Mr Shock è morto
Richard Matheson ricordato da Fabrizio (Astrofilosofo) Melodia
Alla fine nessuno se ne va veramente. Certo, limitatamente alla nostra percezione. E’ cosa nota che questo mondo è in realtà una non meglio definita e sperimentata materia grezza, che la particolare conformazione del nostro cervello costruisce e rende reale. Un meraviglioso nastro di realtà su cui incidiamo tutto, ma proprio tutta la vita al completo. Potrebbe anche darsi che una sola Mente stia pensando a un mondo dove c’è una persona che pensa ad altre persone e così via, perdendosi nelle proprie fantasticherie. Temo proprio di non essere distante dall’averci azzeccato, in barba al diavoletto maligno che si diverte a ingannare i miei sensi.
Quindi, per la nostra percezione, qualcosa continua a vivere anche dopo la morte, se questo “qualcosa” ha contribuito sensibilmente a imprimersi nei nostri sensi. Così Richard Burton Matheson se n’è andato il 23 giugno ma è anche qui, da qualche parte.
Lo conobbi molto presto, quando da ragazzo vidi uno dei primi episodi della serie originale di Star Trek intitolato «Il duplicato», in cui il capitano Kirk, a causa di un malfunzionamento del teletrasporto si ritrova sdoppiato nel suo Io cosciente e nella sua parte istintuale e aggressiva. Ricordo bene i tentativi di fermare l’istinto e la cattiveria che hanno contribuito a trasformare un uomo, anche troppo indeciso e sensibile, in un capitano di valore. Equivoci a non finire, un tentativo di violenza carnale a una piacente guardiamarina, alla fine solo la presa vulcaniana di Spock riesce ad averne la meglio.
Davanti alla sua ombra, James T. Kirk rimane scioccato, prova quasi un profondo ribrezzo per aver sempre portato dentro di sé una simile bestia, ma fra uno Spock particolarmente ciarliero e confidenziale, diviso tra la sua parte umana e vulcaniana, e un dottor McCoy che sottolinea come la passione e la sensibilità siano le doti che maggiormente colpiscono nel capitano, finalmente arriviamo alla resa dei conti, quando entrambe le parti si ritroveranno insieme sulla pedana del teletrasporto, per essere alla fine riunite.
I titoli di coda m’informarono che la sceneggiatura era stata scritta da Richard Matheson, nome che vidi ricorrere spesso fra gli autori della serie originale, in compagnia di Harlan Ellison, altro autore che più tardi sarebbe entrato (con difficoltà: i suoi racconti in Italia furono sparsi in varie e introvabili antologie) nella mia nicchia personale di autori-culto.
Non ricordavo dove mi sembrava di averlo già sentito, senonché qualche tempo dopo incappai nuovamente in lui, questa volta in un film che mi terrorizzò oltremodo, tanto era realistico e possibile pur se tremendamente fantastico.
Era un film di Spielberg prima del successo di «Lo squalo» e di «Et»: la storia di un commesso viaggiatore che, durante un suo lungo spostamento lungo le autostrade della prateria americana, incappava in un camion gigantesco, un autentico leviatano, che, dopo essere stato sorpassato, inizia a tallonarlo e a perseguitarlo. Sfuggito più volte alle mire assassine del super-camion, il cui muso sembra quello di un minaccioso animale feroce, alla fine riuscirà a farlo precipitare in un burrone, dopo averlo fatto scontrare frontalmente con la propria auto.
Il plot di «Duel» servirà a Spielberg successivamente per essere amplificato proprio nel famoso «Lo squalo», in cui la mano di Matheson è presente, sia nelle linee fondamentali, sia in certe piccole “uova di Pasqua” come il lamento del camion che precipita nell’abisso, usato per il lamento finale dello squalo morente, dopo che lo sceriffo Brody gli fa saltare una bombola d’ossigeno tra le fauci.
Fu allora che mi decisi a conoscere la sua produzione narrativa, non senza incappare nuovamente in quella filmica, con alcuni dei miei episodi preferiti nella serie «Ai confini della realtà» voluta nel 1958 da Rod Serling.
Mentre infatti terminavo d’un fiato «I vampiri» (ovvero «Io sono leggenda») nelle edizioni argentee della Mondadori, leggendo subito dopo «Tre millimetri al giorno», ebbi modo di vedere il film «Radiazioni BX – Distruzione Uomo», un autentico capolavoro che nulla ha da invidiare alle moderne opere in CG con una trama avvincente e ben girata, con alcuni tagli da maestro meritatamente entrati nella storia del cinema.
E’ la vicenda di un uomo comune che, inspiegabilmente, rimpicciolisce di tre millimetri al giorno; in qualche modo coinvolge ognuno di noi, alle prese con l’irrazionale che irrompe nella nostra percezione della vita, scardinando prepotentemente ogni possibile e consolidata sicurezza. La scena della sua disperata ricerca di cibo, della lotta prima con il ragno (con un ago da lana come arma) e poi con il gatto per non fare la fine del topo, tutti concetti immagine che non possono non rimanere segnati in modo indelebile.
Recentemente, nel 1999, il suo romanzo «Io sono Helen Driscoll» («Stir of echoes») ha avuto una pregevole e attenta riduzione filmica; qui c’è un uomo che, forse per un incidente sotto ipnosi, comincia a prevedere il futuro e a vedere aggirarsi lo spirito di una donna che poi scoprirà essere la defunta Helen Driscoll.
Purtroppo dicasi il contrario per la nuova riduzione del suo capolavoro «Io sono leggenda», con un Will Smith comunque notevole e dolente nel ruolo di Neville, che fu di Charlton Heston nel precedente «1975: occhi bianchi sul pianeta Terra» (del 1971 per la regia di Boris Sagal).
Pur così diversi furono entrambi sconfessati dallo stesso Matheson per le troppe, eccessive, libertà nella trasposizione, rimarcando che l’unico film fedele al suo romanzo rimane tuttora quello di Ubaldo Ragona del 1964, quel «L’ultimo uomo sulla Terra», dove Robert Neville era interpretato da Vincent Price, girato completamente a Roma, nel quartiere dell’ Eur, in un bianco e nero abbacinante e angosciante, che ricorda da vicino la migliore lezione del cinema espressionista tedesco.
L’ultimo amarcord si perde lungo una calle veneziana, nei pressi della chiesa di santa Fosca, dove la statua di frate Paolo Sarpi vegliava attentamente sulla libreria Solaris, autentica isola nell’oceano del nulla, unica specializzata prima in fantascienza e materiale esoterico, poi in fumetti e fantastico in genere.
Il libraio, vero appassionato cultore nonché mio iniziatore e spacciatore di droga fantascientifica, mi fece notare che aveva per le mani un rarissimo cofanetto con tutti i racconti particolari di Matheson, un uomo che aveva saputo viaggiare da un genere all’altro, sempre miscelando sapientemente le dosi per far irrompere il fantastico nel quotidiano.
Il cofanetto portava il suggestivo e succulento nome «Shocks» e me lo rigirai per le mani per un po’, fino a quando non si fece ora di andare a lezione (frequentavo all’epoca il liceo classico) lasciando il tesoro nelle mani di quel pirata. Purtroppo arrivarono altri a razziarlo, facendomi rimanere a bocca asciutta.
Adesso che se n’è andato, Richard Burton Matheson lascia tre figli fisici, una triade di ottimi scrittori e autori cinematografici (due maschi e una femmina), che nulla hanno da invidiare al meraviglioso padre, oltre a un corpus letterario e cinematografico da far tremare le vene e i polsi.
In libreria ho rivisto finalmente il cofanetto «Shocks»: prima o poi, l’ho giurato, sarà mio. Gli occhi corrono bene sugli scaffali, dove l’editore Fanucci, con grande sapienza, ha ristampato pressoché al completo l’opera di Matheson, in una bella, pregiata ed economica edizione.
Ne sono certo, in barba al nostro percepire attivo e formativo del reale: qualcosa sopravvive alla nostra morte, e non solo nel ricordo o fra le pagine del tutto soggettive di un libro o di un opera filmica. Sopravvive nel mondo che ha creato, laddove noi possiamo solo addentrarci, nel luogo in cui giorno e notte si confondono, un interstizio d’assurdo che lede la realtà conosciuta e consolidata.
Addio, Richard.