Narrator in Fabula – 22
Dove Vincent Spasaro incontra Stefano Di Marino (*)
Mister Action ovvero Il Prof ovvero… Tante, troppe identità per Stefano Di Marino. Con il suo nome o sotto pseudonimo ha spaziato dall’horror ai saggi, dalla fantascienza ai gialli, ma ciò per cui va oltremodo famoso è la spy story legata all’azione più muscolare e roboante. Chiunque abbia letto un «Segretissimo» conosce il suo nome. Eppure Stefano Di Marino è davvero molto altro ed è qui per raccontarci tutto di sé.
Ciao, Stefano! Mi piacerebbe sapere in primo luogo quali sono stati i tuoi primi approcci con la lettura e quale l’influenza della famiglia e dell’ambiente.
«Ciao Vincent, lietissimo di rispondere alle tue domande. Prima di tutto grazie alla mia famiglia che mi ha passato la passione per la lettura sin da piccolo. E per aver accettato il fatto che non so fare altro che raccontare, quindi era inutile forzarmi a fare un altro lavoro».
Quando hai iniziato a scrivere?
«Molto presto. Le prime cose le scrissi alle elementari su una rivista che facevamo a scuola, si chiamava ‘Il Tarlo’, alle medie con alcuni amici scrivevamo cose che ci auto-pubblicavamo (fotocopiando i racconti scritti a mano e distribuendoli tra gli amici). Poi ho iniziato a scrivere regolarmente intorno ai tredici anni e da allora non ricordo più un solo mese della mia vita in cui non ho scritto un romanzo o un racconto. Come puoi immaginare di storie impubblicate e impubblicabili ne ho a centinaia…ma è stata tutta scuola. Così come la lettura, sempre. Le due attività sono imprescindibili l’una dall’altra».
Sei molto legato alla tua città, Milano. Qual è il tuo rapporto con la cosiddetta capitale morale?
«Per quel che riguarda la vita, strettissimo. Ho avuto la fortuna di viaggiare molto e ancora lo faccio, fa parte di me. Ma mi sento milanese sino al midollo. È la città dove sono nato, ho studiato, mi sono formato e dove alla fine torno sempre. Come narratore, invece, il rapporto è stato più difficile. Anche se ho esordito (come pubblicazione) con ‘Per il sangue versato’ che era un noir milanese, per moltissimi anni ho inseguito la mia passione per l’avventura in luoghi lontani, in Asia soprattutto. Poi a metà degli anni 2000 ho scoperto che Milano era un set perfetto per molte delle mie storie e che si intrecciava perfettamente anche con quelle che fuggivano verso l’estero. Ne sono usciti alcuni dei romanzi che più amo, ‘Gangland’ e ‘Gangland Blues’ per esempio».
Parallelamente alla scrittura hai portato avanti un’attività di marzialista di tutto rispetto. Come sai l’argomento m’interessa molto. Come è nato e si è evoluto questo amore?
«L’arte marziale è stato ed è un aspetto fondamentale della mia vita. Per questo è strettamente legato alla scrittura. Ho cominciato a praticare judo e karate, perché cercavo una forma esotica di praticare sport che mi portasse vicino al mondo salgariano delle mie fantasie di bambino. Sono poi passato a viaggiare in Oriente, a praticare sport da combattimento a contatto: tutto ciò è in qualche modo rientrato nella mia produzione. Ho seguito e seguo ancora il cinema di Hong Kong e marziale, scrivo sulle arti marziali e la loro cultura e sto preparando un libro sulle discipline da combattimento. Anche se oggi pratico soprattutto taiji e nuoto, lo spirito del fighter è rimasto quello di vent’anni fa».
Cos’è per te l’arte marziale?
«È semplicemente il mio modo di vita. Comprende tutto ciò che faccio, anche la scrittura. Non è solo un calcio e un pugno. È un modo di pensare».
Qualche aneddoto relativo alla tua attività marziale?
«Di sicuro l’esperienza che ricordo con maggiore emozione fu l’esame per cintura marrone. Anni 70: si praticava uno Shotokan duro. Esame lunghissimo al termine del quale l’allievo doveva affrontare in un kumite tutti i suoi compagni – uno alla volta, ovviamente. Controllo relativo dei colpi. Una prova. Che tempi!».
Cosa pratichi oggi? Qual è l’arte che ti ha dato di più?
«Devo ammettere che sino ai 45 anni ho praticato ogni giorno, forse non troppo assennatamente. Ho sottoposto le mie giunture a qualche stress di troppo. Ma non rimpiango niente. Oggi, come dicevo, pratico tutti i giorni Taiji anche se mi alleno spesso nel kali e nell’uso di bastoni e lame. Poi faccio molto nuoto. La disciplina che forse mi ha dato di più come soddisfazioni? La Thai Boxe sicuramente. Ho ricordi bellissimi di Parigi, Amsterdam e Bangkok».
Sei anche un traduttore. Ti va di parlarne con soddisfazioni/frustrazioni inerenti?
«Devo dire che l’attività di traduttore per me è essenzialmente un’attività alimentare. Anche se ci sono stati autori che ho tradotto con grande passione. Recentemente De Villiers perché è una pietra miliare dello spionaggio che è il mio genere, ma anche tanti altri. Tradurre però ti insegna a vedere come gli altri scrivono, a ‘smontare il giocattolo’ e questo è sicuramente un aiuto grandissimo».
Hai lavorato come redattore in varie case editrici. Com’è stata l’esperienza e come sono cambiate le cose? Cosa pensi dell’attuale stato dell’editoria?
«Purtroppo ho poche e non felicissime parole da dire. Prima di tutto lavorare in editoria, dal livello di redattore a editor, ti insegna come funzionano davvero le cose, e questo è un bene. Ma devo dire che 25 anni fa, quando ho cominciato, pieno di speranze e idealismo, non pensavo che si sarebbe arrivati a questo punto. Ormai anche la narrativa popolare, che è quella a cui mi sono dedicato e che secondo me richiede più passione e competenza, ha pochissimo slancio. Tutto è solo e unicamente guadagno e cifre sui pallottolieri. Il valore del libro non conta più. E a chi importa se non si crescono nuove generazioni di lettori? Ma continuare sempre, eh!».
Quali sono i tuoi autori preferiti?
«Moltissimi. Difficile trovare veri e propri numi tutelari. Te ne cito uno che ricordo sempre con grande piacere e che attraverso il suo lavoro mi ha insegnato moltissimo. Ian van Hamme, che è considerato soprattutto un fumettista (Largo Winch e XIII) ma è un grandissimo narratore, uno sceneggiatore e un romanziere. Leggendo i suoi lavori ho imparato le dinamiche tra i personaggi che sono la cosa più importante. Ma è solo un nome, ce ne sarebbero centomila…».
Hai scritto a 360 gradi: saggistica, fumetti (ricordo uno speciale “Mystere” del 93), romanzi di vario genere. Quali esperienze ti hanno dato di più?
«Alla fine devo dire soprattutto la spy story e comprendo sia il lavoro su “Segretissimo” e il Professionista che i romanzi singoli come ‘Ora Zero’. Ma alla fine ogni romanzo sembra sempre il migliore… sino al prossimo».
E la tua scrittura di fantascienza? Cosa pensi della fantascienza attuale.
«La mia esperienza con la fantascienza è limitata, anche se ho lavorato per molti anni a Urania. Ho scritto un solo vero romanzo di fantascienza che uscì con il titolo “I predatori di Gondwana” ed era un remake fantascientifico de “Il corsaro nero”. Sinceramente non mi sento di dare giudizi sulla fantascienza attuale».
Ti chiedo la stessa cosa per l’horror.
«L’horror mi interessa di più, soprattutto dal punto di vista cinematografico. Sono un cultore dell’horror gotico classico anche se il miglior libro/film del genere resta “L’esorcista” (forse è un giudizio che vale per il cinema in generale). Seguo l’horror soprattutto al cinema e mi spiace che sia diventato un genere quasi esclusivamente per adolescenti. Vedo un po’ di tutto ma non trovo cose molto interessanti da diversi anni».
Il campo in cui hai forse avuto più soddisfazioni è l’azione/action. Come ti sei avvicinato e come sei riuscito a diventarne uno dei capisaldi?
«Leggendo, leggendo, leggendo. Scrivendo, scrivendo, scrivendo. E aggiungo: anche guardando moltissimi film e fumetti per cercare di capire cosa mi piaceva, cosa funzionava, cosa potevo rifare a modo mio. Direi che è la migliore scuola di scrittura. Il genere Action in sé è un sovragenere nel senso che può essere adattato alla spy story quanto al western, all’avventura al thriller. Alla fine ho avuto i migliori riscontri nella Spy Story perché ho trovato “Segretissimo” che era una collana che conoscevo e seguivo sin da ragazzo e lì ho avuto modo di esprimermi, ma ho sempre pensato a un metagenere di avventura dominato soprattutto dall’azione che non è solo ‘botti e sparatorie’ ma innanzitutto ritmo narrativo».
La tua esperienza in “Segretissimo”?
«Ho cominciato a leggere Segretissimo a 12-13 anni… Appena finito Salgari, per intenderci. Per me è stato un palcoscenico vastissimo, abbinato a molte altre letture e visioni che facevo in quei tempi. Ho assorbito quindi lo spionaggio avventuroso nei suoi schemi sin da ragazzo. Ho pubblicato il primo, dopo diversi infruttuosi tentativi, nel 1992: ‘Sopravvivere alla notte’. Poi nel ’95 mi proposero di scrivere una serie che potesse reggere con SAS. Nasce così Il professionista che ha fatto vent’anni di carriera e più di 60 episodi. Il segreto? Prendere gli elementi vincenti del genere (ritmo, informazione, un po’ di sesso, azione) e mescolarli in maniera che avessero qualcosa di originale e non fossero solo un calco di quello che era venuto prima. Senza parlare di Vlad, che è stata una serie intermedia e che riprenderò, credo che il Professionista sia, senza falsa modestia, lo spionaggio italiano che mescola elementi di quello anglo-francese con un ritmo e un sentire molto italiano. Una ispirazione che deve parecchio a Magnus (lo “Sconosciuto”) e a Scerbanenco (“Al servizio di chi mi vuole”)».
Le tue ultime opere?
«Recentemente ho sentito il bisogno di scrivere qualcosa che si alterni alla classica spy story. Mi sono cimentato con ottimi risultati di pubblico con il giallo classico (‘Il palazzo dalle cinque porte’) che poi è un thriller argentiano con qualche nota originale, un genere che mi affascina. Poi ho avuto molte soddisfazioni da ‘Amori e crudeltà dell’Orchidea rossa’ (Dbooks.it) che è una storia salgariana pura ambientata nel 1800 fra Italia e Asia e da ‘La Tigre dagli occhi di giada’ anch’essa un’avventura che inizia nel passato ma si svolge prevalentemente oggi fra Italia e Indonesia abbracciando molti dei miei temi preferiti, quelli delle arti marziali e dei complotti esoterici in primis. È pubblicato sempre da Dbooks.it, una piccola casa editrice ma che mi sta dando molte soddisfazioni. Per ultima la pubblicazione di “Eroi dell’ombra – il cinema di spionaggio raccontato come un romanzo”, un’opera unica sul cinema delle spie che fa seguito a diversi altri saggi sul cinema di genere. La narrativa popolare quindi resta al centro dei miei interessi».
Ti diletti anche a insegnare scrittura e sceneggiatura. Che consigli dai agli esordienti?
«Molto semplice. Leggere, leggere, leggere. Scrivere, scrivere, scrivere. Ma l’ho già detto. E poi non perdersi mai d’animo. Non ci sono altre scuole o trucchi».
Futuro prossimo: progetti, novità… Cosa dobbiamo aspettarci da Stefano Di Marino?
«Una valanga di idee su cui sono al lavoro. Principalmente sto scrivendo per Delos in digitale la seconda stagione di un progetto che mi sta molto a cuore: WILD WEST. Sì, proprio una serie western, un progetto che inseguo sin da ragazzo e che mi ha sempre appassionato. Poi ho tre libri in cottura per D.books.it di genere …un po’ diverso, ma sempre collegati con il mistero e l’azione. Siccome sono superstizioso, ne parleremo al momento adatto. Ovviamente conto di proseguire sia con il Professionista che con i Gialli classici».
(*) In un primo ciclo di «Narrator in Fabula» – 14 settimane – Vincent Spasaro ha intervistato per codesto blog/bottega autori&autrici, editor, traduttori, editori dalle parti del fantastico, della fantascienza, dell’orrore e di tutto quel che si trova in “qualche altra realtà”… alla ricerca di profili, gusti, regole-eccezioni, modo di lavorare, misteri e se possibile anche del loro mondo interiore. I nomi? Danilo Arona, Clelia Farris, Fabio Lastrucci, Claudio Vergnani, Massimo Soumaré, Sandro Pergameno, Maurizio Cometto, Lorenza Ghinelli, Massimo Citi, Gordiano Lupi, Silvia Castoldi, Lorenzo Mazzoni, Giuseppe Lippi e Cristiana Astori. «Non finisce lì» aveva giurato Spasaro. Ed ecco il secondo ciclo: dopo Angelo Marenzana, Gian Filippo Pizzo, Edoardo Rosati, Luca Barbieri, Giulio Leoni, Michele Tetro, Massimo Maugeri e oggi Stefano Di Marino … fra 7 giorni toccherà a (lo sapessi forse ve lo direi). Voci di corridoio – forse «Il corridoio della paura», gran film di Samuel Fuller – assicurano che stanno per arrivare, in disordine alfabetico, Alberto Panicucci, Sergio Altieri, Sabina Guidotti, Francesco Troccoli, Silvio Sosio ma anche un paio di giovanissim* e “mostri sacri”. Così io da tempo sto seduto qui – e lo stesso spero per tutte/i voi – sulla riva del blog, sgranocchiando arachidi, per leggermi altre 14 puntate… almeno: se fate bene i conti vedete che fra poco saremo oltre. D’altronde quando Vincent era piccolo ed era sull’uscio, sua mamma non gli diceva – come da copione – «sei qui intorno a giocare?» oppure «torni presto?» ma «vai oltre anche oggi?». Un destino da oltrista per la fortuna di chi legge queste sue bellissime interviste. (db)