Monica Lanfranco: vecchiaia, l’età innominabile
«Essere una vecchia terribile ha degli aspetti positivi. Anche se la donna anziana è temuta e offesa non ha bisogno di preoccuparsi dell’ intolleranza altrui, poiché le donne che superano i 50 anni formano già uno dei gruppi più popolosi nella struttura del mondo occidentale. A condizione che si piacciano non sono destinate ad essere una minoranza oppressa. Per riuscire a piacersi devono rifiutare la tendenza estrema a banalizzare la loro identità e funzione. Una donna adulta non dovrebbe mascherarsi da ragazzina per rimanere nella terra dei vivi. Il risultato della capitolazione a questa pressione si trova nella galleria di ritratti grotteschi i cui tentativi patetici di ricominciare sono alla base delle riviste scandalistiche. Sono sempre esistite donne che ignoravano la lusinga dell’eterna giovinezza e accettavano di invecchiare, che convivevano col climaterio con un certo grado di indipendenza e dignità e cambiavano la loro vita per dare alla loro nuova condizione di adulte spazio per funzionare e fiorire. In un mondo infantile questo comportamento è visto come una minaccia. Nessuna sa cosa fare di una donna che non è sempre sorridente e adulante».
Sono le parole, chiarissime e provocatorie, di una grande pensatrice femminista, Germaine Greer, che dopo alcune opere ormai entrate nella storia della cultura, come L’eunuco femmina, scritto nel 1976 nel pieno del movimento di rivolta femminile, è stata tradotta in Italia qualche tempo fa con un’altro dirompente libro, pieno di verità scomode e sconcertanti, il cui forte messaggio di ribellione è già entrato nel quotidiano di molte: La seconda metà della vita.
Greer, quando lo scrisse nel 1992, lo intitolò Change, il cambiamento, quello voluto dalla natura, l’ultimo in ordine di tempo, che avviene nella vita e nel corpo femminile: la menopausa.
Su questo tema molto è stato già scritto: sin dai tempi di Noi e il nostro corpo, un testo degli anni ‘70 sulla salute del corpo e della mente a cura del Boston Women’s Health Collective e tradotto in tutte le lingue, il climaterio è stato uno degli argomenti che il femminismo ha tenuto maggiormente a illuminare, con fatica. Nel libro le autrici scrivevano: «l’immagine popolare rappresenta la donna in menopausa stanca, intrattabile, irritabile, bisbetica, poco attraente, insopportabile (sì che il marito a buon diritto cercherebbe la compagnia di un’altra donna) irrazionalmente depressa, terrorizzata dal cambiamento che segna la sua vita (ri)produttiva. La nostra idea della menopausa è stata senza dubbio influenzata da una pubblicità simile a quella comparsa su una ben nota rivista medica, in cui un uomo di mezz’età, evidentemente infastidito, compare vicino ad una donna scialba, dall’aria stanca. Il tipo di medicinale pubblicizzato combatteva «i sintomi della menopausa che tanto lo disturbano».
In meno di 25 anni la situazione delle società capitalistiche si sarebbe capovolta e l’esercito di donne e uomini sopra i 50 sarebbe diventato dominante sulle altre fasce d’età, generando nuovi consumi e nuovi problemi. Ma si può affermare che questa realtà abbia modificato, al di là del mercato, attentissimo ai mutamenti, la cultura e la sensibilità della nostra civiltà, rendendola più disponibile all’ascolto del mutamento e più attenta ai bisogni e alle istanze dell’età matura?
Se torniamo alla lapidaria definizione della Greer la risposta è negativa: questa nostra continua ad essere una «società infantile» (non perché abbia a cuore i suoi cuccioli, che anzi sfrutta e vìola in più modi), quanto piuttosto perché non vuole crescere, perdere i privilegi effimeri della giovinezza.
E capricciosamente continua a tentare di rimandare il momento in cui fare i conti con il proprio corpo, un corpo che oltre a offrire prestazioni, piacere, sesso, riproduzione inevitabilmente invecchia. Il passare del tempo, invece che evocare maggiore sapere e capacità di gestirlo e trasmettere turba, fa paura, crea immediatamente solo problemi nell’immaginario. C’è un detto popolare molto veridico che recita: «se un uomo sanguina è malato, se una donna sanguina è sana». Ed è proprio nel rituale del sangue, quando questo cessa di scandire la potenzialità riproduttiva femminile, che le parti si invertono. Fuori dal mercato del sesso, che ci vuole tutte giovani, sode e scattanti, virtù tra l’altro in dotazione solo di una piccola porzione di esistenza, e non equamente distribuite, le donne rischiano di sentirsi, e quindi di essere, invisibili.
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