Muller, il più maledetto (e il più prezioso) fra gli umani
«L’uomo nel labirinto» di Robert Silverberg
Nell’universo gli alieni ci sono e visto che noi terrestri ce ne andiamo – in questo romanzo – a zonzo per le galassie, logico che prima o poi li incontreremo. Siamo spinti a cercarli da «un malsano connubio di curiosità e timore». Temerli e combatterli potrebbero essere il terzo e il quarto dei nostri problemi; i primi due si chiamano riconoscerli e capirli. Per motivi che capiremo strada facendo, Dick Muller – tutt’altro che un super eroe, anzi in certo senso un paria – è la persona giusta per affrontare (non è la prima volta) alieni particolarmente incomunicanti. Dunque bisogna andarlo a riprenderlo – con le buone o le cattive – dal suo volontario esilio su Lemmos dove vive in una città-labirinto piena di pericoli.
«L’uomo nel labirinto» («The Man in the Maze» del 1969) si intitola questo bel romanzo di Robert Silverberg, più volte proposto – con differenti titoli – da Urania e non solo. Avevo voglia di rileggerlo e ho preferito l’edizione Fazi del 2008 (282 pagine per 16 euri) con la traduzione di Riccardo valla e un’introduzione di Neil Gaiman. Confermo le precedenti impressioni. Ottimo. Appartiene al periodo più creativo dell’oggi ottantenne Robert Silverberg: quello di «Shadrach nella fornace», di «Quellen, guarda il passato!», di «L’uomo stocastico», di alcuni straordinari racconti ecc. Fazi ha già ristampato il bellissimo «Morire dentro», «Il libro dei teschi» e due lunghi racconti – romanzi brevi, se preferite – uniti sotto il titolo «L’amore al tempo dei morti». (*)
Tanti si sono abituati – da qualche anno – ai videogiochi ambientati nei labirinti. Ecco l’idea sembra la stessa ma la differenza è che qui c’è una vera storia, esseri umani (e non) credibili, un tema veramente inquietante, uno sfondo immenso … non un’agitazione frenetica di pollici per passare qualche ora.
«E’ la fama, lo sprone. L’ultima infermità della nobile mente»: quando Muller cita Milton pensa a imprese ben più grandi dell’antico desiderio di essere conosciuto – magari per sempre – sulla Terra; il bersaglio è l’universo. Se è una pazzia pensare che bisogna andare sugli “infiniti mondi” (così li chiamò Giordano Bruno) mi colloco fra i matti. Muller nn è il mio eroe ma forse una parte di me e probabilmente di voi che state leggendo.
La prefazione di Neil Gaiman è interessante (il collegamento Muller-Filottete non sembri banale) ma a-s-s -o -l -u-t-a-m-e-n-t-e non va letta prima del romanzo: svela troppo. Se l’autore ha voluto conservare la spiegazione della “malattia” (meglio di «una deformità dell’anima») di Muller per oltre mezzo libro va rispettato; e comunque aveva le sue ragioni, non è solo un espediente per catturare chi legge nelle spire di un mistero.
(*) cfr Due parole su Alec Effinger e Robert Silverberg e L’amore al tempo dei morti – Robert Silverberg (di Francesco Masala).