«Mosaico indigeno»
Loretta Emiri racconta il Brasile indio, degli yanomami, dei senza terra e quello dei grandi proprietari terrieri che vogliono costruirsi un paese su misura per i loro interessi.
di David Lifodi
Mosaico indigeno raccoglie i testi di Loretta Emiri pubblicati principalmente sui siti web di Pressenza e La Bottega del Barbieri: raccontano un Brasile altro, quello delle comunità indios a cui l’autrice ha dedicato gran parte del suo impegno sociale e militante.
Stabilitasi nell’Amazzonia brasiliana, dove ha vissuto per diciotto anni, di cui quattro e mezzo con gli indigeni yanomami delle regioni del Catrimâni, Ajarani e Demini, si è data da fare soprattutto per il Piano di Coscientizzazione che prevedeva, in particolare, l’alfabetizzazione di adulti nella lingua materna.
Autrice della Gramática pedagógica da língua yãnomamè (Grammatica pedagogica della lingua yãnomamè), della Cartilha yãnomamè (Abbecedario yãnomamè), delle Leituras yãnomamè (Letture yãnomamè) e del Dicionário Yãnomamè-Português (Dizionario Yãnomamè-Portoghese), solo per citare alcuni dei suoi lavori più significativi, Loretta Emiri ha denunciato nei suoi testi il genocidio dei guarani-kaiowá, il razzismo istituzionale nei confronti degli indios, le lotte di Joênia Wapichana, giunta alla Camera dei Deputati a distanza di trentadue anni dall’uscita di scena di Mário Juruna.
Caratterizzato da una serie di brevi articoli, Mosaico indigeno si apre con un omaggio dell’autrice a Chico Mendes, assassinato il 22 dicembre 1988. Loretta Emiri ricorda gli attimi successivi al suo omicidio, lo sgomento che ne seguì e le sue battaglie contro il latifondo, l’agricoltura intensiva e la monocultura per difendere indios e seringueiros.
Ampia parte del libro è dedicata inoltre alla costruzione di nuove miniere a cielo aperto e centrali idroelettriche (senza alcuna consultazione delle comunità indigene), a cui hanno sempre mirato i grandi proprietari terrieri, le multinazionali e la bancada ruralista, che purtroppo hanno trovato ben poca opposizione da parte del petismo, di Lula e di Dilma Rousseff. A questo proposito, non si possono non condividere le parole di Loretta Emiri: “La sospensione della demarcazione delle terre, che talvolta è stata votata anche con l’avallo del PT, ha contribuito a rafforzare le convinzioni dell’agribusiness e dei proprietari rurali, decisi a invadere i territori indigeni e a sfruttare le ricchezze del territorio. La stessa Dilma, nel corso delle ultime presidenziali, ha commesso un grave errore nel chiedere appoggio alla CNA – Confederazione Nazionale dell’Agricoltura, presieduta da Kátia Abreu, potente senatrice del PMDB – Partito del Movimento Democratico Brasiliano e conosciuta per il suo odio viscerale verso i senza-terra. Lavorare con Kátia Abreu e aprirle le porte del Planalto significa autorizzare i proprietari rurali a mettere in pratica un piano di distruzione delle comunità indigene”.
Peraltro, il tentativo del Partido dos Trabalhadores di accondiscendere sempre la destra allo scopo di mantenere la governabilità del paese non è servito a scongiurare né il colpo di stato contro Dilma Rousseff né la campagna mediatica che ha messo politicamente fuorigioco Lula, a favore del quale ha preso comunque posizione Loretta Emiri, ricordando come l’ex presidente brasiliano avesse subito una campagna diffamatoria, nel 1989, quando era il candidato delle sinistre, ma fu sconfitto soprattutto dal forte apparato mediatico e dalla macchina del fango scatenata allora da Fernando Collor de Mello. Tuttavia, la stessa autrice non può fare a meno di sottolineare che nel 2003, quando giunse per la prima volta al Planalto, suscitando grandi speranze sia nel Brasile progressista sia in tutto il mondo, Lula fu costretto a scendere a patti con il potere economico e a stringere alleanze discutibili. Nell’arco dei due mandati,, evidenzia Loretta Emiri, il Brasile, si è trasformato in una emergente potenza economica, ma la promessa riforma agraria non è stata realizzata, le aspettative degli indios e dei loro alleati sono rimaste deluse e i progetti di sviluppo hanno continuato a prosperare.
L’autrice mostra preoccupazione per il blocco delle demarcazioni delle terre indigene imposte dai grandi proprietari terrieri, dando voce a leader guarani come Maurício da Silva Gonçalves e dedicando parte del suo libro alle lingue yanomami, grazie alle quali si è avvicinata alle comunità e da cui è sorta l’idea di realizzare il piano di coscientizzazione.
Nella parte finale del libro, il testo “Amazzonia – Il piromane ha nome e cognome” fa riflettere, soprattutto in questi tempi di pandemia. Un tempo erano i garimpeiros o i madereiros a introdurre le epidemie tra gli indios yanomami. Oggi è il Messia Nero, il presidente Bolsonaro che, con i suoi discorsi, incita i signori dell’agrobusiness a penetrare nell’Amazzonia per i loro interessi: è così che il Covid-19 si è propagato fino agli angoli più remoti della foresta. Il libro di Loretta Emiri rappresenta allora il grido dei popoli indigeni nei quali si è sempre riconosciuta e di un Brasile che non merita di essere rappresentato dall’attuale governo.
Mosaico indigeno
di Loretta Emiri