Nella colonia penale di Mauro Antonio Miglieruolo

Finalmente in libreria “Memorie di massima sicurezza” – la recensione di Fabrizio Melodia (a seguire una “vecchia” presentazione di db)

Viviamo in un clima di ossessiva sicurezza (tranne che per i luoghi di lavoro, insicuri fino a morirne). Mai come ora “il coro” chiede più vigilanza nelle strade e nei luoghi pubblici. Mai come ora, aumentano le aree videosorvegliate (tranne che nelle celle della questura di Bologna, come ha raccontato Vito Totire su questa “bottega”) e il “Progetto Strade Sicure” vede impegnate le forze dell’ordine – così si chiamano, non sempre a ragion veduta – coadiuvate dalle jeep dell’Esercito, i cui occupanti sono armati fino ai denti. Nelle stazioni ferroviarie, girano agenti della Polfer e unità anti droga cinofile. Le “Zone di Controllo del Vicinato” sono in costante aumento, beninteso, non con intenti di vigilanti e giustizieri ma per guardarsi le spalle a vicenda mentre le persone barricate in case o villini confidano in sofisticati sistemi d’allarme o nel “porto d’armi”. Se ci scappano un po’ di morti sono “i danni collaterali” accettabili.

Questo scenario vi preoccupa? Capite poco il presente e temete il futuro? A questo punto vale leggere un libro di Mauro Antonio Miglieruolo, talmente scomodo che gli editori da anni lo tengono nei cassetti. Nelle migliori tradizioni del sottosuolo, l’autore – spesso in “bottega” come sapete – ci racconta di incubi, deliri e attentati nel suo lucidamente allucinato «Memorie di massima sicurezza», edito da Elara (224 pagine per 27 euri).

Miglieruolo descrive una società dove il Potere agisce senza freni. Un uomo qualunque – o qualunquizzato, se preferite – viene accusato e arrestato senza una motivazione precisa. Incarcerato in una oscura cella di isolamento dove lentamente cede alla pazzia (provocata dall’esterno forse… a meno che non sia l’unica “via di fuga” rimastagli).

Per salvarsi – o forse per meglio ingannare se stesso? – si affida a pochi e sbiaditi ricordi di quando si trovava fuori dalla cella, frammenti di voli spaziali e di anelli stellari, rivivendo i fantasmi del passato con estrema alienità e lentezza.

Successivamente scarcerato – ovviamente senza scuse o altro – l’uomo qualunquizzato torna alla vita nella Megalopoli, dove continua a vivere il disfacimento della propria psiche o almeno questo potrebbe apparire a un primo livello di interpretazione (un secondo o un terzo sono lasciati a chi legge).

Per lo scrittore calabrese – ma da decenni trapiantato a Roma – il lieto fine non può esistere nell’inferno senza tempo. E’ il Franz Kafka, soprattutto de “Il processo” e di “Nella colonia penale” (dove un soldato viene condannato a morte per essersi addormentato in servizio e non aver fatto il saluto a un superiore all’orario convenuto) ma riletto alla luce delle carceri come “aggiornate” dal capitalismo reale e dal socialismo reale del XX secolo riletto e con le suggestioni della fantascienza “psichiatrica”.

«Ci fu il tempo dell’innocenza e quello della desolazione, e la furia e il pentimento e altre cose vennero e si dissolsero, tutto si consumò in fretta. Le stagioni svoltarono più volte e alla fine ci trovammo poveri, soli con noi stessi, e senza più innocenza. Si erano conclusi i nostri giorni lieti»: così recita l’inizio del romanzo nel soliloquio dell’innocente/colpevole.

UNA PREFAZIONE CHE (QUASI) NON HA VISTO LA LUCE


A me era capitato di scrivere la prefazione per una edizione e-book di «Memorie di massima sicurezza» che purtroppo (di fatto quella piccola casa editrice stava chiudendo) apparve e scomparve come le stelle del 10 agosto. Ve la ripropongo. (db)

 

Il cuore della bestia ci somiglia? Il dubbio di Miglieruolo

Si finisce in carcere – o in luoghi simili, persino peggiori – perché i giudici decidono (a torto o a ragione) che si è pericolosi per la società. Ma in cella qualcuna/o ci si ritrova per errore: probabilmente non avete sentito nominare Luigino Scricciolo e altri come lui, vittime di “sbagli”. Oppure le indagini azzeccano nome e cognome del reo ma – poffarbacco, come è strana la vita – era un caso di omonimia, come per Fausto Tortora. Da sempre, ma in certi periodi molto di più, la galere straboccano di «politici»; e sino a che punto e come sia lecito ribellarsi è questione mai risolta. Se vuoi farmi capire il tuo Paese, così Voltaire, non parlarmi di palazzi o ricchezze, portami a vedere le prigioni. Le quali, non a caso, hanno tanti nomi: sotterranei, tombe, lager, gulag o più semplicemente «nel cuore della bestia». E chi sia la bestia decidete voi.

Ancora: le prigioni si possono riempire di condannate/i in regolari processi ma per leggi idiote (in Italia la Fini-Giovanardi o la Bossi-Fini per dirne due) e soprattutto criminogene, cioè che creano delinquenti, criminalizzando comportamenti che invece – per discutibili o sbagliati che siano – non dovrebbero essere reati. Più in generale bisogna chiedersi, usando una vecchia “battuta” purtroppo sempre buona, se siano le carceri a essere sovraffollate o la popolazione a essere sovra-imprigionata: e il discorso non vale solo per dittature ma anche per molte democrazie (gli Usa hanno battuto tutti i record).

Innocenti o colpevoli, politici o “comuni” che siano, quasi tutti i coatti, i rinchiusi mirano a evadere. Così lo Stato (o i “privati” che gestiscono alcune galere, a esempio negli Stati Uniti) si attrezza per impedire le fughe. E’ suo diritto/dovere farlo ma spesso avviene violando le leggi e violentando la dignità delle persone: se accade in modo sistematico, questo toglie (lo ha ribadito anche la Corte Costituzionale tedesca) legittimità all’azione dello Stato.

Comunque sia, politici o no (da Gramsci al protagonista del film «Nick, mano fredda») sono in molti che lanciano una sfida ai carcerieri (o a i loro manovratori): il mio corpo è chiuso qui ma non potete impedire alla mia mente di essere libera.

Ed ecco il libro di Miglieruolo, ultimo (o penultimo?) passo di una strada che può condurre verso la liberazione o sprofondarci nell’abisso. Perché i carcerieri molto spesso temono la libertà di pensare più che quella dell’agire. In questa orrenda logica occorre ingabbiare le menti cioè piegare la volontà di detenuti e detenute, ucciderne le speranze, umiliarli e disumanizzarli. O convincerli che sono colpevoli di tutto, magari che la prigione è una loro allucinazione, oppure che si trovano lì per libera scelta e/o per auto-punizione. Si fa leva sull’idea (in una certa percentuale presente in persone di ogni tipo?) che ognuna/o è il nemico di sé, il suo giudice, carceriere, boia, torturatore…

Qui mi fermo perché non voglio rivelare dove porta – proprio all’interno di questa logica – «Memorie di massima sicurezza».

Miglieruolo è un autore poliedrico: fantascienza e non, alterna storie divertenti e altre drammatiche. A seconda del contesto la sua scrittura cambia: gelida o invece calda, razionale o “fuor di testa”, feconda o volutamente sterile. Se il linguaggio si aggroviglia o si frantuma dipende dalla vicenda; se la trama a volte si illumina e altre si oscura è per scelta. Questo a esempio è un romanzo di fantascienza eppure non lo è: come ha insegnato Philip Dick, la migliore science fiction si sposta solo di un passo avanti o di lato rispetto al cosiddetto mondo reale. La «massima sicurezza» di questo libro è tutta concreta o è anche (addirittura per intero) mentale? Memorie vere o costruite? Fino all’ultimo – e forse anche oltre – chi legge resterà in dubbio. Perché ognuna/o può avere la sua prigione e può temere (o vedere) che il carceriere assomiglia incredibilmente a una parte di sé. Ma forse quella è la pena: parafrasando Aldous Huxley, le nostre prigioni potrebbero essere l’inferno di un altro mondo, di un’altra specie. Ammesso che sia possibile, da cosa dobbiamo evadere? E in questo libro – duro ma necessario – Miglieruolo avrà lasciato, qui e là, qualche attrezzo (una corda o una lima, magari un’arma) o qualche appunto (sotto la fogna del reparto Z scorre un fiume che porta fuori dalla città-galera?) per aiutarci nella fuga? “Non mi riguarda, io sono libera/o” obietterà chi legge. Davvero? E sino a quando?

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

Un commento

  • Grazie, Astrofilosofo. Grazie non per l’apprezzamento (avrebbe potuto non esserci o non essere esplicitato).; grazie per valuto e saputo individuare l’essenza del libro, che è anche il motivo ispiratore del libro. Un motivo che può essere ben riassunto nel verso di una canzone di tanti decenni fa, verso che dichiarava: siamo tutti prigionieri politici. Si, è questo il motivo conduttore di Memorie di massima Sicurezza. L’illibertà universale. l’essere tutti soggetti e non protagonisti, consumaturi i non cittadini, individui, non persone…
    Ho detto il motivo conduttore, non l’unico. Ce ne sono altri, che per fortuna non ti sono sono sfuggiti. Il vivere, ad esempio, di ognuno nella divisione tra realtà e fantasia, verità e illusione… come il richiamo soft alla responsabilità personale di ognuno per il mantenersi in questa prigione nel quali ALTRI ci ha rinchiuso. Come ben dice Amalia Rodriguez, grandissima cantante portoghese (fado) perché prendermela con il destino, dato che io stesso me lo sono creato da solo?
    Tuttavia uno e diverso è il tema vero che mi spinge a considerare il romanzo come il migliore tra tutti quelli da me scritti (una mezzza dozzina o giù di lì). E cioé l’unità stilistica del libro, che oltre a essere rivalorizazione della lingua attraverso l’accostamento inedito e nuovo delle parole, è soprattutto unità empatica delle emozioni e del carattere del protagonista. Il cui nome non conosciamo proprio perché non occorre conoscerlo. E’ lui, proprio lui, assolutamente non un altro, impossibile equivocare: un vittimista, un pazzo e un acuto osservatore del dolore del mondo, che sperimenta assumendolo su di sé, diventando lui stesso un grumo delle contraddizioni che agustiano e impoveriscono questo mondo.
    A uno così occorre dare un nome? A uno così non occorre dare un nome: è il tutti qualunque di un secolo speciale. il XX secolo.
    E purtroppo anche il XXI secolo.

    Poi c’è il pieno dell’avventura, del plot, delle mirabilie e delle caretterizzazioni proprie al vissuto letterario fantascientifico. pratico da troppi anni la fantascienza per lasciarmi prendere il flagranza su tale aspetto. Tolte le prime pagine e le ultime, il resto è solo questo straordinario obbligo a cui è aggiogato ogni fantascientista. non sfuggo a quest’onere. Sfuggo invece alla folle imposizione del prezzo imposto dalla Elara. Certo, il libro li vale. Ma si possono di questi tempi chiedere 27 euro per un libro, per quanto buono (almeno così sembra considerarlo la casa editrice)? Tempi bui, tempi di penuria, tempi degni di Memorie di Massima Sicurezza. Per tale motivo ribadisco qui quanto detto sul mio blog. Chi chiederà il libro all’indirizzo milland@libero.it lo potrà ricevere al prezzo scontato di 20 euro. Per i lettori di questo blog invece ancor meno: 18 euro. Non sto buttando giù il libro: sto imponendo un prezzo politico. Cioé mi sto ribellando alla logica di mercato.
    Speriamo che questa ribellione paghi.
    Mam

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