Morire per Zelensky?
articoli, video e vignette di François Mitterrand, Alfonso Navarra, Angelo Gaccione, Alessandro Marescotti (sui tre giorni di mobilitazione dei pacifisti dal 21 al 23 ottobre), Yurii Sheliazhenko, Pepe Escobar, Fabio Mini, Giacomo Gabellini, Fulvio Scaglione, Sidney Lumet, Maurizio Acerbo, Francesco Dall’Aglio, Roger Waters, Vincenzo Comito, Enrico Peyretti, Manlio Dinucci, Sara Reginella, Tonio Dell’Olio, Peppe Sini, Donatella Di Cesare, Diana Johnstone, Francesco Masala, Roberto Mazzoni, Stefano Orsi, Marco Travaglio, Quino, Mauro Biani, Vauro, Benigno Moi, con un appello promosso da Richard Falk, Noam Chomsky, Jeremy Corbyn e persone del Sud Globale che vi preghiamo di sottoscrivere e far girare. A seguire una raccolta di firme (work in progress) da Torino
«La Francia non lo sa, ma siamo in guerra con l’America. Sì, una guerra permanente, una guerra decisiva, una guerra economica, apparentemente senza morti.
Sì gli Americani sono molto duri, sono voraci, vogliono un potere senza rivali sul mondo.
E’ una guerra sconosciuta, una guerra permanente, che sembra senza vittime, ma è una guerra a morte” (François Mitterrand)
È L’ORA DI FARE CHIASSO – Alfonso Navarra
”L’ora di fare chiasso”. Così Papa Francesco si è rivolto qualche giorno fa ai giovani riuniti ad Assisi per la salute della Terra, per la pace con il Creato-Natura, condizione indispensabile per la pace tra gli umani. Non si riferiva direttamente all’urgenza di scendere in piazza contro la minaccia atomica che emerge dalla guerra in Ucraina, ma l’esortazione si adatta perfettamente all’invito a darsi da fare adesso con una presenza diretta, non solo virtuale.
Non possiamo camminare sull’orlo dell’abisso nucleare che ci è stato spalancato facendo finta di nulla o limitandoci a digitare sulle tastiere dei PC!
Dovremmo essere dannatamente preoccupati. I sogni di grandezza di Vladimir Putin e il militarismo NATO stanno trascinando l’umanità verso la possibile autodistruzione, e non ha importanza chiedersi chi porti più responsabilità nell’escalation che sta tragicamente prendendo il via. Tra minacce sull’impiego di ordigni tattici e sulle “risposte conseguenziali e catastrofiche” si sta letteralmente giocando col fuoco atomico dentro una santabarbara pronta ad esplodere. Leggiamo di un invito a manifestare “senza bandiere di partito” da parte dell’ex premier Giuseppe Conte, a capo del M5S, che si dichiara pronto a supportare le mobilitazioni indette dai pacifisti. Finalmente! Noi, a denti stretti, gli abbuoniamo tutte le contraddizioni passate, lo prendiamo in parola, e gli ricordiamo l’appello di Europe for Peace per le giornate dal 21 al 23 ottobre: mobilitiamoci per fermare la guerra esigendo che si negozi subito. L’ONU convochi una conferenza internazionale di pace. Ci si potrebbe concentrare a Roma, forse domenica 23 ottobre, per una grande manifestazione nazionale unitaria. È un suggerimento che avanziamo alle grandi e piccole reti pacifiste. Eletti e attivisti cinque stelle, come di qualsiasi formazione politica, sarebbero benvenuti anche alle nostre iniziative decentrate, per attivare ascolto e dialogo. A Milano, ad esempio, noi Disarmisti esigenti ci troviamo in Piazzale Stazione di Porta Genova, sabato 22 ottobre, dalle ore 17:00 alle ore 19:00. In conclusione: svegliamoci tutti e portiamo le nostre differenze in qualcosa di fisico e collettivo che manifesti in modo visibile ed unitario la volontà pacifista che i sondaggi e i media attribuiscono al popolo italiano! Diceva lo scrittore Carlo Cassola, fondatore della Lega per il disarmo unilaterale: “Usiamo il senno del prima, perché non avremo più la possibilità del senno del dopo”!
Premio Nobel alla ONG ucraina che ha sostenuto la necessità della guerra e l’adesione alla NATO – Yurii Sheliazhenko (Ukrainian Pacifist Movement)
L’ONG Center for Civil Liberties (Ucraina) ha recentemente ricevuto il Premio Nobel per la Pace insieme ai difensori dei diritti umani russi e bielorussi. Qual è il segreto del suo successo? Insistere sul fatto che la guerra è necessaria e che non sono possibili negoziati
Fonte: https://worldbeyondwar.org/2022-nobel-committee-gets-peace-prize-wrong-yet-again
L’ONG Center for Civil Liberties (Ucraina) ha recentemente ricevuto il Premio Nobel per la Pace insieme ai difensori dei diritti umani russi e bielorussi.
Qual è il segreto ucraino del successo?
– Non fare affidamento sul sostegno dei cittadini locali, abbracciare i donatori internazionali con le loro agende, come il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e il NED (National Endowment for Democracy);
– sostenere l’adesione dell’Ucraina alla NATO, esprimendo riprovazione verso coloro che cercano un compromesso con la Russia e chiedendo all’Occidente di impegnarsi in una guerra contro la Russia da parte ucraina imponendo la no-fly zone e la consegna di armamenti;
– insistere sul fatto che la guerra è necessaria per la sopravvivenza e che non sono possibili negoziati;
– insistere sul fatto che le istituzioni internazionali sono inutili e che pertanto gli attivisti per i diritti umani devono chiedere armi per le forze armate ucraine;
– insistere sul fatto che solo Putin viola i diritti umani in Ucraina e solo l’esercito ucraino è un vero difensore dei diritti umani;
– non criticare mai il governo ucraino per la soppressione di media, partiti e personaggi pubblici filorussi;
– non criticare mai l’esercito ucraino per crimini di guerra, per violazioni dei diritti umani legate allo sforzo bellico e alla mobilitazione militare, come il pestaggio degli studenti da parte della guardia di frontiera per il loro tentativo di studiare all’estero invece di diventare carne da cannone, e nessuno dovrebbe sentirti dire nemmeno un parola sul diritto umano all’obiezione di coscienza al servizio militare.
Contro l’escalation bellica sosteniamo la mobilitazione dei pacifisti – Alessandro Marescotti
Mobilitazione nazionale dal 21 al 23 ottobre. Un’avventura senza precedenti sta iniziando. L’obiettivo è la vittoria e la riconquista della Crimea, con il tetro sfondo dello scontro nucleare. La giusta condanna dell’invasione russa in Ucraina non deve portare al disastro globale.
L’esplosione di un camion sul lunghissimo ponte Kerch che collega la Russia con la Crimea, che ha provocato un incendio e gravi danni alla struttura, è solo “l’inizio”: lo ha scritto su Twitter Mykhailo Podolyak, consigliere politico del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. “Tutto ciò che è illegale deve essere rimosso. Tutto ciò che è stato rubato deve essere restituito all’Ucraina”, si legge su Rainews.
L’Ucraina chiedeva agli Usa nuovi e più potenti missili Himars in grado di avere una gittata utile a colpire il grande ponte che rifornisce la Crimea e la collega alla Russia. Non avendoli ancora ottenuti, lancia un avvertimento. Il camion con esplosivo è un chiaro segnale di escalation.
L’attentato fa il paio con l’esplosione che ha danneggiato i gasdotti Nordstream. Due colpi a infrastrutture strategiche che servono alla Russia, all’interno di un’unica strategia.
L’Europa rischia di essere il vaso di coccio di una nuova guerra fredda globale
L’ex ministro degli Esteri polacco e attuale europarlamentare Radoslav Sikorski, subito dopo le esplsioni al ai gasdotti Nord Stream, aveva postato su Twitter una foto del luogo dell’incidente con la didascalia “Grazie, USA”. È utile menzionare le dichiarazioni del presidente degli USA del 7 febbraio 2022. Biden aveva affermato: “Se la Russia invade, voglio dire, se i suoi carri armati e le sue truppe attraversano di nuovo il confine con l’Ucraina, allora non ci sarà più il Nord Stream 2, ne segneremo la fine” e al giornalista che gli aveva chiesto come questo fosse possibile, visto che il gasdotto era sotto controllo tedesco, aveva risposto: “Te lo prometto, ce la possiamo fare”.
Volodymyr Zelensky all’Australian Lowy Istitute, think-thank che conduce ricerche politiche, aveva detto che per “escludere la possibilità dell’uso di armi nucleari da parte della Russia”, la Nato “dovrebbe colpire preventivamente”. In seguito ha cercato di smorzare le polemiche dicendo di essere stato frainteso.
La guerra incomincia a far saltare in aria direttamente le infrastrutture vitali della Russia e ciò segna una strategia militare inedita. Tutto questo rischia di avere conseguenze ancora più gravi per il futuro della guerra.
La mobilitazione di trecentomila nuovi soldati in Russia, da mandare in Ucraina, non può che portare la guerra allo scontro definitivo. Rilevante è il documento dei vescovi russi per il diritto all’obiezione di coscienza.
Siamo di fronte a un salto di qualità che ci lancia verso il buio di un’avventura senza precedenti. Altro che guerra per difendere la popolazione ucraina, andiamo verso il redde rationem. L’obiettivo è la vittoria. Per il governo ucraino l’obiettivo è la riconquista della Crimea, dove c’è la base navale russa di Sebastopoli, oltre che del Donbass.
Siamo di fronte alla più tetra delle prospettive: Zelensky firma un decreto per impedire ogni possibile trattativa mentre la Russia non esclude l’arma atomica nel caso venga minacciata la sua sicurezza e integrità territoriale.
E’ importante che non rimanga isolata la voce di Papa Francesco che sta continuamente richiamando i contendenti a uno sforzo di dialogo e di pace. E persino Elon Musk – schierato con l’Ucraina – diviene obiettivo di critiche da parte di Zelensky per un ragionevole piano di pace postato su Twitter.
Occorre scegliere la via più ragionevole: quella del negoziato. Occorre riappropriarci del buon senso smarrito in questo disastro della storia.
La giusta condanna dell’invasione russa in Ucraina non deve portare all’approvazione acritica di una escalation militare che scivoli verso la prospettiva di una terza guerra mondiale combattuta con armi nucleari.
E’ importante pertanto sostenere i tre giorni di mobilitazione dei pacifisti dal 21 al 23 ottobre e anche la vicina giornata del 15 ottobre a sostegno di Assange, voce della pace e dei diritti umani che rischia più di centosettanta anni di carcere se verrà processato negli Stati Uniti. Se le accuse contro di lui portassero ad una condanna esemplare, sarebbero a rischio tutti i giornalisti che raccontano la verità svelando i segreti militari USA.
PeaceLink mette a disposizione la sua piattaforma per segnalare gli appuntamenti città per città. E per dare voce a un’informazione non schierata militarmente. Giorno per giorno su sociale.network forniamo aggiornamenti – scelti in modo critico – sulla guerra in Ucraina, perché una delle principali vittime di questo conflitto è ormai la verità.
La cleptocrazia governa il mondo – Francesco Masala
Il complesso politico-industriale-militare che governa gli Usa (e anche la Gran Bretagna) non guarda in faccia nessuno, quando c’è da rubare, le ricchezze della Russia (leggi qui), le quote di mercato dei concorrenti economici, l’oro delle banche centrali di altri stati, i cervelli prodotti nelle università del mondo, insomma, la CLEPTOCRAZIA è nel loro dna.
Ma per non essere additati per quello che sono hanno costruito narrative contrarie alla realtà, e il metaverso non è altro che un’estensione di questi mondi alternativi e paralleli, e narrative, che convivono, vince che ha i sistemi di controllo e diffusione delle informazioni e gli strumenti dello spettacolo più furbi e bastardi, che quasi mai coincidono con quelli più veri o più giusti.
I passaggi sono i seguenti:
quando uno stato ladro decide di rubare, seguono diversi gradini e ipotesi:
lo stato oggetto di furto è felice di essere derubato, allora viene derubato (oggi gli stati europei, per esempio);
lo stato oggetto di furto non è felice di essere derubato, allora iniziano le sanzioni;
lo stato oggetto di furto sopporta le sanzioni, sia pure con molte difficoltà, lo si invade (Iraq, per esempio)
lo stato oggetto di furto sopporta le sanzioni, sia pure con difficoltà, e ancora non viene invaso, ma non sappiamo per quanto (Cuba e Venezuela, per esempio)
lo stato oggetto di furto sopporta le sanzioni, e si permette di resistere, deve essere schiacciato militarmente, economicamente, giuridicamente, umanamente (la Palestina e Gaza, per esempio)
quando non basta quanto sopra ricordato ci sono i rimedi estremi, guerra, colonialismo, genocidio (Europa docet).
(da: AA.VV., La cleptocrazia, motore e dannazione del mondo)
La logica è morta – Angelo Gaccione
Da quando la Russia ha minacciato l’uso delle armi nucleari, un coro di farisei ha cominciato a battersi il petto. “Che scandalo! Che irresponsabilità! Non si dovrebbe mai ricorrere a queste armi! È immorale, è criminale!”. Lo hanno fatto la Nato, i governanti americani, i loro alleati governanti europei, i gazzettieri e i commentatori che impazzano nei vari salotti televisivi. Perché i russi non dovrebbero usare le armi nucleari a loro disposizione? Avete una risposta logica e sensata a questo interrogativo? Non ci avete sempre detto che le armi di cui come Stati e Governi vi siete dotati servono per fare la guerra? Se ve ne siete dotati così abbondantemente è perché avete sempre avuto in mente di usarle, se non volevate usarle non dovevate procurarvele, mi pare che il ragionamento non faccia una grinza. “Ma queste armi sono criminali” rispondete serafici. Se queste armi sono criminali come sostenete, i criminali siete indistintamente tutti voi (Stati e Governi di ogni luogo e colore) che le avete prodotte, ve ne siete dotati e le ospitate negli arsenali delle vostre nazioni. “Ma era solo per una efficacia opera di dissuasione” ribattete ora, e improvvisamente vi siete accorti che queste armi possono cancellare l’intero genere umano di cui fate indegnamente parte. E se la Russia è ostinata e non si dissuade? “Risponderemo con le armi nucleari in nostro possesso” hanno ribattuto gli Stati Uniti a cui gli alleati della Nato si sono genuflessi. Oh, finalmente un parlare chiaro! Occhio per occhio, dente per dente, apocalisse per apocalisse. Ci vuole coerenza a questo mondo. Vedete che le armi nucleari ve le siete procurate per servirvene all’occorrenza? Solo non vi siete mai chiesti se fosse criminale possederle, se fosse criminale usarle, se fosse spaventoso cancellare l’intero genere umano. Non vi siete preoccupati delle conseguenze e degli esiti, e non avete usato la logica com’era necessario. È una merce rara la logica, si sa, e non è disponibile al supermercato. Ma ora siete in trappola: o il primo colpo o desistere; desistere per continuare ad esistere. Non avete scelta.
Un appello per la pace a tutti coloro i quali hanno a cuore il futuro dell’umanità e del pianeta
(promosso da Richard Falk, Joseph Camilleri, Chandra Muzaffar e sostenuto da tante altre personalità del mondo intero)
L’umanità ha raggiunto un punto di svolta. È tempo che i governi, le istituzioni internazionali e le persone di tutto il mondo facciano il punto della situazione e agiscano con rinnovata urgenza.
Il conflitto in Ucraina sta infliggendo morte, ferite, sfollati e distruzione, aggravando la crisi alimentare globale, portando l’Europa alla recessione e creando onde d’urto nell’economia mondiale.
Il conflitto su Taiwan minaccia di degenerare in una vera e propria guerra che devasterebbe Taiwan e trasformerebbe l’Asia orientale in una polveriera.
Ancora più preoccupante è la relazione tossica tra gli Stati Uniti da un lato e la Cina e la Russia dall’altro. Qui risiede la chiave di entrambi i conflitti.
Quello a cui stiamo assistendo è il culmine di decenni di evidente malagestione della sicurezza globale. Gli Stati Uniti non sono stati disposti ad accettare, e tanto meno ad adattarsi, all’ascesa della Cina e al riemergere della Russia. Non sono disposti a rompere con le nozioni obsolete di dominio globale, retaggio della Guerra Fredda e del trionfalismo seguito al crollo dell’Unione Sovietica.
È in atto un cambiamento nel potere globale. Il mondo occidentalocentrico, in cui prima l’Europa e poi gli Stati Uniti hanno avuto la posizione di dominio, sta lasciando il posto a un mondo multicentrico e multilaterale in fatto di civiltà, in cui altri centri di potere e di influenza esigono di essere ascoltati.
La mancata accettazione di questa nuova realtà comporta un pericolo immenso. È in pieno svolgimento una nuova guerra fredda, la quale può trasformarsi in qualsiasi momento in una guerra calda. Secondo le parole del Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, “l’umanità è a un dipresso dall’annientamento nucleare, a causa di un malinteso, a causa di un errore di calcolo”.
Anche se l’apocalisse nucleare è scongiurata, la discordia tra gli Stati dotati di armi nucleari impedisce la risoluzione cooperativa dei problemi, la fornitura di beni pubblici globali e un sistema Onu efficace e indipendente.
Per essere all’altezza della sfida abbiamo bisogno di una risposta coerente, sostenuta e multiforme da parte dei governi e delle istituzioni internazionali, ispirata e guidata da una società civile sempre attenta e impegnata. Sono diversi i passi da compiere, alcuni immediati, altri a più lungo termine.
I primi passi debbono mirare a porre fine al conflitto in Ucraina e a disinnescare le tensioni su Taiwan. Sono necessari sforzi più sostanziali per promuovere un quadro di coesistenza cooperativa tra Stati Uniti, Russia e Cina – un elemento essenziale per la costruzione della pace in Europa e in Asia.
A tal fine, riteniamo che il Segretario Generale delle Nazioni Unite o un gruppo di medie potenze – idealmente meglio entrambe le parti, agendo di concerto – potrebbero avviare un’iniziativa su più fronti volta a garantire un cessate il fuoco efficace e duraturo in Ucraina e l’allentamento delle tensioni su Taiwan.
Nel caso dell’Ucraina, l’obiettivo deve essere quello di garantire la cessazione di tutti i combattimenti da parte delle forze russe e ucraine e dei gruppi separatisti operanti nella regione del Donbass. Si tratterebbe di un cessate il fuoco monitorato da un gruppo delle Nazioni Unite che riferisca regolarmente e direttamente al Segretario Generale dell’Onu.
Tuttavia, è improbabile che un cessate il fuoco possa durare a lungo senza una soluzione duratura del conflitto russo-ucraino. Questa dipenderà a sua volta dalla fine dell’uso cinico della guerra in Ucraina da parte di grandi potenze intenzionate a perseguire le proprie ambizioni geopolitiche. Solo allora sarà possibile conseguire
– il ritiro graduale delle forze militari russe;
– la fine della fornitura di aiuti militari letali all’Ucraina;
– una politica di neutralità costituzionalmente sancita per l’Ucraina;
– la risoluzione delle questioni giurisdizionali, in particolare la Crimea e la regione del Donbass, insieme a un processo volto a sanare le animosità regionali, etniche e religiose all’interno dell’Ucraina.
– Tutti i prigionieri di guerra, i rifugiati e i civili in cattività devono essere restituiti ai rispettivi Paesi e tutti i loro diritti devono essere rispettati come previsto dalle Convenzioni di Ginevra.
Questi accordi dovranno essere integrati da un accordo più ampio che coinvolga altre parti interessate, al fine di assicurare: un programma internazionale adeguatamente finanziato per affrontare la crisi umanitaria in Ucraina; garanzie internazionali per salvaguardare l’indipendenza, la neutralità e l’integrità territoriale dell’Ucraina; la rimozione di tutte le sanzioni imposte alla Russia e il ripristino di normali relazioni commerciali.
Nel caso del conflitto di Taiwan, il primo passo deve essere quello di allentare l’attuale livello di tensione. A tal fine, la comunità internazionale dovrebbe riaffermare i principi enunciati nel comunicato di Shanghai del 1972, in particolare il principio “una sola Cina”, che oggi gode di un ampio sostegno internazionale. In linea con questo principio, la comunità internazionale deve utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione per dissuadere Taiwan dal fare qualsiasi dichiarazione unilaterale di indipendenza. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, insieme all’Asean, è nella posizione ideale per condurre questa linea d’azione.
Queste iniziative, relativamente a breve termine, devono aprire la strada a una serie di consultazioni interconnesse, culminanti in una conferenza internazionale, il cui scopo principale sarebbe quello di definire una nuova architettura di sicurezza globale, sostenuta da adeguate riforme della governance mondiale e finalizzata a:
- Fermare la marcia verso la completa distruzione nucleare e avviare un programma ambizioso per il disarmo nucleare, iniziando con una serie di accordi per il controllo degli armamenti e il disarmo e portando, entro un determinato lasso di tempo, all’adesione universale al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari;
- Rispecchiare la realtà di un mondo multicentrico e multilaterale in fatto di civiltà, rispettoso dell’indipendenza e dei diritti legittimi di tutte le nazioni sovrane e in cui nessun attore miri ad esercitare ambizioni imperiali o egemoniche.
- Enunciare i principi di sicurezza comune, cooperativa e globale e tradurli in accordi regionali efficaci, soprattutto in Europa e nella regione Asia-Pacifico;
- Avviare una serie di misure in grado di invertire la militarizzazione del sistema internazionale, tra cui la limitazione della portata e degli obiettivi delle alleanze militari e del dispiegamento di forze militari all’estero, nonché la progressiva riduzione dei bilanci militari nazionali, reindirizzando così le risorse verso aree di urgente necessità sociale, economica e ambientale;
- Avviare una profonda riforma delle istituzioni internazionali, in particolare del sistema delle Nazioni Unite, in modo che possano rispondere in modo più efficace e cooperativo alle minacce esistenziali, in particolare al cambiamento climatico, alla perdita di biodiversità e alle pandemie presenti e future.
Tutto questo non avverrà senza un massiccio risveglio globale della saggezza e dell’energia umane. Per quanto importanti siano i governi e le istituzioni internazionali, l’iniziativa per una risposta coerente alle sfide che dobbiamo affrontare spetta in gran parte alle persone, alla società civile.
È necessaria una leadership di vario tipo. Ecco perché questo messaggio è rivolto anche a intellettuali, artisti, scienziati, giornalisti, capi religiosi, sostenitori e altri cittadini impegnati.
Parimenti, abbiamo in mente i gruppi che si occupano dei diritti dei popoli indigeni, degli aiuti e dello sviluppo, della risoluzione dei conflitti, delle libertà civili e dei diritti umani, della violenza contro le donne, dei rifugiati e dei richiedenti asilo, dei cambiamenti climatici e delle altre minacce all’ambiente, della salute pubblica (non ultima la Covid), della giustizia per i poveri e per gli emarginati e della diversità etnica, religiosa e culturale.
TUTTI sono colpiti negativamente dal confronto tra grandi potenze, dalle leggi oppressive sulla sicurezza, dall’aumento dei bilanci militari e dalle attività militari distruttive, per non parlare della prospettiva di una catastrofe nucleare.
TUTTI hanno un ruolo cruciale da svolgere.
Anche i sindacati, le reti professionali (nel campo dell’istruzione, della legge, della medicina, dell’assistenza infermieristica, dei media e delle comunicazioni), le organizzazioni di agricoltori, gli enti religiosi, i gruppi di riflessione incentrati sull’uomo e i centri di ricerca hanno molto da contribuire alla discussione per un futuro abitabile.
È tempo che le persone di tutto il mondo assumano l’iniziativa, individualmente e collettivamente, per avviare discussioni, piccole e grandi, formali e informali, in rete e di persona, utilizzando la parola scritta e parlata, nonché le arti visive e dello spettacolo.
Questo è un momento di riflessione collettiva sulla situazione attuale, sulla direzione da prendere e sui passi necessari per arrivarci.
La posta in gioco è alta. Abbiamo bisogno di un pensiero coraggioso che metta in connessione le persone e le questioni, all’interno dei Paesi e tra i Paesi stessi. Dobbiamo ravvivare e riformulare la discussione sulla sicurezza globale. Non c’è un momento da perdere.
Clicca qui per firmare la petizione
https://www.change.org/p/to-all-who-care-about-humanity-s-and-the-planet-s-future
Zelenkenstein – Marco Travaglio
(Il Fatto Quotidiano 8.10.2022)
Prima o poi doveva accadere. Bastava aspettare. Dopo averlo rimpinzato di miliardi e di armi, gli Usa scoprono che il governo Zelensky “manca di trasparenza” sia nelle azioni belliche in Ucraina sia sui “piani militari sotto copertura su territorio russo”. Tipo quando ha organizzato a Mosca l’omicidio di Darya Dugina (che forse comprendeva quello del padre Alexander Dugin, filosofo putiniano, fallito per un soffio) senza consultare Washington. Finora l’interesse di Usa e Ucraina (e talvolta perfino della Russia) all’escalation per una guerra infinita coincidevano: solo l’Europa aveva l’interesse opposto, anche se i suoi folli governi continuano a sanzionare e dissanguare i propri popoli. Ma ora l’avvertimento Usa a Kiev e l’allarme di Biden sull’Armageddon potrebbero dare una svolta alla guerra. Magari fra un mese, dopo le elezioni di mid-term. L’importante è che, se non i governi europei più votati al bellicismo beota (tipo il nostro), almeno Washington comprenda che la giusta solidarietà col popolo ucraino aggredito dai russi non va confusa con l’obbedienza cieca, religiosa, al verbo di Zelensky. Le sue continue richieste e pretese saranno anche legittime, ma andrebbero vagliate una per una e non subite come dogmi di fede, perché non è detto che i suoi interessi coincidano con quelli del suo popolo, né tantomeno con i nostri.
Per troppo tempo gli abbiamo lasciato fare e dire di tutto, pendendo dalle sue labbra. Si presentava al Parlamento greco con un nazista di Azov, e tutti zitti. Metteva fuorilegge gli undici partiti d’opposizione arrestandone il capo, e tutti zitti. Avallava feroci rappresaglie sui “collaborazionisti” russofoni, e tutti zitti. Spacciava bufale come i missili russi sulla centrale di Zaporizhzhya o la camera di tortura con denti d’oro strappati alle vittime, e tutti zitti. Ci intimava di rinunciare al gas russo che lui seguitava a comprare, incassando pure i rubli per i diritti di transito del gasdotto, e tutti zitti. Vietava per decreto ogni negoziato con Putin, e tutti zitti. Anzi, porte aperte per Ue e Nato, gratis. La scusa era che Putin è infinitamente peggio di lui e la Russia è l’aggressore e l’Ucraina l’aggredito, come se qualcuno lo negasse (almeno dal 24 febbraio). Come se chi vuole negoziati fosse putiniano. E come se non dovessimo pretendere dall’alleato che finanziamo e armiamo condotte più civili di quelle del nemico che combattiamo. Ora che gli Usa svelano l’azione terroristica di Kiev su una donna di 29 anni, rea soltanto di esser figlia di suo padre, si scopre che Frankenstein è sfuggito di mano ai suoi creatori americani ed europei. I quali ora, sulla spinta – si spera – di tante piazze piene, dovranno indicargli l’unico obiettivo possibile: il negoziato di pace, non l’olocausto nucleare.
Per una cultura della pace – Enrico Peyretti
Assumo questo presupposto: la politica è vivere insieme, non è anzitutto lotta. È anche confronto, dibattito vivace, competizione, ma senza violenza: se è vita insieme è nonviolenza. Vivere insieme è vivere molti (polis), differenti tutti, senza esclusioni, al meglio possibile di umanità: sentire che l’altra persona ‒ carne e spirito ‒ è una edizione diversa e unica di me, e io sono copia diversa e unica di lei. La città politica è “con-differenza”. La pace è tra differenti. In un altro momento ci faremo anche l’obiezione: è possibile la difesa dalla guerra senza la guerra di difesa?
Oggi abbiamo la rivelazione dell’era atomica: la politica intesa come lotta totale tra gruppi umani è la morte totale. Ciò rivela che la politica-lotta conduce all’estremo onni-distruttivo. La politica, in modi più o meno giusti, è comunque l’uscita dalla lotta di tutti contro tutti. Perciò, la politica è pace: è com-posizione delle differenze (le differenze stanno insieme), è anche dinamica, dialettica, polemica, non è statica, ma è con-vivere: “vita tua vita mea”; ogni vita vive anche delle altre vite, pur dialetticamente, ma sim-bioticamente, non in alternativa eliminatoria. È regolazione della società, del vivere da soci per uno scopo comune, o scopi com-possibili.
Ogni offesa a una persona ferisce la politica, ferisce tutti, perché hanno bisogno di quella vita, che non sia offesa, compressa, ma libera, espressa. La politica è pace sufficiente, oppure non è politica. Non è lotta per prendere il potere sugli altri, ma azione collettiva, dialettica, per vincere i mali che riducono la giustizia reciproca. Per Gandhi la politica: «non è potere, ma amore», cioè disposizione sostanzialmente favorevole verso gli altri (Roberto Mancini, Gandhi. Al di là del principio di potere, Feltrinelli). Di «amore politico» parla anche Francesco in Fratelli tutti.
Un ruolo politico non consiste nell’imporre a tutti la propria volontà, o la volontà di una parte su tutti, ma è l’incarico, qualificato dai valori e capacità dell’incaricato, di lavorare per il bene comune, di tutti, non contro qualcuno, salvo impedire azioni antisociali. Perciò, in un sistema politico giusto, il potere è affidato con limiti e contrappesi che lo incanalano al suo fine, che non è un vincere, una vittoria, ma un onere, un incarico.
Inoltre, come già accennato, oggi l’umanità è unica, la sorte è comune, non è più separabile tra sommersi e salvati: vedi pandemia, inquinamento, radiazioni nucleari, influenza reciproca delle economie… In questo quadro umanistico-planetario, nuovo in confronto al passato, quando eravamo isole di civiltà, si pone il problema pace-guerra: la guerra è violenza organizzata, non è una singola azione violenta; non è solo il male che è nell’uomo (a volte lupo per l’altro uomo), ma è la strutturazione della volontà distruttiva, è istituzione, sistema.
La guerra nega la politica, nega il diritto alla vita non minacciata, cioè giusta. La quale politica non consiste nella tensione “amico-nemico” (Carl Schmitt): terra e sangue; confine, nazione. Con questa idea siamo arrivati alla possibilità concreta di distruggerci tutti. Ma oggi, nell’onni-connessione, e nel rischio massimo nucleare, nonostante le divisioni, il mondo è unico, unica è l’umanità. Eppure oggi di nuovo vediamo intendere la politica come guerra, negazione della politica umana: imperi opposti, guerra di imperi, intenti di sopraffazione, di unificazione violenta, diseguale, pericolosa. Gli imperi che si oppongono sono visioni false, allucinazioni: i confini sono più che mai artificiali: l’ambiente, le risorse, la comunicazione, la connessione, l’inter-influenza, sono realtà e anche valori indivisibili; gli imperi tagliano la vita dell’umanità, unica e poliedrica. Tagliano con fendenti dolorosi che sono autolesioni perché di fatto l’umanità è un corpo unico.
Nella nuova inter-società, la guerra è crimine, non è confronto di capacità e di soluzioni vitali. Il soldato (senza offesa per i singoli, che sono vittime) è un boia mandato ad uccidere; a costo di morire lui stesso pur di uccidere. Qui avviene la massima strumentalizzazione della persona umana, massima immoralità, direttamente denunciata da Kant (1795, Progetto filosofico per la pace perpetua, Art. 3 preliminare). Il reclutamento forzato dei riservisti, in questo settembre in Russia (e dovunque accada), è azione paragonabile allo schiavismo. Se questa accusa di massimo antiumanesimo è “vilipendio” delle forze armate, delle istituzioni e tradizioni militari, sia pure: è condanna di un’azione vile verso la dignità umana del soldato. Non viene offesa solo l’umanità del nemico ucciso, ma la stessa umanità del soldato che lo uccide. A questo si rifiutano gli obiettori di coscienza, a costo di condanna, ieri in Italia, oggi in Ucraina e Russia. La condanna della milizia non è offesa di valori umani reali, della Patria come nazione, tradizione, cultura: noi siamo grati a questa terra e popolo e linguaggio. La condanna della milizia condanna la logica dell’orgoglio separato e della vile forza omicida.
L’omicidio bellico è persino glorificato: chi muore per uccidere è celebrato: “Dulce et decorum est pro patria mori“. Nei monumenti ai “caduti”, che sono invece ammazzati, l’estrema offesa retorica è scolpita nelle lapidi. Sto leggendo Nuto Revelli, L’ultimo fronte: sono le lettere dei dispersi in Russia, voci dall’oltretomba. Allora soffrivano, ma non sapevano del tutto l’uso che veniva fatto di loro. Oggi sono sentenze. C’è un pensiero di Pascal: basta un fiume a tagliare l’umanità. «Perché mi uccidete?». «E che? Non abitate forse sull’altra sponda del fiume? Amico, se abitaste da questa parte, io sarei un assassino, e sarebbe ingiusto uccidervi in questo modo, ma poiché abitate dall’altra parte, io sono un valoroso, e quel che faccio è giusto». (Pensieri, Edizioni Brunschwieg, 293). Ma la guerra è il delitto, perché nessun fiume taglia l’umanità. La frontiera nazional-militare (non puramente amministrativa), sacralizzata, offende chi è fatto “nemico”, perciò de-umanizzato: questo è il vero “vilipendio” dell’umano diverso da noi, che è relazione positiva necessaria ad ognuno di noi.
Inoltre, oggi la guerra diventa fisicamente impossibile, perché è possibile la guerra totale, autodistrttiva: non serve a nessuno, non serve al potere, non c’è vittoria, c’è solo crimine. Non è solo impossibile fisicamente, perché non distingue più vivi e morti, ma impossibile anche moralmente: per giustificare la guerra e sopportarne i dolori il risultato doveva migliorare la situazione precedente. La guerra oggi migliora qualcosa? E forse migliorava ieri? Già Kant, con sentenza lapidaria: «La guerra fa più malvagi di quanti ne toglie di mezzo». È mai conveniente? E anche psicologicamente diventa impossibile: posso accettare la guerra alla Cina mentre vado a cenare al ristorante cinese, e faccio amicizia coi cinesi? Benedetta immigrazione se ci educa alla varietà umana, differente e uguale!
Oggi la politica si rivela come deve essere per essere umana: è esigenza di pace. La rivoluzione-avanzamento nel cammino umano oggi è la pace politica strutturale, strutturata. Per Hegel e Croce, la guerra rinnova l’acqua stagnante. Per i futuristi è igiene del mondo! In realtà: la guerra si rivela la morte del mondo umano! Non vogliamo affatto una pace negativa, stagnante, ma una vita dinamica, dialettica, che esclude solo la violenza. Stagnante è la morte inflitta, la violenza. Perciò il “pacifismo” appare idea negativa, vuota, solo non-guerra. L’idea-guida non è il pacifismo, ma la nonviolenza attiva: l’assunzione e anzi la messa in evidenza dei conflitti, che sono la dinamica delle differenze arricchenti, purché gestiti con la nonviolenza attiva, con l’azione resistente alla violenza, e costruttiva di giustizia.
Nessuno ora è al sicuro – Pepe Escobar
…Ora è dolorosamente chiaro che i guanti di velluto imperiali sono stati tolti quando si tratta di vassalli. Indipendenza dell’UE: verboten. Cooperazione con la Cina: verboten. Connettività commerciale indipendente con l’Asia: verboten. L’unico posto per l’UE è quello di essere economicamente sottomessa agli Stati Uniti: un pacchiano remix del 1945-1955. Con un perverso ritocco neoliberista: noi possederemo la vostra capacità industriale e voi non avrete nulla.
Il sabotaggio del NS e NS2 è insito nel sogno bagnato imperiale di spezzare la massa terrestre eurasiatica in mille pezzi per impedire un consolidamento trans-eurasiatico tra Germania (che rappresenta l’UE), Russia e Cina: 50 trilioni di dollari di PIL, a parità di potere d’acquisto (PPP), contro i 20 trilioni degli USA.
Dobbiamo rivolgerci a Mackinder: il controllo della massa terrestre eurasiatica costituisce il controllo del mondo. Le élite americane e i loro cavalli di Troia in Europa faranno di tutto per non rinunciare al loro controllo.
In questo contesto, le “élite americane” comprendono la “comunità di intelligence” pazzoide e straussiana, infestata dai neocon, e le Big Energy, Big Pharma e Big Finance che le pagano e che non solo traggono profitto dall’approccio alla guerra perenne dello Stato profondo, ma vogliono anche fare il colpaccio con il Grande Reset architettato a Davos.
The Raging Twenties [I Furenti Anni Venti] sono iniziati con un omicidio – quello del generale Soleimani. Far saltare in aria i gasdotti fa parte del seguito. Ci sarà un Highway to Hell [un’autostrada per l’inferno] fino al 2030. Tuttavia, per prendere in prestito da Shakespeare, l’inferno è sicuramente vuoto, e tutti i diavoli (atlantisti) sono qui.
https://www.youtube.com/watch?v=paLOEI7ogUI
Razzolare male e predicare bene – Fabio Mini
Signori dell’interventismo – Joe Biden sostiene che i referendum di annessione russa nel Donbass sono una farsa. Ma dimentica centinaia di operazioni militari Usa che hanno calpestato il diritto internazionale
Il coro intonato dal presidente Biden unisce tutti gli alleati, o quasi, e si amplifica mediante la solita propaganda: il referendum russo nei territori occupati in Ucraina è una farsa, l’annessione è illegale e viola il diritto internazionale.
Gli Stati Uniti non ne riconosceranno la validità e perciò nessun paese alleato o amico può obiettare, altrimenti guai. Con l’annessione, Putin ha sancito l’esclusione di qualsiasi negoziato futuro. Quindi la guerra continua.
Sommessamente: ma sanno di cosa stanno parlando? Certo e anche bene. Noi cosiddetti “occidentali” siamo i paladini del diritto internazionale, che non definisce farsa nessuno strumento di consultazione popolare e noi italiani siamo specialisti di referendum anche se poi se ne ignorano i risultati. L’annessione russa non è uscita dal cilindro del mago: è il primo risultato di un processo bellico che tende a sottrarre tutto o parte del territorio alla sovranità di uno stato avversario.
Quando poi, come nel caso del Donbass, si tratta di territori sottratti a uno Stato che perseguita e massacra una minoranza localizzata, si può perfino parlare di “liberazione” e invocare la “responsabilità di proteggere”.
In merito alla sottrazione di sovranità ai danni di un paese membro delle Nazioni Unite, possiamo tranquillamente dare lezioni al mondo intero: abbiamo sottratto alla sovranità della Serbia una parte di proprio territorio creando un danno enorme a parte della sua popolazione. Con le armi abbiamo sottratto sovranità all’iraq, all’afghanistan, alla Libia, alla Siria, al Libano ecc. Le guerre o le “operazioni militari” tipo quelle dell’onu e della Nato nei Balcani e in Asia Centrale, quelle delle varie “coalizioni di “volenterosi” o di “recalcitranti” in Medioriente e Africa, quelle unilaterali come l’arabia Saudita nello Yemen, la Francia in Chad, Israele in Libano, Siria e Iraq o gli Stati Uniti in tutto il mondo, da sempre.
Quando nel 1963 Dean Rusk, segretario di stato di J.F. Kennedy, si presentò al Congresso per perorare l’autorizzazione all’intervento militare e della Cia a Cuba, un membro si azzardò ad affermare che gli Stati Uniti “non fanno queste cose”. Rusk allora tirò fuori dal suo carteggio l’elenco di 168 operazioni militari all’estero svolte dagli Stati Uniti dal 1780 al 1945 con e senza l’autorizzazione del Congresso.
Questo dato sorprendente relativo a un secolo e mezzo di storia americana, quando gli Usa non erano ancora una superpotenza, impallidisce di fronte a quello dei periodi successivi. Dai rapporti del Congressional Research Service aggiornati nel 2009 e nel 2021 risultano effettuate altre 100 operazioni militari dal 1945 al 1999 (54 anni) e ben 184 dal 1999 al 2021 (22 anni). E questo senza contare le centinaia di operazioni coperte effettuate dalla Cia con personale e fondi non militari. Rusk concluse la sua esposizione dichiarando che “l’intervento militare all’estero è una costante geopolitica degli Stati Uniti”, ma non convinse il Congresso.
Dopo di lui la costante si è trasformata in esigenza e la politica militare statunitense non è la stampella della politica estera ma la sua guida. La costante è anche diventata il motivo di orgoglio nazionalistico che ha giustificato e consentito l’enorme spesa militare e l’ingerenza in tutti gli affari del pianeta. Per questo la presidenza degli Stati Uniti ha ottenuto l’appoggio bipartisan o quello maggioritario per ogni tipo di intervento militare.
Se da un lato sappiamo bene come sottrarre sovranità, dall’altro disconosciamo il fatto che tale sottrazione manu militari segue sempre la minaccia e/o l’occupazione. Quest’ultima è uno degli istituti più antichi del Diritto internazionale bellico (così si chiamava giustamente fino a quando non fu ipocritamente cambiato in Diritto internazionale umanitario).
Il termine “occupazione” non è una esagerazione, una interpretazione ideologica o un crimine. I Regolamenti dell’aja del 1907 (inclusi nelle Convenzioni di Ginevra) definiscono l’occupazione militare come la situazione “de facto” (ovvero che prescinde da qualsiasi dichiarazione formale) nella quale forze militari di qualsiasi natura ed entità di un paese esercitano in un altro paese o parte di esso le funzioni di sicurezza. La potenza occupante ha degli ovvi diritti, ma ancor più stringenti doveri di protezione e sussistenza nei confronti della popolazione civile occupata. L’occupazione de facto attuata durante tutte le operazioni citate raramente ha tenuto conto di questa responsabilità. Anzi proprio per evitarla si è sempre cercato di “restituire” alle forze armate del paese occupato il compito della sicurezza anche se in condizioni di dipendenza e incapacità.
Referendum e annessione non saranno riconosciuti e quindi non validi. Sbagliato: i referendum (e quindi i risultati) sono automaticamente riconosciuti quando sono monitorati da organi internazionali. In ogni caso tale riconoscimento non è necessario ai fini della validità. Ogni paese può dire e condannare quello che vuole, ma è il paese che ha indetto il referendum ad assumersene la responsabilità. Il parere degli altri è prettamente politico e non giuridico.
Dell’occupazione e annessione russa in Georgia, Crimea e Donbass possiamo deprecare i metodi solo dimenticando le nostre “occupazioni”, ma esse sono tra i rarissimi esempi in cui l’occupante, tramite l’annessione, previo o senza referendum, si accolla la piena responsabilità della sicurezza militare, la protezione dei civili e il sostentamento della popolazione. Anzi, cambiando lo status dei territori da “occupati” a “propri”, la Russia ha assunto responsabilità e impegni ancora più forti. Obblighi che la stessa Ucraina ha violato per otto anni di seguito trattando i “propri” cittadini del Donbass come canaglie.
Con l’arrivo dell’inverno, della vendetta ucraina e delle armi occidentali la popolazione delle province annesse non avrebbe avuto scampo. Che poi la Russia rispetti gli obblighi sarà da vedere ma anche in questo non possiamo dare lezioni.
Con l’annessione, Putin si è posto in una situazione irreversibile: è vero, ma non significa che si siano esaurite le possibilità di negoziato e sorprende che proprio i responsabili della diplomazia internazionale continuino a dire che non ci sono alternative. Con l’annessione si è tuttavia ribadito che il negoziato deve partire da basi nuove. Ora sta alla politica occidentale e alla diplomazia trovare delle basi comuni. Rinunciare a questo modesto sforzo conduce soltanto alla guerra mondiale. Forse l’ultima.
Ma lo tsunami si può fermare – Fulvio Scaglione
Nel volgere di poche ore, e da voci di altissimo livello spirituale e politico, è stata riproposta la parola ‘pace’, da troppo tempo, e in modo assurdo e autolesionista, ridotta quasi a sinonimo di resa, sconfitta, tradimento. Domenica scorsa, all’Angelus, papa Francesco si è rivolto «al presidente della Federazione russa» con la supplica «di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte», mentre nel dolore «per l’immane sofferenza della popolazione ucraina a seguito dell’aggressione subita» ha diretto «un altrettanto fiducioso appello al presidente dell’Ucraina a essere aperto a serie proposte di pace». E martedì, il presidente Sergio Mattarella, ricordando ad Assisi quel grande promotore di fraternità e dialogo che fu san Francesco, con santa Caterina patrono d’Italia, ha parlato della «pace tradita proprio nel cuore dell’Europa», invitando a difenderla, assieme alla democrazia, con mezzi «coerenti», senza arrendersi alla logica della guerra «che consuma la ragione e la vita delle persone… e spinge a intollerabili crescendo di morti e devastazioni, che sta rendendo il mondo più povero e rischia di avviarlo verso la distruzione».
È superfluo ricordarlo ma proprio il Papa e il nostro Presidente hanno dimostrato che parlare di pace non significa disconoscere la realtà o, peggio, mettere sullo stesso piano l’aggredito e l’aggressore. Francesco ha parlato, appunto, di «aggressione subita» e ha deplorato vivamente «le azioni contrarie ai princìpi di diritto internazionale», cioè i referendum organizzati da Mosca per l’annessione dei territori ucraini, che aumentano il rischio di un’escalation nucleare. E Mattarella ha citato la «prepotenza che ha scatenato la guerra».
La pace, per essere tale, deve anche essere giusta, nessuno ignora questo principio. Troppe paci ingiuste, in passato, hanno aperto la strada a guerre ancor più devastanti e crudeli. Ma allora perché parlare di pace è diventato così difficile?
L’alternativa, lo dicono tutti, non solo papa Francesco e il presidente Mattarella, è il rischio della catastrofe economica mondiale, della carestia in vaste parti del mondo, persino dello scontro atomico in Europa. Tanto più che la lunga guerra in Ucraina, dopo l’invasione russa del 24 febbraio, non ha fatto che degenerare. I bombardamenti sugli obiettivi civili, che nelle prime settimane venivano attribuiti soprattutto ai russi ma erano sporadici ed erano commentati con enorme sdegno, sono ormai all’ordine del giorno da entrambe le parti. I morti in divisa, pur mancando un credibile bilancio super partes, si contano ormai in centinaia di migliaia mentre quelli civili non si contano nemmeno più. Le distruzioni sono immense, e non meno catastrofiche le piaghe inflitte al tessuto economico e sociale dei due Paesi belligeranti…
ALLEANZE DI MORTE – Angelo Gaccione
Chi ha un minimo di conoscenza storica del Novecento, sa che le guerre hanno assunto una dimensione mondiale proprio a causa delle alleanze che i vari Stati avevano sottoscritto. Dunque, possiamo dedurne che le alleanze militari sono, nella loro essenza, guerrafondaie e criminali. Rifiutare di far parte di alleanze di tipo militare è la sola garanzia per non contribuire alle tensioni fra Stati e farsi coinvolgere in atti di guerra. La pace può essere garantita solo da questo rifiuto, e dal rifiuto di possedere armi ed eserciti. Alle alleanze militari dovrebbe contrapporsi un’alleanza per la pace e il disarmo aggregando tutti quei Paesi che a questa saggia politica intendono concretamente dedicarsi. Uscire dalla Nato dovrebbe essere il primo passo e proporsi come avanguardie di tale organismo pacifico, riconvertendo il Ministero della Difesa in Ministero per il Disarmo. Questa nuova alleanza dovrebbe essere promossa dal mio bellissimo Paese indicando come sede la città di Assisi, città della pace per antonomasia, per la forte valenza simbolica che agli occhi del mondo riveste. Se ad oggi non c’è stata nessuna credibile azione diplomatica per trovare una via d’uscita al conflitto russo-ucraino, non è da imputare solo alla miopia delle cancellerie, o al semplice opportunismo egoistico e irresponsabile degli Stati. La paralisi dei governi e degli Stati è dovuta principalmente al fatto che si sono legati mani e piedi ad alleanze militari perverse, sottostando ai dettati imperativi di queste alleanze, e rinunciando a svolgere un ruolo autonomo di mediazione. Continuare su questa strada è il modo più sicuro per contribuire alla propria catastrofe e a quella generale.
(ripreso da qui)
scrive Maurizio Acerbo
“Il sostegno occidentale ha dato alla testa a Zelensky. È ora di smetterla con gli inni a Zelensky e al nazionalismo ucraino. La condanna dell’invasione assurda di Putin non giustifica la cecità rispetto a quello che sta accadendo. Il decreto che chiude ogni spazio a una trattativa è una mossa avventurista e folle. Che sia esaltazione nazionalista o ordine di Washington il decreto di Zelensky rende evidente che questa è una guerra per procura che ha lo scopo di rovesciare Putin. L’Italia dovrebbe interrompere subito l’invio di armi che, come prevedibile, stanno alimentando il conflitto con i folli annunci di volere riconquistare la Crimea e ora di non trattare con Putin”.
“Il mondo è sull’orlo della guerra nucleare per l’escalation di uno scontro tra nazionalismi reazionari e imperialismi che va fermato subito. Se la politica è succube di Washington bisogna far sentire la voce della società italiana. Mentre continua il massacro e la nostra economia crolla non possiamo assistere passivamente a questa escalation. Mi rivolgo a tutte le forze politiche, sociali, sindacali, culturali che non condividono l’invio delle armi e sono perplesse o contrarie all’utilizzo delle sanzioni. In nome dell’articolo 11 della Costituzione costruiamo una grande manifestazione unitaria per la pace e l’apertura subito della trattativa. Cosa si aspetta? Anche la passività è complicità con la guerra”,
7 considerazioni sulla guerra in Ucraina – Francesco Dall’Aglio
L’ultima indiscrezione, secondo i nostri media (tipo il Times), è che Putin ordinerà dei test nucleari al confine dell’Ucraina, probabilmente nel Mar Nero, per dimostrare che “fa sul serio”, dopo che già due giorni fa Repubblica (e chi se no) ci aveva deliziato con la storia della fuga del Belgorod e dei suoi Poseidon..
Questa storia da surreale sta diventando chiaramente preoccupante, e non per i motivi che uno può immaginare.
1) La Russia non sta perdendo la guerra né l’ha già persa. L’esercito russo non è in rotta. Lo so, è strano da credere, ma fidatevi. (Per capirlo torniamo alle origini, spiegandolo passo dopo passo)
2) La Russia non ha alcuna volontà, e meno ancora necessità (finora, almeno), di utilizzare armi atomiche, chimiche o batteriologiche in Ucraina. Il motivo è al punto 1.
3) La dottrina nucleare della Russia non prevede il primo impiego di armi nucleari perché si sono ritirati da Lyman. Prevede l’impiego di armi nucleari in risposta a un attacco sul suolo russo con armi nucleari, o in risposta a una minaccia che mette a rischio la sopravvivenza della Federazione Russa. Di nuovo, la ritirata da Lyman (che ricordo a tutti si trova in Ucraina, non in Russia) non ricade in queste ipotesi. Un attacco missilistico sulla Crimea non ricade in queste ipotesi. Un bombardamento di artiglieria su suolo russo non ricade in queste ipotesi. Uno sconfinamento ucraino su suolo russo non ricade in queste ipotesi. E via di seguito.
4) C’è una potenza nucleare che non ha mai ben chiarito la sua posizione sul primo impiego delle armi nucleari. FUN FACT: questa potenza nucleare non è la Russia, e nemmeno la Cina.
5) Ci vuole molto poco a far detonare un’atomica tattica nel bel mezzo del Mar Nero e dire che sono stati i russi, e regolarsi di conseguenza. Abbiamo creduto, senza prove in entrambi i casi, che bombardino le loro centrali nucleari e facciano esplodere i loro gasdotti. Perché non dovremmo credere anche a questo, dopo che da settimane ci stanno dicendo che siccome la Russia ha perso la guerra e Putin è pazzo e cattivo non ha altra opzione che usare le atomiche?
6) No, non sono un complottista. Ma se per settimane ti ripetono una cosa che è palesemente falsa, due domande te le devi fare (e se fai il mestiere mio, la paranoia è una qualità di base). E far detonare un’atomica tattica nel Mar Nero risolverebbe all’istante gli sbandamenti, chiamiamoli così, presenti e soprattutto futuri di un bel po’ di alleati europei. No, non significherebbe un attacco nucleare alla Russia, ovviamente, né l’ingresso della NATO nel conflitto, ma altrettanto ovviamente costringerebbe tutti a serrare le fila in un momento molto, molto complicato.
7) Ovviamente non succederà nulla di tutto questo. Giusto?
PS – il Belgorod potrebbe davvero essere diretto nell’Artico, per testare i Poseidon in un’esercitazione. Farlo nel Mar Nero davanti a mezzo mondo sarebbe, diciamolo, una scemenza.
* ripreso da Francesco Dall’Aglio ricercatore dell’Istituto di Studi Storici dell’Accademia delle Scienze di Sofia (Bulgaria).
A chi vende armi l’Italia e quanto ne ricava
Com’è andata l’industria bellica italiana nel 2021? In generale, nel mondo è stata superata la cifra record di 2mila miliardi di dollari
Mentre continua la guerra in Ucraina, il dibattito italiano e internazionale si sposta sulla spesa in armamenti e sul cambio delle strategie di difesa degli Stati, anche sotto il punto di vista degli aiuti militari agli ucraini. Il Governo italiano ha pubblicato i documenti sui propri movimenti economici nel campo delle spese militari, relativi al 2021. In generale, proprio il 2021 è stato un anno record per l’industria degli armamenti nel mondo.
Le armi nel mondo
Nel 2021 la spesa militare del mondo è aumentata dello 0,7%, superando i 2mila miliardi di dollari. I Paesi che nel 2021 hanno speso di più sono stati Stati Uniti, Cina, India, Regno Unito e Russia, che insieme rappresentano il 62% della spesa totale, secondo i nuovi dati sulla spesa militare globale pubblicati dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI)…
L’impero statunitense è il più malvagio di tutti – Roger Waters
Nell’intervista rilasciata ieri, Waters ha affermato che i “media allineati” rafforzano la formula noi-contro-loro, alimentando nel popolo statunitense l’idea che Cina e Russia sono “cattive” e che gli Stati Uniti sono “buoni”.
Dal suo punto di vista, ha precisato: “Naturalmente, noi – quando dico noi, ora parlo come contribuenti negli Stati Uniti – non lo siamo. Siamo i più malvagi di tutti con un fattore almeno dieci volte. Uccidiamo più persone. Interferiamo nelle elezioni di più degli altri. Noi, l’impero americano, stiamo facendo tutte queste cazzate”.
Il cantante e attivista politico di spicco ha sottolineato la questione delle ideologie indotte dall’Occidente per la copertura che riguarda la guerra in Ucraina: “L’hai visto in quella che ti ho appena descritto come propaganda occidentale. È esattamente il contrario di dire propaganda russa; I russi hanno interferito con la nostra elezione; I russi lo hanno fatto. Sono tutte bugie, bugie, bugie, bugie”.
Inoltre, ha annunciato di essere stato inserito nella “Kill list” del tristemente noto Myrotvorets, una lista di persone da uccidere formulata dall’Ucraina, che include figure e individui che non supportano le sue forze e l’intervento occidentale nella guerra per alimentarla ulteriormente. Ha aggiunto che Darya Dugina, giornalista uccisa e figlia del pensatore politico russo Alexander Dugin, faceva parte di quella lista che ha portato al suo omicidio ad agosto con un’autobomba. Così come il giornalista e fotorepoter italiano Andrea Rocchelli ucciso in Ucraina nel maggio del 2014.
È vero che l’Europa si sta distaccando dalla Cina? – Vincenzo Comito
Alcune grandi compagnie come Apple, Google e Amazon stanno spostando produzioni in Vietnam e India dalla Cina ma il processo di decoupling va lento e presenta spinte in senso contrario. L’Europa si allinea agli Usa ma grandi aziende tedesche continuano a investire nel paese asiatico
Ormai la lotta per l’egemonia tra gli Stati Uniti e la Cina è la questione principale che si pone a livello economico, militare, politico, tecnologico, a livello mondiale. E’ in tale quadro che da qualche anno, e con una crescente intensità negli ultimi mesi, si discute molto della possibile separazione – o decoupling – tra l’economia cinese e quella statunitense e, almeno per alcuni versi, di quella più generale tra i paesi occidentali e il gigante asiatico. Sull’argomento c’è però un grande livello di confusione. Il testo che segue cerca di fare in qualche modo il punto su un tema certamente molto complesso da interpretare, centrando l’attenzione in particolare sul caso degli investimenti europei.
Quanto appare reale la tendenza al decoupling?
La guerra in Ucraina, il Covid e la decisione cinese di privilegiare la lotta alla malattia rispetto allo sviluppo economico hanno portato a rotture parziali delle catene di fornitura globali, in particolare in alcuni settori a partire da quello dell’auto, e a ritardi nelle consegne di merci, oltre all’intasamento dei porti e così via, nonché soprattutto ad una rinnovata volontà statunitense, peraltro già avviata ai tempi di Trump, di contrastare a tutti i costi la crescita economica e tecnologica cinese. Bisogna ricordare anche il fatto che negli ultimi dieci anni i salari degli operai cinesi sono aumentati di tre volte, ciò che per le imprese pesa spesso molto.
Tutto questo sembra spingere verso il fenomeno che con linguaggio inventivo si definisce come decoupling, con le sue varianti di reshoring (di ritorno a casa), di friendshoring (di catene di fornitura limitate ai paesi politicamente amici), di nearshoring (in questo caso di catene di fornitura portate quanto più vicino possibile a casa), abbandonando i grandi legami economici con la Cina. I media fungono da cassa di risonanza di tutta la questione. Ma è molto più facile a dirsi che a farsi.
Il paese asiatico presenta punti di forza difficilmente replicabili, e se replicabili comunque solo in un arco temporale molto lungo e con grandi investimenti. Tra questi atout bisogna ricordare una fittissima rete di fornitori che copre pressochè tutti i settori (tra l’altro, la concentrazione dei fornitori in distanze ristrette riduce i costi di trasporto e spedizione e rende più facile riparare le parti difettose), una presenza pervasiva di infrastrutture modernissime ed efficienti di tutti i tipi, una logistica che funziona ai massimi livelli, la presenza di capacità produttive impeccabili, con una manodopera abbondante e addestrata, una vasta disponibilità di materie prime; tutto questo fa sì che, come sottolineano alcuni autori (Trivedi, Ren, 29022), il dominio del paese sull’economia mondiale, e in particolare sulle manifatture, non cambierà presto.
D’altro canto il mercato cinese tende ad essere il più importante e attraente del mondo in quasi tutti i settori, dall’auto al lusso, dai semiconduttori alle dettare alimentari, sia a livello di vendite che di tassi di profitto per le imprese tanto che avere una presenza produttiva in Cina è considerato molto importante per ottenere un accesso adeguato a quell’enorme mercato…
A un passo dalla catastrofe globale – Sara Reginella
Il burattino della NATO Zelensky vieta per decreto la possibilità di condurre negoziati con la Russia, conducendoci per mano alla catastrofe globale.
Grazie mille.
Si sarebbe potuto evitare tutto questo.
Sì.
Se si fosse voluto approfondire quanto accaduto realmente otto anni fa, agendo dall’inizio, con un’opposizione popolare, sulle radici dell’odierna escalation.
Rilancio in questo tragico contesto, un brevissimo estratto di un’intervista che Oleksiy Zhuravko, rifugiato politico ed ex deputato del Parlamento ucraino, mi rilasciò a Mosca nel 2016, insieme a Galina Zaporozhtseva, psicologa ed ex docente all’Accademia ucraina di polizia…
Tattiche – Tonio Dell’Olio
“Ci hanno detto che l’invio delle armi all’Ucraina era necessario per ‘permettere agli ucraini di resistere all’avanzata russa e arrivare prima al tavolo dei negoziati’. Poi ci hanno detto che bisognava continuare a fornire armi più sofisticate, perché in questo modo la pace si sarebbe fatta più vicina”. Comincia così un comunicato di Emergency circolato in queste ore e che sottoscriverei dalla prima all’ultima parola. Il macabro bilancio dei 7 mesi di fratricidio è impietosa: oltre 15mila civili tra morti e feriti e oltre un terzo della popolazione Ucraina sfollata, esule, migrante. Il risultato èanche lo sdoganamento ufficiale dell’uso delle armi nucleari.
Nell’ipocrisia del linguaggio a cui la guerra ci ha abituato (danni collaterali, guerra umanitaria, missione di pace…) abbiamo aggraziato la cosa parlando di “armi nucleari tattiche” quasi a immaginare che queste ultime sparino a salve o che la morte e i danni a causa di armi “tattiche” sia meno atroce. La verità è che siamo sull’orlo del baratro come mai si è verificato nella storia dell’umanità. E a sentire Zelensky ogni porta di negoziato è chiusa. Per questo è proprio ora che l’Europa deve operare uno scatto di dignità, chiedere che il fuoco sia cessato e non alimentarlo e pretendere un tavolo allargato di negoziato. Quanto più la guerra prosegue col suo carico di vittime, distruzioni e sofferenze, tanto più si comprendono (e si rafforzano) le ragioni della nonviolenza.
UNDICI TESI SULLA GUERRA IN EUROPA, E UNDICI COSE CHE DOBBIAMO FARE
- La guerra scatenata dal folle e criminale governo russo contro la popolazione ucraina e’ divenuta una guerra fra Stati Uniti e Russia in cui non solo la popolazione ucraina ma l’intera popolazione europea e’ considerata da entrambe le parti vittima sacrificabile.
- Il governo autocratico russo, un passo dopo l’altro, si inabissa sempre piu’ in una spirale di follia che impedisce soluzioni concordate adeguate, che mentre all’inizio del conflitto erano agevolmente negoziabili, ora, dopo tanti mesi di guerra di sterminio della popolazione civile, tante stragi, tante devastazioni, tanti fatti compiuti irreversibili, diventano sempre piu’ difficili.
- Questa condotta tendenzialmente genocidaria che nell’agire della dirigenza russa e’ apocalittica follia, nella dirigenza americana e’ consapevole volonta’ di distruzione dell’Europa.
- L’Unione Europea e’ ormai una colonia americana, e la Nato e’ l’esercito di occupazione americano in Europa.
- Il che significa che in Europa gli Stati Uniti d’America stanno adottando una politica di dominazione coloniale con la complicita’, supina fino alla prostituzione, della quasi totalita’ dei vertici governativi europei (e paradossalmente i soli che si oppongono sono a loro volta degli autocrati a capo di democrature).
- Sic stantibus rebus si sta procedendo a tappe forzate verso una guerra totale, quindi nucleare, che puo’ distruggere il continente e forse anche l’intera umanita’.
- Il sabotaggio dei gasdotti, chiunque lo abbia commesso, recide uno degli ultimi legami tra Unione Europea e Federazione Russa: sulla base di quell’interesse economico comune si poteva cominciare a ricostruire un’azione politica e diplomatica di pace; i sabotaggi hanno distrutto questa residua possibilita’.
- I cosiddetti “referendum” e la conseguente “annessione” di alcune regioni ucraine alla Federazione Russa sottraggono alla negoziazione possibile la materia su cui discutere; ergo: impediscono anch’essi l’avvio di un’azione politica e diplomatica di pace.
- A questo punto giunti non ha piu’ importanza stabilire se la guerra e’ cominciata nel 2022 o nel 2014; la via prefigurata dagli accordi di Minsk e’ definitivamente ostruita.
- E non conta piu’ stabilire se e quanto la leadership autocratica russa sia stata indotta all’attuale follia dalla politica aggressiva degli Usa e della Nato, se e quanto la dissoluzione della Confederazione di Stati Indipendenti succeduta all’URSS sia dipesa prevalentemente da interne spinte centrifughe o da pesanti condizionamenti esterni.
- L’unica cosa che conta e’ fermare la guerra, prima che la guerra distrugga altre vite, prima che la guerra distrugga l’Europa, prima che la guerra distrugga l’umanita’.
E per fermare la guerra occorre che noi, persone sollecite del bene comune dell’umanita’ che viviamo nei paesi europei, ci adoperiamo per:
- l’immediata cessazione della fornitura di armi alla guerra;
- l’immediata cessazione delle sanzioni che stanno favoreggiando la guerra e devastando l’economia e le condizioni di vita delle classi lavoratrici e popolari di tutti i paesi europei;
III. sostenere gli obiettori di coscienza, i renitenti alla leva, i disertori di tutte le parti in conflitto; sostenere tutte le persone che si rifiutano di uccidere;
- fornire adeguati aiuti umanitari a tutte le vittime della guerra sopravvissute;
- sostituire immediatamente alla logica delle armi la difesa popolare nonviolenta;
- creare canali di dialogo e solidarieta’ tra i popoli;
VII. contrastare la delirante retorica razzista promossa dalla propaganda guerrafondaia: i popoli non sono responsabili della criminale follia dei loro governi;
VIII. smascherare, denunciare e contrastare le menzogne di ogni propaganda guerriera;
- imporre ai governi europei di promuovere negoziati di pace guidati dall’Onu sulla base del ripristino dello status quo ante il 24 febbraio 2022;
- imporre ai governi europei di porre il veto a qualunque ulteriore iniziativa della Nato e predisporre un percorso di scioglimento della Nato;
- proporre la nonviolenza come unica politica razionale, realistica e adeguata alla tragica situazione presente dell’umanita’.
Peppe Sini, responsabile del “Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera” di Viterbo
MANIFESTARE PER LA PACE – Donatella Di Cesare
Vedo intorno a me gente che lavora, che insegna, che studia – apparentemente come nulla fosse. Ma a ben guardare non è difficile cogliere quell’angoscia sottile e incontenibile che permea ormai l’esistenza di tutti. La rimozione, per quanto efficace, non può nascondere l’enormità di quel che siamo costretti a vivere. La minaccia nucleare incombe quotidianamente su di noi, si materializza nelle parole dei maggiori leader mondiali, prende corpo nelle immagini delle operazioni preparatorie, assume concretezza nelle proiezioni degli scienziati, che sono altrettanti moniti. I rischi si aggravano, gli avvertimenti vanno presi seriamente.
Che lo si voglia o no, quella guerra lontana, ai confini del Donbass, di cui pochi avevano sentito parlare, è arrivata fino a noi, senza che nessuno la arginasse, ha fatto irruzione nelle nostre case, promette di cambiare il nostro modo di vivere e, da ultimo, di annientare le nostre esistenze. Soltanto i sonnambuli possono ancora restare ciechi di fronte al pericolo atomico di queste ore. Non avremmo mai immaginato che sarebbe toccata proprio a noi l’esperienza del baratro.
In questo scenario distruttivo, e persino al cospetto dell’escalation, non c’è una sola voce nell’Unione europea che si levi per pronunciare la parola “pace”, per delineare anche solo la possibilità di un negoziato. Al contrario, l’impegno si traduce ogni volta in nuove, ulteriori sanzioni. Tutto ciò prenderebbe la piega della farsa, se non fosse una tragedia per noi. Il cinismo di questa dirigenza, che sin dall’inizio ha rinunciato a qualsiasi iniziativa, è una vergogna per l’Europa. E come tale passerà alla Storia. Le mosse e i gesti di Ursula von der Leyen sono un coacervo di miopia e sconsideratezza, arroganza e mediocrità. Non una politica aperta, flessibile, lungimirante, bensì esattamente l’opposto. In che mani siamo? Chi ci rappresenta? Di chi possiamo fidarci?
Questo meanstream, che con un voltafaccia si è autodefinito “atlantista”, tradendo tutti i valori europei e accettando la guerra come un dato ineluttabile, non ha fatto altro, in questi mesi, che attaccare le voci contrarie. Non si era mai vista una tale campagna diffamatoria contro chi anche solo osasse accennare alla pace. Le parole sono state piegate a indicare il contrario, i significati sono stati stravolti in una propaganda senza precedenti che con violenza ha imposto la militarizzazione degli schieramenti. I pacifisti sono stati sbeffeggiati, dileggiati, esposti al pubblico ludibrio. Com’è avvenuto in Italia, anche durante la campagna elettorale, sono stati tacciati di essere spie, traditori, pupazzi, consapevoli o inconsce pedine di Putin. Ancora adesso capita di leggere attacchi patetici di chi invita i cosiddetti “filoputiniani”, di fronte alle vittorie ucraine, a fare ammenda, a riconoscere i propri errori.
Non ci siamo mai arresi e non ci arrendiamo a questa logica di guerra. Essere per la pace non significa essere contro l’Ucraina, essere per la pace non significa essere per la Russia. Chi guarda alla pace è mosso solo dal buon senso. E stupisce davvero che gran parte della dirigenza europea segua pedissequamente il dettato americano portandoci sempre più vicino al baratro. Nessuna alternativa viene prospettata. Ha ancora senso la parola “vittoria” in uno scenario nucleare? Qual è la meta?
Mai come ora la nostra impotenza ci appare insormontabile. Non sappiamo più bene che fare, a chi rivolgerci. Eppure, l’appello di Papa Francesco, per quanto drammatico, infonde fiducia e coraggio. È tempo di fermare l’escalation della follia, è tempo di costruire una politica di convivenza. Andare oltre vorrebbe dire accettare l’autodistruzione. Proprio per questo occorre reagire. La disgregazione e l’isolamento, lungi dall’essere casuali, sono il portato della politica bellicistica. Abbiamo bisogno di scendere in piazza, di manifestare la nostra riprovazione, la nostra protesta. Fuori dagli steccati, senza drappi e bandiere, solo con la parola “pace”.
Questa manifestazione serve – serve a noi per ritrovarci, per non credere di essere i soli a provare angoscia, i soli a nutrire ancora speranza. Ma è importante soprattutto come segnale politico, sia qui che fuori. Perché si capisca che c’è una parte dell’Italia – la maggioranza? – che non è patriotticamente disposta a seguire la dirigenza europea verso la catastrofe. Sarà questo forse un segnale per gli altri, per gli irlandesi, i greci, gli spagnoli, gli sloveni, e tutti quelli che più sono colpiti dai contraccolpi delle sanzioni e dalle minacce di questa guerra. Deve essere finalmente chiaro che le lavoratrici e i lavoratori dell’Europa, i più poveri, i più deboli, hanno tutto da perdere in questa guerra e nulla da guadagnare.
Taiwan, Elon Musk e quell’apparato Usa che si oppone all’Armageddon – Giacomo Gabellini
L’auspicio espresso da Elon Musk in merito alla conversione di Taiwan in una provincia amministrativa della Repubblica Popolare Cinese «per evitare un conflitto» dagli effetti potenzialmente devastanti fa sostanzialmente il paio con il “piano di pace” formulato dallo stesso fondatore di Tesla e Space-X in riferimento al conflitto russo-ucraino (ripetizione sotto la supervisione di ispettori Onu dei referendum tenutisi negli oblast’ inglobati nella Federazione Russa, chiamata a sua volta ad abbandonare le regioni annesse in caso di esito negativo del voto; riconoscimento della Crimea come parte integrate della Russia da parte di Kiev; garanzia ucraina di regolari forniture d’acqua alla penisola; adozione di uno status di neutralità da parte dell’Ucraina), e al pari di quest’ultimo non è affatto da sottovalutare.
Non tanto per i suoi contenuti o per la sua realizzabilità, quanto perché potrebbe indicare l’esistenza di una concreta volontà di de-escalation in seno agli “apparati” statunitensi.
Non è peregrina, in altre parole, l’ipotesi che alcuni segmenti del Pentagono e/o del Consiglio per la Sicurezza Nazionale e/o del Dipartimento di Stato e/o delle strutture d’intelligence collocati su posizioni critiche rispetto alla postura massimalista adottata da Washington abbiano sfruttato Musk come cassa di risonanza per amplificare i propri malumori.
Anche perché le due proposte formulate dallo scienziato di origini sudafricane sul suo profilo Twitter vanno a sovrapporsi ad alcuni articoli e servizi fortemente discordanti rispetto alla linea del governo in materia di politica estera comparsi su organi dotati di solidi agganci nello “Stato profondo” Usa quali il «New York Times», «Newsweek» e la «Cbs». A queste “fronde dissidenti” si oppongono le fazioni oltranziste e politicamente preponderanti, che sono verosimilmente “dietro” il viaggio di Nancy Pelosi a Taiwan, al sabotaggio dei due gasdotti baltici che trasportavano gas russo direttamente alla Germania e alla recentissima, tremenda esplosione che ha devastato un tratto considerevole del ponte sullo Stretto di Ker?
Qualcuno punta al raggiungimento del punto di non ritorno, altri mirano alla de-escalation.
Omertà nella guerra di gangster – Diana Johnstone
…Il significato politico del sabotaggio
Date le sanzioni occidentali contro la Russia, il gas non fluiva già più attraverso i due gasdotti distrutti, ma quello presente al loro interno sta pericolosamente diffondendosi nell’atmosfera. I gasdotti erano rimasti pronti per l’uso nel caso si fosse raggiunto un accordo. E il primo, drammatico significato del sabotaggio è, pertanto, che nessun accordo può venire raggiunto. Il Nord Stream 2 avrebbe potuto essere la chiave per un qualche tipo di intesa tra la Russia e gli europei. Il sabotaggio ha virtualmente annunciato che la guerra si può solo intensificare e che nessuna soluzione è in vista.
In Germania, nella Repubblica Ceca e in qualche altro paese, stavano iniziando a crescere movimenti che chiedevano di mettere fine alle sanzioni, in particolare per risolvere la crisi dell’energia mettendo in funzione per la prima volta il Nord Stream 2. Il sabotaggio ha così messo fuori causa la crescente domanda di una pace possibile dei movimenti in Germania e in Europa.
Questo atto di sabotaggio è soprattutto il deliberato sabotaggio di ogni prospettiva di pace negoziata in Europa. La mossa successiva dell’Occidente è stata quella del richiamo immediato, da parte dei governi NATO, dei loro concittadini presenti sul suolo russo. In preparazione di cosa ?
L’hanno fatto i russi
In questa situazione catastrofica, i principali media occidentali si stanno chiedendo su chi ricada la colpa di questo sabotaggio e il sospetto cade automaticamente … sui russi. Motivo : “Per far crescere il prezzo del gas” o “per destabilizzare l’Europa” – cose che stavano avvenendo comunque. Qualsiasi ragione, per quanto improbabile o inverosimile, verrà utilizzata.
I grandi opinionisti europei stanno mostrando il risultato di settantanni di americanizzazione. Specialmente in Germania, ma anche in Francia e in altri paesi, per decenni gli Stati Uniti hanno individuato giovani promettenti, li hanno sollecitati a diventare “giovani leaders”, invitati negli Stati Uniti, indottrinati sui “nostri valori” e fatti sentire come membri della grande famiglia trans-Atlantica. Questi stessi personaggi sono ora collegati come in una rete in posizioni di rilievo nella politica e nei media. In anni recenti, un grande allarme è stato suscitato dai presunti tentativi russi di esercitare “influenza” nei paesi europei, mentre in realtà gli europei sono del tutto immersi e influenzati da un americanismo crescente : cinema, Netflix, cultura pop, influenza nelle università, nei media, dovunque.
Quando un disastro colpisce l’Europa, non può venire incolpata l’America (escluso l’ex Presidente Trump, che l’establishment americano ha disprezzato e respinto, per cui possono farlo anche gli europei). La colpa deve essere del cattivo del film, Putin.
L’ex-ministro degli esteri polacco, il fanaticamente anti-russo Radek Sikorsky, non è riuscito a trattenersi e ha salutato con gioia le massive fuoriuscite di gas naturale dai gasdotti distrutti con un riconoscente tweet : “Grazie, USA”. Ma anche la Polonia certamente l’avrebbe desiderato e forse persino sarebbe stata in grado di farlo. E così forse altri paesi nelle terre-NATO. Ma tutti preferiscono – in pubblico – gettare “sospetti” sulla Russia.
Ufficialmente, fin qui, nessun governo NATO conosce l’autore del sabotaggio. O forse lo conoscono tutti. Forse è come nel famoso giallo di Agatha Christie sull’Orient Express, dove i sospetti cadevano su tutti i passeggeri e questi erano in realtà tutti colpevoli. Ma solidali nell’omertà.
La scuola per la pace. Appello per una mobilitazione
Con orrore e raccapriccio, noi che insegniamo nelle scuole i valori della Costituzione e del ripudio della guerra, scolpito nell’articolo 11 della nostra Carta, registriamo il silenzio degli operatori di pace e l’azione scomposta degli agitatori di odio e violenza.
Negli occhi delle ragazze e dei ragazzi cogliamo un silenzio smarrito e un muto rimprovero: cosa sta succedendo, dove stiamo andando, che cosa fate voi adulti?
Ragazze e ragazzi, cittadine e cittadini sono soli. Ciascuno con le proprie paure e le proprie difficoltà: i prezzi che salgono, la fatica di fare la spesa, le bollette che rincarano, il timore di un inverno che il frastuono inutile dei mezzi di comunicazione annuncia terribile.
Con orrore e raccapriccio, registriamo che le maggiori forze politiche del Paese non rappresentano il sentimento e l’angoscia di coloro che in Italia non vogliono la guerra, che non vogliono vedere le loro vite travolte da scelte scellerate.
In questa solitudine, dobbiamo prendere atto che la situazione è drammatica. Non amiamo alzare i toni, non abbiamo nulla da guadagnare dal seminare emozioni fuori controllo. Sappiamo che l’uso delle parole corrette è la base di una comunicazione sana.
E’ con questa meditata e dolorosa consapevolezza che siamo costretti a dire: la guerra mondiale si avvicina, non è uno scherzo, è un evento che ha, oggi, nell’autunno del 2022, un’alta probabilità di accadere.
L’impensabile sta per irrompere nel nostro quotidiano. Conosciamo questa sensazione. Ci spaventa. Conosciamo i mezzi per alleviare l’angoscia. Non ci pensiamo. Ci stringiamo ai nostri cari, ai nostri amici, facciamo tutto come prima, ci ripetiamo che non potrà mai accadere, che alla fine ce la caveremo.
Spesso funziona, ha funzionato in passato. Ma questa volta funzionerà?
No, questa volta soltanto la nostra presa di coscienza, il riconoscerci in pericolo, la scelta per la pace, l’azione comune insieme a tutti/e quelli/e che vogliono difendere il futuro, i loro progetti, i loro desideri e le loro speranze, soltanto questo ci potrà salvare.
Forti e potenti sono quelli che vogliono la guerra. Hanno eserciti, giornali, televisioni, industrie e banche. Ma non hanno ragioni e nelle loro parole si legge solo avidità e delirio di onnipotenza.
Indifesi/e e dispersi/e siamo noi che vogliamo la pace. Non abbiamo nessuno alle nostre spalle, possediamo però le ragioni della mente e le ragioni del cuore. Siamo consapevoli che da un conflitto mondiale non ci potranno essere né vincitori né vinti, siamo convinti che la pace si costruisce aprendo un dialogo con l’altro, facendo tacere missili e cannoni.
Dobbiamo quindi divenire forti e uniti/e per dare una speranza concreta alla pace. Per questo chiamiamo a una mobilitazione spontanea, che parta dalla scuola, dai posti di lavoro e che coinvolga sempre più persone.
Individuiamo un’unica richiesta possibile: un immediato cessate il fuoco tra le parti e l’avvio di negoziati.
Vogliamo che questa richiesta sia posta a tutte le istanze democratiche del paese: ai sindaci, alle regioni, al governo. Non ci fermeremo fino a quando la nostra pressione sarà così forte da portare l’Italia a ripudiare la guerra in corso e farsi protagonista nella ricerca della composizione del conflitto.
Presidio di fronte al Comune di Torino, Piazza Palazzo di Città, sabato 15 ottobre, ore 15.00
Per firmare si scriva nome cognome eventulmente lavoro e città a: lascuolaperlapace@gmail.com
FACCIAMO DIVENTARE VIRALI LE BANDIERE PER LA PACE
l’aggiornamento delle firme sarà su questo blog: www.scuolaperlapace.noblogs.org
GIORNO 6 ottobre si ‘ votato nel PARLAMENTO EUROPEO , dopo un fitto dibattito, su un rilevante e lunga risoluzione ( è composta da 8 pagine) non legislativa con il titolo “ Escalation della guerra di aggressione della Russia contro l’ucraina”.
Non ci sono significative parole indirizzate a costruire un urgente percorso di PACE, anzi è un “inno” alle armi ( sempre più invio di strumenti di morte) , alla guerra. Atto in particolare, a coinvolgere direttamente le popolazioni della Comunità Europea nello scontro armato , quindi a amplificare il reale rischio di una GUERRA NUCLEARE, sterminatrice.
Il risultato del voto è stato il seguente:
* a favore 504
* contrari 26
* astenuti 36
Di grande rilievo l’intervento della deputata Clare Daly ( irlandese) del Gruppo Confederale della Sinistra Europea – GUE-NGL
https://www.europarl.europa.eu/plenary/en/vod.html?mode=unit&vodLanguage=EN&playerStartTime=20221005-13:43:52&playerEndTime=20221005-13:45:37#
da 13’ 43’’
In questo contesto è utile approfondire coma hanno votato “ i possibili vicini”: I VERDI Europei hanno votato in massa a favore della mozione…..sono finiti da lungo tempo….nel cestino gli appelli di Alex Langer .
Poi i nostri, gli italiani, in particolare è bene seguire cio’ che hanno votato i deputati PD e 5*……..( lasciamo stare le destre…..) dalla serie si fa quel si può….per cercare di salvare “ capre e cavoli…e tutto rimane immutato con rischio altissimo”.
Per approfondimento di merito segnalo:
O.d.g. della discussione:
https://www.europarl.europa.eu/news/it/agenda/briefing/2022-10-03/0/ucraina-i-deputati-discutono-l-escalation-della-guerra-da-parte-della-russia
Inoltre :
https://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20220930IPR41935/i-deputati-chiedono-un-forte-aumento-dell-assistenza-militare-all-ucraina
https://pagellapolitica.it/articoli/pd-contro-armi-ucraina-parlamento-europeo