lavoro, ma forse questo richiede troppo a un’organizzazione che durante gli ultimi anni ha perso in Fincantieri oltre il 10% dei suoi iscritti e che rappresenta solo il 15% dei dipendenti e si sta allontanando sempre di più dai lavoratori». Così Fincantieri canta la sua vittoria contro i sindacati indeboliti proprio a causa dello sviluppo del subappalto che sfrutta i lavoratori immigrati sottoposti al ricatto dei loro capi e quindi incapaci di aderire al sindacato.
Di fronte al clamore che ha avuto l’indagine giudiziaria in corso, Fincantieri ha di nuovo avuto la faccia tosta di dichiarare di essere assolutamente estranea ai fatti e che se le accuse saranno confermate la società adotterà misure immediate nei confronti dei propri dipendenti responsabili di comportamenti illeciti … «perché Fincantieri adotta i più alti standard di conformità operativa e normativa, per agire costantemente secondo i princìpi etici e la massima trasparenza». Da notare che due anni dopo l’inizio delle indagini giudiziarie, nessuno dei suoi 12 o 13 dipendenti pubblici accusati di corruzione e complicità nell’iper-sfruttamento dei lavoratori è stato licenziato o quantomeno sospeso. E come abbiamo visto prima, Fincantieri non smette di rivendicare con orgoglio il bene del suo sistema di produzione.
L’aspetto grave di tutta questa vicenda è che il governo finge di non sapere nulla mentre continua a blaterare di lotta alle economie sommerse, all’evasione fiscale e contributiva, alla corruzione. Fincantieri è la più grande azienda parastatale collegata anche attraverso Finmeccanica e Leonardo alla produzione di armamenti, vedi il settore più importante d’Italia. Non sorprende quindi che si accumulino prove sull’incredibile sviluppo delle economie sotterranee che riguardano sia il piccolo padrone che la grande impresa, attraverso la nebulosa che va dal precariato al lavoro semi-legale fino al totale illegale. Come prevedibile, questi fatti sono sfruttati anche dalla destra razzista che con Salvini non manca di dire che è colpa degli immigrati. Sarà quindi decisivo vedere se la giustizia perseguirà effettivamente Fincantieri o gli risparmierà la condanna per corruzione e per l’incitamento all’organizzazione criminale per il super-sfruttamento, l’evasione fiscale e contributiva, limitandosi forse a condannare solo pochi funzionari di questa impresa.
(*) pubblicato in francese qui : https://blogs.mediapart.fr/salvatore-palidda/blog/190720/hyper-exploitation-et-corruption-au-coeur-de-fincantieri
L’immagine – scelta dalla “bottega” – è di Mauro Biani
Con riferimento all’intervento del prof. Palidda, dal titolo “Super sfruttamento e corruzione nel subappalto al cuore del sistema di produzione Fincantieri”, riteniamo doveroso, a beneficio della comunità dei lettori del vostro blog, esporre alcune considerazioni volte a ripristinare la verità dei fatti.
Al di là delle opinioni personali del prof. Palidda, certamente opinabili e che in questa sede non meritano trattazione, dobbiamo ribadire, anche in questa occasione, la trasparenza e la correttezza dell’operato della nostra Società.
L’organizzazione del lavoro in Fincantieri, infatti, si basa su un modello produttivo che è conforme al dettato delle leggi italiane, è regolato da accordi condivisi con tutte le organizzazioni sindacali presenti al nostro interno e, dettaglio questo non trascurabile, è anche comune a tutta la cantieristica europea, ivi compresa quella francese.
L’accusa di favorire, in qualsiasi forma, lo sfruttamento dei lavoratori delle imprese appaltatrici e/o subappaltatrici che gravitano intorno alla Società è falsa e diffamatoria. Fincantieri ha sempre operato nel rispetto della legalità e si è sempre impegnata a promuovere ed assicurare la tutela di tutti i lavoratori e la trasparenza dei rapporti di lavoro, sollecitando le forze dell’ordine e collaborando con le stesse al fine di individuare e reprimere qualsiasi comportamento contrario alle norme di legge o comunque censurabile.
Quanto alla critica di non aver adottato provvedimenti verso il nostro personale coinvolto in un’indagine partita alla fine del 2019 e tutt’ora in corso, ribadiamo in primo luogo l’estraneità di Fincantieri a fatti che, qualora venissero confermati, la vedrebbero parte lesa in un eventuale procedimento giudiziale.
In secondo luogo è altrettanto evidente che Fincantieri adotterà i provvedimenti più idonei nei confronti del personale coinvolto soltanto all’esito degli accertamenti in corso da parte dell’autorità giudiziaria, laddove gli stessi dovessero confermare l’ipotesi di reato. Qualora tali provvedimenti fossero anticipatamente assunti, gli stessi costituirebbero una grave violazione dei diritti personali dei lavoratori coinvolti nonché del principio di presunzione di innocenza.
Da ultimo ci corre l’obbligo di precisare che ogni ricostruzione diffamatoria nei confronti della scrivente verrà perseguita presso le sedi competenti.