Narrator in fabula? Quarta puntata
dove Vincent Spasaro intervista Claudio Vergnani (*)
E’ una delle voci più originali del fantastico italiano. Predilige horror, anche estremo, e thriller ma – come per ogni vero artigiano che si cimenti nella vituperata letteratura di genere – una definizione non riesce a imbrigliarne l’abilità. In ogni pagina di Claudio Vergnani si riconosce un profondo amore per i maestri anglosassoni dell’avventura e si può ammirare la capacità di attualizzare stili e trame. I suoi horror adrenalinici, violenti (leggete la trilogia dei vampiri zombi, «Il 18° Vampiro», «Il 36° giusto» e «L’ora più buia» tutti pubblicati da Gargoyle Books, per comprendere cosa intendo) ambientati in un’Italia che finalmente risulta credibile quanto Los Angeles o Londra, sono un must per i patiti della letteratura avventurosa e più ricca di colpi di scena. Sono convinto che Claudio non abbia sparato tutte le sue cartucce. Anzi, per restare in tema (perdonatemi questa metafora bellica, bazooka ed esplosivi sono ancora in magazzino, per cui in futuro aspettatevi da lui una rinnovata force de frappe.
Incuriosito dalla sua peculiare concezione della letteratura horror, ho voluto incontrare lo scrittore modenese e cercare di penetrare il suo mondo fantastico fatto di granate e corpi dilaniati, cazzotti e sopravvissuti in un mondo di zombi troppo simile al nostro.
Parlami del tuo immaginario di scrittore e di lettore. Cosa ti ha colpito da bambino e cosa ti colpisce ora?
«Banalmente, in termini sia di lettura che di visione, da bambino mi colpiva più o meno tutto. Era la scoperta di un inaspettato mondo fantastico. Tutto nuovo, tutto straordinario. Naturalmente, con il tempo, e di conseguenza con l’accumularsi dei testi letti e dei film visti, questa magia diminuisce e, se non si sta attenti, viene meno. Vale anche per me. Fra l’altro mi pare che oggi ci si trovi a un crocevia dove la scelta è se imboccare – e apprezzare – la strada che conduce al già letto e al già visto, oppure ricercare almeno una percentuale d’innovazione in ciò che si consuma, percentuale che renda il prodotto meno piatto, stereotipato e, in fin dei conti, preferibile. Personalmente, sempre più spesso leggo recensioni entusiastiche di prodotti (serial compresi) che non fanno altro che riproporre, sia pure modernizzati, temi visti e rivisti, ideati magari cinquanta anni fa, che però oggi paiono alla maggior parte dei fruitori, anche per ragioni anagrafiche, come originali e innovativi. Ma in questo caso assistiamo almeno al tentativo di rivisitare un tema, attualizzandolo e proponendo varianti. Poi esiste anche – e mi pare che vada per la maggiore alle nostre latitudini – il fenomeno del lettore “seriale”, che consuma gli stessi prodotti traendo piacere dal loro ripetersi in pratica senza varianti. Per feticismo e/o per uniformarsi al “gusto comune”, verrebbe da dire.
Per quel che mi riguarda, da lettore adulto, pur non disdegnando le serie (a esempio sono un cultore di Ian Fleming e di Maurice Leblanc) cerco di scovare in ciò che leggo la scintilla dell’inventiva, lo sforzo della creazione di qualcosa di nuovo, il desiderio di apporre un ideale mattoncino, piccolo o grande, nella “costruzione” delle idee che diventano storia, sia essa romanzo o film».
Vorrei sapere di più della tua concezione molto peculiare dell’horror e se come lettore hai apprezzato e come autore sperimentato altri generi.
«Da autore mi sono cimentato in un tipo di horror che mischia – spero in un equilibrio efficace e credibile – dramma, avventura, originalità di plot e di personaggi, ironia, qualche piccolo risvolto sociale e tanto amore per il classico. Ciò che viene definito classico è tale proprio perché senza tempo, e quindi utilizzabile in ogni epoca, dal momento che è inestricabilmente legato a ciò che non muta mai, vale a dire la natura umana. Essenzialmente mi piace inserire personaggi peculiari ma credibili in situazioni estreme e vedere come e se reagiranno. In questo senso, l’horror lascia ampio spazio alla creatività. All’autore o all’autrice decidere come sfruttare l’ampio ventaglio di possibilità creative e quindi se seguire le mode del momento o cimentarsi nel provare a creare qualcosa di nuovo.
Sei famoso per una originale versione italiana del genere horror zombie. Hai pubblicato tre romanzi corposi, una vera saga. Quando hai concepito la tua opera, avevi già presente il revival degli ultimi anni o è stata una creazione personale?
«Per la verità, avevo scritto Il 18° vampiro diversi anni prima dell’avvento di Twilight e del rinnovato interesse della figura del vampiro. I vampiri che descrivo non sono i protagonisti ma un fondale horror, più o meno definito, che mi ha permesso di affrontare alcuni temi a me cari e che tendono a ritornare nei miei romanzi: il coraggio, la paura, la disperazione, la tenacia, il senso di smarrimento che prende ogni uomo ragionevole di fronte alla difficoltà di distinguere fra bene e male, la difficoltà di mantenere saldi i rapporti umani quando intorno le cose si fanno disperate».
Le tue opere sono infarcite d’azione ma hanno una salda radice letteraria. Hai desiderio di cimentarti in qualcosa di nuovo nel futuro?«Di nuovo, intorno a me, nel panorama letterario, vedo molto poco e di solito non proviene dall’editoria classica. Non è casuale: le storie si sono moltiplicate a livello esponenziale e diventa difficile oggi affrontare un tema horror che non sia già stato descritto, indagato, valutato, variato, riproposto e di nuovo variamente modificato. La ricerca dell’originalità a mio parere ha spesso portato a scarsi risultati. Ci sono eccezioni, naturalmente. C’è spazio per creare storie nuove? Di sicuro, guai se non ci fosse. Ma crearle è meno facile di ciò che sembra, soprattutto in un panorama di crisi dove si preferisce andare sul sicuro riproponendo in mille varianti temi che, bene o male, si è sicuri che venderanno. Quindi, per rispondere alla tua domanda, nel mio caso l’intenzione c’è. C’è sempre stata. Bisogna vedere se ci saranno anche il talento, la forza e l’occasione».
Si può creare un horror ultraviolento ambientato in Italia e credibile? Com’è possibile sfuggire ai cliché e avere successo?
«Temo che attualmente i cliché siano ciò che garantisce il successo. Sono la via più facile. Dalle nostre parti gli esempi si sprecano. Il detto “moglie e buoi dei paesi tuoi” in Italia si può applicare anche a livello letterario. Meglio non scrivere horror: troppi ostacoli, troppi censori a priori e a prescindere, troppi sospetti di voler scimmiottare temi che appartengono alla cultura statunitense o anglosassone in generale. Da noi è meglio scrivere altro, qualcosa che il lettore riconosca come proprio o che venga indotto a riconoscere. L’Italia è il paese del sole, della pizza e non ci abita Brad Pitt; meglio dunque lasciar perdere zombi e altre creature».
Vergy, uno dei tuoi personaggi più amati, è un “risolutore di problemi” che usa spesso e volentieri le mani. C’è un rapporto fra lui e te, anche a livello ideale?
«Il personaggio Vergy è complesso e sfaccettato. Qui, in poche righe, temo ne uscirebbe un ritratto parziale e ambiguo. Mi fa però piacere attingere dalle riflessioni di un blogger (Fra Moretta) che lo ha inserito in un ideale elenco dei primi 5 cacciatori di mostri (http://morettafra.altervista.org/5-cacciatori-di-mostri/).“Creato dallo scrittore Claudio Vergnani per la sua trilogia vampirica, Vergy è un ammazzavampiri modenese, forse uno dei più interessanti personaggi partoriti dalla letteratura negli ultimi anni. Rozzo, insofferente ad ogni forma di dovere, maschilista eppure insospettabilmente colto, fedele ai propri amici e capace di affrontare con un lanciagranate anche un maestro vampiro, Vergy è forse il più umanamente meraviglioso e realistico vampire hunter degli ultimi anni”».
La tua pratica della boxe occidentale ha influito in qualche modo nella tua scrittura?
«In generale, a mio parere, è raro trovare in un romanzo una descrizione efficace di un combattimento. Esistono naturalmente e in alcuni casi sono pregevoli, ma si tratta di eccezioni. Poiché tendo a cercare di essere realistico in ciò che scrivo (l’horror, paradossalmente, ha un deciso bisogno di esserlo o l’intera impalcatura del dramma si dissolve) quando capita cerco di essere molto attento nel descrivere una lotta. L’aver praticato il pugilato mi aiuta, perché ho provato sulla mia pelle gli effetti autentici dei pugni. Così come aver avuto una parentesi militare mi ha insegnato l’utilizzo delle armi e altri dettagli più o meno tecnici. Naturalmente, in ogni descrizione occorre misura: una cosa è la precisione, un’altra la pedanteria. Ma il realismo mi piace: lo cerco come lettore e dunque provo ad applicarlo come autore».
«Attualmente, sto lavorando a tre romanzi, quasi in contemporanea: cosa che mai ho fatto in precedenza. Temi, generi e personaggi differenti. Non è casuale. È ancora una volta un modo per non fossilizzarmi su una moda o uno stile e provare – di nuovo e sempre – a creare quell’alchimia difficile e forse utopica fra classico e innovazione, tra sfondi conosciuti e sviluppi inediti, fra costruzioni letterarie consolidate e modi sempre nuovi di proporle. È nella ricerca di un timbro inedito che mi piace credere di stare lavorando. Nel tentativo di crearmi una voce originale, definita, riconoscibile ed efficace. Enorme ambizione! Non è la via per la fama, lo so – non qui, non oggi –, ma è l’unico modo di scrivere che conosco».
Le notizie di Claudio al lavoro su più fronti fanno ben sperare. In un mondo editoriale sempre più asfittico e demoralizzante, uno scrittore barricato in casa con lanciafiamme e una bottiglia di whisky prepara una sortita contro gli zombi dell’editoria in attesa là fuori. Seguitelo mentre si apre una strada verso la libertà e non restate indietro, preda dei morti viventi. Leggetelo e non ve ne pentirete. Un giorno gli zombi potrebbero bussare davvero alla vostra porta. Meglio essere preparati.
(*) Vincent Spasaro intervista per il blog autori-autrici, editor, traduttori, editori del fantastico, della fantascienza, dell’orrore e di tutto quel che è fantasia, alla ricerca dei misteri del loro mondo interiore. Il poker iniziale è: Danilo Arona, Clelia Farris, Fabio Lastrucci, Claudio Vergnani. Ma attenziò battagliò: Spasaro sa contare ben oltre 5 e presto ve ne accorgerete. (db)
Claudio Vergnani è molto bravo, un autore da seguire assolutamente.