Narrator in fabula? Quinta puntata

dove Vincent Spasaro intervista Massimo Soumaré (*)   

Scrittore, traduttore dal giapponese, saggista e ricercatore indipendente. Non bastasse… Massimo Soumaré ha collaborato con pubblicazioni specializzate sulle culture orientali e con riviste italiane e giapponesi. Come autore, suoi racconti sono stati pubblicati in diverse antologie fra cui «Alia» (CS_libri), «Tutto il nero del Piemonte» (Noubs), «Igyô korekushon» (Kôbunsha), «Kizuna: Fiction for Japan» (Brent Millis) e «Onryo, avatar di morte» (Mondadori). Sue opere sono state tradotte e pubblicate in Cina, Giappone e Usa. Per i manga e i fumetti ha collaborato con le case editrici J-Pop, Panini e Pavesio Editore.

Insomma, siete pronti per un viaggio sulla via della seta? Partiamo.

Come ti sei avvicinato alla lettura e alla scrittura?

«A essere sincero, quand’ero piccolo mi piaceva leggere e scrivere ma non avrei mai pensato di diventare uno scrittore. Facevo parecchi errori di ortografia (credo più che altro per distrazione). Nonostante ai professori i miei temi piacessero, non riuscivo a prendere il massimo dei voti. Allora, non sapendo ancora che esistevano gli editor e i correttori di bozze, ero fermamente convinto che un autore dovesse essere perfetto nello scrivere, perciò diventare uno scrittore mi pareva al di fuori delle mie possibilità. Piuttosto, pensavo che sarei diventato un inventore, un archeologo oppure un fumettista, dato che me la cavavo abbastanza bene con il disegno. Riguardo le prime due possibilità, una certa influenza devono averle avute Archimede Pitagorico e Indiana Jones».

Com’è nato e cresciuto il tuo amore per il Giappone?

«Ho sempre amato la storia e, quando ero adolescente, alla tv, oltre agli anime che guardavo con avidità, trasmettevano telefilm in costume sul Giappone medievale. Finite le superiori, non avevo la minima idea su cosa avrei fatto in futuro. Dopo aver frequentato per un anno il Politecnico di Torino mi sono reso conto che diventare un ingegnere non era la mia strada. Scoperto che all’Università tenevano anche un corso di lingue e letteratura giapponese, ho provato a iscrivermi e quella si è rivelata la decisione migliore. L’amore e l’entusiasmo per la cultura del Giappone non mi hanno più abbandonato. Dopo una decina di anni trascorsi a lavorare nel settore delle traduzioni tecniche e commerciali, dal duemila ho iniziato a occuparmi seriamente di di letteratura. Conosciuti degli autori giapponesi e parlato con loro, in seguito ho maturato la decisione di scrivere anche io, in particolare racconti. Ora traduzione e scrittura costituiscono in modo paritario la mia attività letteraria».

Sei stato in Giappone? Cosa ne pensi?

«Ci sono stato diverse volte, in genere per periodi di circa un mese. Come tutti i Paesi, l’arcipelago orientale ha aspetti positivi e negativi. Ci sono elementi che apprezzo molto; al contempo altri che mi risultano difficili da accettare. Che i giapponesi lavorino molto ha una sua ragione d’essere. Si tratta di una nazione che non ha grandi risorse naturali, a parte la mano d’opera, e questa è molto sfruttata, rendendo la vita dei suoi cittadini non certo idilliaca».

Cosa ti colpisce nella narrativa giapponese e quali sono state le tue esperienze in questo campo?

«Restando nel nostro settore, uno scrittore nipponico di narrativa di genere scrive mediamente cinque romanzi l’anno, dovendo però badare a mantenere una qualità almeno discreta (nessuno pretende che si scriva un capolavoro, ma è richiesto uno standard che non deluda; chi non è in grado di farlo si ritrova tagliato fuori dal mondo degli autori professionisti). Mi piace la capacità della narrativa giapponese di concentrare l’attenzione sull’io narrante, l’abilità nel descrivere atmosfere e paesaggi e, nella letteratura fantastica, il concetto d’inserire riflessioni e tematiche molto raffinate e complesse riuscendo al contempo, soprattutto in certe opere per ragazzi, a superare le barriere dei generi, cosicché possiamo trovare streghe alate munite di scope ultratecnologiche combattere contro mecha giganti spagnoli o maghi della chiesa anglicana lottare con studenti dotati di poteri Esp. Personalmente amo molto l’approccio che hanno gli scrittori giapponesi con chi si mette in contatto con loro. Ho avuto la fortuna di conoscere scrittori che, per fare un paragone, sono al livello di una Dacia Maraini in Italia e si sono sempre rivelati di una cortesia estrema e disponibili a fornirmi informazioni. Da traduttore, in particolare, mi ha stupito molto notare come siano stati disponibili a riflettere e considerare con serietà alcune mie osservazioni sui loro lavori».

Sei anche traduttore di fumetti. Vuoi parlarne?

«Ho sempre avuto molto interesse per i manga, i fumetti giapponesi, tuttavia ho incominciato a tradurli solo da qualche anno. Rispetto alla letteratura, che in genere ha un ritmo lento, i manga sono al contrario molto cinetici e assai simili alla cinematografia. Presentano spesso delle sceneggiature molto interessanti e, devo ammettere, che questo mi ha fatto riflettere anche riguardo al modo di strutturare la narrativa. In modo particolare, i fumetti si concentrano sulla costruzione dei personaggi, così da fare in modo che il lettore possa immedesimarsi con facilità con i protagonisti e, pertanto, si senta coinvolto nella storia».

Hai avuto modo di scoprire qualche autore giapponese per il nostro Paese e/o hai introdotto autori occidentali in Giappone? Hai avuto esperienze di traduzione o incontri anche con autori anglosassoni o europei?

«Parecchi e in vari generi della letteratura. Solo per fare alcuni nomi, per quella mainstream Kaori Ekuni, Mitsuyo Kakuta e Shion Miura, per la giallistica Arimasa Ôsawa, per l’horror Masako Bandô, Hideyuki Kikuchi e Hiroko Minagawa, per la narrativa fantastica Ken Asamatsu e Riku Onda, per le light novel (in pratica lo Young Adult degli americani) Kazuki Sakuraba. Introdurre autori europei e italiani in Giappone è molto difficile, ma non demordo. Certo è più facile nel caso di scrittori americani e inglesi. In passato, sono riuscito a tradurre un lavoro di Davide Mana per un’antologia dell’editore Kôbunsha. Nel 2007 ho partecipato alla Worldcon tenutasi a Yokohama e lì ho conosciuto, fra gli altri, Ted Chiang, Lillian Csernica, Ellen Kushner e Delia Sherman. Poi sono in contatto via e-mail con Michael Moorcok, un vero signore, e con la scrittrice e poetessa polacca Agnieszka Kuchiak. Riguardo altri Paesi, per la Cina ho conosciuto Wu Yan che, oltre a essere uno scrittore, è anche il docente del corso di master sulla letteratura di fantascienza dell’Università Normale di Pechino oltreché il poeta e scritttore Alvin Pang, di Singapore, una delle voci più promettenti del panorama letterario mondiale contemporaneo.

Qualche aneddoto sui tuoi molti incontri con autori stranieri?

«In effetti di aneddoti ne ho parecchi. Ne ricordo uno con Ted Chiang. Per caso, a Yokohama soggiornavamo allo stesso hotel. Devo ammettere che allora non conoscevo il suo lavoro, ma avevo notato che durante le sessioni di autografi si formavano lunghe file di giapponesi per farsi firmare i suoi libri. Così un mattino a colazione sono andato al suo tavolo e abbiamo parlato. Si è rivelata una persona assai disponibile e il risultato di quell’incontro è stato un racconto per l’antologia «Alia». Rammento inoltre con molto piacere un incontro avuto con Sakyô Komatsu. Era ormai molto anziano e non sempre del tutto lucido, ma anche così era evidente che mi trovavo di fronte a una persona con una cultura e conoscenze al di fuori del comune. Nonostante fosse molto impegnato e stanco, voleva a tutti i costi parlare con me e si era tenuto uno spazio di un’ora per quello. Devo confessare che mi ha davvero commosso. Di recente, in un evento organizzato da NipPop, dall’Università di Bologna e dalla professoressa Paola Scrolavezza cui ero invitato, sono finalmente riuscito a incontrare di persona Mitsuyo Kakuta. Ci conoscevamo da anni, ma solo sentendoci tramite internet e ci eravamo ripromessi che il giorno che ci saremmo visti di persona, dovunque fosse stato, avremmo brindato bevendo del vino. Cosa che abbiamo puntualmente (e abbondantemente!) fatto.

Veniamo a Massimo Soumaré autore. Mi piacerebbe che parlassi della tua evoluzione, cosa hai combinato e cosa stai progettando.

«Rispetto ai lavori che ho scritto ormai una decina di anni fa, mi sono reso conto che la mia scrittura è migliorata. Mi sembra sia più asciutta anche se resta, come mi dicono spesso, un sapore barocco, che è una mia caratteristica, e al contempo un modo veloce di narrare che ho sempre avuto. Inoltre, riesco a caratterizzare meglio ambienti e personaggi. In questo credo di essere stato influenzato dalla narrativa e dalla sceneggiatura del fumetto giapponese. Mentre agli inizi scrivevo più storie inerenti l’Oriente, oggi la percentuale di miei racconti ambientati in Europa o in altri Paesi è aumentata: per di più sto scrivendo anche narrativa di ambientazione non fantastica ma di genere storico, romantico e anche erotico, ampliando così i miei confini. In altre parole sto sperimentando nuove vie e questo mi piace. È aumentata anche la mia produzione di saggistica e nel 2015 usciranno diversi volumi che includono miei scritti, fra cui l’antologia «Jolanda & Co. – Le donne pericolose» a cura di Fabrizio Foni e Franco Pezzini per i tipi delle edizioni Cut-Up e il libro «Metamorphosis. Miti, ibridi, mostri» per la collana Autunnonero della Aracne editrice diretta da Sonia Maura Barillari, Franco Pezzini e Andrea Scibilia che raccoglierà gli atti del secondo convegno di studi sul folklore e il fantastico tenutosi a Genova nel 2010. Uscirà pure un’intervista sulla letteratura fantastica giapponese che sarà inclusa nella pubblicazione di italianistica delle Edizioni Trauben «Quaderni di cultura italiana» per il Trinity College di Dublino. Come scrittore, è di prossima uscita (in e-book nella collana Senza sfumature pubblicata dalla Delos Books e curata da Simona Liubicich) la mia storia romantico-erotica «Il circolo delle stagioni» e sto lavorando a un racconto di fantascienza ambientato nell’universo creato da un noto autore di fantascienza italiano. Ho poi scritto un romanzo di genere noir urban fantasy cui tengo molto che si svolge in Italia e Francia cui sono interessati anche un grosso editore giapponese e forse anche uno cinese, ma la cui condizione è che prima esca per un editore italiano grande o medio; sto aspettando una risposta dagli editori nostrani. Esiste anche l’idea di farlo eventualmente uscire come fumetto, non necessariamente in Italia ma forse sul mercato francese. A proposito di fumetti, di recente è uscito il volume «Sacro/Profano-Purgatorio» di Mirka Andolfo (dalle edizioni Dentiblù) in cui compare anche una breve storia sceneggiata da me. Chissà, potrebbe essere l’inizio di un’altra attività… Come traduttore, sempre nel 2015 sarà pubblicata un’antologia che presenterà ai lettori italiani una selezione di racconti appartenenti alla letteratura fantastica nipponica moderna. Ci sono poi altri progetti in ballo ma non posso ancora parlarne».

La realtà di Massimo Soumaré rispecchia la situazione di tanti giovani italiani dall’ingegno vario e multiforme, capaci di lottare contro i mulini a vento per aiutare la sonnacchiosa e conformista penisola a migliorarsi e svecchiarsi. Un Paese che si permette di considerare la cultura al pari di un gioco (o una velleità da ricchi) ha smarrito la strada e non desidera nemmeno ritrovarla. Se coloro che operano a vario livello nella cultura, e quindi anche curatori e traduttori, continueranno trovare solo vie sbarrate, saranno costretti prima o poi a gettare la spugna e lasciare l’Italia alle sue macerie sempre più polverose. Cambiare rotta dipende anche da noi.

(*) Quota cinque. Vincent Spasaro intervista per il blog autori-autrici, editor, traduttori, editori del fantastico, della fantascienza, dell’orrore e di tutto quel che è fantasia, alla ricerca dei misteri del loro mondo interiore. In precedenza il blog ha ospitato Danilo Arona, Clelia Farris, Fabio Lastrucci, Claudio Vergnani. Quando si fermerà Vincent? E prossimamente chi? Il mio indovino di fiducia sussurra un cognome, «Pergameno»… Vedremo. (db)

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