Mozambico, popolazione in fuga da jihād e predatori di idrocarburi
di Gianluca Cicinelli
Cabo Delgado confina a nord con la Tanzania e a est con l’Oceano Indiano, è una provincia tra le più povere del Mozambico, con la maggior parte dei suoi residenti che si guadagnano da vivere attraverso l’agricoltura di sussistenza o la pesca. Un tempo bersaglio privilegiato dei commercianti di schiavi, durante la colonizzazione portoghese, la sua popolazione, a maggioranza musulmana, fu ripetutamente costretta ai lavori forzati per la produzione di cotone. Intorno al 2010 l’industria dei combustibili fossili ha scoperto i più grandi giacimenti di gas naturale dell’Africa al largo della costa settentrionale del Mozambico, il che ha portato naturalmente a grandi investimenti delle società petrolifere e relative scandali di tangenti, come quello che ha coinvolto Credit Suisse. La ricchezza naturale ha aggravato la miseria della popolazione, costretta dal governo con la forza ad abbandonare quella terra, per privilegiare le società private che scavano alla ricerca oltre che del combustibile anche di pietre preziose. In questo quadro si sono inserite le azioni, diventate più frequenti e intense negli ultimi mesi, di Al Shabab, gruppo che nel 2019 ha giurato fedeltà all’organizzazione dello Stato Islamico, contro la presenza straniera e lo sfruttamento.
Negli ultimi tre anni alla situazione di estrema povertà si sono aggiunti due cicloni che hanno provocato 73 mila sfollati, che insieme alla guerra scatenata da Al Shabab hanno portato un milione di persone ad aver bisogno di assistenza umanitaria, di cibo principalmente. Nell’ultimo anno i terroristi hanno intensificato la loro azione, le Nazioni Unite alla fine del 2020 calcolavano che 670 mila persone fossero in fuga dal conflitto e 2.600 morti, la metà dei quali civili. In questa area in particolare si sono verificate le più recenti e importanti scoperte di giacimenti di gas naturale che fanno gola alle compagnie petrolifere. Amnesty International ha sottolineato più volte che la responsabilità delle violenze non è imputabile soltanto a Al Shabab, ma vede coinvolte le forze governative che hanno assoldato mercenari per contrastare l’avanzata del gruppo estremista, che per bocca dello stesso presidente mozambicano Filipe Nyusi trovano in povertà e disoccupazione le motivazioni principali di reclutamento.
L’unica sensibilità del mondo occidentale di fronte alla guerra e alla crisi umanitaria in atto riguarda la possibilità o meno di continuare a sfruttare in sicurezza i giacimenti di idrocarburi. Circa un mese fa, in considerazione dell’incremento di azioni armate nella provincia, ormai una vera guerra, l’azienda petrolifera Total ha ritirato tutto il suo personale del progetto Mozambico Lng dal sito di Afungi. In Mozambico è presente anche l’Italia con Eni e Saipem, le cui azioni fanno parte del settore blue chip, ossia dei titoli a maggiore capitalizzazione. La Saipem ha dichiarato di non essere allo stato attuale nelle condizioni di “valutare gli impatti finanziari per il 2021”, preoccupazione che prevale nell’ottica della finanza predatoria sul milione di persone prima deprivate dei beni naturali della loro terra e affamate poi schiacciate da una delle più grosse crisi umanitarie in corso. Gli investimenti tra Eni, la francese Total e la statunitense ExxonMobil sono calcolati tra i 40 e i 60 miliardi di euro e alla spartizione adesso vogliono concorrere anche la russa Rosneft e delle piccole compagnie sudafricane. Il Fondo Monetario internazionale ha accusato più volte il governo di Maputo di approfittare della situazione con tangenti di milioni di dollari.
Il prossimo 20 giugno si terrà a Maputo il vertice della “Doppia Troika” della Sadc, Comunità di Sviluppo del Sud Africa. Al centro dell’incontro le azioni per aiutare il governo del presidente Filipe Nyusi a sconfiggere i miliziani di Ahlu al-Sunna Wal Jamaa (al-Shabaab). Le opzioni sul tavolo sono due: una forza militare operativa a livello regionale o una missione tecnica di addestramento, alla quale Unione Europea e Italia hanno già deciso di partecipare. Il governo del Mozambico vede con favore la seconda ipotesi, per conservare la leadership della guerra contro i jihadisti. A fare le spese di queste grandi manovre è naturalmente la popolazione civile, schiacciata tra l’avanzata di Al Shabab da una parte e l’intervento militare in apparenza umanitario ma in realtà volto a tutelare gli interessi delle aziende petrolifere che sta per cominciare.
Per chi vuole approfondire le vicende relative al Mozambico e al coinvolgimento delle industrie italiane ReCommon, associazione che lotta contro il saccheggio dei territori, ha organizzato per questa sera, giovedì 10 giugno, alle ore 19 una conferenza che sarà possibile seguire gratuitamente tramite Facebook collegandosi a questa pagina . Partecipano Ilham Rawoot, Coordinatrice della campagna No to gas! di JA!/Friends of the Earth Mozambico, Luca Bussotti, Sociologo, Alessandro Runci, Campaigner finanza pubblica e multinazionali di ReCommon e modera Raffaello Zordan della redazione di Nigrizia.