Narrator in Fabula – 18
dove Vincent Spasaro incontra Luca Barbieri (*)
Se state cercando il futuro della narrativa di genere in Italia, tenete conto di questo nome: Luca Barbieri. È relativamente giovane (classe 76), spazia fra sceneggiature per fumetti, disegno, saggistica, narrativa di fantascienza e dell’orrore. I suoi saggi (ultima la «Guida ai supereroi Marvel» volume 1 e 2, Odoya, 2014 e 2015, scritta insieme all’amico Gianluca Ferrari) si impongono all’attenzione di un pubblico esigente. Da qualche anno ha avviato una fruttuosa collaborazione con la Sergio Bonelli editore per i fumetti. Pochi giorni fa è stato ripubblicato – da Meridiano Zero – il suo capolavoro horror «Five Fingers». Insomma merita tutta la vostra attenzione.
Luca vuoi parlarmi dei tuoi inizi del mondo dei libri?
«Gira voce che io abbia imparato a leggere con i fumetti di Tex. Non so chi l’abbia messa in giro ma è la pura verità. Anzi, come direbbe Tex, è “puro Vangelo!”. Devo ringraziare mio padre e mia nonna che mi hanno messo a disposizione tutte le loro raccolte, non solo di Tex ma anche di Alan Ford, Conan, Mister No ecc. (citati in ordine assolutamente casuale) e che mi hanno permesso sin dalla più tenera età di accedere a letture più mature come quelle degli Skorpio e Lanciostory e dei romanzi di Sven Hassel e Gerard de Villiers. Le mie radici affondano in questo humus di avventura, sangue e belle donne discinte».
E per quanto riguarda i tuoi inizi con la penna?
«Ho iniziato a scrivere a circa undici anni (temi scolastici a parte). Come? Copiando Salgari, che all’epoca consideravo il re degli scrittori. Avevo “inventato” un pirata malese di nome Satarkan che batteva i mari asiatici col suo praho e ho riempito un paio di quaderni con le sue avventure. Peccato averli persi, li rileggerei davvero con piacere».
So che hai scritto vari saggi su argomenti importanti a livello sociale. Me ne vuoi parlare?
«Il mio primo libro, “Amore negato”, è tratto dalla mia tesi di laurea e si occupa di mutilazioni dei genitali femminili (MGF), un tema che quando mi laureai, nel 2001, era ancora troppo poco conosciuto. Spero con il mio lavoro di aver sensibilizzato qualche coscienza in più. Avrei voluto continuare a collaborare con le varie ong che aiutano le donne mutilate e si occupano di prevenzione ma le “cose della vita” come le chiama Venditti hanno deciso altrimenti; spero in futuro di poter ritagliare un po’ di tempo per tornare a lavorare con loro».
Da qualche anno collabori con Odoya per saggi sui fumetti, sui pistoleri e addirittura sui licantropi.
«Odoya è una piccola casa editrice bolognese che fa grandi libri. Non intendo i miei: non sono così presuntuoso! Grandi libri di saggistica, intendevo, tutti interessanti, ben curati e ricchi di immagini. Ottimi prodotti ancora abbastanza artigianali in un mondo ormai quasi del tutto standardizzato. Con loro ho pubblicato “Storia dei pistoleri” (2010), il mio cavallo di battaglia, un sanguinoso viaggio tra i gunfighters della Frontiera americana raccontato come se fosse un romanzo, e “Storia dei licantropi” (2011) che Valerio Evangelisti ha definito “dottissimo” ed è forse il più approfondito studio sui licantropi mai pubblicato in Italia; d’altronde i lupi mannari sono i miei “mostri” preferiti e occuparmi di loro è stato un atto dovuto. Con il mio fraterno amico Gianluca Ferrari ho poi scritto “Guida ai supereroi Marvel”, in due volumi: un’opera davvero complessa, enciclopedica, mai azzardata nel nostro Paese, che sta andando benissimo tra i fan e che analizza l’universo Marvel in maniera dettagliatissima».
Cosa nascondi nel cappello a livello di saggistica?
«Molte altre cose, difficile decidere di cosa parlarti. Di sicuro un altro saggio western sugli “indomabili” del selvaggio west, ovvero le tribù indiane che mai si arresero all’invasore bianco. Dovrebbe uscire nel 2016. E poi un terzo libro con Gian, sui villain Marvel. Magari nel 2017».
Sei un appassionato di fumetti. Come è cresciuto questo interesse negli anni?
«I fumetti sono una parte di me, della mia anima. Impossibile immaginare la mia vita senza di loro. Per parlarti di questa passione ci vorrebbe un saggio: ecco, magari lo farò. Nel 2018 però, perché ho solo due mani».
Da qualche tempo ti occupi di Tex per la Bonelli. Come sei arrivato a lavorare per la mitica casa editrice.
«Da anni busso alla loro porta: è stato grazie a “Five Fingers” e a “Storia dei pistoleri” che mi hanno aperto. Per “Tex” ho scritto un soggetto che uscirà in tre albi su sceneggiatura di Tito Faraci a partire da questo dicembre. Una storia “old school” con pionieri e predoni comanche».
So che, oltre Tex, stai sceneggiando addirittura Dylan Dog, mio vecchio amore…
«Sì, anche per Dylan ho in cantiere qualcosa: un corto per il Color Fest, ma è ancora presto per parlarne. Roberto Recchioni potrebbe uccidermi; e voi non volete un fantasma (il mio) a perseguitarvi, giusto?».
Produzione breve: hai vinto diversi concorsi letterari fra cui il RiLL.
«Adoro scrivere racconti, che trovo più impegnativi di un romanzo. In un racconto devi creare l’atmosfera, catturare l’attenzione del lettore e dargli una storia su cui riflettere il tutto in poche pagine. Credo sia l’esercizio migliore per imparare a scrivere. Un romanzo aiuta molto l’autore nel diluire una storia, che può diventare carina anche se in realtà è mediocre; nel racconto questa possibilità non ce l’hai. Non sono concessi spazi per sbagli. E, soprattutto, devi dare a chi legge un bel finale, magari a sorpresa; in questo mi hanno molto aiutato i fumetti brevi pubblicati su Skorpio e Lanciostory e, anni dopo, i racconti di Weird Tales (Lovecraft, Howard), di Ambrose Bierce ed Edgar Allan Poe. Una delle mie più grandi soddisfazioni è aver ricevuto un’attestazione di merito in questo difficile settore con il premio RiLL, il principale in Italia per i racconti di genere fantastico. La drastica carenza di premi in questo settore è purtroppo indice del generale disinteresse della nostra editoria per un genere che ha avuto proprio in Italia alcuni dei migliori esponenti mondiali, Pirandello fra tutti».
Riesce in questi giorni un’antologia che considero eccezionale, «Five Fingers»; come è nata l’idea anni fa e cosa dobbiamo attenderci dalla nuova edizione?
«L’idea è nata dall’esigenza di unire insieme cinque racconti simili per tematiche e ambientazione; l’intuizione quella di usare come filo conduttore il significato nascosto di ogni dito della mano. La nuova edizione ricalca in modo fedele quella, splendida, delle edizioni Il Foglio. Non ho voluto toccare nulla».
Sei da più parti considerato il Joe Lansdale italiano. Cosa pensi di questa definizione?
«Ne vado enormemente orgoglioso, come potrebbe essere altrimenti? Lansdale è il mio scrittore preferito, il modello cui mi sono ispirato quando ho iniziato a fare sul serio con carta, penna e calamaio. Ha un talento eccezionale, smisurato come le praterie texane nelle quali si perde il suo sguardo. Per adesso sono soltanto una scimmia che ne imita i gesti. Se saprò essere qualcosa di più, solo il tempo potrà dirlo».
Quali son i tuoi miti letterari?
«Li ho citati strada facendo nelle risposte precedenti: Lansdale, Hassel, Poe, Lovecraft, Howard, Bierce, Pirandello e Salgari. A questi aggiungo Cormac McCarthy, Stephen King ed Ernest Hemingway. Quasi tutti quelli che ho citato, e non a caso, si sono misurati con successo sulla breve distanza, ovvero con i racconti».
Quando potremo leggere un tuo romanzo nuovo di zecca?
«Presto. Sto lavorando a un libro che omaggia proprio Cormac McCarthy e il suo capolavoro “Meridiano di sangue”, probabilmente il miglior western mai scritto. Il libro che sto scrivendo – “Ombre rosso sangue” è il titolo provvisorio (nasconde la citazione di un grande film di John Ford, ma la soluzione dell’enigma è troppo facile per suggerirvela) – mescola la parabola di sangue tracciata dai cacciatori di scalpi (l’emblema per eccellenza della Frontiera più disumana e feroce) alla magia indiana: non potevo infatti rinunciare a un pizzico di horror.
(*) In un primo ciclo – 14 settimane – Vincent Spasaro ha intervistato per codesto blog/bottega autori&autrici, editor, traduttori, editori dalle parti del fantastico, della fantascienza, dell’orrore e di tutto quel che si trova in “qualche altra realtà”… alla ricerca di profili, gusti, regole-eccezioni, modo di lavorare, misteri e se possibile anche del loro mondo interiore. I nomi? Danilo Arona, Clelia Farris, Fabio Lastrucci, Claudio Vergnani, Massimo Soumaré, Sandro Pergameno, Maurizio Cometto, Lorenza Ghinelli, Massimo Citi, Gordiano Lupi, Silvia Castoldi, Lorenzo Mazzoni, Giuseppe Lippi e Cristiana Astori. «Non finisce lì» aveva giurato Spasaro. Ed ecco il secondo ciclo: dopo Angelo Marenzana, Gian Filippo Pizzo, Edoardo Rosati e Luca Barbieri (nessuna parentela – se non per via della bisbisbisbisbisbisbisnonna Lucy – con Daniele Barbieri) dovrebbe toccare a Giulio Leoni e poi, in disordine alfabetico, ad Alberto Panicucci, Massimo Maugeri, Sergio Altieri, Sabina Guidotti, Stefano Di Marino, Francesco Troccoli, Silvio Sosio, Michele Tetro ma anche a un paio di giovanissim* e almeno un “mostro sacro”. Così io mi sono seduto qui – e lo stesso spero per voi – sulla riva del blog, sgranocchiando arachidi, per altre 14 puntate… almeno: anzi se fate bene i conti vedrete che presto saremo oltre. D’altronde quando Vincent era piccolo ed era sull’uscio, sua mamma non gli diceva – come da copione – «sei qui intorno a giocare?» oppure «torni presto» ma «vai oltre anche oggi?». Un destino da oltrista, per la fortuna di chi legge queste bellissime interviste. (db)
sempre in questi giorni, Luca Barbieri ha raccontato su RiLL.it il suo percorso, dal Trofeo RiLL alla Sergio Bonelli Editrice (e non solo). Per chi fosse interessato:
http://www.rill.it/?q=node/715