Netanyahu è un serial killer*

articoli e video di Omar Barghouti, Seymour Hersh, Chris Hedges, Ilan Pappe, Amira Hass, Ofer Cassif, Raniero La Valle, Alberto Bradanini, Enrico Campofreda, comidad, Gideon Levy, Domenico Gallo, Alessandro Orsini, Bettino Craxi, Moni Ovadia, Leonardo Mazzei, Andrea Zhok, Toni Capuozzo, Pasquale Pugliese, Stefano Galieni, Jewish Voice for Peace, Michelangelo Severgnini, Giuseppe Aragno, Maurizio Acerbo, B’Tselem, Jack Khoury, Vincenzo Costa, Pepe Escobar, Carlo Rovelli, Alexandr Prokhanov, Massimo Mazzucco, Paolo Desogus, Mubarak Awad, Gianandrea Gaiani, Giacomo Gabellini, Francesca Albanese, Simón Rodríguez Porras, Matteo Saudino, Fulvio Scaglione, Medicina Democratica, Laura Silvia Battaglia, Haggai Matar, Patrizio Digeva, Patrizia Cecconi, Grazia Parolari, Wasim Dahmash, Tareq Hajjaj, Heba Zagout, Pina Fioretti, Antonio Mazzeo, Gianni Lixi, Manlio Dinucci, Jeremy Corbyn, Francesco Masala, Kamer Rohana, Eliana Riva, Edward Said, Guido Viale, Richard Seymour, Michele Santoro, Benedetta Sabene, Pubble, Diego Ruzzarin, Clara Statello, FEDERAZIONE ANARCHICA LIVORNESE, Tommaso Montanari,Brett Wilkins, Enrico Euli, Insaf Dimassi, Vauro, Bassem Youssef.

La “bottega” vi ricorda anche l’articolo Palestina mon amour di Giorgio Ferrari (ripreso ieri) che la nostra redazione condivide dalla prima all’ultima parola.

* a dire la frase del titolo – “Netanyahu è un serial killer” – è stato Patrick Zaki che per i media più vili un giorno è vittima, eroe, degno di asilo ma alla prima frase scomoda diventa indesiderabile e delinquente.

Israele ha lanciato su Gaza 12mila tonnellate di bombe. Equivalgono alla potenza dell’atomica sganciata su Hiroshimada qui

 

 

Perché credo che il movimento BDS non sia mai stato così importante come adesso – Omar Barghouti

In tempi di carneficine, di agitazioni degne di greggi di pecore e di polarizzazioni tribali, molti potrebbero liquidare i principi etici come una seccatura o un lusso intellettuale. Io non posso e non voglio. Non desidero altro che vedere la fine di ogni violenza in Palestina e in ogni altro luogo, e proprio per questo mi impegno a lottare contro le cause profonde della violenza: l’oppressione e l’ingiustizia.

Ho cari amici e colleghi nel “campo di prigionia” di Gaza, come lo ha definito una volta l’ex primo ministro britannico David Cameron, un ghetto moderno i cui 2,3 milioni di residenti sono prevalentemente rifugiati che discendono da comunità che hanno subito massacri e pulizie etniche pianificate durante la Nakba del 1948. Il blocco illegale di 16 anni imposto da Israele, con l’aiuto degli Stati Uniti, dell’Europa e del regime egiziano, ha trasformato Gaza in una zona “invivibile“, secondo le Nazioni Unite, dove il sistema sanitario è quasi al collasso, quasi tutta l’acqua non è potabile, circa il 60% dei bambini è anemico e molti bambini soffrono di crescita stentata a causa della malnutrizione.

Le storie strazianti di morte, distruzione e sfollamento che i miei amici stanno condividendo con me mi rendono contemporaneamente triste e indignato. Ma soprattutto mi spingono a contribuire ancora di più al movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), che ho co-fondato nel 2005, come mio modesto contributo alla nostra lotta di liberazione.

Il movimento antirazzista e nonviolento BDS, sostenuto dai sindacati dei lavoratori e degli agricoltori, nonché dai movimenti per la giustizia razziale, sociale, di genere e climatica che rappresentano collettivamente decine di milioni di persone in tutto il mondo, si ispira alla lotta anti-apartheid sudafricana e al movimento per i diritti civili degli Stati Uniti. Ma affonda le sue radici in un’eredità secolare, spesso misconosciuta, di resistenza popolare indigena palestinese al colonialismo dei coloni e all’apartheid. Questa resistenza non violenta ha assunto molte forme, dagli scioperi di massa dei lavoratori, alle marce guidate dalle donne, alla diplomazia pubblica, alla costruzione di università, alla letteratura e all’arte.

Sostenuto dai movimenti di base, dai sindacati e dai partiti politici palestinesi che rappresentano la maggioranza assoluta dei palestinesi nella Palestina storica e in esilio, il BDS chiede di porre fine alla complicità statale, aziendale e istituzionale internazionale nel regime di oppressione di Israele, affinché i palestinesi possano godere dei diritti sanciti dalle Nazioni Unite. Ciò include la fine dell’occupazione militare e dell’apartheid, nonché il rispetto del diritto dei rifugiati palestinesi, riconosciuto a livello internazionale, di tornare a casa.

Una parte importante, ma spesso trascurata, del breve appello del BDS fa appello alle persone di coscienza di tutto il mondo “per fare pressione sui vostri rispettivi Stati affinché impongano embarghi e sanzioni contro Israele” e invita “gli israeliani coscienziosi a sostenere questo appello, per il bene della giustizia e di una pace autentica”. In effetti, un piccolo ma significativo numero di ebrei israeliani si è unito al movimento e ha svolto un ruolo significativo nelle nostre campagne che hanno portato i principali fondi di investimento, le chiese, le aziende, le associazioni accademiche, le squadre sportive, gli artisti, tra gli altri, a porre fine alla complicità, o a rifiutare di essere coinvolti, nelle violazioni dei diritti umani di Israele.

Questa volta, però, molti governi e media occidentali stanno ripetendo a pappagallo una perniciosa disinformazione, sostenendo che l’ultima crisi è iniziata il 7 ottobre con un

attacco “non provocato” contro Israele. Definire non provocata l’incursione dei gruppi palestinesi non è solo immorale, ma è anche un tipico topos razzista anti-palestinese che ci considera come esseri umani relativi che non meritano pieni diritti umani. Per quale altro motivo l’inesorabile, lenta morte e la violenza strutturale che derivano dal regime di ingiustizia di Israele, che dura da 75 anni, contro di noi, dovrebbero essere considerate invisibili o indegne di essere condannate e responsabilizzate?

Sono ispirato dalle parole del filosofo brasiliano Paulo Freire, che ha scritto: “Con l’instaurazione di un rapporto di oppressione, la violenza è già iniziata. Mai nella storia la violenza comincia dagli oppressi… La violenza viene innescata da coloro che opprimono, che sfruttano, che non riconoscono gli altri come persone – non da coloro che sono oppressi, sfruttati e non riconosciuti”. La reazione dell’oppresso, che la si consideri o meno legalmente o eticamente giustificabile, è sempre e solo questa, una reazione alla violenza iniziale dell’oppressore.

In armonia con il diritto internazionale, il movimento BDS ha sempre difeso il diritto del popolo palestinese di resistere all’occupazione militare e alla colonizzazione israeliana “con tutti i mezzi disponibili, compresa la resistenza armata”, come previsto da numerose risoluzioni dell’ONU, tra cui la risoluzione 37/43 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e la risoluzione 45/130 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con una stretta osservanza del divieto di “colpire i non combattenti”. È vietato danneggiare i civili, sia da parte dell’oppressore che dell’oppresso, nonostante l’enorme squilibrio di potere e l’altrettanto immensa asimmetria morale tra i due.

Anche prima del 7 ottobre, il governo di estrema destra di Israele, il più razzista, fondamentalista e sessista di sempre, aveva intensificato i suoi spietati attacchi alle vite e ai mezzi di sussistenza di milioni di palestinesi, nella più totale impunità. Il fatto che la Cisgiordania occupata sia sotto il parziale controllo dell’Autorità Palestinese, coinvolta nel “coordinamento della sicurezza” con l’occupazione israeliana, non ha salvato i palestinesi da una Nakba (nella storiografia araba contemporanea: “la catastrofe“, ndt) continua di pogrom, esecuzioni extragiudiziali, espropriazioni, annessioni, costruzione di insediamenti illegali, umiliazioni quotidiane e negazione dei diritti fondamentali.

Comprendere il contesto e le cause della resistenza non implica accettare le sue tattiche di attacco ai civili, e il contesto in questo caso è scioccante. I palestinesi di Gaza stanno affrontando un’ondata senza precedenti di bombardamenti israeliani indiscriminati, comprese le munizioni al fosforo bianco, che hanno preso di mira scuole, università, interi quartieri residenziali, reti di telecomunicazioni, mercati, moschee, nonché operatori sanitari del CICR, personale delle Nazioni Unite e ambulanze, uccidendo oltre 1.030 bambini.

Ad aggravare questo orrore, l’esercito israeliano ha completamente interrotto la fornitura di acqua, cibo, medicine ed elettricità a Gaza, attuando la Dottrina Dahiya. Sviluppata nel 2008 in collaborazione con l’Università di Tel Aviv, questa dottrina prevede di colpire i civili e le infrastrutture civili con “forza sproporzionata” per infliggere distruzioni devastanti, un crimine di guerra. Martedì, un portavoce dell’esercito israeliano ha ammesso: “Negli attacchi [a Gaza] l’enfasi è sul danno, non sulla precisione”. Cercando di giustificare la sua decisione di imporre un “assedio totale” a milioni di palestinesi, il ministro della Guerra israeliano Yoav Gallant ha dichiarato: “Stiamo combattendo contro animali umani e agiamo di conseguenza”. Piangendo la perdita di vite civili da entrambe le parti, ma senza schierarsi o ignorare l’oppressione che dura da decenni, Jewish Voice for Peace negli Stati Uniti ha condannato il razzismo di Gallant dicendo: “Come ebrei, sappiamo cosa succede quando le persone vengono chiamate animali. Possiamo e dobbiamo fermare tutto questo. Mai più significa mai più – per nessuno”.

In effetti, qualche mese fa, lo studioso di genocidi Michael Barnett ha posto la domanda: “Israele è sull’orlo del genocidio?”. Data la totale impunità di Israele, incoraggiata dalla radicata complicità di Stati Uniti ed Europa, e in un’atmosfera di prevalente disumanizzazione, lo studioso israeliano di genocidi Raz Segal ritiene che l’attacco a Gaza sia “un caso di genocidio da manuale“. In una situazione di violenza orribile come questa, la coerenza morale è indispensabile. Chi non ha condannato la violenza originaria e continua dell’oppressione non ha la possibilità di condannare atti di violenza illegali o immorali commessi dagli oppressi.

Soprattutto, l’obbligo etico più profondo in questi tempi è quello di agire per porre fine alla complicità. Solo così possiamo sperare di porre fine all’oppressione e alla violenza. Come molti altri, i palestinesi amano e si preoccupano. Abbiamo paura e osiamo. Speriamo e a volte ci disperiamo. Ma soprattutto aspiriamo a vivere in un mondo più giusto, senza graduatorie di sofferenza, senza gerarchie di valore umano e dove i diritti e la dignità umana di ognuno siano custoditi e sostenuti.

Omar Barghouti è il fondatore del Movimento Boycott Divestment and Sanctions (BDS).

da qui

 

 

L’amore per Israele – Francesco Masala

Ci dicono: come si fa a non amare Israele, creato a tavolino per volontà dei colonizzatori e imperialisti inglesi e Usa, dopo la sconfitta della Germania nazista, Israele l’avamposto del mondo anglosassone, in mezzo a un mare di petrolio.

Dopo la Shoah molti ebrei sono diventati israeliani e Israele riesce a essere una sintesi perfetta e totale dei valori occidentali:

Terrorismo di stato, Colonialismo, Genocidi, Sterminio, Occupazione, Carcerazioni senza processo e senza fine, Omicidi mirati, Rappresaglie, Fascismo, Sostituzione Etnica, Punizioni Collettive, Nazismo, Furto e Rapina, Pulizia Etnica, Libertà di parola solo per chi loda i valori occidentali, e soprattutto chiagne e fotte.

Dovevano morire sei milioni di ebrei, lo dicevano da un bel po’ di tempo, da quando Hitler andava alla scuola materna (vedi qui). Lo sapevano i governi alleati da anni, dei lager nazisti, ma non hanno fatto niente, la differenza con oggi è che adesso tutto il mondo sa in diretta del massacro di Gaza, e i governi occidentali sostengono i serial killer israeliani, l’esercito più morale del mondo, si autoproclamano, senza se e senza ma.

Come l’Ucraina, anche Israele è una bomba a orologeria innescata da quel paese terrorista fra due oceani, per la nuova guerra mondiale per difendere i suoi confini (!?).

I bombardamenti degli Usa in Siria, paese da loro occupato, al quale rubano senza vergogna il petrolio, dev’essere l’ennesima esportazione di democrazia, riscaldando i motori per la terza guerra mondiale.

È troppo facile, o è antisemita, pensare che quei serial killer israeliani abbiano agito e stiano agendo per salvare Netanyahu dalla galera, o per rubare i giacimenti di gas di fronte a Gaza?

Già Clinton, quando aveva problemi giudiziari per via di Monica Lewinski, scatenò, insieme agli inglesi, bombardamenti in Irak, dal 16 al 19 dicembre del 1998, l’Operation Desert Fox.

Non si dimentichi che il capofila del Terrore sono gli Stati Uniti d’America (anche loro un popolo eletto?), nati e cresciuti col genocidio degli Indiani d’America, ha rubato e annesso le loro terre, ma non solo, il Texas è frutto di un’annessione, ma anche il New Mexico (anch’esso rubato al Messico?, dal nome credo di sì).

Adesso una guerra contro la Serbia? E poi?

 

 

 

Seymour Hersh: “Gaza sta diventando una Hiroshima senza l’uso delle armi nucleari”

Il noto giornalista americano Seymour Hersh ha dichiarato, citando le sue fonti, che Gaza City “sta per diventare una Hiroshima” senza l’uso di armi nucleari.

In un nuovo articolo pubblicato oggi sul suo blog, il premio Pulitzer ha scritto, citando analisti nel campo dell’intelligence, che le autorità israeliane non intendono dare alcuna possibilità di sopravvivenza ai membri del gruppo combattente Hamas.

“Un funzionario ben informato mi ha detto che ‘Gaza City sta per diventare una Hiroshima senza l’uso di armi nucleari‘”, ha rivelato il giornalista. In questo contesto ha precisato che secondo i piani di Israele “non ci sarà bisogno di una massiccia invasione di terra” e che l’esercito israeliano sarà incaricato di ricercare i membri del movimento che decidono di arrendersi. “L’ordine”, ha precisato il funzionario, “è di ‘sparare senza preavviso‘. La resa non sarà un’opzione”, ha aggiunto Hersh.

“Il piano [del primo ministro israeliano Benjamin] Netanyahu,” mi ha detto un funzionario, “prevede che l’esercito israeliano uccida ogni membro di Hamas che riesce a trovare, distruggendo il sistema di tunnel, magari usando bombe di fabbricazione americana, che possono penetrare decine di metri sottoterra prima di esplodere, per bloccare quella che una volta era Gaza City all’estremità meridionale,” ha scritto il giornalista. Secondo le sue parole, l’esercito israeliano avrebbe poi perquisito “isolato per isolato” la città alla ricerca delle persone rimaste.

Non vi è alcun segno che Hamas “abbia fornito ispirazione ai nemici di Israele”

Secondo Hersh, i servizi segreti statunitensi sostengono che l’incursione di Hamas, pianificata da due anni, “è fallita in ogni modo”. Pertanto, un funzionario ha stimato che il movimento volesse unire dalla sua parte “il mondo arabo” e sperasse di ricevere il sostegno del gruppo sciita Hezbollah e dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina.

Più di dieci giorni dopo l’attacco, “mi è stato detto che non c’era alcun segno che la rivolta di Hamas fosse servita da ispirazione per i nemici di Israele”, ha sottolineato Hersh.

da qui

 

 

Signore e Signori, per il genocidio da questa parte – Chris Hedges

Come corrispondente di guerra ho assistito alla guerriglia urbana in El Salvador, Iraq, Gaza, Bosnia e Kosovo. Una volta che si combatte strada per strada, casa per casa, c’è solo una regola: uccidi tutto ciò che si muove. I discorsi sulle zone sicure, le rassicurazioni sulla protezione dei civili, le promesse di attacchi aerei “chirurgici” e “mirati”, la creazione di vie di evacuazione “sicure”, la fatua spiegazione secondo cui i civili morti si sarebbero trovati “in mezzo al fuoco incrociato”, l’affermazione che le case e i condomini ridotti in macerie dalle bombe fossero la dimora di terroristi o che i razzi imprecisi di Hamas fossero responsabili della distruzione di scuole e ospedali, fa parte della copertura retorica per effettuare massacri indiscriminati.

Gaza è una landa così piccola, 40 chilometri di lunghezza e circa 8 di larghezza, e così densamente popolata che l’unico risultato di un attacco terrestre e aereo israeliano è la morte di massa di quelli che il Ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant definisce “animali” e il Primo Ministro Benjamin Netanyahu chiama “bestie disumane”. Il membro della Knesset israeliana (Parlamento) Tally Gotliv ha suggerito di scatenare “l’Apocalisse” su Gaza, ampiamente visto come un appello per un attacco nucleare. Il Presidente israeliano Isaac Herzog venerdì ha respinto le richieste di proteggere i civili palestinesi. “C’è un’intera nazione là fuori che è responsabile. Questa retorica sui civili non consapevoli, non coinvolti, non è assolutamente vera”, ha detto Herzog. “Avrebbero potuto ribellarsi, avrebbero potuto combattere contro quel regime malvagio che ha preso il controllo di Gaza con un Colpo di Stato”. Ha aggiunto: “Gli spezzeremo le reni”.

La richiesta da parte di Israele che 1,1 milioni di palestinesi, quasi la metà della popolazione di Gaza, evacuino il Nord della Striscia, che diventerà una zona di ingaggio libero, entro 24 ore, ignora il fatto che, dato il sovraffollamento e i confini blindati, non c’è posto dove gli sfollati possano andare. Il Nord comprende Gaza City, la parte più densamente popolata della Striscia, con 750.000 residenti. Comprende anche il principale ospedale di Gaza e i campi profughi di Jabalia e al-Shati.

Israele, impiegando la sua macchina militare contro una popolazione Occupata che non dispone di un esercito, unità meccanizzate, di una forza aerea o marina, di missili, di artiglieria pesante e di un centro di comando e controllo, per non parlare dell’impegno degli Stati Uniti a fornire un pacchetto di aiuti militari da 38 miliardi di dollari (36 miliardi di euro) a Israele nel prossimo decennio, non eserciterà “il diritto di difendersi”. Questa non è una guerra. È l’annientamento dei civili intrappolati per 16 anni nel più grande campo di concentramento del mondo. Gaza viene rasa al suolo, distrutta, ridotta in macerie. Centinaia di migliaia di civili verranno uccisi, feriti o lasciati senza casa, senza cibo, carburante, acqua e assistenza medica. Quasi 600 bambini sono già morti.

L’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Impiego (UNRWA) è stata costretta a chiudere 14 centri di distribuzione alimentare lasciando mezzo milione di persone senza cibo. L’unica centrale elettrica di Gaza è a corto di carburante. Le Nazioni Unite dicono che dodici membri del suo personale sono stati uccisi dagli attacchi aerei israeliani, 21 delle 22 strutture sanitarie dell’UNRWA a Gaza sono state danneggiate e gli ospedali mancano di medicinali e forniture di base.

Israele, come ha fatto in passato, bloccherà la diffusione di resoconti e immagini indipendenti una volta che circa 360.000 soldati avranno lanciato un attacco di terra. Sabato ha interrotto il servizio Internet a Gaza. I brevi scorci delle atrocità israeliane che verranno alla luce verranno liquidati dai leader israeliani come incidenti o attribuiti ad Hamas.

L’Occidente si rifiuta di intervenire, mente 2,3 milioni di persone, tra cui 1 milione di bambini, sono privi di cibo, carburante, elettricità e acqua, vedono le loro scuole e ospedali bombardati e vengono massacrati e resi senza casa da una delle macchine militari più avanzate del pianeta.

Le immagini raccapriccianti degli israeliani uccisi da Hamas sono moneta di morte. Si scambia carneficina con carneficina, una danza macabra che Israele ha avviato con i massacri e la Pulizia Etnica che hanno consentito la creazione dello Stato Ebraico, seguita da decenni di espropri e violenze inflitte ai palestinesi. Secondo il gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem, prima dell’attuale attacco, l’esercito israeliano aveva ucciso 7.779 palestinesi a Gaza dal 2000, tra cui 1.741 bambini e 572 donne. Questa cifra non include gli abitanti di Gaza che sono morti per aver bevuto acqua contaminata o per essersi visti negare l’accesso alle cure mediche. Né include il numero crescente di giovani di Gaza che, avendo perso ogni speranza e lottando con una profonda depressione, si sono suicidati.

Ho passato sette anni come corrispondente sul conflitto, quattro dei quali come direttore dell’Ufficio per il Medio Oriente del New York Times. Ho visto i corpi delle vittime israeliane degli attentati sugli autobus a Gerusalemme compiuti da attentatori suicidi palestinesi. Ho visto file di cadaveri, compresi bambini, nei corridoi dell’Ospedale Dar Al-Shifa a Gaza City. Ho visto i soldati israeliani schernire ragazzini che in risposta lanciavano sassi e poi venivano fucilati senza pietà nel campo profughi di Khan Younis. Mi sono riparato dalle bombe sganciate dagli aerei da guerra israeliani. Mi sono arrampicato sulle macerie delle case e dei condomini palestinesi demoliti lungo il confine con l’Egitto. Ho intervistato i sopravvissuti sanguinanti e storditi. Ho sentito i lamenti strazianti delle madri che si aggrappavano ai corpi dei loro figli.

Sono arrivato a Gerusalemme nel 1988. Israele era impegnato a screditare ed emarginare la laica e aristocratica dirigenza palestinese di Faisel al-Husseini e a scacciare gli amministratori giordani dalla Cisgiordania Occupata. Questa dirigenza laica e moderata fu sostituita dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e da Yasser Arafat. Ma anche Arafat, molto probabilmente avvelenato da Israele, e l’OLP furono spietatamente messi da parte da Israele. l’OLP fu sostituita da Hamas, che Israele ha apertamente promosso come contropotere all’OLP.

La crescente ferocia dei palestinesi è il risultato della ferocia di Israele contro i palestinesi. I gruppi di Resistenza sono la copia di Israele. Israele ritiene che con lo sradicamento di Hamas i palestinesi diventeranno docili. Ma la storia ha dimostrato che una volta distrutto un movimento di Resistenza palestinese, ne prende il posto uno più virulento e radicale.

Gli assassini si nutrono l’un l’altro. L’ho visto nelle guerre etniche in Bosnia. Quando la religione e il nazionalismo sono usati per santificare l’omicidio non ci sono regole. È una battaglia tra la luce e l’oscurità, il bene e il male, Dio e Satana. Il discorso razionale è bandito.

“Il sonno della ragione”, come disse Francisco Goya, “genera mostri”.

Gli estremisti ebrei, i fanatici sionisti e gli invasati religiosi dell’attuale governo israeliano hanno bisogno di Hamas. La vendetta è il motore psicologico della guerra. Coloro che vengono massacrati vengono disumanizzati. Non sono degni di empatia o giustizia. La pietà e il dolore si provano esclusivamente per i propri. Israele promette di sradicare una massa disumanizzata che incarna il male assoluto. I mutilati e i morti a Gaza, e i mutilati e i morti nelle città e nei kibbutz israeliani, sono vittime degli stessi desideri oscuri.

“Dalla violenza nasce solo la violenza,” scrive Primo Levi, “a seguito di un’azione intermittente che, col passare del tempo, anziché spegnersi, diventa più frenetica”.

L’amministrazione Biden ha promesso sostegno incondizionato a Israele e spedizioni di armi. Il gruppo d’attacco della portaerei USS Gerald R. Ford è stato schierato nel Mar Mediterraneo orientale per “scoraggiare qualsiasi attore” che potrebbe ampliare il conflitto tra Israele e Hamas. Il gruppo di portaerei comprende la portaerei della Marina statunitense USS Gerald R. Ford; i suoi otto squadroni di aerei d’attacco e di supporto; l’incrociatore missilistico guidato di classe Ticonderoga USS Normandy; e i cacciatorpediniere lanciamissili classe Arleigh-Burke: USS Thomas Hudner, USS Ramage, USS Carney e USS Roosevelt, secondo una dichiarazione del Pentagono.

Gli Stati Uniti, come in passato, ignorano le ben maggiori morti e distruzioni, nonché l’Occupazione illegale, inflitte da Israele ai palestinesi o le periodiche campagne militari: questo è il quinto grande attacco militare israeliano contro la popolazione di Gaza in 15 anni.

Israele afferma di aver recuperato 1.500 corpi di combattenti di Hamas dopo l’incursione. Si tratta di un numero superiore alle 1.300 vittime israeliane. Quasi tutti i combattenti di Hamas uccisi, sospetto, fossero giovani nati nel campo di concentramento di Gaza che non avevano mai visto l’esterno della prigione a cielo aperto finché non sfondarono le barriere di sicurezza erette da Israele. Se i combattenti di Hamas possedessero l’arsenale tecnologico di morte di Israele, sarebbero in grado di infliggere dolore in modo maggiore. Ma non lo fanno. Le loro tattiche sono versioni più rudimentali di quelle che Israele usa contro di loro da decenni.

Conosco questa malattia, l’esaltazione della razza, della religione e della nazione, la divinizzazione del guerriero, del martire e della violenza, la celebrazione del vittimismo. I guerrieri sacri credono che solo loro possiedano virtù e coraggio, mentre il loro nemico è perfido, codardo e malvagio. Credono che solo loro abbiano il diritto alla vendetta. Dolore per dolore. Sangue per sangue. Orrore per orrore. C’è una spaventosa simmetria con la follia, l’abbandono di ciò che significa essere umani e giusti.

Thomas Edward Lawrence chiama questo ciclo di violenza: “Gli anelli del dolore”.

Una volta accesi, questi fuochi possono facilmente trasformarsi in un incendio.

Carri armati e soldati israeliani, per contrastare un attacco di Hezbollah a sostegno dei palestinesi, sono stati schierati al confine con il Libano. Le forze israeliane hanno ucciso combattenti di Hezbollah, nonché un giornalista della Reuters, che ha visto Hezbollah lanciare una salva di razzi per rappresaglia. Il Ministro della Sicurezza Nazionale israeliano, Itamar Ben-Gvir, ha annunciato che distribuirà 10.000 fucili d’assalto ai coloni israeliani, che hanno compiuto furie omicide nei villaggi palestinesi in Cisgiordania. Israele ha ucciso almeno 51 palestinesi nella Cisgiordania Occupata da quando Hamas ha lanciato il suo attacco il 7 ottobre.

Lo psicologo Rollo May scrive:

“All’inizio di ogni guerra trasformiamo frettolosamente il nostro nemico nell’immagine del Demonio; e allora, poiché è il Diavolo che combattiamo, possiamo metterci sul piede di guerra senza porci tutte le domande fastidiose e spirituali che la guerra suscita. Non dobbiamo più affrontare la consapevolezza che coloro che stiamo uccidendo sono persone come noi. Le uccisioni e le torture, quanto più durano, contaminano gli autori e la società che condona le loro azioni. Tolgono agli inquisitori e agli assassini professionisti la capacità di sentire. Alimentano l’istinto di morte. Espandono il danno morale della guerra”.

Israele ha insegnato ai palestinesi a comunicare con l’urlo primitivo dell’odio, della guerra, della morte e dell’annientamento. Ma non è l’attacco israeliano a Gaza quello che temo di più, ma la complicità di una comunità internazionale che autorizza il massacro genocida di Israele e accelera un ciclo di violenza che potrebbe non essere in grado di controllare.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

da qui

 

 

Ilan Pappe: Cari amici israeliani, ecco perché sostengo i palestinesi.

Tradotto da  Saleh Zaghloul

È difficile mantenere la propria bussola morale quando la società a cui appartieni – sia i leader che i media – prende una posizione di superiorità morale e si aspetta che tu condivida la loro stessa furiosa colera con cui hanno reagito agli eventi di sabato scorso, 7 ottobre.

C’è solo un modo per resistere alla tentazione di aderirvi: se ad un certo punto della tua vita tu capissi – anche come cittadino ebreo di Israele – la natura coloniale del sionismo e fossi inorridito dalle sue politiche contro la popolazione indigena della Palestina.
Se avete raggiunto questa consapevolezza, allora non esiterete, anche quando i messaggi velenosi dipingeranno i palestinesi come animali, o “animali umani”. Queste stesse persone insistono nel descrivere ciò che è avvenuto sabato scorso come un “Olocausto”, abusando così della memoria di una grande tragedia. Questi sentimenti vengono trasmessi, giorno e notte, sia dai media che dai politici israeliani.

È questa bussola morale che ha portato me, e altri nella nostra società, a sostenere il popolo palestinese in ogni modo possibile; e questo ci permette, allo stesso tempo, di ammirare il coraggio dei combattenti palestinesi che hanno preso il controllo di una dozzina di basi militari, sconfiggendo l’esercito più forte del Medio Oriente.

Inoltre, persone come me non possono non interrogarsi sul valore morale o strategico di alcune delle azioni che hanno accompagnato questa operazione.
Poiché abbiamo sempre sostenuto la decolonizzazione della Palestina, sapevamo che più fosse continuata l’oppressione israeliana, meno probabile sarebbe stata “sterile” la lotta di liberazione – come è avvenuto in ogni giusta lotta per la liberazione in passato, in qualsiasi parte del mondo.

Ciò non significa che non dovremmo tenere d’occhio il quadro generale, nemmeno per un minuto. Il quadro è quello di un popolo colonizzato che lotta per la sopravvivenza, in un momento in cui i suoi oppressori hanno eletto un governo, determinato ad accelerare la distruzione, di fatto l’eliminazione, del popolo palestinese – o anche la sua stessa rivendicazione di essere un popolo.
Hamas doveva agire, e in fretta.

È difficile dar voce a queste contro-argomentazioni perché i media e i politici occidentali hanno accettato il discorso e la narrazione israeliana, per quanto problematica fosse.

Mi chiedo quanti di coloro che hanno deciso di vestire il Parlamento di Londra e la Torre Eiffel a Parigi con i colori della bandiera israeliana, capiscono veramente come questo gesto, apparentemente simbolico, viene interpretato in Israele. Anche i sionisti liberali, con un minimo di decenza, leggono questo atto come un’assoluzione totale da tutti i crimini che gli israeliani hanno commesso contro il popolo palestinese dal 1948; e quindi, come carta bianca per continuare il genocidio che Israele sta ora perpetrando contro il popolo di Gaza.

Per fortuna ci sono state anche diverse reazioni agli avvenimenti accaduti negli ultimi giorni.
Come in passato, ampi settori della società civile occidentale non si lasciano facilmente ingannare da questa ipocrisia, già manifesta nel caso dell’Ucraina.
Molti sanno che dal giugno 1967 un milione di palestinesi sono stati incarcerati almeno una volta nella loro vita. E con la reclusione arrivano anche gli abusi, la tortura e la detenzione permanente senza processo.

Queste stesse persone conoscono anche l’orribile realtà che Israele ha creato nella Striscia di Gaza quando ha sigillato la regione, imponendo un assedio ermetico, a partire dal 2007, accompagnato dall’incessante uccisione di bambini nella Cisgiordania occupata. Questa violenza non è un fenomeno nuovo, poiché è stata il volto permanente del sionismo sin dalla fondazione di Israele nel 1948.

Proprio a causa di questa società civile, miei cari amici israeliani, il vostro governo e i vostri media alla fine verranno smentiti, poiché non saranno in grado di rivendicare il ruolo di vittime, ricevere sostegno incondizionato e farla franca con i loro crimini.
Alla fine, il quadro generale emergerà, nonostante i media occidentali intrinsecamente parziali.

La grande domanda, tuttavia, è questa: anche voi, amici israeliani, sarete in grado di vedere chiaramente questo stesso quadro generale? Nonostante anni di indottrinamento e ingegneria sociale?
E cosa non meno importante, sarete in grado di imparare l’altra importante lezione – che può essere appresa dagli eventi recenti – che la sola forza non può trovare l’equilibrio tra un regime giusto da un lato e un progetto politico immorale dall’altro?
Ma c’è un’alternativa. Infatti ce n’è sempre stato uno:
Una Palestina desionizzata, liberata e democratica dal fiume al mare; una Palestina che accoglierà nuovamente i rifugiati e costruirà una società che non discrimini sulla base della cultura, della religione o dell’etnia.

Questo nuovo Stato si attiverebbe per correggere, il più possibile, i mali passati, in termini di disuguaglianza economica, furto di proprietà e negazione dei diritti. Ciò potrebbe annunciare una nuova alba per l’intero Medio Oriente.
Non è sempre facile attenersi alla propria bussola morale, ma se punta a nord – verso la decolonizzazione e la liberazione – allora molto probabilmente ci guiderà attraverso la nebbia della propaganda velenosa, delle politiche ipocrite e della disumanità, spesso perpetrate in nome dei ‘nostri comuni valori occidentali”.

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sull’insensatezza di farsi ancora domande sensate – Enrico Euli

Quando gli euro-americani hanno inventato la guerra umanitaria si rendevano conto di quel che stavano inventando e quanto successo avrebbe avuto nel mondo intero?

Basta poco, in fondo: qualche aiuto -se ti è permesso- e moltissime bombe da terra e cielo.

Funziona: salva la coscienza dei caritatevoli, mentre distrugge tutto il resto.

Quando gli euro-americani-israeliani parlano di attacchi mirati, cosa intendono esattamente?

Perché a vedere Gaza fatta a pezzi, con aree intere senza più palazzi e persone, sia a nord che a sud, qualche dubbio sorge spontaneo.

Ogni giorno e notte si colpiscono obiettivi strategici, covi di guerriglieri e terroristi, centri ed apparati di offesa potenziale. Ma -se è davvero così- perché vediamo tanta gente disperata che scappa (se può), che accorre agli ospedali (se ci sono), o che muore ammazzata?

Quando gli euro-americani-israeliani affermano di voler e poter estirpare Hamas da Gaza e dalla faccia della terra, sanno cosa stanno dicendo?

Continuare a trattare Hamas come abbiamo fatto con l’Isis o con lo Stato islamico significa confermare quel che sapevamo già di noi stessi: che siamo incapaci di apprendimento storico.

Quando Israele afferma di voler liberare gli ostaggi con un’operazione di guerra, che cosa ha in mente? E’ ovvio che -a trattative in corso- i parenti degli ostaggi non ci credano e siano preoccupati, terrorizzati da un’operazione di terra, che rischia di (farli) uccidere ( come -dicono- è già accaduto per una cinquantina di loro) e non certo di salvarli.

Ma al governo israeliano neppure i suoi cittadini interessano granché davvero, pare.

Quel che gli interessa è difendere la patria, la nazione, non chi ne fa parte.

Per gli euro-americani, quanti morti arabi valgono i duemila israeliani morti sinora nell’attacco?

Facciamo uno a dieci? Ci bastano ventimila morti a Gaza? Forse neppure.

E cosa saremmo capaci di fare se sotto le bombe fossero milioni di israeliani e la Palestina (o Hezbollah) iniziasse a bombardarli ed ucciderli a migliaia ogni giorno?

Quanti israeliani profughi prenderemmo in casa (così come già accaduto con gli ucraini)?

Non vedo niente di simile nei confronti dei palestinesi: con loro non facciamo neppure finta di considerarli esseri umani, nostri simili (non dico fratelli).

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Quel “piccolo particolare” della mappa che Netanyahu ha presentato all’ONU – Brett Wilkins

Questo articolo è stato scritto all’indomani dell’intervento del Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu all’Assemblea generale delle Nazione Unite. Tale intervento si è tenuto meno di un mese fa, il 22 settembre 2023 e ha fatto molto discutere il fatto che Netanyahu mostrò una mappa del Medio Oriente senza Palestina. Alla luce degli eventi di sabato scorso, dell’operazione di Hamas e della reazione di Israele, quella “mappa” di Netanyahu assume un significato particolare…

 

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha fatto arrabbiare i palestinesi e i loro difensori venerdì dopo aver presentato una mappa del “Nuovo Medio Oriente” senza la Palestina durante il suo discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York.

Parlando ad un’aula in gran parte vuota, Netanyahu – il cui governo di estrema destra è ampiamente considerato il più estremo della storia israeliana – ha mostrato una serie di mappe, inclusa una che non mostrava la Cisgiordania, Gerusalemme Est o Gaza. Questi territori palestinesi sono occupati illegalmente da Israele dal 1967, ad eccezione di Gaza, da cui le forze israeliane si sono ritirate nel 2005, pur mantenendo una stretta economica sulla fascia costiera densamente popolata.

Middle East Eye ha riferito che Netanyahu mostrava anche una mappa di “Israele nel 1948” – l’anno in cui fu fondato il moderno stato ebraico, in gran parte attraverso la pulizia etnica di oltre 750.000 arabi – che includeva erroneamente i territori palestinesi come parte di Israele.

L’ambasciatore palestinese in Germania Laith Arafeh ha affermato sui social media che “non c’è insulto più grande a ogni principio fondamentale delle Nazioni Unite che vedere Netanyahu mostrare davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite una ‘mappa di Israele’ che abbraccia l’intero territorio dal fiume al mare, negando la Palestina e il suo popolo, tentando poi di incitare il pubblico con la retorica sulla “pace” nella regione, rafforzando nel contempo l’occupazione belligerante più lunga in corso nel mondo di oggi”.

Ha osservato Middle East Eye:

L’inclusione delle terre palestinesi (e talvolta delle terre appartenenti alla Siria e al Libano ) nelle mappe israeliane è comune tra i credenti del concetto di Eretz Yisrael – Grande Israele – una parte fondamentale del sionismo ultranazionalista che sostiene che tutte queste terre appartengono a uno stato sionista. All’inizio di quest’anno, il ministro delle finanze di Netanyahu, Bezalel Smotrich, ha parlato da un podio adornato da una mappa che includeva anche Palestina, Libano e Siria come parte del Grande Israele. Nello stesso evento, ha detto che “non esistono i palestinesi”. L’uso di tali mappe da parte dei funzionari israeliani avviene in un momento in cui il governo ultranazionalista di Netanyahu ha adottato misure che secondo gli esperti equivalgono all’” annessione de jure ”.“della Cisgiordania occupata.

Netanyahu ha utilizzato le mappe nel tentativo di illustrare il numero crescente di paesi arabi che stanno normalizzando le relazioni con Israele secondo gli accordi di Abraham mediati dall’amministrazione dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

“Non c’è dubbio che gli Accordi di Abraham abbiano segnato l’alba di una nuova era di pace”, ha detto il primo ministro israeliano. “Ma credo che siamo al culmine di una svolta ancora più drammatica, una pace storica tra Israele e Arabia Saudita. La pace tra Israele e Arabia Saudita creerà davvero un nuovo Medio Oriente”.

I critici hanno ribattuto che la pace tra l’Israele dell’apartheid e le dittature arabe è arrivata a scapito della promozione dei diritti dei palestinesi. Nel caso del Marocco, gli Stati Uniti hanno riconosciuto l’annessione illegale del paese nordafricano e la brutale occupazione del Sahara Occidentale in cambio della normalizzazione con Israele.

Gli oggetti di scena di Netanyahu hanno ricordato a numerosi osservatori il momento in cui, durante il suo discorso all’Assemblea Generale del 2012, utilizzò il disegno di una bomba per illustrare i progressi dell’Iran nell’avanzamento di un programma di armi nucleari che sia le agenzie di intelligence statunitensi che quelle israeliane sostenevano non esistesse.

Traduzione de l’AntiDiplomatico

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Pepe Escobar – Chi trae beneficio dalla tragedia palestinese

[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]

Ormai è assodato chi sta traendo profitto dall’orrenda tragedia della Palestina.

Allo stato attuale, abbiamo 3 vittorie per l’Egemone e 1 vittoria per la sua nazione portaerei in Asia occidentale.

Il primo vincitore è il War Party Inc., un’enorme truffa bilaterale. La richiesta supplementare della Casa Bianca al Congresso di 106 miliardi di dollari per “assistenza” soprattutto all’Ucraina e a Israele è manna dal cielo per i tentacoli armati del MICIMATT (“military-industrial-congressional-intelligence-media-academia-think tank” / il complesso militare-industriale-congressuale-intelligence-mediatico-accademico-pensiero, secondo la leggendaria definizione di Ray McGovern).

La lavanderia a gettoni sarà in piena attività, compresi 61,4 miliardi di dollari per l’Ucraina (più armi e rifornimento delle scorte statunitensi) e 14,3 miliardi di dollari per Israele (soprattutto “sostegno” alla difesa aerea e missilistica).

Il secondo vincitore è il Partito Democratico, che ha progettato l’inevitabile cambio di narrativa rispetto allo spettacolare fallimento del Progetto Ucraina; ma questo rimanderà solo l’imminente umiliazione della NATO nel 2024, che ridurrà l’umiliazione vissuta in Afghanistan allo status di gioco per bambini in un recinto di sabbia.

Il terzo vincitore sta incendiando l’Asia occidentale: la “strategia” dei neocon straussiani psicopatici concepita come risposta all’imminente BRICS 11, e tutto ciò che in termini di integrazione dell’Eurasia è stato avanzato al Belt and Road Forum a Pechino la scorsa settimana (compresi quasi 100 miliardi di dollari in nuovi progetti di infrastrutture/sviluppo).

Poi c’è l’accelerazione vertiginosa del progetto sponsorizzato dai maniaci sionisti genocidi: una Soluzione Finale alla questione palestinese, che mescoli: il raso al suolo di Gaza per creare un esodo forzato verso l’Egitto; la Cisgiordania trasformata in una gabbia; e, all’estremo, una “giudaizzazione di Al-Aqsa” che comprende una distruzione escatologica del terzo luogo più sacro dell’Islam, da sostituire con la ricostruzione del Terzo Tempio ebraico…

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Perché le potenze occidentali accettano il genocidio commesso a Gaza – Simón Rodríguez Porras

Il genocidio di Israele contro i Palestinesi è accettabile, non solo per gli interessi geopolitici a cui rende omaggio, ma perché è commesso contro non europei, non bianchi.

 

Mentre gli attacchi israeliani a Gaza continuano, uccidendo oltre 5.700 palestinesi, l’Occidente non ha smesso di sostenere il genocidio. Aimé Césaire*ci ricorda che ciò è accettato a causa della de-umanizzazione dei non bianchi, scrive Simón Rodríguez Porras.

“Alla fine del pomeriggio, il caldo fece alzare una leggera nebbia: era il sangue delle cinquemila vittime, il fantasma della città, che evaporava al sole al tramonto” – Aimé Césaire

Sono trascorse più di due settimane dall’inizio del bombardamento israeliano di Gaza e dal taglio dell’acqua e dell’elettricità, senza che cibo o medicine potessero entrare nel campo di concentramento più grande del mondo. Di fronte all’esaurimento delle risorse idriche, migliaia di persone sono costrette a bere acqua di mare o acqua contaminata. Tra bombardamenti letali, distruzione di ospedali e una lenta tortura dovuta alla fame e alla sete, quasi la metà dei 2,3 milioni di persone che vivono a Gaza sono già state sfollate con la forza.

Le forze armate sioniste hanno bombardato anche l’ospedale Al-Ahli, uccidendo centinaia di rifugiati in un unico colpo brutale.

Il potere coloniale ha ordinato lo sgombero dell’intera Striscia di Gaza settentrionale, bombarda chi cerca di andare a sud e bombarda anche il sud. Le vittime civili sono oltre 6.500 e continuano ad aumentare. In Cisgiordania, oltre 100 palestinesi sono stati uccisi e centinaia sono detenuti arbitrariamente.

”Gli scritti di Aimé Césaire sembrano parlarci oggi di funzionari delle Nazioni Unite, conduttori televisivi e direttori di giornali liberali, politici imperialisti e burocrati riformisti, il cui pseudo-umanesimo è ‘ristretto e frammentario, incompleto e parziale e, tutto sommato, sordidamente razzista’ .’

Lo storico Raz Segal, specializzato in studi sul genocidio e sull’Olocausto, ha scritto che questo è un “caso da manuale di genocidio”. Sia le misure adottate dal regime israeliano che la retorica dei suoi funzionari corrispondono fortemente alle definizioni legali di genocidio adottate dalle Nazioni Unite. Il ministro della Difesa Yoav Gallant ha effettivamente proposto un programma genocida: “Niente elettricità, niente cibo, niente acqua, niente carburante. Tutto è chiuso. Stiamo combattendo animali umani e agiremo di conseguenza”. Ma perché il mondo sembra non sentire ?

In verità il mondo sente e comprende il significato delle azioni e delle minacce israeliane. I governi di Stati Uniti, Francia, Italia, Germania e Regno Unito sostengono consapevolmente i crimini di guerra, fornendo a Israele tutte le possibili risorse militari, economiche e politiche.

Questo palese fascismo che indigna il mondo, spingendo migliaia di persone in decine di Paesi a scendere in piazza, ha l’approvazione della stampa “liberale” e “democratica” di Europa e Stati Uniti. I media, infatti, contribuiscono a creare l’atmosfera politica favorevole alle punizioni collettive inflitte da Israele ai Palestinesi. Ma non è tutto. In Francia, Macron inizialmente aveva vietato, subito dopo il 7 ottobre, le marce a sostegno della Palestina (divieto poi revocato) e, a causa di quella peculiare ossessione dell’imperialismo francese per la regolamentazione dell’abbigliamento, ha proibito di indossare la kefiah. Il ministro degli Interni ha anche avviato un’indagine contro il Nuovo Partito Anticapitalista per una dichiarazione a sostegno della resistenza palestinese e ha attribuito un presunto antisemitismo al partito France Unbowed.

Nel Regno Unito la bandiera palestinese sarà considerata sospetta su base più o meno discrezionale, e in Australia è stato annunciato che la polizia può fermare e perquisire arbitrariamente le persone che partecipano alle marce a sostegno della Palestina.

Misure contro la solidarietà con la Palestina sono state adottate anche in Austria e Germania nell’ambito di questa ondata antidemocratica, nel contesto del crescente sostegno popolare alla causa palestinese in Europa.

L’attuale offensiva arriva sulla scia di decenni di apartheid e di pulizia etnica e di oltre 16 anni di blocco contro Gaza, una politica definita lento genocidio dallo storico ebreo Ilan Pappé. L’economista Sara Roy ha coniato il termine “de -sviluppo” per descrivere il processo di distruzione dell’economia di Gaza da parte del regime di occupazione due decenni prima del suo blocco, e nel 2016 ha ipotizzato che il territorio fosse stato riprogettato in una “enclave isolata usa e getta”. Si tratta di fatto di una prigione a cielo aperto in cui oltre l’80% della popolazione vive in condizioni di povertà e il 60% soffre di insicurezza alimentare. Questo accadeva prima di ottobre.

Prima che le mura di quella prigione venissero demolite con la forza, tra il 2018 e il 2019 si sono svolte decine di marce pacifiche, represse dai cecchini israeliani. Sessanta palestinesi furono massacrati e più di 1700 feriti in un solo giorno.

Proprio come quando il massacro di Sharpeville del 1960 spinse la legislatura del Mississippi a rilasciare una dichiarazione di solidarietà con il governo razzista sudafricano, circa 400 membri della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti hanno sponsorizzato un progetto di risoluzione a sostegno di Israele nel mezzo dell’attuale offensiva genocida. L’unica critica mossa a Israele è quella di aver consentito ai Palestinesi di avere “attrezzature rudimentali e civili, come bulldozer, parapendii e gommoni… dimostrando l’importanza di applicare pienamente controlli rigorosi su quali materiali entrano nella Striscia di Gaza”.

Gli attivisti israeliani hanno documentato aperti appelli al genocidio tra giornalisti e personaggi pubblici israeliani nei social network e nei media. Netanyahu, la cui carriera politica è stata cementata sui suoi crimini di guerra, già nel 2018 aveva formulato un classico credo fascista: “I deboli crollano, vengono massacrati e cancellati dalla storia mentre i forti, nel bene e nel male, sopravvivono”. Con questa offensiva ha minacciato di trasformare Gaza in una “isola deserta” e lunedì alla Knesset ha affermato che “questa è una lotta tra i figli della luce e i figli delle tenebre, tra l’umanità e la legge della giungla”.

Una metafora simile è stata usata l’anno scorso dal capo della politica estera dell’UE, Josep Borrell, quando descriveva l’Europa come un giardino e il resto del mondo come una giungla.

Imperialisti e colonialisti continuano ancora oggi a ricordarci con le loro parole e azioni che non considerano i palestinesi, e la maggior parte dell’umanità, pienamente umani.

Il tema della fascistizzazione o nazificazione del regime politico e della società israeliana è stato sollevato più e più volte da intellettuali, attivisti e artisti ebrei e israeliani. Ciò parte dagli avvertimenti di Einstein e Arendt, tra gli altri, sul carattere quasi fascista e nazista del partito Herut, diretto predecessore del Likud di Netanyahu, e dalle critiche di accademici come Yehuda Elkana e Yeshayahu Lebowitz e da film come “Valzer con Bashir” di Ari Folman. Tanto che lo Stato israeliano ha avvertito la necessità di promuovere una definizione che classifichi questo genere di critica come espressione di antisemitismo.

In questo contesto, è altamente simbolico che Ezra Yachim, vecchio criminale di guerra che prese parte al massacro di Deir Yassin del 1948, ex membro del gruppo terroristico sionista Lehi, che si offrì di sostenere la Germania nella seconda guerra mondiale in cambio del sostegno per l’espulsione degli inglesi dalla Palestina così daimporre la propria colonia totalitaria, è stato inviato a incitare le truppe sioniste nell’attuale offensiva. Yachim li ha invitati ad uccidere e a “cancellare la memoria delle famiglie, delle madri e dei bambini”.

Il pensatore martinicano Aimé Césaire, nel suo libro fondamentale “Discorso sul colonialismo”, scritto nel 1950, ebbe la penetrante intuizione che il fascismo aveva radici nella storia stessa del colonialismo e dell’imperialismo europeo. Del borghese europeo e cristiano del suo tempo affermava che “ciò che non può perdonare a Hitler non è il crimine in sé, il crimine contro l’uomo, non è l’umiliazione dell’uomo in quanto tale, è il crimine contro i bianchi, l’umiliazione dell’uomo bianco, e il fatto di aver applicato all’Europa procedure colonialiste che fino ad allora erano state riservate esclusivamente agli arabi dell’Algeria, ai coolies dell’India e ai negri dell’Africa”.

Gli scritti di Césaire sembrano parlarci oggi di funzionari delle Nazioni Unite, conduttori televisivi e direttori di giornali liberali, politici imperialisti e burocrati riformisti, il cui pseudoumanesimo è “ristretto e frammentario, incompleto e parziale e, tutto sommato, sordidamente razzista”.

Il lavoro dello scrittore risponde anche alla domanda sul perché il genocidio dei palestinesi sia accettato da questi “umanisti” e “democratici”, rappresentanti dell’”ordine basato sulle regole”. I crimini di guerra di Bush sono rimasti impuniti, Obama ha persino ricevuto un premio Nobel per la pace che ha rivendicato i crimini “ben intenzionati” dell’imperialismo statunitense. Anche i crimini imperialisti della Russia sono stati accettati e tollerati senza conseguenze quando li ha commessi in Siria o in Cecenia. In Ucraina sono inaccettabili perché sono commessi contro gli europei.

Il genocidio di Israele contro i Palestinesi è accettabile, non solo per gli interessi geopolitici a cui rende omaggio, ma perché è commesso contro non europei, non bianchi.

Non è sufficiente smascherare questa visione ideologica del mondo che è oggi al centro dell’ordine imperialista, per mostrarla in tutta la sua mostruosità. Dobbiamo fare tutto il necessario per sconfiggerla.

*Poeta e pensatore antillano di lingua francese, uno dei maggiori esponenti, con L. S. Senghor, della negritudine

Simón Rodríguez Porras è un socialista e scrittore venezuelano. È l’autore di “Perché il Chavismo ha fallito?” ed editore di Venezuelanvoices.org.

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org

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Molte vittime a Gaza sono rimaste sepolte sotto le macerie. Sono morte lentamente e in silenzio – Amira Hass

Centinaia di migliaia, tra cui neonati, anziani, disabili e malati, fuggono per salvarsi la vita a causa degli attacchi dell’IDF, ma nessun posto nella Striscia di Gaza è veramente sicuro. Per i sopravvissuti, è evidente che se le minacce di Israele si concretizzeranno pienamente, molti non avranno un posto dove tornare.

 

Nelle prime ore del mattino di sabato, poche ore dopo il rilascio di Judith e Natalie Raanan, e poche ore prima dell’apertura del valico di Rafah per lasciare entrare una goccia nel necessario mare di aiuti umanitari, i bombardamenti israeliani sono riusciti a uccidere circa 60 palestinesi in tutta la Striscia di Gaza, secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa palestinese Sama.

Secondo il Ministero della Sanità di Gaza, il numero delle persone uccise nei bombardamenti israeliani ha già superato le 4.380 unità, tra cui 1.756 bambini e 967 donne, a partire da sabato sera. Più di un migliaio di persone sono scomparse: la maggior parte sono quelle che le squadre di soccorso non sono riuscite a estrarre da sotto le macerie e rimangono sepolte. Alcuni sono stati uccisi sul colpo, mentre altri sono morti lentamente. Altri stanno morendo mentre scrivo.

Tra le persone uccise quella mattina ce ne sono sette a Rafah, come riportato da un giornalista inglese di al-Jazeera. La soffocante e costante pressione, che angoscia dal 7 ottobre, non ha fatto altro che intensificarsi. Molti dei miei amici e conoscenti vivono a Rafah, o sono fuggiti lì dopo che gli avvertimenti e i bombardamenti israeliani li hanno costretti a lasciare le loro case a Gaza e nei campi profughi di Shati e Jabaliya.

Da qualche giorno è difficile contattarli al telefono. O la rete è stata danneggiata oppure è intasata. Lascio messaggi WhatsApp ogni giorno, che di solito raccolgono un solo segno di spunta, il che significa che non vengono letti perché non c’è Internet. Anche i messaggi su Facebook Messenger sono rimasti senza risposta.

In realtà non sono veri e propri messaggi. Scrivo solo il nome dell’amico, oppure scrivo habibi o habibti, o dove sei. Per fargli sapere che sto aspettando loro notizie. Ogni singolo segno di spunta o mancata risposta è un altro macigno nel cuore. Tra le persone a cui ho scritto c’è una madre e sua figlia della famiglia a-Samouni, sopravvissute alla guerra del 2009. Al tempo 29 membri della loro familia allargata furono uccisi, di cui 21 nel bombardamento di una struttura in cui i soldati avevano raggruppato un centinaio di persone, dopo aver ordinato loro di lasciare le proprie case. Non mi rispondono neanche loro.

Secondo il Ministero della Salute di Gaza, nell’attuale guerra, al 18 ottobre, 79 famiglie hanno perso 10 o più membri. 85 famiglie hanno perso da sei a nove parenti e 320 famiglie hanno perso da due a cinque componenti ciascuna. Il ricercatore sul campo di B’tselem a Gaza, Ulfat al-Kurd, ha perso 15 familiari in un bombardamento. Il più anziano una donna di 65 anni, il più giovane un maschietto di due anni.

Uno degli obiettivi dei bombardamenti israeliani di giovedì è stato il complesso della Chiesa greco-ortodossa nel quartiere Zeitun di Gaza. Come in ogni guerra, anche questa volta, la chiesa è servita da rifugio per centinaia di persone sfollate: cristiani e musulmani. In quel bombardamento morirono 18 persone, musulmani e cristiani, tra cui quattro parenti di miei amici, che si erano trasferiti a Ramallah 10 anni fa.

Alle 10:30 di domenica mattina, la mia amica Salma ha risposto su WhatsApp. Che sollievo. “Buongiorno”, ha scritto, per abitudine, e ha confermato: “È stata una lunga notte di bombardamenti, difficile da descrivere”. Una settimana fa è fuggita da Gaza con il figlio e i nipoti a casa di sua sorella a Rafah. Le ho scritto: Spero che tu possa dormire adesso, perché mi hanno appena riferito che il valico di Rafah sarà aperto per lasciare passare 20 camion con aiuti umanitari, e sicuramente non bombarderanno in quel periodo, ma lei ha risposto: “Amira, la mia casa a Gaza non c’è più”. Da quando?, ho chiesto. “Ora, hanno bombardato tutto il nostro complesso abitativo”. L’unica cosa che ho potuto scriverle è quello che continuo a scrivere e dire: “Non ho parole”.

So per certo che cinque miei amici e conoscenti hanno perso la casa sotto i bombardamenti israeliani. Due famiglie hanno perso la casa nei primi due giorni di bombardamenti. Immagino che anche molte altre persone che conosco e che non sono riuscita a contattare abbiano perso la casa. A Beit Hanoun, a Beit Lahia, a Jabalya. Non so dove si trovino adesso. Se sono vivi. Finora, non ho potuto scrivere quelle tre parole.

Una mia amica e la sua famiglia, compresa la sua anziana madre, fino a due giorni fa si trovavano in un appartamento a Gaza, insieme a un cognato su una sedia a rotelle, quasi completamente immobilizzato, che ha impedito loro di evacuare verso Sud. “Siamo in attesa”, ha scritto. È in qualche modo riparati. Quando siamo riusciti a parlare mi ha fatto sapere che ero in vivavoce, quindi tutti potevano sentirmi, ma la connessione era instabile. “Stiamo bene”, mi ha scritto venerdì pomeriggio. “È stata una notte terribile (di bombardamenti – A. S.). Infernale”. Da allora non ho più avuto sue notizie. Vivono vicino all’Ospedale della Mezzaluna Rossa, i cui amministratori venerdì hanno ricevuto un avviso da parte di Israele che gli intimava di evacuare pazienti, personale e gli sfollati che vi si rifugiano.

“Secondo il Ministero dell’Edilizia Abitativa di Gaza, almeno il 30% di tutte le unità abitative nella Striscia di Gaza sono state distrutte o danneggiate dall’inizio delle ostilità”, afferma un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato domenica. Ho accompagnato alcuni dei miei amici 25 anni fa quando hanno aggiunto un piano alla casa di famiglia nel campo profughi, e poi quando alcuni hanno lasciato il campo o si sono trasferiti a Gaza City, risparmiando centesimo dopo centesimo e contrando persino debiti. Sono appartamenti in cui ho dormito, sono stato ospite, ho giocato con i più piccoli, che ormai hanno 18 o 20 anni.

Immagino i libri nell’appartamento della mia amica Salma e quello sottostante di suo figlio Karmel. Libri sepolti sotto le macerie dell’edificio, oppure bruciati. Immagino i giocattoli dei nipoti, i computer su cui i miei amici hanno curato le storie e gli articoli che hanno scritto, i documenti di ricerca, le lettere e le foto. Quanto di questo è stato salvato sul cloud? Penso ai mobili pesanti della casa di R e ai pochi mobili di quella di N. Gli stupendi giardini che alcuni di loro riuscivano a curare in piccoli cortili. Quando l’incubo finirà, prima o poi dovrà finire, loro saranno indigenti. Come lo erano i loro genitori e i loro nonni nel 1948.

E se Israele dovesse dare seguito alla sua minaccia di restringere ulteriormente la Striscia di Gaza (nel senso di prenderne il controllo e annetterne parte), perderebbe anche la terra su cui è stato costruito il suo quartiere o la sua casa. Ancora.

Secondo le autorità della Striscia, il numero dei feriti domenica sera ammontava ad almeno 13.000. Alcuni di loro si trovano negli ospedali, dove secondo quanto riferito i chirurghi sono costretti a operare con le torce dei cellulari, perché manca elettricità. Le cliniche e gli ospedali ancora funzionanti ospitano anche migliaia di persone sfollate in cerca di riparo e di un minimo di sicurezza. Dopo l’esplosione all’Ospedale al-Ahli, la gente sa per certo che nessun posto è sicuro. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha documentato 62 attacchi contro gli operatori sanitari: sono state colpite e danneggiate 29 strutture che forniscono servizi sanitari, tra cui 19 ospedali, e 23 ambulanze. Sette ospedali hanno cessato le attività: sia perché gravemente danneggiati, sia perché è stato necessario evacuare pazienti e personale. Il grande Ospedale della Mezzaluna Rossa si unirà a loro adesso, o gli sforzi delle Nazioni Unite e delle organizzazioni mediche internazionali lo impediranno?

Tra le rilevazioni ci sono anche sette membri di una famiglia di miei amici a Rafah. Una bomba israeliana ha colpito in pieno una casa vicino alla loro. Due occupanti sono rimasti uccisi. Schegge dirette, onde d’urto, muri che crollano, finestre esplose, vetri frantumati nella casa dei miei amici hanno causato il ferimento dei sette. Questo è stato una settimana fa, il 12 ottobre, quando sempre più residenti del Nord della Striscia di Gaza stavano fuggendo verso Sud e verso Rafah. Non sapevo ancora nulla. Il 13 ottobre ho scritto come al solito a Yazan, che ho conosciuto durante la Prima Intifada, quando aveva 16 anni. “Stiamo bene”, rispose Yazan. Ho approfittato del fatto che internet funzionava e ho fatto una chiamata vocale. Mi ha raccontato delle loro ferite. Uno dei bambini è stato trattenuto in ospedale durante la notte. Venerdì mattina ha scritto ancora una volta: “Stiamo bene”. Alla mia domanda ha risposto che c’era pochissima acqua, ma non ha dato dettagli. Ho deciso di smetterla di assillarla con le domande.

Un altro amico costretto a fuggire da Gaza a Rafah, a casa di sua sorella, ha scritto di aver pagato 400 shekel (92,5 euro) per un serbatoio d’acqua contenente 500 litri. Ma quella non è acqua potabile. L’acqua potabile costa attualmente 15 shekel (3,5 euro) al litro.

Un’altra famiglia di amici di Gaza ha trovato rifugio nell’appartamento di amici a Deir al-Balah, e un’altra famiglia, a Khan Yunis. Venerdì sono state uccise 15 persone nel bombardamento di strutture a Deir al-Balah e 38 in bombardamenti a Khan Yunis. Secondo i rapporti delle Nazioni Unite, centinaia di persone sono rimaste ferite in questi attacchi.

Un’altra famiglia di amici ha trovato rifugio in una scuola dell’UNRWA nel centro della Striscia. 13 membri della famiglia, in un’aula di 20 metri quadrati. Una nonna è cieca e paraplegica. L’altra soffre di fibrosi. Entrambe erano ragazze nel 1948. Uno dei fratelli ha il morbo di Parkinson. E ci sono due bambini, di diciotto mesi, che necessitano dell’attenzione di cui hanno bisogno i bambini.

“Ognuno di noi cerca di evitare di essere ucciso dagli israeliani. Trionferemo e vinceremo”, mi scrisse il mio amico, e nel messaggio successivo scrisse: “Finora, fisicamente, stiamo bene”.

 

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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Quale futuro – Raniero La Valle

Dopo la Shoà inflitta dall’Europa al popolo ebreo, il mondo ha detto “Mai più!” e ha stabilito che i popoli non devono uccidersi l’un l’altro ma farsi concittadini e fratelli. Con la fondazione dell’ONU il mondo si è poi chiarito le idee sul delitto di genocidio e sulla la sua singolarità rispetto a ogni altra forma di carneficina, eccidio o strage: una differenza tanto forte da inventargli un nome nuovo, dato che non esisteva la parola né la fattispecie del crimine di genocidio prima della risoluzione delle Nazioni Unite dell’11 dicembre 1946 seguita poi dalla Convenzione internazionale del 1948. Questa definiva il genocidio, indipendentemente dal fatto che fosse perpetrato in tempo di pace o in tempo di guerra, come ciascuno degli atti che venisse commesso “con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale”. Tra questi atti era esplicitamente citato “il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale”. Crimine veniva considerato anche “il tentativo di genocidio” e non venivano chiamati “scudi umani”, quali vittime dell’attacco, i membri del gruppo uccisi o esposti a “lesioni gravi alla loro integrità fisica o mentale”.

Istruiti da tale statuizione, possiamo chiamare per nome gli avvenimenti che stanno dilaniando Israele e Gaza, dalla turpe carneficina di Hamas alla terra bruciata frutto della punizione collettiva di Israele, fino alla strage degli innocenti malati e feriti nell’ospedale di Gaza.

In piena guerra è impossibile fare un bilancio complessivo delle vittime; si sa per certo che 1.200 israeliani sono stati uccisi nel raid di Hamas e circa 200 sono gli ostaggi. Quanto ai palestinesi, l’intera popolazione di Gaza, fatta oggetto della ritorsione israeliana, assomma a 2.200.000 persone, di cui più della metà sono minori e non hanno alcuna responsabilità per le gesta di Hamas, essendo nati dopo che questa nel 2006 aveva vinto le elezioni.

Purtroppo né l’Europa, né l’Occidente sono in grado di fare alcunché per alleviare le sofferenze in atto e promuovere la riconciliazione e la pace. Da noi non c’è che una rissa per demonizzare gli uni o gli altri, non c’è una visione capace di prospettare un diverso futuro. È chiaro invece che, fallita la soluzione dei due popoli in due Stati, inutilmente perseguita nei passati decenni, occorrerà mettere in campo nuove idee e proporre nuovi ordinamenti anche al di là dei modelli esistenti. Non è detto che la sovranità degli Stati debba continuare ad essere quella incondizionata del modello hobbesiano, né che i conflitti identitari si possano risolvere solo nella perdita delle rispettive peculiarità religiose e culturali secondo il modello della laicizzazione occidentale. E se da un lato l’identificazione di Israele come Stato ebraico potrebbe volgere a una interpretazione più magnanima e anche più fedele al cuore delle Scritture di quanto sia l’attuale forma dello Stato di Israele, nell’Islam può diventare cultura comune e immune dalle sacche di estremismi violenti la visione di recente enunciata nel documento islamo-cristiano di Abu Dhabi e nella lettera che 126 leaders e sapienti musulmani nel 2014 inviarono ad Al-Baghdadi e all’Isis, rivendicando il primato delle misericordia nel Corano e una lettura storicizzata delle passate guerre religiose con l’affermazione che l’Islam non avanza con la spada: “È proibito accomunare la “spada”, e quindi la collera e il rigore, alla “misericordia” – diceva la lettera – “Non è altresì lecito subordinare l’idea di “misericordia per tutti i mondi” (attribuita a Maometto) “all’espressione “inviato con la spada”, perché ciò sarebbe come dire che la grazia è subordinata alla spada, cosa che è evidentemente falsa. .”.

Non c’è dunque nulla che si deve fare che sia fuori della cultura ebraica e di quella musulmana; al contrario c’è scritto in Isaia 61, lo ha riproposto Gesù nella sinagoga di Nazaret, ed è affermato nella teologia islamica. E anche il papa è d’accordo contro tutta la tradizione della Cristianità armata, “da Costantino ad Hitler”, come dice lo storico Heer ben noto a papa Francesco.

Se non si mettono in campo queste alternative, nemmeno noi ci salviamo. Perché tutti siamo responsabili, “Sono tutti traviati, tutti corrotti, non c’è chi agisca bene, neppure uno” (Salmi), “tutti hanno smarrito la via, insieme si sono corrotti, non c’è chi compia il bene, neppure uno) (Paolo). Sono detti sapienziali, laici, non confessionali.

da qui

 

 

Chris Hedges – Come gli Usa di Biden alimentano la pulizia etnica a Gaza

Israele, con il sostegno degli Stati Uniti e degli alleati europei, si sta preparando a lanciare non solo una campagna di terra bruciata a Gaza, ma la peggiore pulizia etnica dai tempi delle guerre nell’ex Jugoslavia.

L’obiettivo è spingere decine, molto probabilmente centinaia di migliaia di palestinesi oltre il confine meridionale di Rafah nei campi profughi in Egitto. Le conseguenze saranno catastrofiche, non solo per i palestinesi, ma per tutta la regione, e quasi certamente scateneranno scontri armati nel nord di Israele con Hezbollah in Libano e forse con Siria e Iran.

L’amministrazione Biden, eseguendo pedissequamente gli ordini di Israele, sta alimentando la follia. Gli Stati Uniti sono stati l’unico Paese a  porre il veto  alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva pause umanitarie per fornire cibo, medicine, acqua e carburante a Gaza. Ha bloccato le proposte di cessate il fuoco. Ha proposto una bozza  di risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU  che afferma che Israele ha il diritto di difendersi. La risoluzione chiede inoltre all’Iran di smettere di esportare armi a “milizie e gruppi terroristici che minacciano la pace e la sicurezza in tutta la regione”.

Gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali sono moralmente in bancarotta e complici del genocidio quanto coloro che furono testimoni dell’Olocausto nazista degli ebrei e non fecero nulla.

Il conflitto, che è costato la vita a 1.400 israeliani e ad almeno 4.600 palestinesi a Gaza, si sta ampliando. Israele ha effettuato un secondo  attacco aereo  su due aeroporti in Siria. Scambia quotidianamente raffiche di razzi con le milizie Hezbollah. Le basi militari americane in Iraq e Siria sono state attaccate dalle milizie sciite. Giovedì la USS Carney, un cacciatorpediniere lanciamissili, ha abbattuto tre missili da crociera, apparentemente lanciati dagli Houthi nello Yemen e diretti verso Israele.

Israele sta anche lottando per sedare i violenti scontri quotidiani nella Cisgiordania occupata. Domenica ha effettuato un attacco aereo su una  moschea  nel campo profughi di Jenin – il primo attacco aereo in Cisgiordania da due decenni – che ha ucciso almeno 2 persone. Coloni ebrei armati si sono scatenati nelle città palestinesi della Cisgiordania.  Secondo l’ufficio umanitario delle Nazioni Unite, almeno 90 palestinesi in Cisgiordania sono stati  uccisi da coloni armati o dall’esercito israeliano dall’incursione in Israele del 7 ottobre da parte di Hamas e altri combattenti della resistenza. Nelle ultime due settimane sono stati arrestati circa 4.000 lavoratori di Gaza e 1.000 palestinesi della Cisgiordania, raddoppiando il numero dei  prigionieri palestinesi  portandolo a 10.000 detenuti da Israele, oltre la metà dei quali sono prigionieri politici

“Molti dei prigionieri hanno avuto arti, mani e gambe rotte… espressioni degradanti e ingiuriose, insulti, imprecazioni, legati con le manette alla schiena e stringendoli all’estremità fino a causare forti dolori… nudi, umilianti e di gruppo perquisizione dei prigionieri”, ha detto in una conferenza stampa la Commissione per gli Affari dei Detenuti dell’Autorità Palestinese, Qadura Fares.

B’Tselem, l’organizzazione israeliana per i diritti umani, ha detto alla BBC che dall’attacco del 7 ottobre è stato documentato “uno sforzo concertato e organizzato da parte dei coloni per sfruttare il fatto che tutta l’attenzione internazionale e locale è focalizzata su Gaza e il nord di Israele per cercare di impossessarsi di terre in Cisgiordania”.

All’interno di Israele, i palestinesi con cittadinanza israeliana e documenti di identità di Gerusalemme vengono molestati, detenuti, arrestati ed espulsi dal lavoro e dalle università in quella che viene descritta come una “ caccia alle streghe ”. Più di 152.000 israeliani sono stati evacuati da città e villaggi vicino ai confini di Gaza e del Libano.

Gli Stati Uniti, nel tentativo di contrastare una risposta militare dell’Iran che potrebbe innescare una guerra regionale, stanno dispiegando altre 2.000 truppe in Medio Oriente. Rischiererà uno dei suoi gruppi d’attacco nel Golfo Persico e invierà ulteriori sistemi di difesa aerea nella regione. La USS Dwight D. Eisenhower e il suo gruppo d’attacco – che lo scorso fine settimana erano stati schierati nel Mar Mediterraneo orientale per unirsi alla USS Gerald R. Ford – sono stati reindirizzati nel Golfo Persico. Nel Golfo Persico sono stati inviati anche una batteria antimissile THAAD (Terminal High Altitude Area Defense) e battaglioni del sistema di difesa missilistica Patriot.

Israele ha scatenato i suoi quattro cavalieri dell’Apocalisse: morte, carestia, guerra e conquista.

Ha dato agli abitanti di Gaza due scelte. Lascia Gaza o muori.

I palestinesi verranno uccisi non solo dalle bombe e dai proiettili e, eventualmente, con l’invasione di terra, dai proiettili e dalle munizioni dei carri armati, ma dalla fame e da epidemie come il colera. Senza acqua, carburante e medicine e con il collasso dei servizi igienico-sanitari, le malattie si diffonderanno rapidamente. L’ONU afferma che gli ospedali di Gaza “sono sull’orlo del collasso”. Migliaia di pazienti moriranno una volta esaurito il carburante per i generatori ospedalieri.

Un medico dell’ospedale al-Shifa di Gaz  ha riferito in un’intervista sabato: “Stiamo crollando”. Ha parlato della mancanza di ossigeno, luce e forniture mediche, di mancanza d’acqua in alcuni reparti, di preoccupazioni per il colera e della perdita di medici uccisi dagli attacchi aerei israeliani, compreso un dentista ucciso nel bombardamento israeliano di una chiesa ortodossa che ha provocato almeno 18  morti, compresi diversi bambini.

La manciata di camion, 37 finora, di aiuti a Gaza è un cinico espediente di pubbliche relazioni richiesto dall’amministrazione Biden. Farà ben poco per alleviare la crisi umanitaria architettata da Israele. L’ONU ritiene che  sono necessarie almeno 100 convogli di aiuti al giorno. L’ultimo impianto di desalinizzazione dell’acqua di mare funzionante di Gaza è stato chiuso domenica per mancanza di carburante.

Israele non ha intenzione di revocare l’assedio totale su Gaza. Ha annunciato che aumenterà i suoi attacchi aerei. Continuerà, come ha fatto nelle ultime due settimane, a estinguere le vite dei palestinesi e a terrorizzarli e a farli morire di fame spingendoli a lasciare Gaza.

L’assalto di terra a Gaza non sarà rapido. Implica settimane, forse mesi, di combattimenti di strada. Il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha paragonato l’incombente battaglia a Gaza all’assalto americano alla città irachena di Mosul, controllata dall’ISIS, nel 2014. Ci sono voluti nove mesi agli Stati Uniti per riconquistare Mosul.

Quando Israele dice che questa sarà una “lunga guerra”, per una volta sta dicendo la verità.

Israele ha richiesto maggiori aiuti militari a Washington, 14,3 miliardi di dollari, compresi 10,6 miliardi di dollari per la difesa aerea e missilistica. Lo otterrà. Israele sta rapidamente esaurendo le sue scorte mentre martella Gaza, anche nel sud di Gaza, dove sono fuggite centinaia di migliaia di famiglie sfollate dal nord.

Israele non permetterà la distribuzione dei 100 milioni di dollari in aiuti statunitensi promessi ai palestinesi in Cisgiordania e Gaza, almeno fino a quando la campagna della terra bruciata non sarà terminata. Ma a quel punto Gaza sarà irriconoscibile. Israele lo avrà annesso in parte o del tutto. Forse il denaro può essere destinato alla costruzione di altri insediamenti ebraici illegali nella Cisgiordania occupata. E promettere aiuti non equivale ad appropriarsene. Quindi forse anche questo fa parte dell’illusione.

I funzionari egiziani sono profondamente consapevoli di ciò che verrà dopo. Fino alla metà, forse di più, dei 2,3 milioni di palestinesi verranno spinti da Israele in Egitto, al confine meridionale di Gaza, e non gli sarà mai permesso di tornare.

“Ciò che sta accadendo ora a Gaza è un tentativo di costringere i residenti civili a rifugiarsi e a migrare in Egitto, cosa che non dovrebbe essere accettata”, ha avvertito il presidente egiziano Abdulfattah al-Sisi.

Rapporti provenienti dall’Egitto sostengono che Washington ha promesso di condonare gran parte dell’enorme debito egiziano di 162,9 miliardi di dollari, oltre a offrire altri incentivi economici in cambio dell’acquiescenza dell’Egitto alla pulizia etnica dei palestinesi. I profughi, una volta attraversato il confine con l’Egitto, verranno lasciati a marcire nel Sinai.

“C’è il grave pericolo che ciò a cui stiamo assistendo possa essere una ripetizione della Nakba del 1948 e della Naksa del 1967, anche se su scala più ampia. La comunità internazionale deve fare di tutto per evitare che ciò accada di nuovo”,  ha affermato  Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi occupati dal 1967.

Israele utilizza da tempo la guerra per giustificare la pulizia etnica dei palestinesi. I funzionari governativi hanno apertamente chiesto un’altra Nakba , o “catastrofe”, il termine per gli eventi del 1947-1949, quando oltre 750.000 palestinesi furono sottoposti a pulizia etnica dalla Palestina storica e costretti nei campi profughi per creare lo Stato di Israele. Durante la guerra del 1967, che portò all’occupazione israeliana della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, Israele effettuò la pulizia etnica di altri  300.000 palestinesi durante la Naksa, o “giorno della battuta d’arresto”, che viene commemorato ogni anno dai palestinesi.

La pulizia etnica dei palestinesi da parte di Israele, tuttavia, non si limita alle guerre. È in corso una pulizia etnica al rallentatore mentre Israele ha costantemente costruito sempre  più  colonie esclusivamente ebraiche  e ha sequestrato in modo incrementale la terra palestinese. I palestinesi, a cui vengono negate le libertà civili fondamentali nello stato di apartheid israeliano, sono stati derubati dei loro beni, comprese, spesso, delle loro case. Hanno dovuto affrontare crescenti restrizioni sui loro movimenti fisici. Sono stati bloccati dal commercio e dagli affari, in particolare dalla vendita di prodotti agricoli. Si sono ritrovati sempre più impoveriti e intrappolati dietro i muri e le recinzioni di sicurezza erette intorno a Gaza e in Cisgiordania. Allo stesso tempo, hanno sopportato periodici attacchi aerei israeliani, omicidi mirati e attacchi quasi quotidiani da parte di coloni ebrei armati e dell’esercito israeliano.

Israele ha impedito ai palestinesi che lasciavano la Cisgiordania e la Striscia di Gaza di ritornare al ritmo di circa 9.000 palestinesi all’anno dopo l’occupazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza nel 1967, fino alla firma degli accordi di Oslo nel 1994, secondo l’Israel Human Human Resources e il gruppo per i diritti umani  HaMoked. Secondo B’Tselem, Israele ha anche revocato i permessi di residenza a circa 14.000 palestinesi che vivevano a Gerusalemme Est dal 1967 .

 Secondo i dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli aiuti umanitari, Israele ha demolito 9.880 strutture, tra cui oltre 2.600 edifici residenziali abitati, sfollando oltre 14.000 persone e colpendone 233.681 nella sola Cisgiordania tra il 1° gennaio 2009 e il 7 ottobre 2023.  Dall’attacco del 7 ottobre, altre 38 case e altre strutture sono state demolite in Cisgiordania, colpendo altre 13.613 persone e provocandone lo sfollamento.

 Secondo  i dati di Peace Now e del quotidiano israeliano Haaretz, meno del 2,2% delle richieste palestinesi di permessi di costruzione presentate tra il 2009 e il 2020 sono state approvate.

Il numero di coloni israeliani nei territori occupati, tuttavia, è passato da zero prima della guerra del giugno 1967 a un numero compreso tra 600.000 e 750.000 sparsi  in almeno 250 insediamenti e avamposti in tutta la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, tutti in violazione del diritto internazionale.

Israele non nasconde le sue intenzioni.

Il ministro della difesa israeliano,  Yoav Gallant , ha detto alle truppe che si preparavano ad entrare a Gaza: “Ho eliminato tutte le restrizioni”.

Il membro della Knesset Ariel Kallner, del partito Likud di Benjamin Netanyahu,  ha invitato X, precedentemente noto come Twitter, a “una Nakba che oscurerà la Nakba del 48”.

L’esercito israeliano ha mobilitato Ezra Yachin, un veterano dell’esercito di 95 anni, per “motivare” le truppe. Yachin era un membro della milizia sionista Lehi che compì numerosi massacri di civili palestinesi, incluso il massacro di Deir Yassin del 9 aprile 1948, dove furono massacrati oltre 100 civili palestinesi, molte donne e bambini.

“Sii trionfante, finiscili e non lasciare nessuno indietro. Cancellatene il ricordo”,  ha detto Yachin rivolgendosi alle truppe israeliane.

“Cancellate loro, le loro famiglie, madri e figli”, ha continuato. “Questi animali non possono più vivere”.

“Ogni ebreo con un’arma dovrebbe uscire e ucciderli”, ha detto. “Se hai un vicino arabo, non aspettare, vai a casa sua e sparagli”.

Dove sono i nostri interventisti umanitari? Quelli che hanno pianto lacrime di coccodrillo sui diritti umani di ucraini, iracheni, siriani, libici e afghani, per giustificare massicce spedizioni di armi e la guerra? Dov’è la vecchia ala pacifista del Partito Democratico e della classe liberale? Cosa è successo agli intellettuali pubblici che denunciavano il massacro di innocenti e la macchina da guerra statunitense? Dove sono i giuristi che sostengono lo stato di diritto internazionale? Perché le poche voci solitarie che parlano del genocidio dei palestinesi da parte di Israele vengono attaccate,  censurate e derubate?

“Il presidente precedente voleva metterci al bando e probabilmente metterci nei campi di concentramento”, ha detto la deputata del Michigan Rashida Tlaib, di origine palestinese, ad una manifestazione a sostegno del cessate il fuoco il 20 ottobre a Washington, davanti al Campidoglio. “Questo vuole semplicemente che moriamo. È così che ci si sente. Che si vergognino.”

Israele non fermerà la sua campagna di genocidio a Gaza contro i palestinesi finché non ci sarà un embargo sulle armi da parte degli Stati Uniti nei confronti di Israele. I nostri sistemi de armi, munizioni e aerei d’attacco sostengono il massacro. Dobbiamo porre fine agli aiuti militari da 3,8 miliardi di dollari che gli Stati Uniti danno ogni anno a Israele. Dobbiamo sostenere il movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) e chiedere la sospensione di tutti gli accordi di libero scambio e di altri accordi tra Stati Uniti e Israele. Solo quando questi sostegni verranno eliminati da Israele, la leadership israeliana sarà costretta, come è stato il regime di apartheid in Sud Africa, a integrare i palestinesi in un unico stato con pari diritti. Finché rimarranno questi sostegni, i palestinesi saranno condannati.

Traduzione de l’AntiDiplomatico

da qui

 

 

 

Alberto Bradanini: il ritorno di Gaza al Medioevo, Israele e il sostegno dell’Occidente ai crimini contro l’umanità

Davanti alle tragedie in corso in Medio Oriente i popoli dovrebbero imporre ai loro governi il rispetto del criterio filosofico, prima ancora che politico, della logica dialettica: la critica – lo affermava anche Mao Zedong – va fatta prima, e non, comodamente, dopo che gli eventi hanno avuto corso[1].

In una sintetica riflessione, Jonathan Cook[2], audace analista britannico[3]  della Palestina, una terra dove ha trascorso vent’anni, getta uno sguardo dissonante su quanto accade. Va subito rilevato, tuttavia, che l’irriflessivo sostegno dell’Occidente alla politica di Israele, e alla distruzione di Gaza e dei suoi abitanti, costituisce il punto di caduta di fattori strutturali che meritano una preliminare attenzione.

Sia chiaro che nell’analisi che segue la religione non vi ha posto alcuno. La tragedia sofferta dal popolo ebraico nel secolo scorso per mano dei nazisti tedeschi (e non solo) resterà scolpita per sempre nella nostra memoria e nei nostri cuori. Tantomeno trova posto la nozione di etnia ebraica, anch’essa turpe manipolazione dei mestatori di un razzismo che si spera consegnato per sempre alla spazzatura della storia. Israeliani e Israele stanno dunque a designare i cittadini e lo stato da essi abitato, che persegue fini politici talvolta condivisibili, altre volte no. Quanto precede è banale, oltre che scontato, ma non si sa mai. Sono molti gli episodi di persone accusate di antisemitismo (che poi dovrebbe essere semmai antigiudaismo), per aver espresso critiche politiche allo stato di Israele.

Ora, è un’evidenza ingombrante nella sua centralità che Israele può fare ciò che vuole, senza essere importunato dalla cosiddetta comunità internazionale perché al suo fianco sono schierati, sempre e in ogni circostanza, gli Stati Uniti, i cui interessi imperiali in Medio Oriente viaggiano paralleli con quelli di Israele, o meglio perché come tali vengono incistati nell’establishment americana dalle potenti lobby israeliane, con l’Aipac[4] in prima fila (v. La Lobby israeliana e la politica estera americana  J. Mearsheimer e S. Walt, Ed. A. Mondadori). Nessun candidato al Senato, Congresso o alla Casa Bianca può sperare di essere eletto avendo contro le lobby israeliane che negli Stati Uniti controllano una fetta rilevante dell’informazione pubblica[5].

In termini di psicologia politica, la libertà d’azione consentita a Israele, anche contro la legge internazionale e la morale, è figlia dell’ontologia del complesso di colpa per le sofferenze inflitte al popolo ebraico nel secolo scorso dai nazisti-tedeschi[6], anch’essi occidentali.

Inoltre, un’occulta assonanza accomuna la genesi auto-percepita delle due nazioni, entrambe imbevute del convincimento di fruire di uno status superiore, prescelte dalle rispettive divinità, la prima (l’unica nazione indispensabile al mondo, B. Clinton, 1999) per governare un mondo inquieto, la seconda (il popolo eletto, il migliore disponibile sulla faccia della terra) per qualche incarico misterioso, mentre tutte le altre nazioni, anch’esse presumibilmente create dal medesimo dio, non meriterebbero la stessa considerazione.

Nella sua riflessione, Cook sostiene che l’obiettivo dell’aggressione reattiva contro donne, vecchi e bambini di Gaza (questo ragionare non vale beninteso per chi reputa che i palestinesi della Striscia siano tutti terroristi) sia quello di cacciarli e rubar loro altra terra. Nel suo libro “Disappearing Palestine”, egli ripercorre i tratti che hanno portato alla colonizzazione del territorio, le tecniche di dispersione, l’imprigionamento e l’impoverimento sistematico, quali strumenti di demolizione graduale e sistematica della nazione palestinese. Cisgiordania e Gaza vengono trasformate in laboratori per testare l’infrastruttura del confinamento, creando una redditizia industria della “difesa” attraverso tecnologie pionieristiche di controllo della folla, la sorveglianza, la punizione collettiva e la guerra urbana, sofisticati coprifuoco, posti di blocco, muri, permessi e accaparramento di terre altrui, tutto con il medesimo fine, l’obliterazione della Palestina.

Tale percorso subisce un’accelerazione nel 2007, quando a seguito della vittoria di Hamas i 2,3 milioni di abitanti di Gaza vengono circondati da filo spinato in una prigione inespugnabile, una terra asservita a esperimenti innovativi, contenimento fisico, restrizioni, reclutamento di informatori, bombardamenti, impiego di razzi d’intercettazione, sensori elettronici, sistemi di sorveglianza, droni, riconoscimento facciale, cannoni automatizzati etc.

Oggi Israele paga il prezzo di una miope politica di potenza, perché i prigionieri non si erano rassegnati – prosegue Cook – mettendo in gioco la sola cosa loro rimasta, la vita, e diventano terroristi. È così che almeno per alcuni giorni i palestinesi riescono a bypassare l’invalicabile infrastruttura di confinamento, utilizzando un bulldozer arrugginito e alcuni deltaplani, accompagnati da un forte e prevedibile (ri-)sentimento di “non abbiamo nulla da perdere”. Per tornare ad essere la potenza di un tempo, Israele ha ora bisogno di entrare a Gaza e distruggere quello che trova.

Il secondo punto di riflessione di J. Cook riguarda il diritto internazionale o, meglio, quel poco di esso che si era riusciti a edificare all’indomani della Seconda guerra mondiale, per impedire il ripetersi delle atrocità naziste (-giapponesi) e occidentali, queste ultime spesso occultate, bombardamenti civili (solo per citarne alcuni, Dresda, Stoccarda, Tokyo…) e beninteso le bombe atomiche sul Giappone.

Uno dei cardini delle Convenzioni di Ginevra – che si occupano delle vittime di guerra e degli aspetti umanitari dei conflitti – è il divieto di punizioni collettive, e dunque di rappresaglie contro la popolazione civile, che non è responsabile dei crimini di governi, eserciti o terroristi.

Misteriosamente sotto il profilo etico, ma quanto mai decifrabile sotto quello dei rapporti di potere, le nazioni europee, per non parlare di quell’imbarazzante istituzione che risponde al nome di Unione Europea, stendono un ignobile e pietoso velo su tutto ciò, sebbene oggi Gaza rappresenti la più flagrante violazione del diritto internazionale dell’intero pianeta terra.

Anche in tempi normali, ricorda Cook, agli abitanti di Gaza (un milione di essi minori) erano negate le libertà più elementari, il diritto a entrare e uscire dalla Striscia, l’assistenza sanitaria, le medicine e l’uso di attrezzature mediche, l’acqua potabile e l’elettricità, per gran parte della giornata. Ora poi, con l’esercito israeliano alle porte, le condizioni di ristrettezza e la paura di morire rendono la sofferenza di questa gente inimmaginabile.

Hamas ha commesso atti di terrorismo contro cittadini di Israele, colpevole di aver espropriato i palestinesi della loro patria e averli imprigionati in un ghetto sovraffollato. Israele ora punisce il popolo di Gaza, invece dei terroristi. Questa condotta, il cui nome è vendetta, è priva di logica morale e illegittima per il diritto internazionale. Per Israele, tuttavia, come per lo zio Sam suo inossidabile protettore, il rispetto del diritto non è un obbligo, ma solo una scelta, talvolta conveniente, altre volte, da 16 anni, no.

I militari israeliani hanno la consegna di non fare distinzioni tra militanti nemici e popolazione civile. Il primo ministro israeliano, Netanyahu, ha intimato alla popolazione di Gaza di andarsene, ma ha omesso di dire dove quelle misere esistenze umane potrebbero trovare protezione dalle bombe.

  1. Cook ricorda che già nel 2009 (al tempo di un’altra guerra Gaza-Israele) Orna Ben-Naftali, a quel tempo preside israeliana della facoltà di giurisprudenza di Tel Aviv, aveva dichiarato al quotidiano Haaretz: “ribaltando la legge, a Gaza edifici civili e uomini adulti sono considerati come obiettivi legittimi”. Sempre allora, David Reisner, suo predecessore, aveva spiegato ad Haaretzla strategia israeliana con queste parole: “stiamo assistendo a un ipocrita processo di revisione del diritto internazionale. Se un’azione illegittima viene ripetuta per un tempo sufficientemente prolungato e tollerata da un certo numero di paesi, il mondo finisce per accettarla ed essa diventa ammissibile, anche se illegittima per il diritto internazionale”.

Una pratica questa che era iniziata ancor prima. Riferendosi all’attacco israeliano del 1981 che distrusse il presunto reattore nucleare iracheno di Osiraq, un atto di guerra condannato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Reisner afferma: “Israele aveva commesso un crimine. Oggi però tutti affermano che si trattò di legittima difesa preventiva, come se il diritto internazionale progredisse non attraverso una precisa pattuizione tra le nazioni, ma a seguito di una sua costante violazione”. Egli aggiunge che Israele aveva convinto il governo americano ad accettare un’applicazione elastica degli obblighi giuridici internazionali di Israele nei riguardi dei palestinesi, ciò che si sarebbe rivelato prezioso anche per gli Stati Uniti per giustificare l’invasione di Afghanistan e Iraq.

Sempre nel ragionare di Cook, Israele avrebbe lavorato all’evoluzione del diritto internazionale anche su altri aspetti, introducendo il concetto di preavviso: con un preannuncio di pochi minuti, per di più nei modi più diversi, la distruzione di un edificio o di un quartiere diviene legalmente praticabile, e i civili, anziani, donne e bambini, disabili inclusi, sono trasformati in obiettivi legittimi, colpevoli di non essersi allontanati in tempo dal luogo destinato a essere distrutto. Una pratica, conclude Cook su questo aspetto, che prima o poi la Comunità Internazionale finisce per digerire.

Il citato articolo di Haaretz del 2009 (quello con l’intervista a Orna Ben-Naftali) definiva Yoav Gallant, all’epoca comandante militare responsabile di Gaza, un cowboy che non aveva tempo per le sottigliezze legali. Gallant è ora ministro della Difesa, incaricato di attuare l’assedio completo di Gaza, vale a dire, niente elettricità, niente cibo, niente acqua, niente carburante, tutto chiuso“. Egli nega ogni differenziazione tra Hamas e la popolazione palestinese, che definisce animali umani. Si tratta del medesimo linguaggio utilizzato dai nazisti nel secondo conflitto mondiale nei riguardi dei russi (chiamati untermenschen, subumani/sotto-uomini). Il regresso della civiltà giuridica occidentale è sotto gli occhi di tutti.

Non solo, poiché in punta di diritto internazionale il criterio di punizione collettiva attuato a Gaza sfiora il recinto giuridico del genocidio, sia nella forma che nella sostanza. Persino il criterio giuridico della moderazione e della proporzionalità è stato cancellato dai governi occidentali che sostengono “il diritto di Israele di difendersi” (che nessuno mette in discussione), senza alcuna restrizione.

Nel Regno Unito, ad esempio, tralasciando il governo dal quale nulla di buono può arrivare, persino il leader laburista e probabile prossimo Primo Ministro, Keir Starmer, ha sostenuto che l’assedio di Gaza (un crimine contro l’umanità!) deve intendersi come “diritto di Israele a difendersi”. Starmer, noto quale difensore dei diritti umani – cogliendo le implicazioni politiche per la sua carriera e ricordando il destino del suo predecessore, Jeremy Corbyn, accusato di antisemitismo dalle lobby pro-israeliane e obbligato a dimettersi – ha messo da parte etica e verità e ha incolpato Hamas di sabotare in tal modo il “processo di pace”, che anche le pietre sanno essere stato sepolto da Israele molti anni fa. Gli uomini di potere politici possono dichiarare qualunque cosa, senza rendere conto a nessuno.

L’aviazione israeliana ha già sganciato (al 16 ottobre 2023) 6.000 bombe su Gaza. Alcuni gruppi per i diritti umani accusano Israele di far uso di armi al fosforo bianco, uno specifico crimine di guerra se usato nelle aree urbane. Defence for Children International afferma che oltre 500 bambini palestinesi sono già stati uccisi. Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori occupati, ha coraggiosamente affermato che Von Der Leyen applica i principi del diritto internazionale come un’altalena, tenendo soprattutto presente, aggiungiamo noi, la sua ambizione di prendere il posto dell’attuale Segretario Generale della Nato, J. Stoltenberg.

Dodici mesi orsono, proprio la presidente della Commissione aveva qualificato gli attacchi russi alle infrastrutture civili in Ucraina come crimini di guerra[7]impedire a uomini, donne e bambini di disporre di acqua, elettricità e riscaldamento costituisce un atto di terrore. Dov’è mai finita la coerenza, se ora – rileva la Albanese – la medesima Von der Leyen passa sotto silenzio tombale i bombardamenti israeliani a Gaza che producono lo stesso risultato?

Nel frattempo, la Francia vieta le manifestazioni contro i bombardamenti a Gaza, perché – nelle parole del ministro francese della giustizia, Éric Dupond-Moretti – l’espressione di solidarietà ai palestinesi potrebbe offendere le comunità ebraiche e deve dunque ritenersi incitamento all’odio.

Il presidente Joe Biden ha deliberato l’invio di armi e finanziamenti, spedendo la portaerei Eisenhower nel Mediterraneo, un monito per i vicini di Israele a non immischiarsi, alla vigilia dell’invasione di Gaza. A sua volta, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Gutteres, si è limitato a emettere un timido vagito sulla necessità che anche Israele rispetti il diritto internazionale.

Il sostegno privo di riserve a Israele da parte dei governi occidentali costituisce, come si può immaginare, il prezzo che essi sono costretti a pagare per sopravvivere, perché l’alleato imperiale non dimentica il nome di chi disobbedisce. Quanto all’Italia, relegata in un umiliante statuto di vassallaggio, meglio tacere. Nella norma, dunque.

Per Israele, invece, la partita, è certo, non si chiude qui. Dopo aver fatto i conti con il presente, in un modo tragico o ancora più tragico, dovrà tornare a guardarsi le spalle, in una spirale infinita di azioni e reazioni. Quel che resterà di Hamas al termine di questa battaglia, i suoi figli, i suoi emuli o i suoi epigoni riprenderanno la lotta, pronti a immolarsi per restituire alla Palestina la speranza di una patria. Se non vi sarà pace per la Palestina, non ve ne sarà nemmeno per Israele.

[1] https://le-citazioni.it/autori/mao-tse-tung/

[2] Jonathan Cook è un giornalista britannico pluripremiato. Ha vissuto a Nazareth, in Israele, per 20 anni. È tornato nel Regno Unito nel 2021. È autore di tre libri sul conflitto israelo-palestinese, Sangue e religione: lo smascheramento dello Stato ebraico (2006), Israele e lo scontro di civiltà: Iraq, Iran e il piano per rifare il Medio Oriente (2008), Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair (2008).

[3] https://www.jonathan-cook.net/2023-10-13/gaza-britain-israel-crimes/

[4] American Israel Public Affairs Committee (AIPAC

[5] La Lobby israeliana e la politica estera americana (cit.)

[6] Il 7 ottobre 2023, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, al Bundestag, ha affermato: “la nostra storia, la nostra responsabilità derivante dall’Olocausto, ci impone il dovere perenne di difendere l’esistenza e la sicurezza dello stato di Israele, anche se ora è sotto attacco di Hamas e non dei nazisti. E la sicurezza dello stato ebraico è la ragion di stato di quello tedesco. Il solo posto dove stare in questo momento è a fianco di Israele”.

[7] https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-10/von-der-leyen-attacchi-russi-ucraina-crimini-guerra.html

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L’eterna pulizia etnica di Israele – Enrico Campofreda

C’è una guerra che Israele ha sempre praticato, addirittura prima di nascere ed essere riconosciuto come Stato, quella agli abitanti di Palestina. Gli effetti maggiori di questa guerra eterna non erano soltanto le enunciazioni ottocentesche del padre del sionismo Theodor Herzl; né gli assalti ai villaggi arabi organizzati e realizzati dai gruppi paramilitari (l’odierno teoricamente corretto direbbe terroristi) dell’Haganah che interpretava la difesa insita nel nome atterrendo i palestinesi; e neppure la vicinanza o la militanza che taluni padri della patria ebbero coi crimini delle bande Irgun e Stern. Quel che è avvenuto dal 1947 in poi – dearabizzare la Palestina – deflagra più d’ogni bomba tuttora sganciata sulle ultime generazioni palestinesi. Certo, parlare di Storia e degli sviluppi delle micro storie a essa legate può risultare ingombrante e noioso. Così il panorama dell’informazione e dello stesso approfondimento è disposto a spingersi indietro d’una decina d’anni o giù di lì. Quando a Gaza Hamas prendeva il potere mitragliando Fatah, spiegando che trattasi di faide interne alla politica  palestinese che aveva ricevuto poco prima (2005) l’autogestione della Striscia di Gaza grazie alla caparbietà del generale e poi premier che l’aveva sgombrata da esercito e coloni. Quell’Ariel Sharon comandante in Libano ai tempi dell’occupazione che chiudeva gli occhi davanti al massacro falangista di Sabra e Shatila. Ecco, abbiamo già fatto un saltino indietro di quarant’anni, parlando di campi profughi, l’unica patria che Israele concede ai palestinesi espellendoli dalla Palestina. Quest’effetto crea più vittime di quante ogni conflitto, imposto o subìto, da Israele va sommando decennio dopo decennio.

 

Gli 800.000 palestinesi fuggiti a seguito della tragica ‘catastrofe’ del 1948 pesano nelle vicende di questo popolo come un macigno perché costituiscono l’allontanamento dalla propria terra che il sionismo teorizzatore di Israele considerava vuota. Quella regione che vuota non era, ma che fu ‘alleggerita’ dalla presenza araba compiendo massacri come a Deir Yassin e decine di piccoli villaggi, consentiva all’Agenzia Ebraica e quindi a Israele di attuare il presunto socialismo kibbutzino, segnato dal potente marchio nazionalista, e correlare il proprio stabilirsi in quei luoghi alla cacciata dei palestinesi. Questa pulizia etnica somma l’emarginazione degli attuali arabi di Israele (1.900.000 cittadini colpiti nei diritti basilari, sfavoriti e sottopagati nel lavoro, piegati da umiliazioni, trasferimenti forzati, detenzioni amministrative, soggetti di fatto ad apartheid, nonostante quel che dicano i frequentatori dei salotti televisivi d’un Occidente dalla visione univoca) alle angherie rivolte agli abitanti della Cisgiordania (circa tre milioni, privati del proprio spazio vitale con tutto quel che si sa: la separazione fisica dei settecento chilometri di Muro, l’esproprio di terreni e l’abbattimento di case, l’insediamento di oltre mezzo milione di coloni nell’area riconosciuta a un presunto Stato Palestinese). Fino ai più bersagliati di tutti: i 2.3 milioni di palestinesi della Striscia, che nella sua presunta guerra contro Hamas, Israele vuol azzerare all’essenza di esiliato a vita, come all’epoca della Nakba. Una pulizia etnica che di recente la Comunità internazionale ha deciso di far sopportare ai 120.000 abitanti del Nagorno Karabakh riparati a ranghi quasi completi in Armenia. Con qualche mal di pancia dei politici di Erevan, ma con uno sviluppo in corso, cosa impossibile per i gazesi che né Egitto né Arabia Saudita accetteranno, nonostante le illazioni diplomatiche lanciate in queste ore. Israele sta rioccupando mezza Striscia da cui espelle un milione di cittadini che s’ammassano sull’altro milione disastrato nei venti chilometri che restano a loro. Per quanto non si sa. Mentre i fratelli della Cisgiordania sono avvertiti, il loro turno arriverà. A spingerli fuori, insieme all’Idf, è pronto un altro mezzo milione di coloni.

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La labile identità ebraica di Israele – comidad

L’approccio comparativo è importante in quasi ogni analisi, ma ci sono casi in cui potrebbe risultare fuorviante. Gli Stati Uniti e i loro satelliti occidentali non possono più essere considerati validi termini di paragone, se non a rischio di gravi distorsioni ottiche. A confronto delle dirigenze statunitensi o europee, qualsiasi altra cricca di potere appare un incrocio tra un’Opera Pia e la Scuola di Atene dipinta da Raffaello; e rispetto ai vari Biden, Blinken, von Der Leyen e Scholz, ogni leader politico da loro criminalizzato sembra un santo e un genio. Le sedicenti élite occidentali versano in un tale stato di depravazione che si può cadere nell’errore di adottare il loro caricaturale manicheismo applicandolo all’incontrario. Stabilire gerarchie morali e antropologiche tra male assoluto e mali relativi, per molti risulta divertente, ma comunque rimane un diversivo. Quando un Putin denuncia i guasti e i crimini combinati in Medio Oriente dagli Stati Uniti risulta persino troppo moderato ed eufemistico nei toni, ma il punto è che anche le dirigenze russe hanno svolto il loro ruolo di sponda nell’incancrenire la situazione.

Per capire di cosa si sta parlando si può partire da alcuni particolari per risalire poi al quadro generale. Nel 2007 la stampa israeliana riferiva delle gesta di una banda di nazisti, tutti di cittadinanza israeliana e di provenienza dall’ex Unione Sovietica. Ovviamente la narrazione del “Jerusalem Post” era condita di stupori e indignazioni, oltre che di perplessità sulle norme sull’immigrazione che avevano consentito che ciò accadesse.

Quanto fosse seria quell’indignazione lo si è riscontrato nel 2018, tre anni prima della guerra per procura tra Russia e NATO, allorché il governo israeliano ignorò le proteste di un’associazione dei diritti umani che denunciava l’appoggio e il finanziamento di Israele ai nazisti ucraini del Battaglione Azov. La spregiudicatezza dimostrata in quella circostanza era analoga a quella adottata nelle politiche di immigrazione in Israele.

Negli ultimi anni autorevoli organi di stampa israeliani come “Times of Israel” hanno riportato i dati sulla massiccia immigrazione dall’ex Unione Sovietica favorita da Gorbaciov. Dalle indagini demografiche risultava che l’identità ebraica degli immigrati non era solo dubbia, ma persino sospetta, e si cominciava a porsi domande sulla cosiddetta regola della nonna, in base alla quale bastava una nonna (o, in contrasto con la tradizione matrilineare, addirittura un nonno) di origini ebraiche per potersi qualificare come tale. Del resto un avo ebreo se lo può inventare chiunque, e non si vede come possa essere smentito senza costose ricerche anagrafiche, del tutto improponibili dato che si tratta di emigrazione di milioni di persone. Magari un antenato ebreo alla fine lo si troverebbe davvero a chiunque, dato che la purezza etnica è una chimera. Sta di fatto che oggi gli ex sovietici rappresentano il gruppo più numeroso in Israele, conservano molte delle proprie tradizioni, tra loro parlano il russo e, in base ai calcoli demografici, avranno il sopravvento elettorale entro la prossima generazione.

Questo afflusso indiscriminato in Israele di cittadini ex sovietici non risale a Gorbaciov, ma addirittura ai tempi di Stalin. Un organo sionista come “Israel for Ever” disegna un quadro epico e commovente sulla “fuga” degli “ebrei” sovietici dal cattivissimo Stalin. Nonostante le arrampicate sugli specchi e gli svolazzi retorici, un dato però si mostra evidente, e cioè che le varie dirigenze di Mosca hanno sempre considerato Israele una comoda discarica in cui riversare i soggetti indesiderati.

Il dato storico è che Mosca non è mai andata per il sottile nel favorire l’emigrazione delle persone non grate dall’Unione Sovietica, qualificandole di origine ebraica; così come Israele ha fatto finta di non accorgersi di questa incerta provenienza etnica. Il motivo della inevitabilità di tanta disinvoltura lo si scopre nelle litigate che il padre della patria israeliana, Ben Gurion, si faceva con i sionisti americani. Ben Gurion era arrabbiato poiché i suoi confratelli americani, nonostante vantassero inoppugnabili origini Yiddish, pretendevano di fare i sionisti a distanza, senza stabilirsi in Israele come lui avrebbe voluto. Insomma, Ben Gurion se la prendeva con quel tipico “armiamoci e partite” che è diventato oggi il mantra dei cultori del Sacro Occidente e delle loro “proxy war”.

Non c’è tragedia che non abbia un risvolto cialtronesco e ridicolo. Nel 2006, durante l’invasione israeliana del Libano, il giornalista Paolo Guzzanti trasformò il “vorrei ma non posso” dei cultori delle proxy war in un accorato inno in cui si esortava Israele a colpire i suoi nemici ovunque fossero. Purtroppo in quell’occasione i trentamila attaccanti israeliani non riuscirono ad accontentare Guzzanti e dovettero ritirarsi a causa delle perdite loro inflitte da tremila miliziani di Hezbollah.

Dato che i nemici hanno quel brutto vizio di reagire e di ammazzare, allora il buonsenso suggerirebbe di non dare retta agli istigatori a distanza e cercare invece un compromesso per trovare un modus vivendi. Purtroppo non dipende solo dalla buona volontà ma soprattutto da chi controlla i soldi, che sono quelli che plasmano la volontà, sia gestendo la narrativa, sia determinando il fatto compiuto che rende difficilissimo fare marcia indietro. La stampa israeliana segnala spesso che sta crescendo la totale dipendenza del presunto “Stato ebraico” dai flussi finanziari che provengono dai gruppi evangelici statunitensi. In Israele Netanyahu è universalmente riconosciuto come un imbecille, uno psicopatico e un supercorrotto, eppure da più di venticinque anni vince le elezioni grazie al suo legame con gli evangelici americani. Di provenienza americana ed evangelica è il denaro che finanzia gli insediamenti coloniali in Cisgiordania, con tutto il corollario di ammazzamenti di palestinesi che gli insediamenti comportano. In base al mitico Diritto internazionale quei finanziamenti dovrebbero essere impediti perché diretti a sovvenzionare l’attuazione di un crimine; ma è chiaro che la legalità vale solo se fa comodo ai potenti.

Si potrebbe pensare che il “sionismo cristiano” sia un fenomeno recente. La ricerca storica ha invece scoperto che il copyright ce l’ha proprio il sionismo cristiano, che è addirittura precedente di due secoli al sionismo ebraico di Theodor Herzl, cosa che toglie ogni argomento a chi afferma che antisemitismo e antisionismo siano la stessa cosa. Il sionismo cristiano in Gran Bretagna ha una storia molto antica, che risale addirittura al XVII secolo. Secondo il mito, il ritorno degli ebrei in Terra Santa dovrebbe forzare la mano al Padreterno e accelerare la fine dei tempi con la guerra finale tra il Bene e il Male. Nella concezione apocalittico-cristiana del sionismo agli ebrei è riservato il lavoro sporco e anche una sorte abbastanza grama. L’influenza del sionismo cristiano di matrice britannica fu determinante nella vicenda della Dichiarazione di Balfour del 1917, con la quale il ministro degli Esteri del Regno Unito riconosceva agli ebrei il diritto di una patria in Palestina. Secondo Gershon Shafir, docente presso l’Università di San Diego in California, il sionismo cristiano corrispondeva all’esigenza dell’imperialismo britannico di usare il mito del ritorno ebraico in Palestina come pretesto per creare degli avamposti coloniali nell’area mediorientale.

Uno storico israeliano come Shlomo Sand arriva addirittura a mettere in discussione la stessa nozione di popolo ebraico, documentando che si tratterebbe di una “invenzione” molto più tarda di quanto si creda. Anche al di là di tali ipotesi, l’identità ebraica di Israele si rivela evanescente. Ma, se opportunamente finanziata, una bolla identitaria può comunque giustificare l’apartheid e la guerra infinita.

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Gideon Levy: “Israele punisce i palestinesi dal 1948, senza fermarsi un attimo”

Dietro tutto quello che è successo, l’arroganza israeliana. Pensavamo che ci fosse permesso fare qualsiasi cosa, che non avremmo mai pagato un prezzo o saremmo stati puniti per questo.

Continuiamo senza confusione. Arrestiamo, uccidiamo, maltrattiamo, derubiamo, proteggiamo i coloni massacrati, visitiamo la Tomba di Giuseppe, la Tomba di Otniel e l’Altare di Yeshua, tutto nei territori palestinesi, e ovviamente visitiamo il Monte del Tempio – più di 5.000 ebrei sul trono.

Spariamo a persone innocenti, caviamo loro gli occhi e spacchiamo loro la faccia, li deportiamo, confischiamo le loro terre, li saccheggiamo, li rapiamo dai loro letti, effettuiamo la pulizia etnica, continuiamo anche l’irragionevole blocco di Gaza, e tutto andrà bene.

Costruiamo un’enorme barriera attorno alla Striscia, la sua struttura sotterranea costa tre miliardi di shekel e siamo al sicuro. Ci affidiamo ai geni dell’Unità 8200 e agli agenti dello Shin Bet che sanno tutto e ci avviseranno al momento opportuno.

Stiamo spostando metà dell’esercito dall’enclave di Gaza all’enclave di Huwara solo per garantire le celebrazioni del trono dei coloni, e tutto andrà bene, sia a Huwara che a Erez.

Poi si scopre che un primitivo, antico bulldozer può sfondare anche gli ostacoli più complessi e costosi del mondo con relativa facilità, quando c’è un grande incentivo a farlo.

Guarda, questo ostacolo arrogante può essere superato da biciclette e motociclette, nonostante tutti i miliardi spesi per questo, e nonostante tutti i famosi esperti e imprenditori che hanno guadagnato un sacco di soldi.

Pensavamo di poter continuare il controllo dittatoriale di Gaza, gettando qua e là briciole di favore sotto forma di qualche migliaio di permessi di lavoro in Israele – questa è una goccia nell’oceano, anch’essa sempre condizionata ad un comportamento corretto – e in al ritorno, mantenetelo come la loro prigione.

Facciamo la pace con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti – e i nostri cuori dimenticano i palestinesi, così che possano essere spazzati via, come molti israeliani avrebbero voluto.

Continuiamo a detenere migliaia di prigionieri palestinesi, compresi quelli detenuti senza processo, la maggior parte dei quali prigionieri politici, e non accettiamo di discutere il loro rilascio anche dopo decenni di prigione.

Diciamo loro che solo con la forza i loro prigionieri possono ottenere la libertà.

Pensavamo che avremmo continuato con arroganza a respingere ogni tentativo di soluzione politica, semplicemente perché non ci conveniva impegnarci in essa, e sicuramente tutto sarebbe continuato così per sempre.

E ancora una volta si è rivelato non essere così. Diverse centinaia di militanti palestinesi hanno sfondato la recinzione e hanno invaso Israele in un modo che nessun israeliano avrebbe potuto immaginare.

Alcune centinaia di combattenti palestinesi hanno dimostrato che è impossibile imprigionare due milioni di persone per sempre, senza pagare un prezzo elevato. Proprio come ieri il vecchio bulldozer palestinese fumante ha demolito il muro, il più avanzato di tutti i muri e le recinzioni, ha anche strappato di dosso il mantello dell’arroganza e dell’indifferenza israeliana.

Ha demolito anche l’idea che sia sufficiente attaccare Gaza di tanto in tanto con droni suicidi e vendere questi droni a mezzo mondo per mantenere la sicurezza.

Ieri Israele ha visto immagini che non aveva mai visto in vita sua: veicoli militari palestinesi che pattugliavano le sue città e ciclisti provenienti da Gaza che entravano dai suoi cancelli.

Queste immagini dovrebbero strappare il velo dell’arroganza. I palestinesi di Gaza hanno deciso che sono disposti a pagare qualsiasi cosa per un assaggio di libertà. C’è qualche speranza per questo? NO. Israele imparerà la lezione? NO.

Ieri già parlavano di spazzare via interi quartieri di Gaza, di occupare la Striscia di Gaza e di punire Gaza “come non è mai stata punita prima”. Ma Israele punisce Gaza dal 1948, senza fermarsi un attimo.

75 anni di abusi e il peggio l’attende adesso. Le minacce di “appiattire Gaza” dimostrano solo una cosa: che non abbiamo imparato nulla. L’arroganza è destinata a durare, anche se Israele ha ancora una volta pagato un prezzo elevato.

Benjamin Netanyahu ha una responsabilità molto pesante per quanto accaduto e deve pagarne il prezzo, ma la questione non è iniziata con lui e non finirà dopo la sua partenza.

Ora dobbiamo piangere amaramente per le vittime israeliane. Ma dobbiamo piangere anche per Gaza. Gaza, la cui popolazione è composta principalmente da rifugiati creati da Israele; Gaza, che non ha conosciuto un solo giorno di pace.

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Meloni abbraccia Netanyahu: non in mio nome! – Domenico Gallo

signor Presidente del Consiglio, lei può dire quello che vuole a nome del suo Governo ma non può parlare a nome del popolo italiano, non in nostro nome!

 

” Sono felice di essere qui. Ho pensato che fosse molto importante venire qui di persona per portare la solidarietà del governo italiano e del popolo italiano. “, ha detto la Presidente del Consiglio Meloni, dopo aver abbracciato Netanyhau a Tel Aviv la sera di sabato 21 ottobre. Poi ha aggiunto che le immagini incredibili del 7 ottobre: “Mostrano qualcosa più di una semplice guerra, mostrano la volontà di cancellare gli ebrei da questa regione ed è un atto di antisemitismo. E dobbiamo combatterlo, oggi come ieri.” E quindi ha concluso: “Noi difendiamo il diritto di Israele a esistere, a difendere la sicurezza dei propri cittadini. Comprendiamo assolutamente che è un atto di terrorismo che deve essere combattuto. Pensiamo e crediamo che voi siate in grado di farlo nel migliore dei modi, perché noi siamo diversi da quei terroristi.”

 

Ebbene signor Presidente del Consiglio, lei è libera di abbracciare Netanyahu e di portargli la solidarietà del Governo italiano. E’ normale che fra due esecutivi ispirati da un’estrema destra confinante col fascismo ci sia comprensione e solidarietà, o meglio complicità. E’ paradossale che lei dichiari di voler combattere l’antisemitismo di ieri, visto che i suoi predecessori politici l’antisemitismo l’hanno combattuto con le leggi razziali. Ed è penoso che lei voglia ripulire la sua parte politica della macchia dell’antisemitismo, sostituendo un razzismo con un altro uguale e contrario. Ma non è questo il problema. Lei ha espresso solidarietà incondizionata con la guerra condotta di Israele nei confronti della popolazione di Gaza. In questo modo Lei ha espresso solidarietà con i bombardamenti massicci sulla striscia di Gaza, che in due settimane hanno distrutto il 42% delle abitazioni e hanno provocato la morte  di 5.300 persone fra cui  2.360 bambini;

 

con i bombardamenti sugli ospedali, sulle chiese cristiane, sulle scuole dell’UNRWA ed altri luoghi di rifugio per la popolazione;

 

con l’ordine di sgomberare gli ospedali di Gaza City e di conseguenza di far morire gli ammalati ed i feriti ivi ricoverati, nonché i neonati nelle incubatrici;

 

con l’assedio totale che priva la popolazione di Gaza del cibo, dell’acqua, dell’energia elettrica e del carburante indispensabile per far funzionare i generatori degli ospedali.

 

Lei non ha avuto nemmeno il bisogno di nascondersi dietro quel velo di ipocrisia che ha spinto Blinken ad ammonire Israele al rispetto del diritto umanitario. Lei ha espresso solidarietà a Netanyahu senza riserva alcuna.

 

Ebbene, signor Presidente del Consiglio, lei può dire quello che vuole a nome del suo Governo ma non può parlare a nome del popolo italiano, non in nostro nome!

 

Quando l’Italia si è liberata del giogo del nazifascismo, i padri costituenti hanno scolpito nella pietra dei principi fondamentali della Costituzione il ripudio della guerra, che esprime l’orrore per quelle politiche che organizzano e diffondono la morte, ed ha vincolato l’Italia alla ricerca della pace e della giustizia fra le Nazioni.

 

Ed è proprio l’assenza della giustizia, la pretesa di Israele di dominare i palestinesi con la forza, privandoli dei più elementari diritti civili, che rende questo conflitto irrisolvibile e minaccia la sicurezza stessa di Israele e dei suoi cittadini. Il ripudio della guerra e l’aspirazione alla pace ed alla giustizia fra le Nazioni fanno parte del patrimonio morale indisponibile del popolo italiano, sono il lascito più autentico della Resistenza. Lo so che a Lei la parola Resistenza fa venire l’orticaria, ma questo non l’autorizza a rendere il popolo italiano solidale e/o complice con le atrocità che un Governo suo amico sta commettendo in Medio Oriente.

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La rivoluzione palestinese del 7 ottobre – Filippo Kalomenìdis

«Mi diressi verso Suha che prese Hanin, dicendo: “Non stare via troppo a lungo”. L’abbracciai, insieme alla piccola: “Non ti preoccupare… come gli uomini della Comune, noi invadiamo il cielo!” (…) Avevamo superato lo scoglio dell’autocontrollo, non avevamo versato neppure una lacrima, nessuno di noi aveva pianto».

(da “Non metterò il vostro cappello” di Ahmed Qatamesh)

Quando non si ha più niente, si è pronti per condividere tutto.

La rivoluzione per la liberazione della Palestina del 7 ottobre ha mostrato come esseri umani – espropriati da oltre 75 anni di ogni elemento essenziale all’esistenza – possano condividere l’impossibile, ovvero mettere in ginocchio una potenza nucleare, non solo militarmente ma anche mozzandone la fiducia nel teismo colonialista e razzista.

La rivoluzione del 7 ottobre ha reinventato leggi fisiche. Ha insegnato che ci si può tirare fuori dalla fossa più profonda del pianeta – quella dove i palestinesi sono stati sepolti dai sionisti e dagli occidentali – senza alcun punto d’appoggio.

Unico appiglio – interiore e politico, sarebbe meglio dire con Alì Shariati di «spiritualità politica» – è la coscienza assoluta che servare vitam per servire il colone, sopravvivere cioè sottovivere, è il più grande errore che il colonizzato possa compiere nei propri confronti e verso i figli che verranno.

I nuovi venuti al mondo debbono temere più della morte la vita scuoiata, spogliata fino a tendini e nervi di ciò che umano. Vale in particolar modo per gli oppressi palestinesi, ma anche per i giovani sottomessi dal presente liberista in Occidente.

L’esistenza schiacciata ritrova significato soltanto nel sollevarsi contro il carnefice. Alzandosi dalla polvere, sorvola muri di segregazione e valichi d’acciaio, abbraccia cieli proibiti, si congiunge carnalmente con le nuvole più morbide per fecondarle e donare inattese stirpi ribelli a ogni terra.

I guerriglieri di Gaza sui deltaplani sono diventati folate di vento e grida che hanno sovvertito il tempo, hanno dipinto un’immagine di liberazione tra le più elevate della recente storia dell’umanità.

Un quadro immortale di gioia che nessun palestinese, nessuna donna, nessun uomo schiavizzato dal totalitarismo liberale, si leverà mai dallo sguardo.

Un’autentica preghiera visiva da recitare con gli occhi di fronte a ogni sopruso subito.

L’atterraggio sul suolo violentato dai colonizzatori è una nascita per i combattenti. E non si viene alla luce senza coprirsi di sangue. Non ci si libera da un’eterna brutalità senza violenza. Lo sa chiunque conosca la storia dalla parte dei reclusi nell’inferno terreno. In un istante, qualsiasi legame con la vile morale liberale viene bruciato e gli ultimi in rivolta, come abili ramai, maneggiando quel fuoco possono forgiare una naturale e istintiva verità senza diseguaglianze.

«Quest’uomo nuovo comincia la sua vita d’uomo dalla fine; si considera come un morto in potenza. Sarà ucciso: non è soltanto che ne accetta il rischio, è che ne ha la certezza; quel morto in potenza ha perso sua moglie, i suoi figli; ha visto tante agonie che vuol vincere piuttosto che sopravvivere» ha lasciato scritto incontestabilmente Frantz Fanon.

Nella gioia nichilista e al contempo creatrice di un futuro imprevedibile senza catene né limiti, il luminoso incantevole sorriso dei rivoluzionari traspare dalla keffiyeh arrotolata sul viso, e invita alla danza sopra i carrarmati nemici. I mostri che travolgevano bambini e insorti, adesso sono schiacciati dai salti di un intero popolo sprigionato.

E la rivoluzione palestinese prosegue, nonostante i bombardamenti e l’ennesima, incessante strage di gazawi, con la Knesset che trema per i razzi lanciati dalle macerie, con il segretario di stato americano e l’eletto primo boia tra i boia sionisti rinchiusi in un bunker.

Avanza di giorno in giorno nelle piazze delle città arabe, del Sudamerica e degli stati che il dispotismo capitalista si ostina a denominare Europa. Unite da quella che una volta ho definito «lotta contro questa vita».

Le parole d’ordine dei movimenti seguono lo straripare palestinese. Scuotono, irridono vie e strade dominate dal profitto di pochi prescelti. Non hanno alcun riflesso della falsa pacificazione imposta ovunque, uccidendo in nome della democrazia e dei valori superiori d’Occidente. Chiedono la liberazione totale della Palestina. Senza concessioni ai sionisti.

Ne vale la pena rispetto al massacro che gli oppressori compiono a Gaza senza tregua?

Ne vale la pena davanti al profilarsi deciso della quarta fase del processo secolare e mai finito della Nakba, per citare Joseph Massad, ovvero l’azione terminale che ha come obiettivo lo sterminio ultimo dei palestinesi?

Sì, perché l’atto storico della Resistenza Palestinese ha una potenza offensiva culturale, oltre che militare, sinora mai vista. L’accelerazione improvvisa dello scontro è una concreta possibilità di salvezza, in confronto a una sentenza di morte di massa in quotidiana esecuzione da decenni.  Per loro, e per noi che abitiamo altre sponde del mediterraneo.

Una sovversione che va oltre la logica utilitarista e tatticista della guerra e non può essere volgarmente chiamata “guerra”.

Come per i rari urti che fanno irrompere una nuova concezione dell’umano, va adoperata la parola “rivoluzione”.

A ogni latitudine, questo moto spinge donne e uomini condannati per sempre all’infimo rango a ritrovare la lotta per «una vita profonda».

Superando il concetto marxista di «arcano della produzione», colgono, svelano l’arcano della distruzione su cui si regge il liberismo. Impulsivamente, animati da una «luxuria mentis» temeraria, vogliono fermarlo.

Come le migliori rivoluzioni, quella palestinese del 7 ottobre ha l’effetto di far cadere, una a una, le maschere dei nemici.

A cominciare dal trucco pesante delle garanzie democratiche che si scioglie, scoprendo il volto autoritario e discriminatorio dell’Unione Europea.

In tanti lo avevamo già scorto nella guerra contro i migranti e gli ultimi sui gradini della scala sociale.

Ora, per chiunque, è difficile negare la mostruosità repressiva delle dodici stelle di Bruxelles e Strasburgo, sempre più simili a dodici stelle di David…

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Fanno entrare gli aiuti umanitari. Poi li bombardano così da far morire di fame Gaza – Tareq S. Hajjaj

Fonte: English version

Il seguente rapporto è basato sulle registrazioni vocali inviate dal corrispondente di Mondoweiss a Gaza, Tareq Hajjaj, il 25 ottobre.

La situazione diventa più terrificante ogni giorno che passa. Le persone aspettano per ore in lunghe file fuori dai panifici per prendere un piccolo sacchetto di pane: sei , sette ore ogni giorno. Ma negli ultimi giorni sono più di dieci le panetterie prese di mira nel sud, la cosiddetta “zona sicura” dove l’esercito israeliano ci ha detto di andare. Ma era una trappola. Volevano stiparci in un unico posto e ricominciare a bombardarci. Stanno prendendo di mira le panetterie e non sentiamo nessuna notizie di membri di Hamas tra i morti.

Uno dei panifici presi di mira nel campo profughi di Nuseirat aveva appena ricevuto un enorme carico di farina dall’UNRWA, che aveva concordato con il panificio di vendere il pane ricavato dalla farina a metà prezzo per i residenti del campo. L’UNRWA aveva appena finito di scaricare il carico, che avrebbe dovuto coprire i bisogni dell’intera zona di Nuseirat, quando il panificio è stato bombardato e completamente distrutto. Non prendono di mira solo persone e case. Lasciano arrivare gli aiuti e poi li distruggono prima che raggiungano le persone che ne hanno bisogno. È calcolato e intenzionale. Ha lo scopo di sterminare la popolazione civile.

Ormai sappiamo quali tipi di missili vengono utilizzati per prenderci di mira. Ce ne sono  alcuni il cui unico scopo è la distruzione, e ce ne sono altri progettati per uccidere e lanciati contro la folla: la gente li chiama “missili mortali” perché sono progettati per uccidere ogni essere vivente in un ampio raggio. Le persone hanno iniziato a riunirsi nei negozi di barbiere e nei saloni di parrucchiere per caricare i loro telefoni cellulari perché la maggior parte di questi saloni utilizza l’energia solare, quindi ora anche quei negozi vengono presi di mira da questo tipo di missili “killer”. L’esercito israeliano ha bombardato due saloni, uno a Khan Younis e uno nel campo profughi di Nuseirat. Colpiscono solo i saloni, non le zone limitrofe. Non si è trattato di un danno collaterale; è stato un attacco deliberato contro i civili.

Questi missili sono esplosi all’interno del salone e hanno ucciso tutti coloro che si trovavano all’interno, ma l’edificio è rimasto in piedi. Ecco come funzionano questi missili. Coloro che non muoiono vengono fatti a pezzi, le loro ferite sono letali in quasi tutti i casi. Una persona può perdere metà del proprio corpo. I suoni di questi missili sono i più spaventosi perché il missile si affida alla forza dell’esplosione stessa per uccidere il suo bersaglio. L’altro giorno ho iniziato a sentire lo sgancio di bombe che non avevo mai sentito prima su Gaza. La bomba è preceduta da un fischio lungo e pronunciato, ma quando esplode il suo suono è più basso rispetto alle altre bombe. Gli attacchi di artiglieria sono diventati una routine anche nel sud, provenienti dal lato orientale della Striscia di Gaza. Ma i missili più diffusi sono quelli progettati per distruggere vaste aree e livellare edifici. Dipende da dove si trovano le aree prese di mira, ma è possibile vedere le prove del loro utilizzo osservando la portata della distruzione a Gaza.

Tutto ciò significa che le persone hanno paura di uscire di casa anche per i beni di prima necessità. Quando le persone fanno la fila per il pane, sono terrorizzate. Quando camminano per le strade, sono terrorizzati. I missili colpiscono i mercati, i luoghi dove c’è molta gente, e vengono tutti uccisi. Non abbiamo mai sentito dire che un agente di Hamas sia stato ucciso in questi attacchi. Sono sempre donne, bambini, persone a caso che camminano per il mercato. Le persone non escono più di casa per nessun motivo. Nella casa in cui abito nessuno di noi è disposto a fare la fila davanti a una panetteria perché sappiamo che da un momento all’altro la panetteria potrebbe essere presa di mira. Non importa se sei un civile o no. Ma io devo avventurarmi fuori tutti i giorni, sia che si tratti di prendere il latte artificiale per mio figlio, o i pannolini o le medicine. E in ogni momento continuo a pensare che questo è il giorno in cui morirò.

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org

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Amira Hass : ARRIVANDO DI NUOVO AL CICLO DELLA VENDETTA

In pochi giorni gli israeliani hanno vissuto ciò che i palestinesi hanno vissuto come una questione di routine per decenni, e che stanno ancora sperimentando: incursioni militari, morte, crudeltà, bambini uccisi, corpi ammucchiati sulle strade, assedio, paura, ansia per i propri cari, prigionia, essere bersaglio di vendetta, fuoco letale indiscriminato sia contro coloro che sono coinvolti nei combattimenti (soldati) sia contro coloro che non sono coinvolti (civili), posizione di inferiorità, distruzione di edifici, vacanze o celebrazioni rovinate, debolezza e impotenza di fronte a uomini tutti armati e umiliazioni brucianti.

Pertanto, questo va detto ancora una volta: ve lo abbiamo detto. L’oppressione e l’ingiustizia continue esplodono in tempi e luoghi inaspettati. Lo spargimento di sangue non conosce confini.

Il mondo si è improvvisamente capovolto e l’incubo quotidiano dei palestinesi ha mandato in frantumi la facciata di normalità che ha caratterizzato la vita israeliana per decenni. Hamas l’ ha fatta a pezzi con l’operazione a sorpresa lanciata, che ha dimostrato la sua ingegnosità militare e la sua capacità di fare piani, mantenerli segreti e impiegare tattiche diversive.

I suoi operatori hanno dato prova di creatività utilizzando una varietà di metodi per sfondare le mura della prigione più grande del mondo, nella quale Israele ha stipato due milioni di esseri umani. I suoi uomini armati si sono imbarcati in questa campagna con la volontà di sacrificare la propria vita, ben sapendo che avevano buone probabilità di essere uccisi. Alcuni di loro hanno ucciso centinaia di civili israeliani in quelle che sembravano orge di vendetta, che i loro comandanti non hanno avuto la saggezza o non ritenevano importante prevenire, se non altro per ragioni tattiche.

Tre giorni dopo, l’enormità di quegli atti di massa di rabbia palestinese è ancora in corso, mentre l’intenso attacco aereo di Israele su Gaza ha già provocato la morte di oltre 560 persone, la maggior parte dei quali civili, oltre 120.000 sfollati e migliaia di feriti.

Come in ogni guerra israeliana contro la Striscia di Gaza alla quale Hamas aveva interesse, soprattutto considerando l’assassinio di civili, ci si dovrebbe chiedere: questa organizzazione ha un piano d’azione realistico e un obiettivo politico realistico, o vuole principalmente riabilitare la sua propria posizione agli occhi dei residenti di Gaza? La sua operazione militare è stata accompagnata questa volta da un piano logistico per assistere e salvare i civili di Gaza sotto attacco? Oppure tutto ciò ricadrà ancora una volta sulle agenzie umanitarie internazionali?

Le gioiose reazioni palestinesi agli attuali risultati di Hamas non dovrebbero sorprendere nessuno. Dopotutto, il nemico onnipotente si è rivelato in tutta la sua nudità: un esercito impreparato, impegnato a proteggere i coloni che pregano nella città di Hawara in Cisgiordania e gli ebrei che prendono il controllo delle sorgenti palestinesi. Soldati e poliziotti confusi, abituati a pensare che combattere significhi svegliare i bambini dal sonno con le baionette sguainate, o invadere un campo profughi a bordo di una jeep blindata. Inventori di spyware e agenti Shin Bet gestiti da collaboratori, erano così contenti dei loro risultati da trascurare il fattore umano, ovvero il desiderio di libertà condiviso da ogni essere umano.

“Metà dei residenti di Sderot sono a Gaza, e metà dei residenti di Gaza sono a Sderot”, hanno scherzato gli abitanti di Gaza durante lo Shabbat dopo che è diventato chiaro il numero di israeliani catturati . Sono gli scherzi dei detenuti condannati all’ergastolo, persone che conoscono solo attraverso le storie raccontate dai nonni rifugiati i paesaggi di Jiyya, Burayr, Hamama, Najd, Dimra, Simsim e altri villaggi distrutti intorno all’odierna Striscia di Gaza, dove i kibbutz attaccati e le città israeliane sono ora localizzate. Ma cosa viene dopo quella gioia e quella sensazione di realizzazione?

La conclusione automatica israeliana, come in precedenti occasioni in cui la sua normalità è stata un po’ sconvolta, è che se la morte e la distruzione non hanno raggiunto il loro obiettivo fino ad ora, la risposta sarà più uccisioni aeree di palestinesi e più distruzione e vendetta. Questa è la conclusione del governo e dell’esercito, ma anche di molti israeliani. Ed è apparentemente anche la conclusione raggiunta dai governi occidentali , che si sono affrettati a dare voce al sostegno a Israele ignorando la violenza e la crudeltà strutturali di Israele, e il contesto della continua espropriazione della propria terra del popolo palestinese.

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Orsini: “Netanyahu terrorista di Stato, nessuna differenza con Hamas”

Il professore Alessandro Orsini ha pubblicato sui diversi canali social una serie di post al vetriolo contro la politica criminale del governo Netanyahu che – ricalcando lo schema ucraino, che vede le bandierine italiane piantate a mo’ di ultras da una sola parte aprioristicamente,  hanno scatenato polemiche a non finire.

Il primo destinatario del professore è stato il presidente della Repubblica italiana:

“Caro Presidente Mattarella,
un’ampia letteratura scientifica, prodotta dai maggiori studiosi al mondo di relazioni internazionali che insegnano nelle più prestigiose università americane, e i report dell’Onu, consentono di affermare che il governo Netanyahu è una delle dittature più brutali, razziste e sanguinarie del mondo basate su un apartheid di fatto contro i palestinesi.”

Non è mancato un post successivo, dello stesso tono:

“Caro Presidente Mattarella, mi scusi se insisto: per quale motivo il governo Netanyahu non può ritirarsi immediatamente e senza condizioni dai territori occupati? Questa è la ricetta che lei, Biden e Ursula von der Leyen, proponete da 19 mesi per porre fine alla guerra in Ucraina. Perché, caro Presidente, non propone la stessa soluzione anche per il conflitto israelo-palestinese? Perché non propone la “ricetta ucraina” alla Palestina? Che cosa le impedisce di chiedere a Netanyahu di lasciare i territori palestinesi che occupa illegalmente da così tanto tempo? Perché non sostiene la resistenza del popolo palestinese dall’invasore?”

Orsini poi cambia destinatario, spostandosi sul Ministro degli Esteri:

“Caro Ministro Tajani,
il governo Netanyahu sta massacrando all’impazzata donne, bambini e anziani palestinesi, colpendo le loro case e le loro strade indiscriminatamente. Lo studio scientifico del terrorismo consente di affermare che quello di Netanyahu è “terrorismo di Stato”. Lo studio scientifico del terrorismo classifica come tale l’azione di Netanyahu. Dunque la scienza sociale consente al giornalismo italiano di riferirsi a Netanyahu con la locuzione: “Netanyahu, terrorista di Stato”. Ecco alcuni esempi: “Oggi il terrorista di Stato Netanyahu ha avuto un colloquio con il ministro Tajani”; oppure “il terrorista di Stato Netanyahu ha telefonato al Presidente Mattarella” oppure “il terrorista di Stato Netanyahu sta bombardando le case dei civili palestinesi” oppure “il ministro degli Esteri Tajani ha invitato il terrorista di Stato Netanyahu alla Farnesina” e così via.”

Qual è il punto per il professore? Eccolo spiegato in un altro post:

“Hamas e Netanyahu sotto il profilo politico, umano e culturale, sono sullo stesso piano. Terroristi dal basso i primi, terrorista dall’alto il secondo. Fate presto a colpire questo dittatore sanguinario con le sanzioni economiche e con un mandato di cattura internazionale per crimini contro l’umanità. Netanyahu ha ammazzato e sta ammazzando un sacco di bambini palestinesi per ottenere, tra le altre cose, la fuga dei palestinesi da Gaza e consegnare le loro case ai nuovi coloni da cui riceve i voti. Chiunque esprima solidarietà al governo Netanyahu è moralmente corresponsabile del massacro dei bambini palestinesi che Netanyahu sta compiendo in queste ore. Imponete a Netanyahu di restituire le terre ai palestinesi e di rispettare le risoluzioni dell’Onu.”

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Moni Ovadia: “Israele ha coltivato l’odio, ora a pagare sono gli innocenti”

(intervista di Lara Tomasetta)

Israele dichiara lo stato di guerra. Una colonna di tank si dirige verso Gaza. Diluvio di bombe sulla striscia. Scontri con Hamas al confine. Il nuovo bilancio dei morti israeliani e palestinesi è in continuo aumento. Moni Ovadia, intellettuale, attore, scrittore e musicista di origini ebraiche parla di “pentola a pressione che doveva esplodere”. E punta il dito anche contro la comunità internazionale, colpevole di non essere intervenuta per cercare una soluzione di pace concreta, lasciando Isreale “libera di colonizzare i territori palestinesi”.

L’ambasciatore d’Israele a Roma, Alon Bar, ha dichiarato a TPI: “noi, finora, avevamo imparato a vivere con questa costante minaccia del terrorismo palestinese, in qualche modo adeguandoci. Pensavamo potesse durare. Ma avevamo torto. Oggi abbiamo imparato che questo non è più possibile”. Come commenta questa affermazione?

«Più che convivere con la minaccia del terrorismo palestinese, gli israeliani hanno sigillato Gaza in una scatola di sardine. Cioè sottoponendo gli abitanti di Gaza a una vita infernale. L’Onu ha dichiarato Gaza territorio inabitabile 2 anni fa, mi sembra improprio il discorso. Convivere col terrorismo palestinese sì, in qualche modo l’affermazione è vera ma dimentica la cosa fondamentale, che la vita del palestinese a Gaza non è una vita da esseri umani. In quelle condizioni l’odio e l’esasperazione montano, ora dopo ora, minuto dopo minuto, e il risultato è stato questo».

Cos’è Gaza oggi? Una prigione? Un campo di concentramento?

«Peggio. È una scatola di sardine esagitata. Tutto è sotto il controllo di Israele, i confini terrestri, quelli marittimi e lo spazio aereo. Decidono loro, l’energia, l’elettricità e l’acqua. Ed è una delle zone più popolate del mondo. Poi ci sono state diverse operazioni israeliane che hanno reso la vita ancora più infernale. Gli israeliani hanno deciso: teniamoci il pericolo del terrorismo. Hanno fatto tutto fuorché cercare una soluzione. A Gaza non si può entrare, non si può uscire».

Stiamo vedendo le immagini di un film di cui ci è stato mostrato solo il finale. Ma cosa è successo prima?
«Sono 75 anni che Gaza è sigillata, prima c’erano anche i coloni israeliani ma non solo. Il popolo palestinese è diviso tra Gaza e Cisgiordania. In Cirsgiordania gli israeliani si sono appropriati di terre, hanno tenuto in prigione anche quella parte di palestinesi. La situazione è veramente spaventosa e allora questa violenza che è scoppiata doveva venir fuori prima o poi. Non è un modo di vivere quello».

Tutto questo ovviamente non giustifica l’orrore di questo giorni. 

«È ovvio. Come sempre pagano gli innocenti. Anche questi israeliani che sono stati uccisi in modo atroce. Quelli che sono stati presi come ostaggi, non posso immaginare l’angoscia loro e quella dei loro parenti. Ma tutto questo perché nessuno si è curato dei palestinesi, schiavi e non padroni del loro destino».

Il ruolo di Hamas qual è?

«È la forza che governa quel territorio. Una forza che ha la parte armata. Ma le condizioni di vita a Gaza sono un inferno, è normale che la gente covi odio e disperazione, quando si viene rinchiusi e blindati. Nessuno riuscirebbe a vivere in una condizione del genere senza cercare di ribellarsi. Naturalmente ognuno si ribella con i mezzi che ha. I palestinesi in pratica hanno il terrorismo perché non hanno un esercito. Non hanno le armi, né l’esercito strutturato che ha Israele. Quindi esprimono la loro ribellione con gli strumenti che hanno. E anche se questo ha prodotto un orrore spaventoso che ci ferisce e ci lascia sgomenti, si è lasciata marcire questa situazione senza intervenire».

Lei ha parlato anche di una comunità internazionale “complice”.

«Certo, la comunità internazionale non ha fatto niente per imporre una soluzione politica basata sulla legalità nazionale. I governi israeliani hanno occupato, colonizzato e sottoposto a un regime vessatorio di prigionia 2 milioni di palestinesi a Gaza e altri 3 milioni in Cisgiordania. Forse di più. Non è un modo per evitare che poi scoppi la pentola a pressione. Si coltiva l’odio. Quattro bambini su cinque a Gaza sono depressi. Alcuni meditano il suicidio. Sono come dei topi che non posso uscire. Tutti hanno detto che Israele ha diritto di difendersi, i diritti dei palestinesi? Ci fosse stato qualcuno che avesse detto questo concetto. Ci vuole anche il rispetto dei palestinesi. Invece no. Loro devono star lì e morire in quella situazione. Adesso ci saranno migliaia di morti, però questa esplosione di ribellione selvaggia e violenza è motivata dalle condizioni di vita. Ci sono bambini che non hanno mai vissuto se non in prigionia. Ragazzini che poi hanno reazioni pensando a quando potranno farlo anche loro. Questa situazione è un disastro. E la comunità internazionale avrebbe dovuto imporre a Israele di risolvere questa situazione sulla base di negoziati veri, non di chiacchiere senza costrutto».

Amiram Levin, ex generale israeliano, a inizio 2023 ha rilasciato un’intervista alla radio Kan in Israele in cui ha fatto riferimento al “totale apartheid” nella Cisgiordania occupata: “Da 56 anni non vi è democrazia. Vige un totale apartheid. L’IDF (esercito israeliano), che è costretto a gestire il potere in quei luoghi, è in disfacimento dall’interno. Osserva dal di fuori, sta a guardare i coloni teppisti e sta iniziando a diventare complice dei crimini di guerra”.

È così?

«Prima di sentire Lei, ascoltavo l’opinione di uno studioso dell’ISPI che diceva non è una democrazia, è una democrazia etnica. Israele è una democrazia per gli ebrei, non per i palestinesi. I palestinesi non vivono in democrazia ma in apartheid. In discriminazione».

Il leader più longevo di Israele, che si vantava di non aver mai cominciato una guerra, ora deve condurre un conflitto che si annuncia lungo e difficile. Sapendo che questo sarà probabilmente il suo passo di addio. Cosa pensa di Netanyahu?
«Netanyahu è il peggio del peggio per me. È un uomo che sta cercando di sfuggire alla galera e si appoggia al peggio della società israeliana e della classe dirigente. A dei fanatici che sostengono il partito dei coloni e che sono totalmente incompetenti. E questa è anche la ragione per la quale il tanto celebrato servizio segreto israeliano non ha potuto fronteggiare i missili che arrivavano. Evidentemente si occupavano di altro. Di dare spazio ai coloni per derubare i palestinesi delle loro terre».

L’attacco contro Israele si crede fosse preparato da mesi e si nutrono sospetti sul ruolo dell’Iran. Lei come giudica?
«Ognuno fa la sua politica in quei territori. La cosiddetta realpolitik impone di cercarsi i propri amici, quelli che possono servire. L’Iran vuole avere un ruolo e questo evidentemente provoca delle politiche di potere.È possibile che l’Iran abbia fornito dei missili, non escludo che quel Paese fondato su un fondamentalismo fanatico abbia svolto una funzione, ma questo avviene in un contesto che favorisce il peggio del peggio. Che cos’hanno da perdere i palestinesi di Gaza e quelli della Cisgiordania? L’Iran si appoggia ad Hamas, ad Hezobollah. Questo le garantisce di poter giocare un ruolo».

Cosa pensa dell’atteggiamento del governo italiano?
«Non è solo il governo italiano. I governi europei si limitano a fare dichiarazioni di circostanza. “Siamo vicini a Israele”. Che razza di posizione è questa? È per dire noi siamo quelli bravi che stanno con quelli bravi. Invece di partecipare a un movimento di paesi che avrebbero dovuto sollecitare una risoluzione di pace. Quante volte si è sentito dire “due popoli, due stati”. Sono chiacchiere, vaniloqui perché la possibilità di renderlo realtà è stata compromessa dall’attività di colonizzazione israeliana. Non correre rischi. Altrimenti gli israeliani mi dicono che sono antisemita. Perché questa è la storia. Questo non è far politica, mettere la testa sotto la sabbia. In particolare gli europei che non sanno muovere un passo se non arriva la Nato a dirgli cosa fare».

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Cul de sac – Leonardo Mazzei

A 14 giorni dalla clamorosa azione della Resistenza palestinese, pare che Israele stia finendo in un Cul de sac. Il governo Netanyahu dispone solo di una strategia terroristica, dunque non ha in realtà strategia alcuna.

Lo stragismo dei bombardamenti su Gaza è solo la scontata dimostrazione della propria natura genocidaria, non certo una manifestazione di forza, tanto meno il tassello di un piano che potrebbe portare alla vittoria. Del resto, bombardare un campo di concentramento che si è costruito e si controlla, ben difficilmente potrebbe essere considerato come un segno di forza.

Non parliamo, poi, dell’inqualificabile menzogna sui responsabili della strage all’ospedale Al-Ahli Arabi Baptist. Israele bombarda da due settimane la Striscia di Gaza, ha colpito scuole, centri medici, ambulanze, la popolazione civile in ogni dove, e noi dovremmo credere alle favole di Netanyahu? Fra l’altro, da quando in qua la Resistenza palestinese dispone di missili così potenti? Ma lasciamo Israele alle sue menzogne.

Il sostegno di Biden e dei media occidentali non basterà di certo a occultare la realtà delle cose di fronte al mondo. Che, sfortunatamente per questi farabutti, è cosa assai più ampia dell’Occidente…

Le grandi manifestazioni del fine settimana scorso, tutte colorate dalle bandiere della Palestina, sono state il segno del grande successo politico dell’azione di Hamas. La questione palestinese, che si voleva ormai dimenticata, è tornata al centro della scena. E ci resterà a lungo. Certo, questo sta avvenendo al prezzo di enormi sacrifici. Ma c’erano alternative?

Torniamo adesso all’assenza, meglio all’impossibilità, di una strategia da parte di Israele. Nei giorni scorsi qualcuno ha parlato di una nuova Nakba. A mio modesto avviso un errore colossale. Ora, se con la parola Nakba intendiamo riferirci all’attuale tragedia umanitaria di Gaza, allora quel termine è comprensibile. Ma mentre la Nakba del 1948 fu tanto una catastrofe per i palestinesi, quanto un successo (territoriale e non solo) del nascente stato sionista, oggi le cose stanno assai diversamente.

Allora la cacciata dei palestinesi dalle loro case e dai loro villaggi era parte della strategia espansionista e colonialista su cui si è fondata Israele, ma oggi questa espulsione non è più possibile. Ammesso e tutt’altro che concesso che volessero davvero andarsene, dove potrebbero mai rifugiarsi i palestinesi di Gaza? La verità è che stiamo parlando di milioni di persone che non hanno più nulla da perdere e che di conseguenza nulla possono più concedere.

Lo so, detta così, questa che pure è una verità può apparire troppo schematica. Ma chiediamoci come mai la tanto annunciata offensiva terrestre dell’esercito israeliano sia stata messa quantomeno in stand by.

Qualche giorno fa abbiamo così sintetizzato la questione:

«Naturalmente, i soliti espertoni del nulla parlano di un autogol di Hamas, perché adesso Netanyahu “spianerà” Gaza. Vero, Israele non si farà di certo scrupoli (e non se li sta facendo, ma è sempre stato così) nell’attaccare case, ospedali, ambulanze, nel togliere acqua ed energia elettrica, nell’impedire l’afflusso dei generi alimentari. Ma “spianare” la Resistenza è un’altra cosa. Lo stato sionista ci ha già provato tante volte e gli è sempre andata male. Ci sarà pure un perché».

Abbiamo avuto torto? Non direi. Contrariamente a quel che pensa un certo complottismo, per Israele l’obiettivo non può essere che quello di eliminare la testa della Resistenza, in primo luogo Hamas. E’ possibile raggiungere questo risultato, mancando il quale ogni “vittoria” israeliana sarebbe solo una fugace illusione, senza entrare nella Striscia? Evidentemente no. Ma entrare significherebbe due cose: mettere nel conto grandi perdite per l’esercito israeliano e il possibile allargamento del conflitto a nord con Hezbollah. E’ assai dubbio che Israele possa permettersi un simile scenario, ma anche se alla fine Netanyahu dovesse comunque decidere per l’offensiva terrestre questo non sarebbe sufficiente ad annientare la Resistenza.

Il punto, che molti in Occidente non capiscono, è il cambiamento arrivato con l’azione del 7 ottobre. Per Israele, l’illusione di poter avere la botte piena (lo schiacciamento del popolo palestinese) insieme alla moglie ubriaca (un livello di resistenza relativamente basso e dunque considerato accettabile) è finita. Certo, Israele ha mezzi militari enormi, inclusa l’atomica, ma stavolta la sola forza muscolare non sarà sufficiente ai sionisti. Ed essi, essendo assai più intelligenti dei loro megafoni che starnazzano in Europa, lo sanno. Ecco qui spiegato il Cul de sac.

Ma c’è un’altra questione. Posto che, dopo quello ucraino, un secondo fronte di guerra si è ormai aperto, posto che le variabili sono tante e tutto può accadere, davvero gli Stati Uniti hanno interesse a una guerra regionale in Medio Oriente? Anche qui la risposta è no. E la mesta visita di Biden è lì a dimostrarlo. Avevamo mai visto un presidente americano costretto a rinunciare a un incontro programmato perché gli interlocutori gli hanno dato buca? No, ma adesso anche questo è accaduto.

Naturalmente, l’assenza di una strategia vincente non vuol dire che il sionismo e l’imperialismo si fermeranno. Ancor meno significa che per la Resistenza palestinese la vittoria sia vicina. Ma per chi resiste da tre quarti di secolo i calcoli e i tempi su cui si ragiona sono altri. Adesso la lotta continua, ma l’importante era riaprire in tutti i sensi la questione palestinese. Obiettivo centrato in pieno: vi pare poco?

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Tutti i punti interrogativi d’Israele – Toni Capuozzo

Che cosa fare? È una domanda atroce quella che attraversa Israele. Perché, se la risposta più ovvia è farla pagare a Hamas e cancellarla, tutti gli svantaggi delle guerre asimmetriche emergono come un tormento. Bombardare? Israele lo sta facendo e molto spesso avverte che quel palazzo sta per essere colpito (è una democrazia, quella che affronta un nemico terrorista) per evitare vittime civili. Ma così si salvano anche i miliziani. E la misura non basta a evitare vittime civili.
Puoi radere al suolo una terra densamente popolata nella quale migliaia di miliziani si nascondono in mezzo a quasi due milioni di civili? In un certo senso Hamas tiene in ostaggio, oltre a un centinaio di israeliani, anche il suo stesso popolo, usandolo come uno scudo umano.
Credete che non avessero previsto la risposta israeliana? È che gli va bene, approfondisce il solco di odio, tanto peggio tanto meglio. Puoi entrare via terra ma le perdite da entrambe le parti non possono che essere molto alte, e devi sperare che l’Egitto apra la frontiera a migliaia di civili in fuga, ciò che ti consentirebbe di muoverti più liberamente nello scovare covi e provare a liberare ostaggi. Nelle guerre ho imparato che devi provare a ragionare con la testa del nemico, per vincerlo.
Cosa si aspetta Hamas? Quello che sta succedendo: istigazioni al confine nord con il Libano, abbastanza da tenere impegnate una parte delle forze nemiche. Bombardamenti subìti a Gaza, con le immagini di bambini morti e feriti, per scaldare le piazze arabe. E soprattutto il peggiorare della situazione nella West Bank, la Cisgiordania. Scontri sono segnalati a Hebron e Qalqylia: la tremebonda Autorità Palestinese è sopraffatta dall’iniziativa di Hamas. Se scoppia la Cisgiordania, Hamas ha vinto anche il secondo atto di questa guerra, che vuole rendere permanente. Se Israele vuole vincere, deve usare durezza tattica senza smettere di interrogarsi sul dopo: impossibile non negoziare con qualcuno, che sia Abu Mazen o il Qatar, con l’obbiettivo di arrivare prima o poi all’unica convivenza possibile, due popoli e due Stati.

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Sarà l’imbecillità a distruggerci – Andrea Zhok

Se uno va ai resoconti degli anni prima dello scoppio della prima guerra mondiale, vedrà masse di popolazione, frustrate da decenni di stagnazione economica ed esacerbate da una propaganda giornalistica battente, inneggiare alla guerra desiderosi di “fargliela vedere” al nemico, dipinto come un bruto che fa ciò che fa per puro odio, immotivatamente.

I pochi personaggi che allora cercavano di conservare uno spirito critico, come Karl Kraus, venivano denigrati da ogni parte.

Un secolo e fischia più tardi non è cambiato niente.

L’attacco che Hamas ha organizzato contro Israele è frutto di un percorso lunghissimo, che dovrebbe essere noto, in cui un odio viscerale è stato fatto crescere.

La necessaria condanna dello scempio commesso nei confronti di civili inermi non cambia nulla nel quadro generale, dove, come chiaramente espresso anche nell’editoriale di Haaretz di ieri, questi atti belluini sono il risultato di una vicenda che ha responsabili politici ben precisi, di cui Netanyahu è uno dei principali.

Comprendere NON significa giustificare, ma questa distinzione cruciale è categorialmente assente nella maggior parte delle scatole craniche.

Niente può giustificare, cioè trasformare in qualcosa di giusto, un attacco indiscriminato a civili indifesi (da una parte come dall’altra). Comprendere serve a mettersi nelle condizioni per agire e correggere il tiro.

Di fronte ad un genocidio come quello che si profila nella striscia di Gaza il rischio che questo apra un nuovo fronte in Libano da parte degli Hezbollah è elevatissimo (Hezbollah ha esplicitamente detto che interverrà se ci sarà un’operazione dell’esercito nella striscia di Gaza).

Hezbollah ha dietro di sé l’Iran.

Intanto gli USA hanno inviato una portaerei nucleare e un bombardiere B-52 a sostegno di Israele.

L’Arabia Saudita ha chiuso la porta ad ogni processo di normalizzazione dei rapporti con Israele.

Alle minacce di Hezbollah Israele ha risposto che un loro intervento contro Israele porterà alla distruzione di Damasco (Hezbollah è alleato della Siria).

Ma la Siria è anche alleata fondamentale nello scacchiere medioorientale della Russia, che ha truppe militari in loco.

Il domino delle alleanze è pronto a far crollare tutte le tessere, come nel 1914.

A parte ciò, ci sono 25 milioni di musulmani in Europa, ed immaginando che una frazione minima, uno su mille, sia radicalizzato, questo significa avere un esercito di 25.000 potenziali terroristi in casa, che di fronte ad atti percepiti come forme di sterminio dei propri “confratelli” potrebbero attivarsi nel cuore dell’Europa.

Rispetto a questo quadro, proprio come in passato, la reazione della maggioranza è quella da rissa al bar: “Pensi che abbia paura? Ti faccio vedere io!”

Nel 1914 i più bramosi di menar le mani erano quelli che non si erano sbucciati neanche un ginocchio in tutta la loro vita, studenti e borghesia salottiera.

Oggi è la stessa cosa, con prevalenza dei salotti.

Una volta di più sarà l’imbecillità a distruggerci.

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Spezzare la catena della violenza – Pasquale Pugliese

Nei momenti in cui più grave è la crisi e più alti l’emotività e il dolore, è necessario ritornare a uno degli insegnamenti più lucidi di Edgar Morin, scritto su twitter in riferimento alla guerra in Ucraina:

“È una debolezza intellettuale estremamente diffusa pensare che la spiegazione sia una giustificazione”.

Insieme alla condanna di tutte le violenze e alla solidarietà con tutte le vittime, è quindi più che mai opportuno iniziare un ragionamento su questa nuova fase della guerra israelo-palestinese riconoscendo che storicamente “c’è un oppresso e c’è un oppressore”: l’oppresso è il popolo palestinese, i cui territori sono occupati illegalmente fin dal lontano 1967; l’oppressore è il governo israeliano, oggi in mano all’estrema destra, che nel solo 2023, prima dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, ha ucciso attraverso raid militari e bombardamenti a Gaza, in Cisgiordania e su Jenin, 200 palestinesi, compresi civili e bambini, senza contare le vittime dei coloni israeliani. Una situazione che più volte Amnesty International ha definito “crudele sistema di apartheid contro i palestinesi”. Dunque l’azione di guerra dell’ala militare di Hamas – organizzazione fondamentalista islamica che governa la disperata striscia di Gaza – che ha preso di mira terroristicamente anche i civili, esito anche di decenni di odio accumulato contro gli oppressori, si può configurare come contro-violenza, tecnicamente “controffensiva” in una guerra asimmetrica in cui, più che in altre, il terrorismo – cioè il colpire deliberatamente e spietatamente i civili – è da sempre parte integrante delle operazioni belliche da entrambe le parti.

Una catena della violenza, al cui interno è pura follia da parte di Hamas pensare di sconfiggere militarmente l’occupazione di Israele – lo stato più militarista e militarizzato del mondo – con la guerra e la violenza efferata sui civili. Chi ne pagherà, ancora una volta e sempre più massicciamente, le conseguenze di questo sciagurato attacco – anzi le sta già pagando, mentre scriviamo, con centinaia di morti e migliaia di feriti, causati dalla risposta militare israeliana, che si annuncia “senza precedenti” – è proprio il martoriato popolo palestinese. Oltre all’opposizione, anche pacifista, in Israele, ridotta al silenzio: “le manifestazioni previste per stasera” – dice l’attivista israeliana Meir Margalit, oppositrice del governo di Benjamin Netanyahu, raggiunta da il manifesto (8, ottobre, 2023) – “sono state cancellate e molti organizzatori hanno dato supporto alle forze israeliane”.

Anche in Palestina, allora, la via maestra per la liberazione è la lotta nonviolenta, che proprio in quei territori ha già dato esempi storici di grande importanza, dei quali è meglio non perdere la memoria. Li ricorda, tra gli altri, Erica Chenoweth nel suo Come risolvere i conflitti. Senza armi e senza odio con la resistenza civile (Sonda, 2023) a partire dalla Prima intifada (rivolta) nel 1987 quando, di fronte all’ennesima violenza gratuita dell’esercito israeliano contro civili inermi, vi fu l’avvio di una lotta popolare, con una grande partecipazione delle donne palestinesi, il cui “Comando assunse l’impegno formale di evitare l’uso della violenza armata e si diede il compito di persuadere il maggior numero possibile di comunità locali palestinesi a portare avanti un’azione nonviolenta anche di fronte all’uso di una forza letale da parte dell’esercito israeliano”. Si trattava di interrompere la catena della violenza.

La scelta della nonviolenza fu fatta consapevolmente per suscitare empatia nei confronti della propria lotta da parte della comunità internazionale, oltre che dell’opinione pubblica israeliana. Vi presero parte centinaia di migliaia di palestinesi, in tutti i territori occupati, con scioperi, proteste, manifestazioni, azioni dirette (al 98% nonviolente, secondo gli organi di sicurezza israeliani), anche se i media enfatizzavano il lancio delle pietre da parte dei ragazzi contro i carri armati, che portarono da un lato a una repressione durissima dell’esercito israeliano, ma dall’altro lato in Israele prese il via il fenomeno dei refusenik, i giovani obiettori di coscienza che rifiutano il servizio militare, ed ebbero una grande spinta i movimenti pacifisti come Peace now e Donne in nero: i diritti dei palestinesi erano finalmente riconosciuti da una larga parte di opinione pubblica israeliana e mondiale. E nessuno poté aggettivare quella lotta come “terrorista”. Questi eventi portarono ai colloqui di pace di Oslo e di Madrid, culminati nello storico accordo del 1994 che garantiva l’autonomia palestinese nel governo della Cisgiordania e nella striscia di Gaza, portando a un parziale ritiro delle truppe israeliane da entrambe le regioni. Contemporaneamente l’OLP, Organizzazione per la Liberazione della Palestina, riconobbe il diritto all’esistenza dello Stato di Israele. Una soluzione parziale e interlocutoria, certo, ma che ha mostrato la via giusta per raggiungere la coesistenza pacifica dei due popoli.

Ossia la via maestra della nonviolenza, come indicato anche da Olga Karach, attivista pacifista bieolorussa perseguitata dal suo governo per il sostegno attivo agli obiettori di coscienza, che ha parlato in rappresentanza anche dei movimenti pacifisti russi e ucraini dal palco de La Via Maestra – la grande manifestazione di Roma per la Costituzione – lo stesso 7 ottobre, poche ore dopo l’avvio dell’offensiva di Hamas, chiedendo il cessate il fuoco nella guerra russo-ucraina e il sostegno agli obiettori di coscienza di tutte la parti in conflitto, come mezzo di azione nonviolenta. La via della violenza, anche degli oppressi, invece, va nella direzione opposta. In Palestina come in Ucraina.

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Per la Palestina dev’esserci un futuro – Stefano Galieni

Ad oggi il risultato più evidente delle azioni contro i civili realizzate da Hamas e della prevedibile reazione israeliana si riassume in pochi punti. Politicamente si è bloccato il processo degli Accordi di Abramo, a cui si stava aggregando l’Arabia Saudita e sono messi in crisi i rapporti fra Israele e i Paesi arabi confinanti, in particolare Egitto, Giordania e Libano. La reazione israeliana, in continuità con quanto si compie da decenni di occupazione è, dal punto di vista morale – ma la guerra non ammette morale – scellerata, quanto gli attacchi islamisti ai civili, di fatto rafforza Netanyahu e il suo ultrareazionario governo. Al massimo c’è da attendersi che, se la guerra si espande, trasformandosi nel tentativo forse definitivo di pulizia etnica in una parte della Striscia di Gaza, verranno a tacere tutte quelle voci disponibili a pronunciare, anche in Israele, la parola “pace”. La popolazione di Gaza è ridotta in condizioni per cui la parola “crimine contro l’umanità” è insufficiente. Far arrivare poche migliaia di bottiglie di acqua potabile, per poche ore, dal valico egiziano di Rafah, rappresenta più l’ennesimo segnale di oppressione che un margine di trattative. O l’ingresso di aiuti a Gaza diviene stabile e protetto o la catastrofe umanitaria entrerà in un vortice di non ritorno e questo sarà un altro punto in favore di Hamas, da un lato, delle forze più reazionarie dell’occupante, dall’altro. Questa la cronaca spicciola che non lascia spazio a prospettive, mentre da un momento all’altro potrebbe scattare una nuova offensiva israeliana e, contemporaneamente, c’è la possibilità che diventino ancora più disastrosi i punti di crisi al confine libanese – Hezbollah continua a lanciare razzi e minacce – a quello siriano mentre in una Cisgiordania in balia dell’assenza di qualsiasi autorità, riprendono conflitti mai sopiti.

 

Pensare al futuro?

In tale contesto sembra un’assurdità pensare al futuro, eppure senza un’azione politica e diplomatica efficace è semplicemente inaccettabile proseguire se non con continue escalation. A differenza di quanto accaduto dopo l’invasione in Ucraina e il conseguente conflitto che vede coinvolti USA ed UE, le vicende in Palestina stanno riportando in ogni città del mondo, mobilitazioni nelle piazze. Manifestazioni a tratti complesse, da cui emergono sia le divisioni interne alla diaspora palestinese che quelle, meno giustificabili, di chi sostiene i diritti di un popolo martoriato da 75 anni, piazze che hanno visto anche in maniera significativa di persone appartenenti alla comunità ebraica e contrarie alle politiche criminali del proprio governo, un complesso popolo della pace di cui è importante ascoltare le ragioni. Viceversa, le visite dei leader occidentali, che si sono tradotte in fallimenti, hanno mostrato debolezza e inadeguatezza oltre che connivenza con l’occupante a prescindere. Biden che, condannando Hamas e rassicurando con 10 mld di dollari in armamenti Israele, prova a chiedere timidamente di limitare l’uso della forza per non ricadere in errori commessi dagli Usa e che ripropone la formula dei “due popoli per due Stati” sembra essersi fermato a trenta anni fa, ai fallimentari “Accordi di Oslo” che a nulla hanno portato. Va ribadito, per chi ancora si ostina a non vedere, che la Cisgiordania non è più quella di allora e che gli insediamenti dei coloni, provenienti soprattutto dall’Est Europa, e in cui albergano le pulsioni più apertamente nazionaliste non consentiranno mai continuità territoriale neanche in quei lembi di terra. Senza dimenticare il fatto che Gaza resta un territorio a sé stante e che la dichiarazione di Gerusalemme come capitale di Israele, gli sfratti proseguiti delle famiglie arabe, la stessa legge con cui, da 5 anni Israele è divenuta “Stato – nazione degli ebrei”, hanno spostato indietro le lancette dell’orologio della storia. Gli stessi cittadini “arabi” israeliani – si pensi a quelli dei territori occupati nel 1948 – sono istituzionalmente, meno cittadini degli altri, inserendo una categoria etnico/religiosa/nazionalista che allontana qualsiasi prospettiva di convivenza. Il termine “apartheid” per quanto possa sembrare forzatura storica è quello che rende più comprensibile la condizione di vita di tutti gli uomini, le donne e i bambini di lingua e cultura araba, di religione non ebraica, cattolici compresi. Per uscire fuori da questo pozzo che pare senza fondo, ci vorranno probabilmente decenni ma alcuni passaggi sono necessari e urgenti, devono accadere in quelle terre, la cui estensione è poco più grande di quella del Lazio, ma devono divenire patrimonio comune ed esigenza condivisa anche in occidente…

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Alla radice c’è l’oppressione – Jewish Voice for Peace

In questo momento, Palestinesi, Israeliani e tutti noi che abbiamo lì dei familiari siamo terrorizzati per le persone che amiamo. Piangiamo la vita di coloro che sono già scomparsi e rimaniamo impegnati per un futuro in cui ogni vita è preziosa e tutte le persone vivono in libertà e sicurezza.

Dopo 16 anni di blocco militare israeliano, i combattenti palestinesi da Gaza hanno lanciato un assalto senza precedenti, in cui centinaia di israeliani sono stati uccisi e feriti, molti civili sono stati rapiti. Il governo israeliano ha dichiarato guerra, lanciando attacchi aerei, uccidendo centinaia di palestinesi e ferendone migliaia, bombardando edifici residenziali e minacciando di commettere crimini di guerra contro i palestinesi assediati a Gaza.

Il governo israeliano può aver appena dichiarato guerra, ma la sua guerra contro i palestinesi è iniziata più di 75 anni fa. L’apartheid e l’occupazione israeliana – e la complicità degli Stati Uniti in tale oppressione – sono la fonte di tutta questa violenza. La realtà è modellata da quando si avvia l’orologio.

Nell’ultimo anno, il governo più razzista, fondamentalista e di estrema destra della storia israeliana ha spietatamente intensificato la sua occupazione militare sui palestinesi in nome della supremazia ebraica con espulsioni violente e demolizioni di case, uccisioni di massa, incursioni militari nei campi profughi, assedi incessanti e l’umiliazione quotidiana. Nelle ultime settimane, inoltre, le forze israeliane hanno ripetutamente preso d’assalto i luoghi più sacri dei musulmani a Gerusalemme. 

Per 16 anni, il governo israeliano ha soffocato i palestinesi di Gaza sotto un draconiano blocco militare aereo, marittimo e terrestre, imprigionando e affamando due milioni di persone e negando loro assistenza medica. Il governo israeliano massacra regolarmente i palestinesi a Gaza; i bambini di dieci anni che vivono a Gaza sono già stati traumatizzati da sette grandi bombardamenti nella loro breve vita. 

Per 75 anni, il governo israeliano ha mantenuto un’occupazione militare sui palestinesi, mettendo in atto un regime di apartheid. I bambini palestinesi vengono trascinati giù dai loro letti durante i raid prima dell’alba da parte dei soldati israeliani e tenuti senza accusa nelle prigioni militari israeliane. Le case dei palestinesi vengono date alle fiamme da folle di coloni israeliani, o distrutte dall’esercito. Interi villaggi di persone palestinesi sono costrette a fuggire, abbandonando le case, i frutteti e la terra che appartenevano alla loro famiglia da generazioni.

Lo spargimento di sangue di oggi e degli ultimi 75 anni è riconducibile direttamente alla complicità degli Stati Uniti nell’oppressione e nell’orrore causati dall’occupazione militare israeliana. Il governo degli Stati Uniti consente costantemente la violenza israeliana ed è responsabile anche di questo momento. Il finanziamento militare incontrollato, la copertura diplomatica e i miliardi di dollari di denaro privato provenienti dagli Stati Uniti consentono e danno potere al regime di apartheid israeliano. Coloro che continuano a chiedere un sostegno “corazzato” da parte degli Stati Uniti all’esercito israeliano non fanno altro che aprire la strada a ulteriore violenza.

Dagli Stati Uniti, non ci sono margini. Noi dobbiamo denunciare e sradicare quella complicità dovunque ci troviamo: chiediamo che il governo degli Stati Uniti adotti immediatamente misure per ritirare i finanziamenti militari a Israele e si decida a considerare il governo israeliano responsabile delle gravi violazioni dei diritti umani e dei crimini di guerra contro i palestinesi. Ci impegniamo a intensificare le nostre campagne di boicottaggio, disinvestimento e applicando sanzioni per porre fine ai miliardi che si riversano nella macchina da guerra israeliana provenienti da aziende e fondazioni private.

Inevitabilmente, le persone oppresse ovunque cercheranno – e otterranno – la loro libertà. Meritiamo tutti la liberazione, la sicurezza e l’uguaglianza. L’unico modo per arrivarci è sradicare le fonti della violenza, a cominciare dalla complicità del nostro stesso governo.

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Gaza, l’urlo dei dannati – Michelangelo Severgnini

Ognuna delle testimonianze qui sotto riportate è un messaggio ricevuto da altrettanti cittadini di Gaza in queste ore, tra bombe al fosforo bianco e la mancanza totale di servizi quali acqua ed elettricità.

 

La connessione internet è presente grazie alla copertura delle compagnie israeliane.

<<La situazione è molto grave all’interno della Striscia di Gaza. Non c’è elettricità. Non c’è acqua. Non ci sono comunicazioni. Non c’è il minimo indispensabile per continuare a vivere. Gaza è sottoposta a bombardamenti e distruzione. Uccidono bambini e donne. Finora ci sono più di duemila martiri. La maggior parte di loro sono bambini innocenti che non meritavano di morire. Viviamo nella paura. E nel terrore costante. Il rumore degli aerei che bombardano gli edifici intorno a noi. Mancanza di sicurezza e di tranquillità. Bombardano le case dei civili senza preavviso. Per favore, per favore, siate gentili con Gaza e la sua gente. Una rivoluzione per i bambini di Gaza. Una rivoluzione per la Moschea di Al-Aqsa. Una rivoluzione per Nasr al-Din al-Islam. Insultano il Profeta e gli onorevoli compagni nel mezzo della Moschea di Al-Aqsa. Assaltano le case di notte. Uccidono i suoi abitanti. Non ci sono diritti umani, nemmeno quelli degli animali. Sparano bombe al fosforo sui civili, vietate a livello internazionale. Aiutate Gaza e il vero popolo della Palestina. La vostra rivoluzione cambierà davvero il nostro destino>>.

<<Non si può fare a meno, Israele ha minacciato di bombardare qualsiasi camion di aiuti umanitari o inviato che arrivi a Gaza ….

Vogliono che tutti noi moriamo di fame, anche i bambini piccoli, anche i cristiani, anche gli atei (come me), anche le persone che vogliono la pace…. anche i nostri gatti e i nostri topi moriranno di fame.

Per favore, chiedete di rompere le alleanze con Israele e di buttarlo fuori dalla NATO (Israele non è membro della NATO, ma…), questo regime è il moderno Hitler, e questa è l’unica opzione morale per fermarlo>>.

<<La Striscia di Gaza è stata spazzata via. Non c’è nessuna zona nella Striscia di Gaza tranne che è stata bombardata. Un genocidio di massa contro i diritti di civili, bambini e donne riempie le strade e sotto i detriti dei quartieri spazzati via dall’occupazione nella striscia di Gaza.

Allah ci basta ed è il miglior disprezzo degli affari>>.

<<Non è possibile. Israele ha distrutto banche e valichi, oltre ai camion degli aiuti. Stiamo già vivendo il periodo più difficile della nostra vita. I bombardamenti sono folli e casuali. Tutte le case sono state distrutte in diverse aree senza preavviso. Chi è ancora vivo sta soffrendo. Ci rendiamo conto che in qualsiasi momento potremmo morire o essere evacuati. Spero che preghiate. Per noi e per coloro che resistono all’espulsione di Israele dalla nostra terra>>.

<<Lasciate che vi faccia una domanda: se una donna viene stuprata ripetutamente, affamata, soffocata e le vengono mutilati gli arti. Poi viene violentata di nuovo ed è a malapena viva; se per un secondo trova la capacità di trovare un’arma e le ultime vestigia di energia per reagire contro i suoi stupratori e aggressori, sarete voi la persona che la inciterà a reagire con tutta la forza possibile e a fare tutto il necessario per trovare la sua libertà e fuggire dalla prigione sotterranea in cui è stata confinata? Oppure le direte: “Ehi, ehi, ehi, aspetta… non vuoi fare troppo male al tuo stupratore, non ucciderlo e magari graffialo un po’”? Che tipo di persona sei?

Per favore, smettetela di condannare un popolo indigeno, vittima di decenni di brutalità e apartheid e di atroci crimini contro l’umanità, che ha il torto di sentirsi vittorioso quando finalmente ha reagito duramente, quando sta lottando semplicemente per il diritto di respirare e bere acqua pulita e sopravvivere. Vergognatevi tutti voi, nelle vostre CASE PRIVILEGIATE, che vi preoccupate di condannare Hamas ma non della reazione estrema di alcune delle PIÙ GRANDI POTENZE TIRANNICHE GLOBALI del mondo che si vendicano di coloro che sono già in gabbia, imprigionati e oppressi. Vergognatevi di voi e del vostro rifiuto di immedesimarvi nei veri oppressi!>>.

da qui

 

https://www.youtube.com/watch?v=-y5mtyAhAww&ab_channel=MatteoSaudino-BarbaSophia

 

Hamas. Aggrediti e aggressori – Giuseppe Aragno

Sono per formazione lontanissimo da Hamas. Non riesco però a immaginare Hamas senza la politica estera di Israele, senza i silenzi e i crimini dell’Occidente. Parlarne in termini storici? Quali? Quelli utilizzati adattandosi in qualche modo al modo in cui l’Occidente ha affrontato questioni geopolitiche che riguardano vastissime aree del pianeta colonizzate?

Ovunque la linea rossa è la stessa. La colonia è diventata “libera” quando non è stato più possibile rapinarla senza problemi. Una miseria indicibile è finita così in mano a governi corrotti, strettamente legati agli ex padroni. Se c’erano risorse da sfruttare, sono ancora in mano agli ex padroni, se necessario, militarmente protette. A difesa degli interessi dei Paesi ex coloniali si è creato un gendarme della zona, forte, più ricco e più potente di tutte le ex colonie “liberate“.
Concessa l’indipendenza, la farsa si trasformata in tragedia, perché nessuno è libero davvero senza una reale indipendenza economica. Prima o poi inevitabilmente dove non c’è stata la guerra civile, è cominciata la guerriglia.
Badiamo bene alle parole, che hanno un significato e un peso. Se dico inevitabilmente, vuol dire che non c’è modo di fare altrimenti. Se mi privi dell’aria per respirare, nemmeno se voglio posso soffocare senza provare a riprendermi l’aria che mi hai totlro. Esistono insuperabili ragioni naturali. Questo “cominciare”, quindi, non è “aggredire”, ma soggiacere all’incoercibile istinto della sopravvivenza. Accade così che i nostri occhi vedono un’aggressione, ma quello che percepiscono i nostri cuori è una mostruosa deformazione dei fatti. Il vero aggressore è chi ti taglia l’aria e pretende che tu ti lasci morire senza reagire o svendi la tua dignità per un filo di ossigeno che ti viene dato per prostituirti.
Ricostruire la storia non può essere semplicemente dare un ordine logico ai fatti; occorre entrare nella testa dei protagonisti. Appena lo fai, acquisti una certezza: il principio dell”aggredito e dell’aggressore è davvero un’infamia, come un’infamia è la retorica della legalità, quando la legge non garantisce giustizia sociale.
Torniamo a ciò che accade in Palestina, proviamo a sottoporre a critica ciò che ci pare di vedere e non fermiamoci a quella che definiamo “verità dei fatti”. E’ proprio questa definizione a dirci che esiste un’altra verità.
Come si fa? Non è difficile. Basta chiedere ai fatti di essere precisi. I fatti sono per loro natura onesti e ci diranno la verità. Se un gruppo di ebrei armati avesse rapito in un campo nazista parenti dei suoi carnefici e li avesse usati per tentare di uscire da quell’inferno, interrogati i fatti, li avremmo definiti barbari e terroristi? Per capire e valutare avremmo utilizzato il criterio corrente che condanna l’aggressore?
Spostiamoci nel presente e domandiamo ai fatti: Hamas sarebbe esistito, se Israele non avesse tolto l’aria per respirare ai palestinesi? Hamas non nasce per una degenerazione morale degli arabi, ma perché rubare l’ossigeno a un popolo non vuol dire solo commettere un’azione mostruosa; significa anche creare un habitat entro il quale nascono e vivono mostri. Questa indiscutibile risposta dei fatti si ripete tutte le volte che le circostanze sono quelle attuali. Oggi in Ucraina, ieri in Libia e Tripolitania e molto, molto prima ad Alesia, dove Cesare rubó l’aria ai Galli, “barbari” abitanti di Alesia, condusse a Roma in catene il coraggioso Vercingetorige e lo giustizió per celebrare il suo trionfo. Giustiziare non significa fare giustizia, ma a Cesare decretarono il trionfo e ne fecero un esempio di umanità civile.

E’ tempo di scienze, lo so, eppure non capisco perché non ricordiamo mai Catullo, il poeta, e il fulminante distico rivolto a Cesare; e se anche lo facciamo, citiamo un fatto tra centomila che non interroghiamo. Eppure ci sarebbe di che riflettere: “Cesare, a me non interessa di sapere se sei un uomo bianco o nero”.
Del sommo Cesare siamo però costretti a spiegare la morte. Diiciamo allora che Cesare morì per mano di congiurati. È comodo usare parole oscure per confondere chi ascolta e chi legge. Oggi per esempio diciamo terroristi e la questione è chiusa. Se domandassimo ai fatti perché Bruto e Cassio uccisero Cesare, essi ci direbbero però che Cesare era un dittatore pronto a distruggere le libertà repubblicane. Ecco che allora sparirebbero i congiurati, Bruto e Cassio diverrebbero cittadini e a noi toccherebbe rispondere a una domanda angosciante: è giusto uccidere un tiranno?
L’Occidente notoriamente civile, che uccide tiranni veri e talora presunti, suggerirebbe subito la dottriba della non violenza. Sarebbe interessante, però. ascoltare la risposta degli israeliani, massacratori di terroristi veri e inventati, severi giudici di Hamas e mai di se stessi. Per i nazisti un ebreo che fosse riuscito a uccidere Hitler sarebbe stato un pericoloso terrorista, come “banditen” furono i nostri partigiani.
Afgressore-aggredito.
Ma davvero vogliamo scrivere la storia partendo da ciò che affermano il potere e le sue regole immorali?

Per chi ha la memoria corta ecco un ricordo del terrorismo israeliano, misteriosamente sparito dalla cronaca e dalla Storia. Lo cito alla rinfusa senza date e senza penose contoedei morti:
Uccisione di lavoratori arabi in una piantagione di banane; Uccisione di Arabi sulla spiaggia di Bat Yam; Bomba su treno ad Haifa; Bomba in un caffè di Haifa; Attacco su un bus sulla strada Gerusalemme-Hebron; Spari contro Arabi ad Haifa; Lancio di una bomba nel mercato arabo di Haifa; Bomba a Giaffa contro Arabi; Uccisione di un Arabo nel cortile di un ospedale di Haifa; Esplosione di una bomba su un autobus a Gerusalemme; Scoppio simultaneo di due bombe nel mercato arabo dei meloni ad Haifa.; Bomba contro Arabi a Gerusalemme; Bomba contro Arabi in un mercato di Gerusalemme; Esplosione di una bomba in un mercato di Giaffa; Bombe al mercato arabo del quartiere Suk di Haifa e al mercato arabo ortofrutticolo di Gerusalemme; mina davanti al Rex Cinema di Gerusalemme; Bomba alla porta di Giaffa a Gerusalemme; Esplosione di una bomba piazzata su un asino al mercato di Haifa; Omicidio in un mercato di Gerusalemme; Bomba in un caffè di Haifa contro Arabi; Omicidio alla stazione ferroviaria di Giaffa; Uccisioni a Rehovot; Omicidio a Gerusalemme dell’ufficiale senior del Criminal Intelligence Department (CID); Bomba alla sede del CDI di Gerusalemme; Attentato al Fing David Hotel; Esplosione alla Stazione ferroviaria di Gerusalemme; Bomba alla sede centrale britannica; Bomba al Goldschmidt Officer’s Club di Gerusalemme; Attacco in quattro luoghi di Haifa; Impiccagione di due sergenti britannici; Due valigie con bombe temporizzate esplodono nel seminterrato dell’Hotel Sacher di Vienna, quartier generale del British Army; Bomba all’ufficio del British Labour Department a Gerusalemme; Bomba sul treno Cairo-Haifa; Esplosione di una bomba sul treno militare Londra-Villaco fuori dal tunnel di Tauern, Austria; Attacco a Tireh, vicino Haifa; Esplosione di un barile alla Porta di Damasco a Gerusalemme; Bombe fuori dall’Alhambra Cinema; Esplosione di due bombe alla Porta di Damasco; Attacco al villaggio di Yebudieh. Bomba al Noga Cinema di Giaffa; Lancio di una bomba da un taxi alla porta di Damasco; Massacro della raffineria petrolifera di Haifa; Sparatoria contro Arabi in un caffè di Giaffa; Esplosione di un camion bomba fuori dal Serrani, il municipio di Giaff; Bomba alla Porta di Giaffa; Attacco contro Arabi vicino a Ras al-Ayn; Attacco al mercato di Ramla; Bomba contro Britannici al Bevingrad Officers Club, Nassacro di Deir Yassin: Bomba contro Arabi in un mercato di Haifa.

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Filoisraeliani tacciono su Qatar e su Netanyahu – Maurizio Acerbo

I capi di Hamas sono al sicuro in Qatar, petromonarchia alleata dell’Occidente, da dove rivendicano attacchi e rilasciano interviste a media di tutto il mondo mentre i palestinesi vengono massacrati a Gaza. Eppure le accuse occidentali sono rivolte esclusivamente verso l’Iran e persino contro l’Autorità Nazionale Palestinese.

Invece di bombardare i civili a Gaza non sarebbe il caso di chiedere estradizione di capi di Hamas per “crimini di guerra”? Perchè non si impongono sanzioni al Qatar? USA non rasero al suolo l’Afghanistan perché ospitava il loro ex agente Bin Laden che in realtà si trovava nell’alleato Pakistan? Israele bombardò il quartier generale dell’Olp di Arafat a Tunisi.

Ricordo che il Qatar ha lo status di “major non NATO ally” per gli USA e gode di “favore strategico” dell’UE.

Ricordo che il Qatar ha finanziato integralisti islamici nella guerra contro il regime laico di Assad e i curdi in Siria.

È noto che il ramo siriano di Al Queida è stato sostenuto dal Qatar con benedizione occidentale.

Durante la guerra del 2011 per rovesciare Muammar Gheddafi, il Qatar ha fornito sostegno finanziario e materiale, addestramento militare e più di 20.000 tonnellate di armi” ai ribelli anti-Gheddafi, attraverso figure legate ad al-Qaeda, mentre aerei delle potenze occidentali bombardavano il paese.

Hamas è stato fondato nel 1987 dai Fratelli Musulmani ed è sostenuto, tra gli altri, da alleati dell’Occidente come Turchia e Qatar. Va ricordato che “Hamas discende direttamente da un precedente movimento islamico interessato principalmente alla fornitura di istruzione, assistenza sanitaria, aiuti alimentari e altri servizi sociali ai palestinesi che soffrono sotto l’occupazione israeliana. Questo gruppo è stato finanziato dalla monarchia saudita e dal . . . governo di Israele! Quest’ultimo ha fornito al movimento terreni, edifici e una non piccola misura di incoraggiamento.”, come raccontava Alan Nasser su Montly Review.

Quando Hamas nacque durante la prima intifada il movimento islamista era visto come un combattente utile contro la sinistra e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina di Arafat. Hamas da tempo governa la Striscia di Gaza e ha conquistato il consenso dei palestinesi per la sua risoluta opposizione a Israele, che ha utilizzato l’organizzazione per dividere il popolo palestinese.

Pochi mesi fa si sono tenuti i mondiali di calcio in Qatar e per realizzare infrastrutture migliaia di proletari immigrati da paesi musulmani sono morti.

Noi eravamo per il boicottaggio ma per USA e UE tutto ok. I capi di Hamas saranno anche andati a vedere partite.

In queste ore non si evidenzia neanche che il mostruoso Hamas è stato sostenuto da Israele contro l’Olp all’inizio del suo sviluppo nell’ambito della medesima strategia che vide gli USA con l’Arabia Saudita sponsorizzare e diffondere fondamentalismo in funzione anticomunista e contro l’antimperialismo di matrice socialista. Hamas crebbe criticando la laica Organizzazione nazionalista per la liberazione della Palestina (OLP), dominata dalla fazione Fatah guidata da Yasser Arafat che aveva rinunciato all’obiettivo a lungo termine di liberare tutta la Palestina storica scegliendo una politica di negoziato che portò agli Accordi di Oslo del 1993.

Il sito di giornalismo investigativo statunitense The Intercept ha pubblicato un elenco di rivelazioni che meriterebbero ampia diffusione: https://theintercept.com/2018/02/19/hamas-israel-palestine-conflict/

Il senatore americano Ron Paul ha dichiarato che Hamas è stato creato da USA e Israele contro Yasser Arafat, cosa d’altronde arcinota.

Il Qatar ha fornito ad Hamas nella Striscia di Gaza oltre 1,1 miliardi di dollari dal 2012 al 2018, con l’approvazione del governo israeliano, riferiva il quotidiano israeliano Haaretz nel 2019. E in quell’anno Netanyahu sbloccò altri 200 milioni di fondi del Qatar diretti a Hamas. In una riunione del suo partito Netanyahu disse, all’inizio del 2018, che “coloro che si oppongono a uno Stato palestinese dovrebbero sostenere il trasferimento di fondi a Gaza, perché mantenendo la separazione tra l’Autorità Palestinese in Cisgiordania e Hamas a Gaza impedirebbero la creazione di uno Stato palestinese”, come ha riferito The Times Of Israel in un articolo intitolato “Per anni Netanyahu ha sostenuto Hamas. Ora ci è esploso in faccia”.

Si può tacere sul ministro che si autodefinisce fascista Smotrich, autore di un “piano di soggiogamento” che prevede di costringere all’esodo palestinesi da Gaza, che dichiarò che «l’Autorità palestinese è un peso e Hamas è una risorsa»?

Io ricordo quando la Turchia braccava Ocalan, il leader del popolo curdo di cui non possiamo scrivere il nome che altrimenti Facebook ci banna. Tutti i paesi della NATO collaboravano alla caccia al Mandela curdo e l’Italia, dove noi di Rifondazione cercammo di fargli ottenere l’asilo politico a cui aveva diritto, lo mise alla porta.

Invece i capi di Hamas fanno conferenze stampa e interviste da Doha in assoluta tranquillità.

Qualcosa non quadra negli atroci “giochi di guerra” in corso.
O no?

Invece di offendere e insultare la sinistra internazionalista e pacifista che da sempre chiede una soluzione di pace fondata sul riconoscimento dei legittimi diritti del popolo palestinesi i guerrafondai occidentali si facciano un esame di coscienza.

da qui

 

 

Abbandonare il principio morale fondamentale secondo cui tutti gli esseri umani sono stati creati uguali (“b’tselem elohim”) è una perdita di umanità – B’Tselem

Sabato 7 ottobre, Hamas ha commesso un crimine scioccante le cui orribili dimensioni stanno lentamente diventando chiare. Centinaia di militanti palestinesi sono entrati in territorio israeliano e hanno aperto il fuoco indiscriminatamente, uccidendo centinaia di civili e ferendone migliaia. Hanno bruciato case con gli occupanti e rapito più di 100 persone -tra cui bambini, donne e anziani- per usarle come merce di scambio. Molte altre persone sono ancora disperse e la loro sorte è sconosciuta.

Abbiamo visto testimonianze e filmati: di persone chiuse in casa per ore, terrorizzate, mentre i militanti si aggirano, sparando, fuori e persino dentro casa; di persone prese in ostaggio; di partecipanti a una festa che fuggono in ogni direzione sotto gli spari, con centinaia di morti; di famiglie che ancora non sanno cosa stia succedendo ai loro cari portati nella Striscia di Gaza.

Nel frattempo, i ministri del governo israeliano ora chiedono di uccidere, distruggere, schiacciare e persino affamare i residenti di Gaza, dimenticando che questa è già la politica israeliana. L’esercito sta attualmente bombardando Gaza anche se è chiaro, ancora una volta, che molte delle vittime saranno civili – tra cui donne, bambini e anziani.

Gli attacchi intenzionali contro i civili sono vietati e inaccettabili. Non esiste alcuna giustificazione per tali crimini, sia che vengano commessi nell’ambito di una lotta per la libertà dall’oppressione, sia che vengano motivati come parte di una guerra contro il terrore.

Abbandonare il principio morale fondamentale secondo cui tutti gli esseri umani sono stati creati uguali (“b’tselem elohim”) è una perdita di umanità.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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Hamas voleva evitare la trappola dei “soldi in cambio di moderazione” che ha rovinato l’Autorità Palestinese – Jack Khoury

L’organizzazione è stata a lungo combattuta tra il suo impegno nella resistenza e i suoi obblighi nei confronti degli oltre 2 milioni di residenti di Gaza, tra cui decine di migliaia di dipendenti del governo.

L’ampia operazione militare di Hamas ha stupito non solo Israele ma anche la maggior parte dei gazesi, compresi gli stessi membri del gruppo, per non parlare di quelli di altre fazioni.

Nella Striscia di Gaza, il circolo decisionale ed esecutivo è ristretto, stimato in alcune centinaia di militanti, oltre ai leader delle fazioni, che sono spariti in anticipo nella clandestinità. Quindi la maggior parte delle persone aveva l’impressione che un’escalation non fosse imminente, soprattutto dopo l’annuncio della scorsa settimana che sarebbero state sospese le proteste presso la recinzione di confine mentre sarebbero stati aperti i valichi di frontiera ai lavoratori che hanno un impiego in Israele.

È vero che Gaza non si trova in uno stato economico e umanitario tale da far pensare che non ci fossero motivi di scontro. Ma la differenza tra un’altra serie di lanci di razzi “di routine”, uniti alle violente proteste al confine delle ultime settimane, e un’operazione militare di massa a cui hanno preso parte tutti i settori dell’organizzazione è così immensa che persino i portavoce di Hamas hanno avuto bisogno di tempo per assimilare il tutto.

Le ragioni ufficiali dietro la scelta di questo scontro diretto sono state elencate sabato dai tre massimi esponenti dell’organizzazione: il leader politico Ismail Haniyeh, il suo vice Saleh al-Arouri e il capo dell’ala militare, Mohammed Deif.

In una dichiarazione, hanno menzionato le incursioni della polizia israeliana nel complesso della Moschea di Al-Aqsa, soprattutto nell’ultima settimana, così come le continue operazioni in Cisgiordania, tra cui gli arresti quotidiani, il duro trattamento dei prigionieri palestinesi e il pluriennale blocco di Gaza. Hamas ha chiamato l’attuale operazione ‘Al-Aqsa Flood’ per sottolineare il ruolo chiave della moschea nella decisione.

Particolarmente cruciale è ciò che Haniyeh e Deif hanno detto nelle loro dichiarazioni: Israele e forse i mediatori pensavano che Hamas sarebbe stata disposta a ignorare gli eventi in Cisgiordania in cambio di maggiori somme di aiuti dal Qatar, di un aumento del numero di lavoratori ammessi in Israele e dell’avanzamento dei progetti per l’agenzia per i rifugiati UNRWA.

Secondo gli operativi di Hamas che hanno parlato con Haaretz la scorsa settimana, l’organizzazione è stata a lungo combattuta tra il suo impegno nella resistenza e i suoi obblighi finanziari nei confronti degli oltre 2 milioni di residenti di Gaza, tra cui decine di migliaia di dipendenti del governo. Secondo queste fonti, l’organizzazione non può fingere di ignorare gli eventi al complesso di Al-Aqsa e in Cisgiordania e agire come un impresario che si occupa solo di soldi, soprattutto perché il governo israeliano non ha mostrato alcuna intenzione di agire con moderazione. Questo è stato ampiamente dimostrato la scorsa settimana.

Nel frattempo, si è parlato di una normalizzazione israeliana con l’Arabia Saudita, con il pieno appoggio americano, ignorando il processo di pace con i palestinesi. Si è anche parlato di un aggravamento dell’occupazione militare e degli insediamenti da parte di Israele, mentre il trattamento dei prigionieri palestinesi è certamente peggiorato.

Tutto ciò danneggia l’immagine di Hamas presso la popolazione e i leader del gruppo ammettono tranquillamente che la continua moderazione nelle loro azioni in cambio di benefici economici e valigie di denaro dal Qatar li stava facendo cadere nella stessa trappola che ha irretito l’Autorità Palestinese fin dall’inizio. Questo ha portato a una totale erosione dell’influenza dell’AP.

Cosa succederà ora a Gaza? Nessuno ha una risposta chiara. Le decine di ostaggi e prigionieri di guerra sono percepiti come una potente merce di scambio che potrebbe evitare un’offensiva molto più lunga. Ma nessuno ha idea se la questione sarà risolta, se Israele accetterà un accordo e a quali condizioni, o se rifiuterà di negoziare.

Un’altra questione è il grado di disponibilità di Hamas e delle varie fazioni ad incassare e assorbire la risposta israeliana. Potrebbe trattarsi di una lunga campagna con un bilancio devastante sia in termini di vite umane che di infrastrutture, ciò che potrebbe costare ad Hamas il controllo della Striscia.

Sabato, i leader militari e politici palestinesi sembravano abbastanza coordinati e il fatto che Hezbollah abbia rilasciato una dichiarazione poche ore dopo dimostra un coordinamento ancora maggiore, mentre Hamas si aspetta che la dimensione degli eventi in corso detti una nuova agenda in Medio Oriente, compresa la questione israelo-saudita.

Per questo motivo tutti coloro che hanno descritto gli eventi di sabato hanno fatto paragoni con l’attraversamento del Canale di Suez da parte dell’esercito egiziano esattamente 50 anni e un giorno fa. Ma i risultati e le ramificazioni degli eventi in corso sono qualcosa che nessuno è disposto a prevedere in questa fase.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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Contro il terrorismo, Israele rischia di perdere: per 4 motiviAlessandro Orsini

Purtroppo l’Europa non può escludere che Israele perda la guerra contro il terrorismo giacché l’obiettivo oltrepassa le sue capacità. Le ragioni principali sono quattro.

In primo luogo, la guerra contro il terrorismo è stata persa persino dagli Stati Uniti. Peggio: quella guerra ha accresciuto il terrorismo spaventosamente. Dopo l’invasione di Afghanistan (2001) e Iraq (2003), gli attentati sono aumentati vertiginosamente in tutto il mondo; nuove potentissime organizzazioni sono nate, tra cui l’Isis e Boko Haram, come ho documentato nel mio L’Isis non è morto(Rizzoli). Distruggere le organizzazioni jihadiste, senza rimuovere le cause del terrorismo, non porta frutti. La radice del terrorismo di Hamas è nell’occupazione dei territori palestinesi. Persistendo l’occupazione, il terrorismo si riprodurrà. Ecco alcune prove.

L’invasione americana del 2003 ha causato la nascita di al Qaeda in Iraq e poi dell’Isis. L’invasione israeliana del Libano del 1982 causò la nascita di Hezbollah. Israele aveva invaso il Libano per aumentare la propria sicurezza causando il suo tragico peggioramento. In modo analogo, è prevedibile che l’invasione di Gaza del 2023 avrà effetti “libanesi” sul terrorismo producendo la stessa eterogenesi dei fini del 1982.

In secondo luogo, Israele non può vincere la guerra contro il terrorismo giacché il terrorismo non è soltanto a Gaza. Hezbollah ha circa 100 mila militanti in Libano. Ai tempi dello scontro con Israele nel 2006, Hezbollah aveva circa 15 mila missili. Oggi sono decuplicati e possono colpire tutto il territorio israeliano. 150 mila missili in mano a un’organizzazione terroristica possono fare male. Hamas e Hezbollah, entrambi finanziati dall’Iran, sono legati da un patto per la vita che prevede che l’uno vada in soccorso dell’altro se Israele sta per eliminare uno dei sodali. Maggiore sarà il massacro di Hamas a sud, maggiori saranno le probabilità che Hezbollah attacchi Israele a Nord. È improbabile che, in una morsa del genere, Israele possa eliminare ogni singolo militante di Hamas come Netanyahu promette.

In terzo luogo, l’eliminazione di ogni militante di Hamas richiederebbe molti anni perché Hamas acquisirà nuovi membri. Netanyahu durerà? Molti israeliani lo odiano; altri solidarizzano con i palestinesi dei territori occupati. Hamas ha già aumentato i propri consensi tra i palestinesi. È meno certo che Netanyahu aumenti i propri tra gli israeliani, tanto più che la sua strategia prevedeva di rendere Hamas più ricca consentendole di ricevere finanziamenti stranieri. L’Autorità nazionale palestinese e Hamas sono rivali. Netanyahu pensava che, dividendo le due organizzazioni, avrebbe impedito la loro unione per la costruzione di uno Stato palestinese. Arricchendosi – Netanyahu pensava – Hamas non avrebbe avuto bisogno degli aiuti internazionali dell’Anp e le due organizzazioni sarebbero rimaste separate. Gli israeliani sono furiosi per questa strategia esiziale.

In quarto luogo, la guerra a Gaza potrebbe causare nuovi attentati in Europa. Se accadesse, gli europei contrari al prolungamento della guerra aumenterebbero. Scholz invoca il massimo della violenza contro Gaza. Subendo un “Bataclan”, i tedeschi apprezzerebbero meno il suo estremismo. Netanyahu deve fare presto a uccidere tutti i militanti di Hamas, ma ha poco tempo, e gli accordi di Abramo potrebbero disfarsi. L’Arabia Saudita incolpa Israele e il mondo islamico è con Gaza. È possibile che questa guerra inneschi una serie di meccanismi a catena che, con gli anni, costringeranno Israele a ritirarsi dai territori occupati. Le probabilità che ciò accada sono maggiori delle probabilità che Netanyahu estirpi il terrorismo.

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“Con chi stai? Con chi ti schieri?” – Tomaso Montanari

Di fronte all’estrema violenza di questa nuova, ennesima fiammata di un conflitto infinito, mi fa paura la cecità di chi, qua, risponde con eguale violenza, seppure verbale.

Mi schiero con i morti, con i feriti, con le famiglie israeliane che hanno un figlio preso in ostaggio, con le famiglie palestinesi che aspettano la rappresaglia che le cancellerà. Con chi non ha mai deciso nulla, e ora perde tutto.

In queste ore terribili, penso innanzitutto alla disperazione (infinita e identica) dei miei amici israeliani e dei miei amici palestinesi: da tempo in lotta con i loro rispettivi governi. Governi nemici innanzitutto dei loro stessi popoli.

Come ha scritto sabato il giornalista israeliano Haggai Matar, “il terrore che gli israeliani stanno sentendo in questo momento, me compreso, è un frammento di ciò che i palestinesi hanno sentito”.

Riapro Apeirogon – il forte romanzo di Colum Mac Cann, i cui protagonisti sono due padri, uno israeliano e uno palestinese, che si incontrano e diventano amici avendo avuto ciascuno un figlio ucciso dai combattenti dell’altro popolo: una storia vera – e leggo: “Rumi, il poeta, il sufi, ha detto una cosa che non dimenticherò mai: “Al di là del giusto e dello sbagliato c’è un campo: ci incontreremo lì”. Avevamo ragione e torto e ci siamo incontrati in un campo. Ci siamo resi conto che volevamo ucciderci a vicenda per ottenere la stessa cosa, la pace e la sicurezza. Immaginate che ironia, è pazzesco”.

Penso alla violenza folle di un’organizzazione militare, sorretta da un orribile regime teocratico, che dice di voler difendere il suo popolo: facendolo massacrare. Penso alla violenza folle di uno stato che si dice democratico, e che pratica una segregazione così crudele da spingere i suoi vicini a scegliere tra una morte rapida e una lenta.

Penso che “non c’è una soluzione militare al problema di Israele con Gaza, né alla resistenza che naturalmente emerge come risposta all’apartheid violento” (ancora Matar).

E penso al tradimento etico e politico di un Occidente che mette alla finestra la bandiera di Israele e incita alla guerra e alla rappresaglia. E al tradimento del mondo povero, che mette quella della Palestina e inneggia a omicidi e rapimenti. Quando l’unica bandiera che ora dovrebbe avere spazio è quella della pace. Unica vera alternativa a due tentati, contrapposti, genocidi.

“Il mondo è guasto”, diceva Tony Judt. Mai come ora lo vediamo.

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Vincenzo Costa – Sono crimini di guerra. Non si può tacere

Le azioni di Hamas sono deprecabili, ma sono le azioni di un’organizzazione brutale. Ora siamo di fronte ad azioni criminali da parte di quello che dovrebbe essere uno Stato, fatto di leggi, rispettoso del diritto internazionale.

Si tratta in realtà oramai di uno Stato etnico, che tollera l’omicidio a sangue freddo dei palestinesi da parte di coloni convinti di avere licenza di uccidere (chi vuole legga Occhio per occhio e tutto il mondo è cieco di Franco Berardi Bifo).

Ma non è solo questo Stato da sempre al di sopra della legge, che da sempre distingue esseri umani di serie A e di serie B ad avere qualcosa di insano: è l’intero Occidente ad aver perso ogni senso di umanità, oltre che di realtà.

Senza andare troppo indietro, senza ricordare quanti bambini palestinesi sono stati uccisi dal 2008 ad oggi, mettiamo insieme qualche punto su che cosa sta accadendo in queste ultime ore nella striscia di Gaza e i crimini che stanno avvenendo con la benedizione dell’Occidente.

  1. Israele ordina l’evacuazione di UN MILIONE E CENTOMILA PALESTINESI ENTRO 24 ORE. Le nazioni unite dicono che è assurdo, che genererebbe una catastrofe umanitaria. Ma niente, tutto è legittimo. Peraltro, lo scopo di tutta questa cosa è svuotare Gaza non di Hamas, ma di tutta la sua popolazione. Come si chiama questa cosa?
  2. SONO STATI UCCISI DAGLI ISRAELIANI, SOLO NEGLI ULTIMI GIORNI, 447 BAMBINI (fonte CNN).

Per gli israeliani, nel loro concetto di rappresaglia, quanti bambini palestinesi devono essere uccisi per ogni bambino israeliano? 300 a 1, 1.000 a 1? Che valore hanno le vite degli altri? O sono solo animali, come illustri esponenti di Israele amano chiamare gli altri?

  1. La chiusura delle forniture di elettricità, acqua e gas significa che IL SISTEMA SANITARIO PALESTINESE NON PUÒ CURARE I FERITI, vittime dei bombardamenti sulla popolazione civile. feriti che vengono quindi condannati a morte.

Con la benedizione della Ursula von der Leyen e della UE, che un giorno dovrà essere anch’essa citata per crimini contro l’umanità.

  1. La stessa CNN, che evidentemente capisce che il livello di orrore sta superando ogni livello sinora raggiunto dalla storia, fa notare che l’interruzione di fornitura di energia elettrica porterà alla MORTE DEI BAMBINI PALESTINESI NELLE INCUBATRICI.

A questa domanda l’ex primo ministro israeliano Naftali Bennettu risponde “ma siete scemi a farmi una simile domanda? Ma qui abbiamo altre cose per la testa”.

  1. È documentato L’USO DI BOMBE AL FOSFORO, PROIBITE, che uccidono e fanno morire di una morte atroce. Le regole e il diritto qui non valgono. Ma state attenti: stiamo spalancando le porte all’inferno. Dopo di ciò chiunque potrà usarle, e se l’Occidente critica si sfiorerà il ridicolo. Tutto il mondo ormai ride di noi e dei soliti due metri e due misure.
  2. Il ministro della difesa israeliano ha dato ordine ai suoi soldati di sentirsi liberi, che non ci saranno processi per atti criminali contro il nemico.

Significa che tutto è lecito. Nessun rispetto di regole di guerra. Significa che chi si arrende sarà ucciso, come accaduto spesso in passato e come ammesso, con ilarità, da un ex comandante israeliano.

 

  1. La UE cerca di CHIUDERE ANCHE TELEGRAM o di dominarlo, dimostrando di essere oramai solo l’espressione di un dominio totalitario, che si impone sempre più man a mano che perde di credibilità.

Chi non la pensa come la von der Leyen non ha diritto di parola. Parlare di democrazia, o semplicemente di stato di diritto, è oramai ridicolo.

  1. SI POSSONO FARE MANIFESTAZIONE A FAVORE DI ISRAELE, MA NON A FAVORE DEI PALESTINESI. Si chiama totalitarismo, la democrazia non esiste più. Il dissenso non ha diritto ad esprimersi. Ogni voce di dissenso deve essere messa a tacere, devono circolare solo le notizie che il regime (oramai si deve chiamarlo così) impone.
  2. SONO STATE BOMBARDATE ALEPPO E DAMASCO, CIOÈ UNO STATO SOVRANO. Ci pensate se la Russia bombardasse Varsavia e la Polonia? È una violazione del diritto internazionale, della sovranità di uno stato. Esistono ancora leggi internazionali? Esiste ancora un diritto internazionale?

Tutti abbiamo paura a esporci, a scrivere. Come non avere paura? Io ho molta paura, perché qui ci sono poteri che possono distruggerti come niente.

Ma non si può tacere. Parlando ognuno pagherà un prezzo, lo sappiamo. Ma l’orrore è troppo grande e chi tace lo autorizza.

E non è solo Gaza e la popolazione civile palestinese ad essere sotto attacco.

C’è un tentativo totalitario, di annullamento di ogni opposizione, dissidenza.

È la libertà di tutti noi, di ognuno di noi, la democrazia da noi, la libertà di espressione, di informazione ad essere in pericolo.

Non si può tacere.

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Pepe Escobar – Le ripercussioni geopolitiche del Diluvio di Al-Aqsa

[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]

L’attenzione globale si è appena spostata dall’Ucraina alla Palestina. Questa nuova arena di confronto accenderà un’ulteriore competizione tra il blocco atlantista e quello eurasiatico. Queste lotte sono sempre più a somma zero; come in Ucraina, solo un polo può uscire rafforzato e vittorioso.

L’operazione “Al-Aqsa Flood” di Hamas è stata pianificata meticolosamente. La data di lancio è stata condizionata da due fattori scatenanti.

Il primo è stato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che a settembre ha sfoggiato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite la sua mappa del “Nuovo Medio Oriente”, in cui ha completamente cancellato la Palestina e si è fatto beffe di ogni singola risoluzione delle Nazioni Unite sull’argomento.

In secondo luogo, le provocazioni in serie alla sacra Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, compresa la goccia che ha fatto traboccare il vaso: due giorni prima del Diluvio di Al-Aqsa, il 5 ottobre, almeno 800 coloni israeliani hanno lanciato un assalto intorno alla moschea, picchiando i pellegrini e distruggendo i negozi palestinesi, il tutto sotto l’osservazione delle forze di sicurezza israeliane.

Chiunque abbia un cervello funzionante sa che Al-Aqsa è una linea rossa definitiva, non solo per i palestinesi, ma per l’intero mondo arabo e musulmano.

Ma c’è di peggio. Gli israeliani hanno ora invocato la retorica di una “Pearl Harbor”. Questo è quanto di più minaccioso possa esistere. La Pearl Harbor originale fu la scusa americana per entrare in una guerra mondiale e nuclearizzare il Giappone, e questa “Pearl Harbor” potrebbe essere la giustificazione di Tel Aviv per lanciare un genocidio a Gaza.

I settori dell’Occidente che plaudono all’imminente pulizia etnica – compresi i sionisti che si atteggiano ad “analisti” dicendo ad alta voce che i “trasferimenti di popolazione” iniziati nel 1948 “devono essere completati” – credono di poter ribaltare la situazione in breve tempo, annientando la resistenza palestinese e lasciando indeboliti gli alleati di Hamas come Hezbollah e l’Iran.

Il loro progetto sull’Ucraina si è arenato, non solo facendo fare figuracce ai potenti, ma lasciando in rovina intere economie europee. Eppure, mentre una porta si chiude, un’altra si apre: Passare dall’alleato Ucraina all’alleato Israele e puntare sull’avversario Iran invece che sull’avversario Russia.

Ci sono altre buone ragioni per andare a tutto spiano. Un’Asia occidentale pacifica significa: la ricostruzione della Siria – in cui la Cina è ora ufficialmente coinvolta; un risanamento attivo per l’Iraq e il Libano; l’Iran e l’Arabia Saudita come parte dei BRICS 11; il partenariato strategico Russia-Cina pienamente rispettato e interagente con tutti gli attori regionali, compresi i principali alleati degli Stati Uniti nel Golfo Persico.

 

Incompetenza. Una strategia deliberata. O entrambe.

Questo ci porta al costo del lancio di questa nuova “guerra al terrorismo”. La propaganda è in pieno svolgimento. Per Netanyahu a Tel Aviv, Hamas è l’ISIS. Per Volodymyr Zelensky a Kiev, Hamas è la Russia. In un fine settimana di ottobre, la guerra in Ucraina è stata completamente dimenticata dai media mainstream occidentali. La Porta di Brandeburgo, la Torre Eiffel, il Senato brasiliano sono ora tutti israeliani.

L’intelligence egiziana sostiene di aver avvertito Tel Aviv di un imminente attacco da parte di Hamas. Gli israeliani hanno scelto di ignorarlo, come hanno fatto con le esercitazioni di Hamas osservate nelle settimane precedenti, compiaciuti della loro superiore consapevolezza che i palestinesi non avrebbero mai avuto l’audacia di lanciare un’operazione di liberazione.

Qualunque cosa accada in seguito, il Diluvio di Al-Aqsa ha già irrimediabilmente infranto la massiccia mitologia pop sull’invincibilità di Tsahal, del Mossad, dello Shin Bet, del carro armato Merkava, di Iron Dome e delle Forze di “Difesa Israeliane”.

Anche se ha abbandonato le comunicazioni elettroniche, Hamas ha approfittato del crollo clamoroso dei sistemi elettronici multimiliardari di Israele che monitorano il confine più sorvegliato del pianeta.

I droni palestinesi a basso costo hanno colpito diverse torri di sensori, hanno facilitato l’avanzata di una fanteria in parapendio e hanno spianato la strada a squadre d’assalto con magliette e AK-47 per infliggere fratture nel muro e attraversare un confine che nemmeno i gatti randagi osano.

Israele, inevitabilmente, passò a colpire la Striscia di Gaza, una gabbia circondata di 365 chilometri quadrati con 2,3 milioni di persone. È iniziato il bombardamento indiscriminato di campi profughi, scuole, condomini civili, moschee e baraccopoli. I palestinesi non hanno una marina, né un’aviazione, né unità di artiglieria, né veicoli da combattimento blindati, né un esercito professionale. Hanno un accesso limitato o nullo alla sorveglianza ad alta tecnologia, mentre Israele può richiamare i dati della NATO se li vuole.

Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha proclamato “un assedio totale sulla Striscia di Gaza. Non ci sarà elettricità, né cibo, né carburante, tutto sarà chiuso. Stiamo combattendo contro bestie umane e agiremo di conseguenza”.

Gli israeliani possono allegramente impegnarsi in una punizione collettiva perché, con tre veti garantiti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in tasca, sanno di poterla fare franca.

Non importa che Haaretz, il più autorevole quotidiano israeliano, ammetta apertamente che “in realtà il governo israeliano è l’unico responsabile di ciò che è accaduto (il Diluvio di Al-Aqsa) per aver negato i diritti dei palestinesi”.

Gli israeliani non sono altro che coerenti. Già nel 2007, l’allora capo dell’intelligence della Difesa israeliana Amos Yadlin aveva dichiarato: “Israele sarebbe felice se Hamas prendesse il controllo di Gaza, perché così l’IDF potrebbe trattare Gaza come uno Stato ostile”…

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Carlo Rovelli: “Gli israeliani massacrano i palestinesi, nessun problema per l’Occidente”

Furiose polemiche per il tweet di Carlo Rovelli contro l’Occidente che si indigna solo per Israele: “Se questo non è razzismo, cos’è?”. 

Carlo Rovelli e la polemica sull’Occidente razzista con i palestinesi

In un batter d’occhio tutta la retorica propagandistica sulla guerra in Ucraina si è spenta e trasferita pari pari nel conflitto israelo-palestinese, aggiungendoci quel quid in più di razzismo anti-arabo che fa superare anche in follia i deliri russofobi.

A sottolineare questo aspetto arriva un tweet di Carlo Rovelli, fisico, saggista e divulgatore scientifico, finito pi volte negli ultimi due anni nel tritacarne mediatico delle polemiche per le sue posizioni pacifiste (che onta!).

Scrive Rovelli: “Gli israeliani massacrano i palestinesi: nessun problema per l’Occidente. I palestinesi massacrano gli israeliani: l’Occidente è totalmente scioccato. Decenni e decenni così, e continuano. Se questo non è razzismo, cos’è?”.

Apriti cielo! La reazione degli utenti del club dei guerrafondai si scatena in un diluvio di commenti, offese e polemiche. Non mancano i sostenitori del fisico ma, la natura stessa di Twitter (il social più utilizzato nella sfera anglofona per la comunicazione politica) non lascia dubbi sull’orientamento delle discussioni.

Come ha scritto Francesco Dall’Aglio nella sua War Room: “È abbastanza interessante notare (non che mi aspettassi niente di diverso) che gli account NAFO “importati”, quelli che dettano la linea, sono passati tutti, senza eccezione e immediatamente, al sostegno assoluto di Israele abbandonando l’Ucraina nel giro di due ore – al massimo dando la colpa della situazione alla Russia, facendo equivalenze tra il “terrorismo” russo e quello di Hamas eccetera.

Stesso ragionamento per i falchi dell’amministrazione USA e UK, per gli “analisti militari”, inclusi quelli nostrani, e per i loro follower. Quasi come se, appunto, dell’Ucraina in quanto tale non importi niente a nessuno e la cosa fondamentale sia piuttosto sostenere le cause sostenute da un determinato paese al di là del mare, nell’ordine di importanza e di urgenza che quel paese stabilisce.

E a proposito di follower e dei loro commenti, è interessante anche notare, e anche qui senza sorpresa, come le rigidissime gabbie censorie di Facebook e Twitter non abbiano alcun problema con gli appelli al g€ñø©idiø nei confronti dei palestinesi, mentre io su Facebook devo scrivere la parola stessa in questo modo ridicolo altrimenti addio profilo.”

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Vi propongo  un articolo di Alexandr Prokhanov, uno scrittore noto e amato in Russia che dipinge benissimo il quadro della situazione.

“Ciò che sta accadendo a Gaza è una ribellione di un carcere  e la sua sanguinosa repressione. Ci fu l’annientamento  da parte dei nazisti  della ribellione ebraica nel ghetto di Varsavia e oggi Israele, con altrettanta  crudeltà,  sta reprimendo la ribellione a Gaza. Nel 1948 lo Stato israeliano piombò sulle terre palestinesi come un meteorite, bruciando tutto intorno e lasciando un gigantesco cratere. Da allora, Israele ha portato i palestinesi dalle loro terre natali nei campi profughi, riempiendo le sue carceri di ribelli ed è fin troppo chiaro che la battaglia dei palestinesi con Israele è una battaglia degli oppressi con i loro oppressori.

I sionisti sostengono che nel 1948 Israele tornò nella sua patria storica. La Bibbia racconta come venne creata questa “patria storica”. Gli ebrei guidati da Mosè non giunsero in un luogo vuoto o in un deserto: giunsero in terre abitate da un popolo prospero, i Cananei, che avevano costruito città e piantato uliveti. E i Giudei devastarono le loro città e trucidarono i loro abitanti gettandoli nella calce viva. Hanno sterminato i Cananei con la stessa crudeltà con cui ora stanno annientando  Gaza che è diventata una camera a gas e una città di fantasmi dove bambini e anziani muoiono nell’angoscia.

Ma Israele non è altro che il figlio dell’America. Miliardi di dollari fluiscono dall’America a Israele, nutrendo l’esercito  e difendendo l’ordine che l’America desidera. Nella battaglia contro Israele, i palestinesi combattono contro l’America. L’esercito russo, combattendo contro gli ucraini, combatte contro l’America. L’America è nemica della Palestina e della Russia. L’attacco di Hamas contro Israele – la vista dei carri armati Merkava in fiamme e dei generali israeliani imprigionati – ha sfatato il mito dell’invincibilità israeliana (che in realtà è solo un costrutto narrativo, visto che di fatto dopo la guerra del Kippur Israele non è stata in grado  di prevalere  nei successivi scontri ndr).

Sono stato a Gaza e ho visto di persona come funziona questo campo di concentramento. Il confine terrestre di Gaza è circondato da un enorme muro di cemento. Il muro è sormontato da filo spinato e dotato di torri di mitragliatrici, sensori ottici e sensori per la visione notturna. Chiunque entri nel campo visivo di questo apparecchio mortale viene ucciso dal fuoco delle mitragliatrici automatiche. Giorno e notte la costa è sorvegliata da motovedette israeliane che intercettano i pescherecci palestinesi.  I palestinesi combattono questo blocco come prigionieri ovunque: scavando tunnel sotto il muro di cemento. Attraverso questi tunnel Gaza riceveva cibo, vestiti, valvole idrauliche, apparecchiature per le comunicazioni e armi per la ribellione.

Mentre ero a Gaza, ho pregato in un tempio cristiano del V secolo, ho seguito lezioni all’università islamica, ho incontrato le mogli russe di ingegneri, medici e insegnanti palestinesi che avevano studiato in Unione Sovietica, e ora i loro figli, che vivono in Gaza, parlano russo.  Insieme a donne palestinesi ho contribuito a piantare un uliveto vicino a Gaza City. E adesso, tra gli ulivi, c’è il mio albero, e i razzi israeliani lo sorvolano, facendogli cadere le foglie con le onde d’urto delle esplosioni. Questo è il mio albero; quest’albero sono io. E sono coperto di detriti-

Sotto gli occhi del mondo intero, Gaza viene assassinata, mentre l’umanità borbotta preoccupazioni umanitarie e riunisce il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Nel frattempo, bombe e razzi stanno riducendo Gaza in macerie. Il sangue di Gaza ricade su tutti noi.”

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La crisi dell’Occidente e la battaglia per le anime europee – Andrea Zhok

La fase storica che stiamo vivendo è contrassegnata da una profonda crisi, forse terminale, dell’impero americano. Con il riflusso della globalizzazione economica e il decrescere della presa USA sul mondo i processi di controllo, ricatto e destabilizzazione strategica promossi dai centri di potere americani hanno subito un’accelerazione.

Essendo i paesi del blocco di alleanze americano tutte liberaldemocrazie, il problema del controllo dell’opinione pubblica è centrale. Si è avviata così una fondamentale battaglia per le anime delle popolazioni occidentali, e questa battaglia ha il suo epicentro non in America, ma in Europa, dove la tradizione di una cultura critica e plurale era assai più vigorosa che negli USA.

Il primo passo in questa direzione è stato l’assoggettamento dell’Unione Europea alla catena di comando americana, assoggettamento testato dalla vicenda pandemica, ed oramai conclamato. Pochi ricordano che il progetto europeo era nato sotto gli auspici di rappresentare un contraltare alla potenza americana, un terzo polo organizzato che rifuggisse non solo il modello sovietico, ma anche quello degli alleati americani.

Questo ruolo autonomo, ispirato all’esperienza dei welfare state europei del dopoguerra, è entrato in crisi con la trasformazione della Comunità Europea in Unione Europea, con la svolta neoliberale del Trattato di Maastricht, ed è oggi soltanto un ricordo remoto.

Per comprendere gli estremi della battaglia per le anime in corso gettiamo uno sguardo, a titolo di campionatura, ad alcuni fatti recenti, relati al conflitto israelo-palestinese.

In questi giorni l’UE ha chiesto a META di rimuovere dalle loro piattaforme tutti i contenuti ritenuti “disinformazione”, pena sanzioni fino al 6% del fatturato mondiale.

Il commissario europeo Thierry Breton è intervenuto ufficialmente presso Elon Musk per sollecitare interventi di controllo e censura sulla “disinformazione” su Twitter in occasione del conflitto israelo-palestinese.

Il Digital Services Act approvato dall’Unione Europea nel 2022 è il primo intervento legislativo che istituzionalizza la censura sulle piattaforme mediatiche europee.

Naturalmente ciò che riceve lo stigma di “disinformazione” e “fake news” sono sempre soltanto le tesi che turbano la narrativa corrente, e il controllo sulle agenzie di “fact-checkers indipendenti” garantisce che vengano alzate continuamente alle autorità le palle giuste da schiacciare.

Intanto è ripartita la giostra delle modifiche ed emendazioni delle pagine di Wikipedia con contenuti scomodi, sulla stessa linea vista per il Covid e per l’Ucraina.

In Italia l’apparato di manganellatori mediatici a servizio permanente che popolano TV e giornali si è attivato nelle oramai usuali spedizioni punitive verso i dissenzienti con un profilo pubblico rilevante. Così Alessandro Orsini ed Elena Basile sono divenuti l’insistente oggetto di sfottò, agguati mediatici e fatwe.

Il povero Patrick Zaki, da idolo del mainstream, è caduto istantaneamente in disgrazia giocandosi candidature europee e benefit vari per aver ingenuamente detto quello che pensava su Israele e Palestina. Moni Ovadia, per il quale gli squadristi mediatici non riescono a ricorrere alla solita equazione antisionista = antisemita, è stato sollecitato a lasciare il posto di direttore del Teatro comunale di Ferrara.

A livello internazionale, gli eventuali giornalisti che non si limitassero a ricopiare le veline degli apparati americani corrono sistematicamente il rischio di prendersi un’accidentale sventagliata di mitra. Così è successo l’altrieri ai giornalisti della Reuters e di Al Jazeera, ma l’elenco dei giornalisti uccisi dall’esercito israeliano in questi anni è lungo.

Grazie al cielo ci sono giornalisti come i nostri, che se ne stanno nel tinello romano a roteare bandierine da tifosi ed esercitarsi come ventriloqui dell’amico americano; altrimenti non si saprebbe dove veicolare prebende e riconoscimenti.

In questa fase l’interesse americano è tutto rivolto alla moltiplicazione di focolai di conflitto perché ciò gli permette di mettere a frutto i suoi due ultimi, residuali, punti di forza: la perdurante preminenza nell’armamentario convenzionale e la collocazione geografica isolata, che rende l’America immune dalle conseguenze immediate dei conflitti che rinfocola.

È in quest’ottica che si comprende quanto rivelato ieri dalla visione di e-mail interne (Huffington Post), ovvero che il Dipartimento di Stato USA ha scoraggiato i diplomatici che lavorano alle questioni mediorientali dal fare dichiarazioni pubbliche che contengano parole come “de-escalation”, “cessate il fuoco”, “fine della violenza”, “spargimento di sangue”, “ripristino della calma”. Gli ordini di scuderia sono di gettare benzina sul fuoco.
In questo contesto il controllo dei flussi di opinione pubblica è determinante.

Il metodo – è importante comprenderlo – non è più quello della censura sistematica che era richiesto dagli autocrati di un secolo fa, ma quello della manipolazione e censura qualificata.

Si può prendere a questo proposito l’esempio della “notizia” di quattro giorni fa intorno ai 40 neonati decapitati da Hamas. La notizia è stata diffusa sulla base di un sentito dire, e il giorno dopo era la notizia di apertura di più o meno tutte le testate mondiali. Ieri la giornalista della CNN Sarah Snider, che ha reso inizialmente virale la “notizia” si è scusata perché la notizia non era poi stata confermata. Sky News ha ripetuto che la notizia non è stata “ancora” confermata: dopo quattro giorni su cosa si confida? Sugli esperti di effetti speciali? (E infatti alla fine la notizia si è rivelata falsa)

Ora, c’è chi dirà ingenuamente che quest’ammissione della CNN è un segno del fatto che in occidente esiste la libertà di stampa. Ma naturalmente l’asimmetria tra una notizia clamorosa sbattuta in prima pagina in tutto il mondo e gli eventuali dubbi che in seguito filtrano qua e là tra le righe equivalgono sul piano politico ad aver indirizzato la maggioranza dell’opinione pubblica in una direzione definita (sdegno emozionale contro gli assassini), anche se tra qualche mese o anno si dovesse ammettere serenamente che la notizia era effettivamente destituita di fondamento.

È quello che potremmo chiamare “metodo Colin Powell”, o metodo “gli indiani buoni sono gli indiani morti”.

Prima si crea un caso sufficiente a demonizzare una parte e lo si fa con sufficiente vigore da produrre un’operazione di sterminio.

Dopo di che, ad operazione conclusa, si ammette cavallerescamente che invero le cose non stavano proprio così, vantandosi peraltro della propria onestà e trasparenza.

Prima si agitano fialette di presunte armi chimiche all’ONU, si spiana uno stato sovrano, donne, bambini, cani e criceti, poi anni dopo – tra uno scotch e l’altro – si ammette con un sorriso distratto che vabbè, era un espediente, che vogliamo farci, chi ha avuto ha avuto ha avuto.

Prima si stermina la popolazione autoctona di pellerossa, dipingendoli come mostri assetati di sangue bianco, poi quando oramai sono ridotti ad attrazioni folcloristiche, si dà avvio ad una cinematografia piena di indiani buoni e coloni coscienziosi.

Nel mondo contemporaneo non c’è nessun bisogno di tentare l’impresa, complessa quanto inutile, di bloccare il 100% delle informazioni vere. Basta manipolare, censurare, filtrare selettivamente per le masse di pubblico e per il tempo sufficienti a creare un certo danno irreversibile.

Ma si illuderebbe il cinico che pensasse che oggi questo gioco distruttivo ha al suo centro soltanto qualche milione di “pedine palestinesi sacrificabili”. Se la situazione non viene immediatamente congelata e disinnescata, al centro dell’attuale grande operazione demolitiva sono e saranno innanzitutto i popoli europei.

È l’Europa che sta già subendo e subirà l’impatto della devastazione dei rapporti verso Est con la guerra in Ucraina. Ed è l’Europa che subirà l’impatto di una destabilizzazione duratura nel medio oriente, dove un conflitto che chiamasse in causa Israele, Siria, Libano, Iran e magari anche Iraq, Egitto, Giordania, ecc. rappresenterebbe una bomba sociale ed economica a tempo indeterminato per l’Europa – per tacere dei rischi di un coinvolgimento bellico diretto.

E curiosamente l’unico minimo comune denominatore di questi conflitti sta nel ruolo degli USA, che sono anche la forza che ne trae i maggiori vantaggi e quella che ha la maggiore capacità di influsso sui media internazionali.
Ma va da sé che chi unisce i puntini è un complottista.

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Pepe Escobar – Arrancando verso la Soluzione Finale

[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]

 

Avete rubato i frutteti dei miei antenati
e la terra che ho coltivato
E non avete lasciato nulla per noi
Tranne queste rocce…
Se avrò fame
La carne dell’usurpatore sarà il mio cibo.

– Mahmoud Darwish, Poeta nazionale palestinese

 

La guerra contro la Russia in Ucraina e la “guerra al terrore” israeliana a Gaza sono solo fronti paralleli di un’unica guerra globale, in orribile evoluzione.

 

È ormai confermato che i servizi segreti egiziani avevano avvertito le loro controparti israeliane solo 3 giorni prima del Diluvio di Al-Aqsa che qualcosa di “grosso” stava arrivando da Hamas. Tel Aviv, il suo apparato di sicurezza multimiliardario e l’IDF, “l’esercito più forte del mondo”, hanno scelto di ignorarlo.

Questo configura due vettori chiave.

1) Tel Aviv ottiene il pretesto di “Pearl Harbor” per attuare una “guerra al terrore” rimescolata e una sorta di Soluzione Finale al “problema di Gaza” (già in atto).

2) L’Egemone cambia bruscamente la narrazione allontanandosi dall’imminente, inevitabile, cosmica umiliazione congiunta della Casa Bianca e della NATO nelle steppe della Novorossiya – una sconfitta strategica che configura la precedente umiliazione in Afghanistan come un ballo in maschera a Disneyland.

Lunedì scorso è stato imposto il blocco totale degli “animali umani” (copyright Ministero della Difesa israeliano) a Gaza, in realtà una popolazione civile di 2,3 milioni di persone. Niente cibo, niente acqua, niente carburante, niente beni di prima necessità.

Si tratta di nient’altro che di un crimine di guerra e di un crimine contro l’umanità, che viola i quattro principi fondamentali della Legge sui conflitti armati (LOAC) – tutto debitamente applaudito o, nel migliore dei casi, completamente ignorato dalla NATOstan e dai suoi assortiti media mainstream controllati da oligarchi.

Cristiani, musulmani, ebrei e altri gruppi etnici vivevano pacificamente in Palestina per secoli fino all’imposizione del progetto razzista sionista, completo di tutti gli attributi del colonialismo dei colonizzatori.

La Nakba è un vecchio ricordo di 75 anni fa. Ora siamo ben oltre l’apartheid – e stiamo entrando nella totale esclusione ed espulsione dei palestinesi dalla loro patria.

Nel gennaio 2023, lo stesso Primo Ministro israeliano Netanyahu ha sottolineato che “il popolo ebraico ha un diritto esclusivo e indiscutibile a tutte le aree della Terra d’Israele”.

Ora, l’IDF ha inviato nientemeno che un ordine alle Nazioni Unite per evacuare completamente tutti i residenti del nord di Gaza – 1,1 milioni di persone – verso il sud di Gaza, vicino a Rafah, l’unico valico di frontiera con l’Egitto.

Questa deportazione forzata di massa di civili sarebbe il preludio per radere al suolo tutta la parte settentrionale di Gaza, insieme all’espulsione e alla confisca delle terre palestinesi ancestrali – avvicinandosi alla Soluzione Finale sionista.

Benvenuti a Sociopatici Uniti

Netanyahu, un sociopatico con una comprovata esperienza, può farla franca con crimini di guerra seriali solo grazie al totale sostegno della Casa Bianca, dell’accoppiata “Biden” e del Dipartimento di Stato – per non parlare degli insignificanti vassalli dell’UE.

Abbiamo appena assistito a un Segretario di Stato americano – un funzionario con un basso quoziente intellettivo, fuori dalla sua portata su ogni singola questione – che si è recato in Israele per sostenere la punizione collettiva “anche come ebreo”.

Ha detto che suo nonno “è fuggito dai pogrom in Russia” (era il 1904). Poi è arrivato il collegamento diretto – nazista – con “il mio patrigno è sopravvissuto ad Auschwitz, Dachau e Majdanek”. Impressionante, sono tre campi di concentramento di fila. Il segretario ovviamente ignora che l’URSS li ha liberati tutti e tre.

Poi è arrivato il collegamento Russia-nazisti-Hamas. Almeno è tutto chiaro.

Internamente, Netanyahu è in grado di rimanere come Primo Ministro solo grazie a due partner di coalizione ultra-sionisti, razzisti e suprematisti. Ha nominato Itamar Ben-Gvir come Ministro della Sicurezza Nazionale e Bezalel Smotrich come Ministro delle Finanze – entrambi di fatto incaricati di far proliferare gli insediamenti in tutta la Cisgiordania su scala industriale.

Smotrich ha dichiarato che “non esistono palestinesi perché non esiste un popolo palestinese”.

Ben-Gvir e Smotrich, a tempo di record, stanno per raddoppiare la popolazione dei coloni nei cantoni della Cisgiordania da 500.000 a un milione. I palestinesi – di fatto “non cittadini” – sono 3,7 milioni. Gli insediamenti illegali – non formalmente approvati da Tel Aviv – stanno spuntando in tutto lo spettro.

A Gaza – dove la povertà si aggira intorno al 60% e la disoccupazione giovanile è massiccia – le agenzie delle Nazioni Unite avvertono disperatamente di un’imminente catastrofe umanitaria.

Più di 1 milione di persone a Gaza, soprattutto donne e bambini, dipendono dall’assistenza alimentare delle Nazioni Unite. Decine di migliaia di bambini frequentano le scuole dell’UNRWA (l’agenzia per i rifugiati palestinesi).

Tel Aviv ora li sta uccidendo – dolcemente. Nell’ultima settimana sono stati uccisi almeno 11 lavoratori dell’UNRWA (tra cui insegnanti, un medico e un ingegnere), almeno 30 bambini e 5 membri della Croce Rossa Internazionale e della Mezzaluna Rossa.

A tutto ciò si aggiunge l’aspetto del Pipelineistan – ovvero il furto del gas di Gaza.

Almeno il 60% delle vaste riserve di gas scoperte nel 2000 lungo la costa di Gaza-Israele appartengono legalmente alla Palestina.

Una conseguenza fondamentale della Soluzione Finale applicata a Gaza si traduce nel passaggio della sovranità sui giacimenti di gas a Israele – in un’altra massiccia violazione del diritto internazionale…

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La rappresaglia etica: se a pagare sono interi popoli – Paolo Desogus

Prima con la guerra in Ucraina e ora con Gaza è passata l’idea della giusta rappresaglia. Ad essere colpevole è un intero popolo indipendentemente dalle contingenze storiche che hanno prodotto le azioni politiche e belliche.

La rappresaglia etica

La più grande regressione che emerge dai due recenti conflitti è l’estensione della responsabilità politica e militare alle popolazioni.

Si tratta di una novità rispetto alle guerre degli ultimi anni in Siria, Iraq, Afghanistan. Giuste o sbagliate che fossero le posizioni occidentali, le responsabilità erano sempre indicate nei governanti o nelle guide militari: Assad, Hussein o i talebani. Vi era forse anche un certo paternalismo, ma nessuno pensava che i siriani o gli iracheni o ancora gli afghani fossero responsabili di qualcosa.

Con la guerra tra Russia e Ucraina qualcosa è cambiato. Ad essere colpevole è un intero popolo indipendentemente dalle contingenze storiche che hanno prodotto le politiche putiniane. Stessa cosa per l’attuale conflitto. La responsabilità non è di Hamas ma di tutti i palestinesi. Lo ha ripetuto il ministro della diaspora israeliano in un’intervista comparsa sul Sole24ore.

Invece non si dovrebbero mai confondere i popoli con i loro governanti. Non per una forma di irenismo, ma perché la colpevolizzazione di un intero popolo rischia sempre di produrre risposte politiche e militari ingiustificate e pericolose, collocate oltre quella soglia che trasforma la guerra in pulizia etnica, ovvero in una legittimazione dell’omicidio indiscriminato.

Qualcuno dirà che questa pratica è prossima a quella che è stata compiuta da Hamas. Ma appunto, possono l’esercito e il governo israeliano abbassarsi al livello di quella che considera un’organizzazione terroristica? E una reazione del genere non giustifica, nell’ottica del nemico, una risposta altrettanto indiscriminata e omicida contro gli israeliani?

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Riflessioni sparse sulle tragedie in corso – Alberto Bradanini

La tragedia che si va dipanando mentre scriviamo queste righe sarà documentata dagli storici futuri come uno dei peggiori massacri preannunciati mai avvenuti[1]. Per di più, internet non dimentica. Le guerre generano orrori su ogni fronte, soldati, civili, donne e bambini, nascondendo nell’alterazione mediatica quel poco di verità che gli umani tentano di intravedere nella nebbia che li circonda.

Al lettore distratto (lasciando da parte gli iscritti al libro paga della Grande Menzogna) viene quotidianamente dipinta come inestricabile la vicenda storica che contrappone i palestinesi agli israeliani, non agli ebrei sia chiaro (qui la religione non c’entra e poi persino alcuni di essi sono antisionisti; il termine sionismo identifica l’ideologia politica centrata sul diritto del popolo ebraico all’autodeterminazione, e poi finito a indicare una forma di colonialismo). Che poi, in plateale contraddizione, Israele (vale a dire lo stato sorto da quegli sviluppi) sia divenuto alieno a riconoscere al popolo palestinese un analogo diritto è un dettaglio che si è perso nel tempo. Secondo la de-formazione propagandistica, tale scenario sarebbe difficilmente decifrabile, ma soprattutto politicamente irrisolvibile.

In realtà, la scena è tutt’altro che complicata, anzi persino banale se il termine non apparisse irriverente alla luce delle tragedie in corso, e sospettiamo che la sola ragione che induce l’opinione pubblica prevalente a ritenere che non lo sia è perché altrimenti i media lo avrebbero detto.

Il palcoscenico del dramma cui assistiamo è visibile come il sole a mezzogiorno, ed è costituito dall’esistenza di un regime di apartheidcome certificato da anni da una miriade di organizzazioni non governative (Amnesty International[2], Human Rights Watch[3] e persino da una ONG israeliana attiva sui diritti umani, B’Tselem[4], oltre a numerose altre). Le classi di governo occidentali non osano affermarlo, asservite come sono all’alleato-padrone americano, grande sponsor di Israele, anche perché impregnate del complesso universale di colpa olocaustico per le sofferenze inflitte al popolo ebraico dagli europei (nei secoli passati) e dai tedeschi-nazisti (nel XX secolo).

È poi appena il caso di ripetere anche qui che la soluzione al dramma in questione è proprio quella, la nascita di uno stato palestinese indipendente, nel quale quel popolo possa vivere e prosperare, con la sua storia, la sua religione e i suoi costumi. E la genesi della tragedia è l’oppressione decennale da parte di un gruppo etnico che dispone della forza su un altro gruppo che non ne dispone, e che vede le sue condizioni di vita quotidianamente degradate.

Il conflitto Israele-Palestina è uno dei conflitti al mondo più facilmente intellegibile; quelli in Ucraina e in Siria, ad esempio, sono più complicati. L’oppressione esercitata da Israele è di una evidenza imbarazzante, e assomiglia da vicino, come milioni di osservatori hanno rilevato, a un regime di apartheid.

Ora, sganciare da un aereo bombe etiche o vendicative su migliaia di civili uccidendoli dopo averli fatto soffrire, per soffocamento, ustioni o traumi di varia natura non è certamente meno disumano che uccidere altri essere umani con armi da fuoco. Il terrorismo dell’indignazione a senso unico è una tecnica collaudata di cui si serve la Macchina della Menzogna per distrarre l’osservatore sprovveduto dalla percezione della realtà.

Quel che sta avvenendo, è una facile previsione, si ritorcerà contro Israele, che non troverà pace, se non mettendo in campo una strategia di graduale pacificazione ideologica, religiosa e politica con il mondo arabo-mussulmano, una strategia che dovrà essere basata sul principio di convivenza pacifica. Prima lo capirà, meglio sarà per tutti, fatta forse eccezione per chi trama nell’ombra imperiale.

Affinché la cosiddetta opinione pubblica non abbia a scandalizzarsi troppo (non si sa mai), la propaganda mediatica tenta poi di stendere il classico velo pietoso davanti alle atrocità che ci aspettano, inoculando indignazione unita a dosi quotidiane di sedazione.

Sempre Caitlin Johnstone[5] rileva che togliere l’elettricità a Gaza, oltre a costituire un danno profondo alla vita quotidiana di due milioni di povera gente, ostacola la possibilità di vedere cosa accade in quel territorio (persino i cellulari ne hanno bisogno per riprendere e caricare i video su Internet). Israele potrà così intralciare la conoscenza dei suoi abusi, i quali non diventano giustificati solo perché pareggerebbero quelli di Hamas (privi per ora di prove documentate[6], rileva sempre la Johnstone, quanto a decapitazione di bimbi israeliani e stupri di massa[7], secondo una collaudata tecnica di propaganda[8]). Del resto, i critici più incisivi di Israele sono talora gli stessi ebrei[9].

La contraddizione assiologica dell’Occidente Unificato (Usa-Nato-Israele e satelliti sparsi nel pianeta) vuole che l’Ucraina abbia il diritto di difendersi dall’invasione di un esercito straniero, mentre il popolo palestinese non avrebbe il medesimo diritto contro l’esercito di Israele, presumibilmente perché questo ne occupa le terre da qualche decennio, acquisendo così il diritto di rimanerci in ragione del tempo che passa.

Mentre sostiene un governo impregnato di ideologia neonazista (che odia gli ebrei), l’Occidente Unificato si oppone a un popolo che sostiene ragioni simili in altra parte del mondo. Non si tratta di ipocrisia, beninteso, ma di perfida coerenza, una strategia a protezione dei noti interessi imperiali, con l’elargizione di qualche beneficio ai paesi satelliti più direttamente coinvolti. Il terrorismo non è un fenomeno di criminalità comune, ma di natura politica, e dunque per debellarlo occorre una strategia politica.

L’interesse Usa (imposto anche ai suoi ciechi alleati nel mondo) è quello di destabilizzare, dividere amici e nemici, attuare la teoria del caos, che arricchisce le solite tasche già piene dei venditori di morte, fa salire il corso del dollaro e quello del petrolio, a perenne vantaggio delle corporazioni che siedono in cima alla piramide. Non è un caso che invece di avanzare una proposta di possibile compromesso, Washington invii una portaerei (la più grande e magnificente del mondo!), come se per debellare un esercito di poveri disperati non fosse sufficiente il quarto esercito più potente del pianeta.

Afferrato il potere, occorre difenderne i privilegi, esaltando le atrocità dei terroristi odierni (anche quelle sinora presunte, ripete la Johnstone), dimenticando le infinite atrocità commesse dal Regno del Bene, tre milioni di morti in una guerra insensata come quella del Vietnam, due milioni o giù di lì nelle due guerre altrettanto insensate in Iraq e Siria, quelle in Libia, Yemen e nel resto del mondo, cui vanno aggiunti milioni e milioni di profughi (taluni a vita), con correlate infinite sofferenze. In buona sostanza, è sempre la stessa musica, i ricchi e i potenti contro i poveri e gli indifesi. Questi ultimi, tuttavia, si vanno destando a nuova vita, e nemmeno l’analfabetismo sociale e assiologico che prospera in Occidente potrà impedire che si scuotano dalla loro atavica servitù. E presto faranno sentire la loro voce, una voce che gli esseri umani dotati di sentimento di valori, giustizia e sensibilità aspettano da tanto tempo.

[1] https://www.caitlinjohnst.one/p/this-is-exactly-what-it-looks-like?utm_source=post-email-title&publication_id=82124&post_id=137854657&utm_campaign=email-post-title&isFreemail=true&r=13lc4d&utm_medium=email

[2] https://apnews.com/article/middle-east-jerusalem-israel-race-and-ethnicity-racial-injustice-83b44a2f6b2b3581d857f57fb6960115?utm_source=substack&utm_medium=email

[3] https://apnews.com/article/middle-east-jerusalem-israel-race-and-ethnicity-racial-injustice-83b44a2f6b2b3581d857f57fb6960115?utm_source=substack&utm_medium=email

[4] https://www.btselem.org/

[5] https://www.caitlinjohnst.one/p/this-is-exactly-what-it-looks-like?utm_source=post-email-title&publication_id=82124&post_id=137854657&utm_campaign=email-post-title&isFreemail=true&r=13lc4d&utm_medium=email

[6] https://www.caitlinjohnst.one/p/israel-narrative-management-is-getting

[7] https://twitter.com/KeithWoodsYT/status/1711853721330516163?utm_source=substack&utm_medium=email

[8] https://en.wikipedia.org/wiki/Atrocity_propaganda?utm_source=substack&utm_medium=email

[9] https://twitter.com/CensoredMen/status/1711482078666043868?utm_source=substack&utm_medium=email

https://www.lafionda.org/2023/10/11/riflessioni-sparse-sulle-tragedie-in-corso/

 

 

Paolo Desogus – Il popolo palestinese e la violenza disperata

Da anni il popolo palestinese è vittima delle più gravi ingiustizie. Lo stato di Israele ha tradito tutti gli accordi internazionali, anche quelli che garantivano vantaggi inequivocabili alla sua popolazione. Il suo esercito si è ricoperto di infamia con una violenza omicida, spesso animata da uno spirito razzista che vede nei palestinesi e nei suoi diritti qualcosa che è possibile calpestare liberamente. Il suo stato, non molto lontano dal regime teocratico, si è auto-attribuito la licenza morale di uccidere e di esercitare la propria supremazia con ogni mezzo e sopruso.

Non meno grave è poi l’uso della vicenda della Shoah come manganello politico per colpire e condannare moralmente i critici e gli oppositori: sei contro Israele, allora sei antisemita in odore di nazismo. A questa micidiale equazione, che offende la morte dei deportati nei lager, va aggiunta un’opera di influenza capillare nell’opinione pubblica europea, particolarmente efficace in Italia, dove tutte le principali testate sono fedelmente schierate con Israele con argomenti che nemmeno la stampa israeliana, da quello che si ricava dalle edizioni in inglese, usa in modo così disinvolto e semplicistico. Fatto del tutto ignorato in Occidente è poi l’esistenza di una comunità israeliana d’opposizione che è consapevole della violenza del proprio paese e che lavora per la convivenza. Eppure nulla, la lettura occidentale coincide con quella degli israeliani più fanatici. Il risultato è che nonostante i crimini documentati, nonostante l’occupazione delle terre, la distruzione delle proprietà altrui, l’esercizio indiscriminato e ingiustificato della violenza, nonostante tutto questo Israele gode di una protezione speciale che libera la sua azione politica e militare da sanzioni.

Di fronte a questo scenario di umiliazioni e prepotenze i palestinesi reagiscono con disperata violenza. Non hanno nessuna possibilità di vittoria, nessun margine per accordi di pace, nulla più da perdere se non la propria prigionia: Israele mira a strangolare e a occupare integralmente i territori che non gli appartengono. La violenza risulta l’unica risposta possibile nonostante la netta superiorità economica, militare e tecnologica dello stato di Israele. Ma ripeto è una violenza disperata, quella di chi tenta l’ultimo colpo prima di morire sopraffatto.

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COME PORRE FINE ALLA VIOLENZA – Mubarak Awad

Mubarak Awad ha contribuito a lanciare la prima intifada ed è stato esiliato da Gerusalemme dal governo israeliano nel 1988. È stato fondatore del Centro palestinese per lo studio della nonviolenza, fondatore del Programma nazionale di difesa della gioventù e fondatore e attuale presidente di Nonviolence International.

Sette passi per porre fine al ciclo di violenza in Israele e Palestina

Ho trascorso tutta la mia vita per convincere palestinesi e israeliani a utilizzare mezzi non violenti per risolvere i loro conflitti. Poiché Israele temeva l’unità palestinese e l’azione nonviolenta di massa, sono stato espulso dal governo nel 1988. Da allora, in diverse occasioni, ho personalmente sostenuto con i leader di Hamas l’abbandono della lotta armata e l’adozione di campagne nonviolente. Eppure, oggi, palestinesi e israeliani si stanno ancora una volta uccidendo a vicenda. Mi addoloro per le morti indicibili in Palestina e Israele. Piango per i feriti e per i sequestrati, soprattutto per i bambini. Solo in questo secolo, fino alla settimana scorsa, più di 12.000 palestinesi e 2.600 israeliani sono stati uccisi nel conflitto. Perché non possiamo fermare questo ciclo di violenza? Esorto Hamas e il governo israeliano ad accettare un cessate il fuoco immediato, compresa l’immediata cessazione degli attacchi missilistici contro Israele e degli attacchi militari israeliani contro Gaza. Ciascuna parte deve smettere di usare la violenza e deve impegnarsi a vivere e lavorare insieme come vicini. La vita e la dignità umana sono preziose. Gli attacchi vendicativi non fanno altro che aggravare l’odio e la sfiducia. Ecco alcuni passi pratici nonviolenti.
Per i palestinesi: fermare l’uccisione degli israeliani. Accogliere gli israeliani come vicini e riconoscere la loro storia. Continuare a lottare per la parità di diritti. Lavora per porre fine all’apartheid con gli israeliani anche se non sei completamente d’accordo su tutta la politica. E per l’amor del cielo, scegliamo i nostri leader attraverso elezioni regolari.
Per gli israeliani. Smettetela di uccidere i palestinesi. Porre fine all’assedio di Gaza. Fermare l’accaparramento di terre in Cisgiordania e a Gerusalemme, che genera disperazione e indignazione. Porre fine all’apartheid e smettere di cercare la supremazia ebraica. Sostenere il diritto al ritorno e alle riparazioni dei palestinesi. Stop ai pogrom e alle minacce alla moschea di Al Aqsa.

 

Per i media internazionali. Coprite questo conflitto nel modo in cui avreste voluto vedere le ribellioni degli schiavi e/o i massacri anticoloniali nei secoli precedenti. Smettetela di usare la parola “terroristi” per descrivere gli attori di entrambe le parti. Entrambi sono motivati da percezioni di sicurezza e identità storica e non cercano semplicemente di creare paura, cioè “terrore”, nell’altro.
Per gli americani. Non esiste una soluzione militare. Smettere di fornire armi. Sosteniamo allo stesso modo israeliani e palestinesi. Mostra un esempio positivo migliorando il trattamento riservato ai nativi americani e ponendo fine all’apartheid razziale domestico.
Per la comunità internazionale. La soluzione a due Stati, purtroppo, non è più un’opzione. Sostenere soluzioni che garantiscano diritti a tutti i popoli della regione. Mantenere Gaza come una prigione a cielo aperto è criminale. Pertanto, sia dichiarato tale dagli organismi internazionali e politici. Fornire aiuti umanitari e denunciare l’apartheid. Lavorare per la giustizia e l’uguaglianza.
Per le organizzazioni umanitarie. È necessaria un’azione umanitaria urgente, compresa la creazione di un corridoio umanitario sia all’interno che all’esterno di Gaza, per la circolazione sicura delle persone e la consegna di forniture essenziali. Ciò include l’apertura dei valichi Erez e Kerem Shalom/Abu Salem per consentire la circolazione delle persone e delle merci e rimuovere il divieto di accesso al mare.
Per soldati e attori armati. Non abbreviare la vita di un altro. Non abbreviare la tua vita. Non cercare vendetta. Mi congratulo con gli israeliani che rifiutano il servizio militare per impegnarsi in un attacco insensato a Gaza. Le braccia servono per abbracciare, non per ferire gli altri. Possiamo farcela.

[Traduzione è a cura del Centro Gandhi di Pisa]

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Francesca Albanese, relatrice ONU: “Israele ha già effettuato una pulizia etnica di massa dei palestinesi sotto la nebbia della guerra”

La relatrice per i diritti umani delle Nazioni Unite ha avvertito che i palestinesi corrono il grave pericolo di una pulizia etnica di massa e ha invitato la comunità globale a mediare un cessate il fuoco.

“La situazione nei territori palestinesi occupati e in Israele ha raggiunto il culmine”, ha affermato Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati.

“C’è il grave pericolo che ciò a cui stiamo assistendo possa essere una ripetizione della Nakba del 1948 e della Naksa del 1967, anche se su scala più ampia. La comunità internazionale deve fare di tutto per evitare che ciò accada di nuovo”, ha affermato.

Ha osservato che i funzionari pubblici israeliani hanno apertamente sostenuto un’altra Nakba, il termine per gli eventi del 1947-1949, quando oltre 750.000 palestinesi furono espulsi dalle loro case e terre durante le ostilità che portarono alla fondazione di Israele. La Nakba, che portò all’occupazione israeliana della Cisgiordania e della Striscia di Gaza nel 1967, causò lo sfollamento di 350.000 palestinesi.

“Israele ha già effettuato una pulizia etnica di massa dei palestinesi sotto la nebbia della guerra”, ha detto. “Ancora una volta, in nome dell’autodifesa, Israele sta cercando di giustificare ciò che equivarrebbe a pulizia etnica.”

“Qualsiasi operazione militare continuata da parte di Israele è andata ben oltre i limiti del diritto internazionale. La comunità internazionale deve fermare queste enormi violazioni del diritto internazionale adesso, prima che la tragica storia si ripeta. Tempo è dell’essenza. Sia i palestinesi che gli israeliani meritano di vivere in pace, uguaglianza di diritti, dignità e libertà”, ha concluso.

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Fulvio Scaglione: “Chi pontifica oggi su Gaza ci vada, come ho fatto io. Come si può vivere così senza volersi vendicare?”

“Non è un’operazione terroristica ma guerra. Hamas da solo non sarebbe riuscito”. Questa è l’opinione di Fulvio Scaglione nell’intervista che rilascia a l’AntiDiplomatico (in esclusiva per i nostri abbonati Youtube). 

Questo paese è l’Iran perchè da questa operazione trae alcuni vantaggi che Scaglione espone durante l’intervista. “L’Iran stabilisce un principio geostrategico fondamentale: la pace in Medio Oriente deve passare per Teheran”.

La condanna della comunità internazionale è in realtà quella occidentale (Usa e Unione Europea), prosegue Scaglione. Russia e Cina non hanno condannato dal punto di vista diplomatico – “Certo non hanno sostenuto l’operazione di Hamas ma molto interessante la posizione del Cremlino da sottolineare”. Mosca, prosegue Scaglione nella sua intervista a l’AntiDiplomatico, con Israele ha ottimi rapporti – Tel Aviv è l’unico paese del blocco occidentale a non aver inviato armi all’Ucraina – ma il ministro degli esteri russo Lavrov ha oggi ricordato come la questione di uno stato per i palestinesi sia al centro per la risoluzione del conflitto. “E questa è la posizione dell’altra parte del mondo che per i media occidentali non rientra nella comunità internazionale, anche se è la stragrande maggioranza in termini assoluti”, prosegue.

E l’Europa? “L’Europa non esiste dal punto di vista internazionale. Non ha niente da dire o non sa dirlo e non può fare altro che aggregarsi agli Stati Uniti”, chiosa Scaglione.

Interessanti i passaggi sul possibile allargamento del conflitto regionale e il ruolo di Hezbollah, oltre ai problemi militari che Israele avrà nella operazione via terra lanciata contro Gaza, con massacri di civili annessi.

Nella parte dell’intervista che abbiamo scelto di condividere nel nostro canale Youtube, Fulvio Scaglione affronta la narrazione mediatica e quello che non può comprendere chi pontifica oggi ma che non ha mai visto, al contrario del reporter di guerra intervistato, a Gaza. “Non c’è un singolo bambino di Gaza che non può non essere incline alla violenza e alla vendetta. Non è una giustificazione politica perché io penso che Hamas sia un movimento che è una disgrazia per i palestinesi”. 

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HA STATO PUTIN, ANCHE A GAZA – Fulvio Scaglione

Per un paio di giorni i soliti noti hanno cercato di convincere i loro lettori che dietro l’attacco omicida di Hamas da Gaza contro i civili e i soldati di Israele ci fosse la mano della Russia. Prima sono andati giù piatti piatti, senza vergogna. Poi sono arrivate le smentite (per esempio quella dell’ambasciatore di Israele in RussiaAlexandr Ben Avi, che ha definito quell’interpretazione “una totale sciocchezza”) e allora hanno cominciato a svicolare: eh ma forse i droni, eh ma forse il Gruppo Wagner approvava… Infine hanno riattaccato a parlare di una possibile “nuova crisi energetica” che faceva sorridere Putin dopo che lo stesso aveva perso la prima guerra dell’energia, quella con cui gli europei si sono sganciati dalle forniture russe. Vecchia canzone spompata. È vero, non compriamo più gas dalla Russia. Lo compriamo altrove ma pagandolo tre volte tanto, subendo l’impennata dell’inflazione e un generale calo dello sviluppo economico.   La zona euro è ufficialmente in recessione e l’economia della locomotiva d’Europa, la Germania, è una pallida imitazione di ciò che era prima della grande vittoria energetica su Putin.

Quindi sarà anche vero che avevamo sviluppato una “dipendenza” energetica dalla Russia. Però dalla dipendenza ci siamo liberati, mentre una fonte più affidabile ed economica della Russia non l’abbiamo trovata. E intanto la prode Europa, dovendo dipendere dall’Azerbaigian del dittatore Ilham Aliev, non può nemmeno spendere una parola per l’Armenia per non restare al freddo. Mentre la Cina e l’India e gli altri Paesi che comprano gas e petrolio russo a prezzi di saldo ci mangiano in testa. Abbiamo fatto questa scelta politica, ok. Ma chiamarla vittoria pare un po’ troppo.

Questa caterva di semplicismi e sciocchezze ci interessa non perché lede l’onorabilità di Putin, già compromessa di suo e di cui non ci importa nulla. Ma per la visione del mondo che cerca di imporre, con un unico scopo: dimostrare la tesi di Josep Borrell, responsabile della politica estera UE, convinto che l’Europa sia un giardino e il resto del mondo giungla. Ovvero, che ci sia un fronte del male anti-occidentale che unisce Paesi come Iran, Russia e Cina per abbattere la nostra civiltà. Gaza come Mosca, Taiwan come l’Ucraina, Pechino come Teheran. Lo scrive Eric Trump, figlio di Donald, e lo ripetono i nostri commentatori. Che infatti dicono: prima l’Ucraina, ora Israele, infine toccherà all’Asia.

Cascano le braccia. Intanto la Russia ha, e non da oggi, ottime relazioni con Israele. L’URSS fu uno dei primi Paesi a riconoscere lo Stato ebraico ma, a parte questo, anche oggi i rapporti sono ottimi, tanto che Israele è l’unico Paese ascrivibile al fronte dell’Occidente che non abbia armato l’Ucraina. Non solo: i cittadini israeliani nativi di lingua russa sono circa 1,5 milioni pari al 15% della popolazione totale e formano la terza più grande comunità russofona fuori dai confini dell’ex URSS. Qualcuno sano di mente può davvero pensare che il Cremlino, in queste condizioni, si metta a pasticciare con Hamas? Che promuova un’offensiva da Gaza contro un Paese amico?

Questo per l’aspetto particolare. Per l’aspetto globale, è evidente che certe elucubrazioni servono solo a far propaganda all’allargamento ulteriore della NATO (che infatti, essendo un’Alleanza “atlantica”, sta aprendo un ufficio in Giappone) e alla subordinazione dell’Unione Europea alle strategie degli USA. Intendiamoci: chi non ha strategie, come la UE, inevitabilmente deve subordinarsi a chi, belle o brutte, le ha, come gli Usa. Ma anche se teniamo fermi alcuni punti – è la Russia che ha invaso l’Ucraina, è Hamas che ha scatenato questi massacri, sappiamo chi è l’aggressore e chi l’aggredito -, davvero facciamo finta di non capire che la politica USA in Medio Oriente è, non da oggi, un fallimento? Davvero ci siamo dimenticati dell’Afghanistan, dell’Iraq, della Siria e della Libia? E della stessa Gaza, che è dominata da Hamas ma non è solo Hamas?  O li consideriamo dei successi? E davvero non vogliamo notare che la strategia politica in Europa, promossa dagli USA e applicata anche dalla UE, di espandersi verso Est (vere o no che fossero le promesse all’epoca del crollo del Muro) facendo finta che la Russia non esistesse o che le sue esigenze (richieste, pretese, sogni, chiamiamoli come vogliamo che non cambia nulla) non avessero importanza, ha comunque una parte in quanto sta succedendo? Davvero il fatto, riconosciuto dall’ex presidente ucraino Poroshenko e ribadito dalla Merkel e da Hollande, che dal 2014 al 2022 l’Europa abbia pensato solo ad armare l’Ucraina e non a cercare una pace nel Donbass (quando si poteva anche fare entrare le cose) non ha peso?

Se la pensiamo così, continuiamo pure a illuderci e a sbattere il naso. Chiudiamoci nel giardino ideale di cui parla Borrell. Sapendo, però, che alla fine la giungla la vince sempre.

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Fermare immediatamente il massacro a Gaza: l’appello di 1.000 operatori sanitari italiani – Medicina Democratica

Medici, infermieri, psicologi e operatori della riabilitazione, uniscono le loro voci per richiamare l’attenzione su una crisi senza precedenti che sta sconvolgendo la Striscia.

In poche ore 1.000 operatori sanitari italiani provenienti da diverse specializzazioni, tra cui medici, infermieri, psicologi e operatori della riabilitazione, hanno unito le loro voci per richiamare l’attenzione sulla crisi senza precedenti che sta sconvolgendo la Striscia di GazaUn elenco, parzialmente riportato in calce e in costante aggiornamento.

La Striscia di Gaza è attualmente teatro di continui e indiscriminati attacchi da parte dell’esercito israeliano, i quali stanno mettendo a serio rischio la vita e la salute di migliaia di persone. Questi attacchi hanno non solo causato un numero crescente di vittime civili, ma hanno anche compromesso gravemente le strutture ospedaliere della regione, rendendo l’accesso alle cure mediche non più possibile.

In aggiunta a questa situazione drammatica, la popolazione della Striscia di Gaza è afflitta da un blocco totale che impedisce l’accesso a risorse vitali come acqua, elettricità, cibo e carburante. Questa situazione ha portato la regione sull’orlo di una catastrofe umanitaria, mentre il silenzio della comunità internazionale è assordante.

In questo contesto critico, gli operatori sanitari italiani desiderano esprimere la loro profonda preoccupazione e per chiedere con estrema urgenza al governo italiano e all’Unione Europea di intervenire immediatamente per porre fine agli attacchi indiscriminati dell’esercito israeliano contro la popolazione civile e per stabilire corridoi umanitari sicuri che consentano l’evacuazione dei civili in pericolo e l’accesso al materiale medico necessario per garantire assistenza sanitaria vitale nella Striscia di Gaza.

Il testo dell’appello (qui per aderire)

Siamo un gruppo di operatori sanitari profondamente preoccupati e indignati per il silenzio delle nostre istituzioni e della nostra politica, per l’unilateralità mediatica riguardo a ciò che sta accadendo da una settimana in Medio Oriente. Oggi, nella Striscia di Gaza, siamo di fronte a una catastrofe umanitaria senza precedenti. La popolazione civile sta subendo gli orrori di massicci e indiscriminati bombardamenti perpetrati dall’esercito israeliano. Secondo i dati pubblicati dal Ministero della Salute palestinese, ad oggi si contano 1.799 morti, tra cui 583 bambini e 351 donne, mentre i feriti sono 7.388, di cui 1.901 bambini e 1.185 donne.

Questi devastanti attacchi hanno portato gli ospedali sull’orlo del collasso (mancano forniture mediche di base, scorte di ossigeno, posti di terapia intensiva, ecc), impedendo loro di far fronte all’afflusso incessante di pazienti feriti e di sfollati in cerca di rifugi sicuri. Inoltre, secondo le informazioni fornite da UNFPA, all’interno della Striscia di Gaza attualmente si trovano circa 50.000 donne incinte, le quali purtroppo non sono in grado di accedere ai servizi sanitari essenziali. Di queste, circa 5.500 donne si preparano a dare alla luce un figlio nel corso del prossimo mese, generando una media di 166 nascite al giorno. Tutto ciò avviene in condizioni di accesso inadeguato all’assistenza sanitaria e persino all’acqua pulita.

Le condizioni attuali sono severamente aggravate da 16 anni di quasi completo assedio dell’enclave palestinese che impedisce un sufficiente e dignitoso flusso di materiale sanitario, di equipaggiamento e quindi il funzionamento adeguato delle strutture sanitarie e degli ospedali anche in tempo di pace.

L’attuale drammatica condizione è il risultato diretto del blocco totale imposto dal governo israeliano a partire dal secondo giorno dell’attuale conflitto. L’ONU e Amnesty International hanno chiaramente dichiarato che tale decisione non solo viola il diritto internazionale, ma costituisce un crimine di guerra. Questo blocco costringe la popolazione civile a vivere in condizioni igienico-sanitarie al di sotto di ogni accettabile dignità umana. Testimonianze dirette hanno mostrato come, per esempio, le persone siano costrette a bere acqua non potabile, originariamente destinata ai servizi igienici, in mancanza di alternative.

Inoltre, la mancanza di elettricità e carburante per attivare i generatori di elettricità mette a serio rischio la vita dei feriti, aggravando ulteriormente una situazione già estremamente critica. I continui e indiscriminati bombardamenti contro la popolazione civile distruggono case, scuole, campi rifugiati e ospedali, creando una spirale di violenza senza fine. L’attuale completo blocco rischia di privare la popolazione di acqua e cibo essenziali per la sopravvivenza nel sud della Striscia di Gaza e di uccidere sotto i bombardamenti la popolazione del nord impossibilitata all’evacuazione.

In data odierna l’esercito israeliano ha ordinato a più di un milione di persone nelle zone settentrionali e centrali di Gaza di evacuare le proprie case, scuole e ospedali per spostarsi verso il sud della Striscia. Questa richiesta è stata fortemente contestata dalle Nazioni Unite e dalle più importanti organizzazioni umanitarie, in quanto non solo viola il diritto internazionale, ma mette anche a rischio la vita di pazienti vulnerabili ricoverati negli ospedali della zona settentrionale e centrale, e, più in generale, della popolazione civile a causa della mancanza di mezzi di trasporto per l’evacuazione, destinazioni sicure e assistenza medica.

Inoltre, l’esercito israeliano non ha garantito alcuna sicurezza nell’operazione di evacuazione, né nessuna certezza che i profughi in movimento non vengano colpiti indiscriminatamente durante la fuga. Sottolineiamo che corridoi umanitari dovrebbero garantire, previo un necessario cessate il fuoco, l’ingresso di beni di prima necessità, materiale medico e di soccorso e non l’esclusiva evacuazione di masse umane in movimento.

Siamo profondamente sconvolti e preoccupati dalla tragica e brutale perdita di vite umane a causa dei massicci attacchi in corso a Gaza e condotti dalle forze militari israeliane. Questa situazione richiede una risposta urgente perché stiamo assistendo a una vera e propria catastrofe umanitaria, alla violazione dei diritti basici dei civili secondo la Convenzione di Ginevra. Pertanto, ci appelliamo con forza e determinazione alle nostre istituzioni locali e nazionali affinché esercitino pressione per mettere fine alla perpetrazione di violenze indiscriminate contro civili inermi che risulta in una vera e propria punizione collettiva. Chiediamo pertanto al nostro governo e all’Unione Europea che facciano tutti gli sforzi necessari per fermare la strage di civili.

Sollecitiamo con urgenza l’immediata creazione di corridoi umanitari sicuri che consentano alle persone di spostarsi verso luoghi di protezione. Questa misura è dovuta dall’esercito israeliano e vitale per salvare vite umane e alleviare la sofferenza delle persone coinvolte in questa crisi.

Infine, ribadiamo l’importanza del totale rispetto della Convenzione di Ginevra e del diritto internazionale. Queste norme sono fondamentali per proteggere i diritti umani e la dignità delle persone coinvolte in conflitti armati ed è un dovere imprescindibile sia morale che militare dell’esercito israeliano.

L’attuale catastrofe umanitaria richiede una risposta immediata, irrinunciabile e doverosa per proteggere la vita e la dignità di tutta la popolazione di Gaza a rischio costante della propria vita.

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La voglia di guerra nei salotti chic – Andrea Zhok

Nella borghesia salottiera che affolla gli spazi mediatici è assente del tutto l’analisi storica dei fatti, sostituita da una voglia di guerra venduta come “necessaria” se non proprio “purificatrice”

Se uno va ai resoconti degli anni prima dello scoppio della prima guerra mondiale, vedrà masse di popolazione, frustrate da decenni di stagnazione economica ed esacerbate da una propaganda giornalistica battente, inneggiare alla guerra desiderosi di “fargliela vedere” al nemico, dipinto come un bruto che fa ciò che fa per puro odio, immotivatamente.

I pochi personaggi che allora cercavano di conservare uno spirito critico, come Karl Kraus, venivano denigrati da ogni parte.

Un secolo e fischia più tardi non è cambiato niente.

L’attacco che Hamas ha organizzato contro Israele è frutto di un percorso lunghissimo, che dovrebbe essere noto, in cui un odio viscerale è stato fatto crescere.

La necessaria condanna dello scempio commesso nei confronti di civili inermi non cambia nulla nel quadro generale, dove, come chiaramente espresso anche nell’editoriale di Haaretz di ieri, questi atti belluini sono il risultato di una vicenda che ha responsabili politici ben precisi, di cui Netanyahu è uno dei principali.

Comprendere non significa giustificare, ma questa distinzione cruciale è categorialmente assente nella maggior parte delle scatole craniche.

Niente può giustificare, cioè trasformare in qualcosa di giusto, un attacco indiscriminato a civili indifesi (da una parte come dall’altra). Comprendere serve a mettersi nelle condizioni per agire e correggere il tiro.

Di fronte a un genocidio come quello che si profila nella striscia di Gaza il rischio che questo apra un nuovo fronte in Libano da parte degli Hezbollah è elevatissimo (Hezbollah ha esplicitamente detto che interverrà se ci sarà un’operazione dell’esercito nella striscia di Gaza).Hezbollah ha dietro di sé l’Iran.

Intanto gli USA hanno inviato una portaerei nucleare e un bombardiere B-52 a sostegno di Israele.

L’Arabia Saudita ha chiuso la porta a ogni processo di normalizzazione dei rapporti con Israele. Alle minacce di Hezbollah Israele ha risposto che un loro intervento contro Israele porterà alla distruzione di Damasco (Hezbollah è alleato della Siria).

Ma la Siria è anche alleata fondamentale nello scacchiere medio-orientale della Russia, che ha truppe militari in loco.

Il domino delle alleanze è pronto a far crollare tutte le tessere, come nel 1914.

A parte ciò, ci sono 25 milioni di musulmani in Europa, e immaginando che una frazione minima, uno su mille, sia radicalizzato, questo significa avere un esercito di 25.000 potenziali terroristi in casa, che di fronte ad atti percepiti come forme di sterminio dei propri “confratelli” potrebbero attivarsi nel cuore dell’Europa.

Rispetto a questo quadro, proprio come in passato, la reazione della maggioranza è quella da rissa al bar: “Pensi che abbia paura? Ti faccio vedere io!”

Nel 1914 i più bramosi di menar le mani erano quelli che non si erano sbucciati neanche un ginocchio in tutta la loro vita, studenti e borghesia salottiera.

Oggi è la stessa cosa, con prevalenza dei salotti. Una volta di più sarà l’imbecillità a distruggerci.

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Gaza: se la cura è lo sterminio – Laura Silvia Battaglia

Gaza oggi è un malato terminale. E il rischio che venga spazzato via tutto, compresa ogni sua componente sana, umana, dignitosa, è reale.

Bandiere, bandierine, vite umane

Non è sempre una fortuna avere amici di ogni nazionalità, cultura, religione. Te ne accorgi quando scoppia una guerra e la stessa notizia ti investe con uguale violenza ma con segni e sentimenti contrari. «I stand with Israel»; «I support Palestine»: i feed dei social media si riempiono di bandierine perché è importante esserci per fare sapere che si partecipa, che abbiamo dei sentimenti e anche una opinione sul mondo, o che apparteniamo a un blocco di nazioni o di presunte civiltà.  E mentre anche le piazze si accendono di led con colori contrari – Bruxelles, New York, Roma in bianco e blu; Doha, Baghdad, Tartus in verde, rosso e nero –, per alcune famiglie la questione è molto più seria.

 

Ariela, una delle mie amiche ebree americane, con un lignaggio che risale agli ebrei arabi yemeniti e frequenti viaggi in Israele dove si riconnette con un pezzo di famiglia migrata a Gerusalemme, si dispera sui social per la morte della nonna della sua migliore amica. La donna aveva fatto Aliyah [l’immigrazione ebraica nella Terra di Israele, ndR] verso Israele cinquanta anni fa e viveva nel kibbutz di Nahal Oz. Nella notte del 6 ottobre, la sua casa è stata assaltata e lei uccisa da un membro delle brigate al-Qassem di Hamas: sgozzata senza pietà, mentre il miliziano filmava la sua crudeltà contro una donna colpevole di essere solo una cittadina israeliana. Le foto la ritraggono insieme alla nipote: abbracciate sul ferry a New York, a passeggio sul prato del kibbutz, fino a un selfie sorridente in un giorno d’estate. Vite normali travolte da un orrendo destino.

 

Meno di 24 ore dopo arriva un messaggio su wp: «Attiya è morto».  Chiedo: «Come?» Risposta: «Sotto i bombardamenti israeliani di questa notte». Ho conosciuto Attiya lo scorso marzo: quasi maggiorenne, ridotto da quasi sei anni in sedia a rotelle, si alimentava grazie a un braccio elettronico fornitogli da un’organizzazione internazionale: con lo stesso braccio dava da mangiare ai piccioni e all’asino, nell’orto di famiglia a Khan Younis, nella zona agricola della Striscia. Il padre era la sua ombra. Sei anni prima aveva fatto l’impossibile per riprendersi il figlio, reso tetraplegico da un’unità di soldati israeliani che lo intercettarono troppo vicino alle barriere di terra al confine con Israele nel 2018. Trasferito in un ospedale militare israeliano, il padre venne invitato a presentarsi per identificarlo e verificare le ragioni di quella azione. Rilasciato e rispedito a Gaza, ad Attiya sono state negate ulteriori cure in territorio israeliano. Da lì venne fuori un caso, in una lunga, estenuante battaglia legale nelle corti israeliane. Una vita orrendamente eccezionale, la cui sofferenza è stata messa a tacere da un bombardamento.

Vivere, sopravvivere, pensare, viaggiare

Pensare ad Attiya finalmente libero da un corpo nel quale era intrappolato è, tutto sommato, liberatorio. Pensare ad Ariela e al dolore della sua migliore amica di fronte alla certificazione di quell’orrore va oltre ogni immaginazione. Ma adesso penso a chi è ancora rimasto vivo e cerco i profili dei miei ex allievi di giornalismo nell’università UP di Gaza. Era il novembre 2013, prima del conflitto del 2014, e li ricordo ancora uno ad uno, tutti e trenta. Quelli che sono rimasti e quelli che, con l’aiuto di alcune organizzazioni internazionali, sono riusciti ad uscire. Un pugno di ragazze, molto talentuose, desiderose di fare conoscere la realtà della loro vita quotidiana, frustrate dall’impossibilità al viaggio e dalla necessità di doversi accontentare di opportunità di studio limitate, protese verso il desiderio di trovare marito e di avere figli ma anche di mantenere un lavoro, infastidite per le limitazioni imposte dell’allora nuova dirigenza di Hamas nei confronti dei comportamenti “immorali”, come frequentare un bar e fumare il narghilè o passeggiare sulla spiaggia mano nella mano con il fidanzato ufficiale promesso. Oggi sono tutte sposate con figli. Una sola è fotogiornalista, lavora per un’agenzia internazionale e ha mantenuto, pur nel rispetto della sua cultura e tradizione, un equilibrio invidiabile.

 

Omar e Mariam hanno avuto la fortuna di potere uscire. Lui era già bellissimo, figlio di madre ucraina e padre palestinese-americano: non avrebbe mai fatto il giornalista e, infatti, oggi lavora come modello in California. Mariam, che è anche talentuosissima musicista, orfana di una madre che a Gaza non era riuscita a farsi estirpare un curabilissimo tumore alla mammella, era poi riuscita ad avere un visto, grazie al suo lavoro con il centro culturale francese: oggi vive a New York, frequenta la scena musicale underground e non sa più se è femmina o maschio.

 

E poi, Mohammad: arrivato già con un talento fotografico assoluto, faceva parte del vivaio mediatico di Hamas, il braccio della propaganda che usa la telecamera al posto del fucile. Cercavo disperatamente di convincerlo che il suo non era giornalismo ma attivismo fortemente partigiano ma non c’era verso. Soprattutto lui ma anche tutti gli altri erano incapaci di concepire l’applicazione del mito dell’oggettività al giornalismo di cronaca a Gaza perché – dicevano – «non conosciamo altro ma soprattutto sappiamo il sapore dell’apartheid a cui ci costringe Israele». Dopo alcune lezioni ho gettato la spugna e abbiamo convenuto che la cosa più onesta da fare era raccontare qualsiasi cosa vedessero dalla loro finestra. Il progetto si chiamava “Una finestra su Gaza” e, per quanto i trenta studenti fossero diversi, rivelava il denominatore comune a tutti: «Voglio fare il giornalista perché vorrei raccontare al mondo che cosa significa avere per patria una prigione»….

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L’attacco a sorpresa da Gaza ha terrorizzato gli israeliani. Dovrebbe anche svelare il contesto – Haggai Matar

È un giorno terribile

7 ottobre 2023 – È un giorno terribile. Ci siamo svegliati con le sirene d’allarme, sotto un bombardamento di centinaia di razzi lanciati sulle città israeliane e abbiamo appreso dell’assalto senza precedenti da parte dei militanti palestinesi di Gaza contro le città israeliane al confine con la Striscia.

Il terrore assoluto

Le news parlano di almeno 40 israeliani uccisi e centinaia feriti, così come di alcune persone rapite [questo era il numero comunicato ufficialmente al momento della prima pubblicazione dell’articolo. I numeri stanno salendo rapidamente, ndR]. Nel frattempo, l’esercito israeliano ha già iniziato la propria offensiva sulla Striscia di Gaza [sottoposta a blocco terrestre, aereo e marittimo dal 2007, ndR], con truppe che si mobilitano lungo la barriera recintata e attacchi aerei che finora hanno ucciso e ferito decine di palestinesi.

Il terrore assoluto delle persone che vedono militanti armati nelle loro strade e case, jet da combattimento, carri armati in avvicinamento, è inimmaginabile. Gli attacchi ai civili sono crimini di guerra, e i miei pensieri vanno alle vittime e alle loro famiglie.

Non è un attacco unilaterale o non provocato

Contrariamente a quanto affermano molti israeliani, e mentre l’esercito è stato evidentemente colto completamente alla sprovvista da questa invasione, questo non è un attacco “unilaterale” o “non provocato”. Il terrore che gli israeliani – me compreso – provano ora è un assaggio di ciò che i palestinesi provano ogni giorno sotto il regime militare che dura da decenni in Cisgiordania, durante l’assedio e i continui attacchi a Gaza…

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Benvenuti nel mondo del doppio standard – Patrizio Digeva

Al netto di tutto il più sincero sgomento che in questo preciso istante si può provare di fronte alla morte di innocenti civili da ambo le parti, per provare a capire davvero cosa stia accadendo a Gaza ed in Israele sarebbe necessario andare a ritroso e contestualizzare l’aspetto storico di questa annosa violenza. Un dato oggettivo colpisce subito: il doppio standard mediatico occidentale in azione. Cerchiamo di spiegarne le radici e le cause.

Sionismo e nascita di Israele

La formazione storica dello Stato di Israele non si può comprendere senza previamente analizzare un’ideologia sorta nella seconda metà del XIX secolo nell’Europa centro-orientale: il sionismo.

Fin dalle origini il sionismo è stato un movimento culturale ebraico di stampo nazionalista (poi gradualmente sviluppatosi secondo varie sfumature politiche, passando da un approccio socialista fino ad arrivare ad uno sciovinismo molto accentuato ed in parte ispirato perfino da ideali fascisteggianti) con l’obiettivo di creare un focolare nazionale giudaico in Palestina. Il nome deriva dalla denominazione di uno dei monti di Gerusalemme tradizionalmente più importanti : il Monte Sion.

Una svolta prettamente più politica al sionismo fu data da Theodor Herzl (1860 – 1904), un giornalista austro-ungarico di lingua tedesca che – persuaso dai frequenti casi di antisemitismo dell’epoca- ormai riteneva l’assimilazione ebraica in Europa un’utopia da realizzare. Autore de Lo Stato ebraico (Der Judenstaat, 1896), viene considerato il padre del sionismo moderno perché teorizzò le basi politiche per la creazione di uno Stato ebraico attraverso una programmata emigrazione di massa degli ebrei nella cosiddetta Terrasanta. Le soluzioni prospettate da Herzl erano idealmente indirizzate verso la Palestina, anche se – nel suo caso ad esempio- egli arrivò a non disdegnare posti alternativi quali l’Argentina o perfino l’Uganda.

Anteriormente alla prima guerra mondiale, il sionismo rappresentava solo una minoranza attiva di ebrei e nel 1914 in Palestina si contavano circa 90.000 persone. Allo scoppio delle ostilità, però, le azioni di due noti sionisti – Chaim Weizmann (futuro primo Presidente d’Israele) e Nahum Sokolow (futuro Presidente del Congresso Sionista Mondiale durante gli anni ‘30)- furono determinanti per ottenere dalla Gran Bretagna, attraverso la Dichiarazione Balfour (1917), la promessa per il sostegno inglese alla creazione di un focolare nazionale ebraico (national home for the Jewish people) in Medio-Oriente.

In quanto l’Impero Ottomano fu una delle potenze sconfitte, al termine del conflitto la Società delle Nazioni (antesignana dell’ONU) attraverso il Trattato di Sèvres del 1920 trasferì, in funzione antiottomana, la Palestina all’Impero di Re Giorgio V, creando il Mandato Britannico della Palestina. Questo perché -in precedenza- già nel 1916 era stato segretamente abbozzato tra Parigi e Londra un accordo, il Trattato Sykes-Picot, mirante a suddividere le rispettive sfere d’influenza medio-orientali una volta che Istanbul (allora capitale ottomana) sarebbe stata sconfitta.Fu così che i britannici, nel primo dopoguerra, iniziarono a farsi attivi promotori della causa migratoria ebraica andando in tal modo a ledere tangibilmente gli interessi delle popolazioni arabe locali; nonostante -in precedenza- la Gran Bretagna avesse sollecitato e strumentalizzato le loro aspirazioni indipendentiste in chiave antiottomana a fini militari e strategici per tutta la durata del conflitto. Tutto ciò ebbe come conseguenza la formazione di un forte risentimento all’interno della società palestinese.

Sotto il governo britannico, dunque, l’immigrazione ebraica aumentò esponenzialmente e nel marzo 1925 la popolazione giudaica in Palestina era ufficialmente stimata a 108.000, fino a salire a circa 238.000 (il 20% della popolazione) nel 1933 ( https://www.britannica.com/topic/Zionism ).

Si può già ben delineare ed intravedere quale portata ebbe una scelta politica del genere -forzatamente dettata dall’esterno da potenze aliene- sulle popolazioni autoctone. Le conseguenze, infatti, non si fecero attendere…

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La bufala di Kfar Aza

Com’è andata realmente la falsa storia dei “40 bambini decapitati” (vedi Anbamed del 12 ottobre 2023) e perché si dovrebbe considerare la maggioranza dei politici e dei media, che l’ha pubblicata e commentata, un’accozzaglia di razzisti e pressappochisti?

La notizia è partita da questi due fenomeni. David Zion, un soldato israeliano di orientamento politico dii destra estrema e Nicole Zedek, giornalista:

Nella colonia ebraica di Kfar Aza, il soldato israeliano David Ben Zion, intervistato dalla giornalista tv Nicole Zedek, dice che ci sono i corpi decapitati di 40 bambini. La giornalista, anche lei presente sul posto, invece di verificare, “spara” la notizia alla tv i24 news con il seguente commento: “I palestinesi sono degli animali, ma questo già lo sapevamo”. La notizia viene ripresa dalla CNN e a ruota da tutti i media del mondo, arrivando a miliardi di persone. Scoppia l’indignazione “I palestinesi vanno puniti. Hanno fatto bene a bombardarli” dicono…

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Quell’insopportabile distonia tra le grida di Gaza e (vigliacchi) silenziPatrizia Cecconi

“Restiamo umani” era la firma, e insieme l’esortazione, con cui Vittorio Arrigoni chiudeva i suoi reportages da Gaza in quei 21 giorni tra il dicembre del 2008 e il gennaio del 2009 in cui Israele massacrava indiscriminatamente uomini, donne, vecchi e bambini, colpendo anche ospedali, scuole, ambulanze e facendo, in sole tre settimane, migliaia di feriti e 1.400 morti tra cui circa 300 bambini, molti dei quali lentamente bruciati con il fosforo bianco, altri fatti a pezzi dalle bombe e altri ancora schiacciati sotto le macerie delle loro case sbriciolate dai bombardamenti. Restiamo umani, nonostante tutto, chiedeva Vittorio.

Lo chiedeva ai superstiti, perché sapeva che l’odio verso un nemico così facile da odiare per la sua ferocia avrebbe portato altro male, avrebbe fatto perdere quell’umanità, intesa nella sua accezione migliore, che separa la giustizia dal desiderio di vendetta. Restiamo umani, ma non rassegnati, e lottiamo per ottenere la fine dell’assedio di Gaza e la fine dell’occupazione di tutti i Territori palestinesi.

Ma Vittorio venne ucciso nel 2011 e non poté ripetere la sua invocazione durante il massacro del novembre 2012 o dell’estate 2014 che fece oltre 2300 vittime tra cui circa 500 bambini, o quello del 2021 e oggi, ottobre 2023, dopo la sanguinosa azione armata di Hamas, che ha inaspettatamente mostrato la non onnipotenza di Israele, ci pensano le Tv mainstream a farci capire che quell’esortazione si è trasformata in nulla e lo fanno sottacendo, tra l’altro, la pluridecennale serie di orrendi crimini commessi dal terrorismo ebraico prima della fondazione di Israele, e dal “legalizzato” terrorismo israeliano dal 1948 in poi, come mostrano fatti inequivocabili, documentati e condannati anche da molti ebrei, israeliani e non.

Sono ormai dieci giorni che assistiamo a servizi informativi prevalentemente a senso unico – e quindi disinformativi – ricchi di disumano compiacimento per le dichiarazioni genocidarie e le conseguenti sanguinosissime e illegali  pratiche israeliane contro la popolazione di Gaza. Compiacimento che si coglie tanto nei toni che nelle parole pronunciate, in particolare, da alcune inviate di televisioni che si piccano di essere democratiche e rispettose dei diritti umani, ma che ripetono come giuste le minacce israeliane di bombardare ospedali e scuole e qualunque altra struttura alla ricerca dei “capi” di Hamas, mostrando giusta compassione per le vittime israeliane e per gli ostaggi rapiti dai miliziani lasciando in qualche modo intendere che la punizione collettiva, e genocidaria, nei confronti dei civili di Gaza (al momento in cui scrivo sono 3.007 vittime di cui circa un terzo bambini; circa 12.000 feriti e un numero impressionante di case e palazzi distrutti lasciando senza un tetto circa 200.000 palestinesi sopravvissuti ai bombardamenti) è cosa buona e giusta…

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Gli “animali” palestinesi – Grazia Parolari

Se usciamo dall’accezione significante dell’antropocentrismo, tutti noi, e non solo i Palestinesi, siamo “animali”, compreso il Ministro della Difesa israeliano.

Aluf Yoav Gallant, Ministro della Difesa israeliana, ha definito i Palestinesi “animali” o “animali umani”.

Il termine è stato ovviamente utilizzato nella sua accezione negativa, (“animale”: una persona inumana, per molti versi spregevole”, recita il Grande dizionario italiano dell’uso) espressione dell’ancor viva tradizione antropocentrica che colloca gli animali (non umani) in categorie inferiori alla nostra, e come tali legittimamente sfruttabili e macellabili.

Lo scopo: disumanizzare i Palestinesi, giustificando ulteriormente la vendetta in corso, una vendetta che, colpendo coloro che sono “solo animali”, può più facilmente esulare da giudizi etici e morali, perché trattare gli “animali” in modo violento e crudele è quello che avviene quotidianamente negli innumerevoli ambiti in cui essi vengono usati e uccisi senza che la maggioranza delle persone lo trovi condannabile e riprovevole, bensì “normale”.

Ma se usciamo dall’accezione significante dell’antropocentrismo, tutti noi, e non solo i Palestinesi, siamo “animali”, compreso il Ministro della Difesa israeliano.

“Animali umani”, che condividono l’esistenza con “animali non umani” i quali, a differenza nostra, non sarebbero mai capaci (e non per mancanza di attributi o abilità fisiche) di raggiungere quei livelli di crudeltà, cinismo, indifferenza e spietatezza che mai come in queste circostanze stiamo mettendo in atto, o semplicemente accettando come “inevitabili”.

Il Ministro della Difesa, nell’utilizzare il concetto spregiativo di “animali”, si è inoltre dimenticato che da anni  l’hasbara (propaganda) israeliana presenta e celebra l’IDF come l’esercito più etico del mondo, perché fornisce ai soldati che si dichiarano vegani pasti e abbigliamento vegani. Come poi il concetto di “etica” e di “veganismo” possano sposarsi con il concetto di oppressione e con le azioni violente perpetrate da quegli stessi soldati vegani nei confronti degli animali palestinesi, umani e non, questo dovrebbero spiegarcelo quegli stessi soldati che si definiscono tali e che purtuttavia non battono ciglio nell’obbedire a tali ordini

O forse no. In realtà è già chiaro.

Nell’utilizzare l’accezione negativa del termine, e smentendo quindi apertamente che si possa guardare agli animali non umani con occhi diversi da quelli dell’antropocentrismo più radicato, il Ministro conferma lui stesso come l’etica vegana dei suoi soldati sia solo l’ennesimo strumento di propaganda ingannevole, volto tra l’altro a creare una falsa distinzione tra i “barbari” palestinesi e gli “illuminati e civili “ israeliani.

Non è invece ingannevole propaganda la cura e la dedizione che, nel mezzo dei giorni terribili che stanno subendo, molti  Palestinesi stanno riversando sui loro compagni non umani.

Persone che nel poco tempo loro concesso devono abbandonare forzatamente le proprie abitazioni portando con sè quel poco che possono, e che scelgono di dare la priorità a chi Yoav Gallant e i suoi soldati “vegani” considererebbero meno di un oggetto.

Persone che non esitano a scavare tra macerie pericolanti per estrarre chi fa parte della famiglia, che abbia zampe o piume o piedi.

Centinaia di cani del rifugio Sulala Animal Rescue il cui fondatore, Saeed Al Err, si è premurato di spostare oltre la linea rossa, accogliendo i soggetti disabili, e le decine di gatti, nell’abitazione di un parente, a Nuseirat, e non esitando nell’accogliere le richieste di chi lo prega di tornare a Gaza, nonostante i rischi, per recuperare i propri compagni non umani rimasti indietro.  Cani e gatti a cui cerca di non fare mancare cibo e acqua e affetto, esattamente come sta facendo con i propri figli e figlie.

Non sappiamo e non sapremo mai quanti animali non umani sono morti e moriranno in questa punizione collettiva. Per loro non esistono elenchi, nè di nomi, nè di numeri.

E non sono e non saranno soltanto cani e gatti. Ma asini cavalli capre uccelli e specie selvatiche. E i doppiamente prigionieri dello zoo di Gaza

Anch’essi erano e sono storie, vite, affetti.

Come storie, vite e affetti erano e sono gli “animali” Palestinesi.

Animali umani. Animali non umani.

Nella tragedia, nell’orrore, nella sofferenza della guerra, può mai esserci un senso in questa distinzione, quando comune il destino, comune il dolore, comune il desiderio di vita?

 

Per chi volesse aiutare Sulala Animal Rescue: https://www.paypal.com/paypalme/HelpStreetAnimal

 

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Breve lezione di storia per tutti coloro che gridano con la pancia: “Israele siamo noi” – Wasim Dahmash

In questi giorni mi capita d’imbattermi nell’espressione “Israele siamo noi”. Trovo che sia una buona sintesi delle opinioni dei sostenitori di Israele, della percezione di se stessi e del loro ruolo sociale, non solo di militanti di ‘destra’, ma anche di giornalisti, intellettuali e altri opinion maker.

Altri vanno oltre il generico “Israele siamo noi” e si definiscono ‘sionisti’, seguendo l’esempio del presidente statunitense Biden che ama ripetere di essere ‘sionista’ perché “mio padre mi ha detto che non è necessario essere ebrei per essere sionisti”. Come a dire che il sionismo è radicato negli USA da generazioni e non interessa solo gli ebrei, ma riguarda tutti.

Anche in Italia non mancano intellettuali e personaggi in vista che si definiscono “sionisti appassionati”. Non so ovviamente cosa pensano e come intendono il sionismo, probabilmente lo concepiscono come ‘cosa buona e giusta’. Ma posso dire cosa pensano e come l’hanno vissuto i palestinesi.

Il sionismo significa per noi palestinesi il furto del nostro paese e il tentativo di furto della nostra storia. Il furto, come tutti sanno, ma pochi vogliono ricordare, è stato possibile grazie all’occupazione britannica della Palestina e soprattutto grazie alla pulizia etnica attuata dalle milizie sioniste organizzate e sostenute dalla Gran Bretagna, quelle che sono diventate esercito israeliano. Un esercito che ha continuato la pulizia etnica dopo la costituzione dello Stato d’Israele nel 1948, espellendo 962.000 persone (unica statistica affidabile, è quella dell’ONU). Una pulizia etnica che i palestinesi hanno subito ancora una volta nei territori palestinesi conquistati da Israele  nel 1967. I dirigenti israeliani continuano a ripetere di voler continuare “il lavoro iniziato nel 1948” e oggi lo sostiene Netanyahu il quale, non appagato dalla pulizia etnica strisciante di Gerusalemme e Cisgiordania, vorrebbe ripetere ‘il colpo’ a Gaza con gli stessi metodi a lungo sperimentati: uccidere il più grande numero di ‘indigeni’ in modo da creare il panico e spingerli ad andarsene. Questo è il senso dell’ordine di andare verso sud dato dall’esercito israeliano a un milione di palestinesi di Gaza.

Quando i primi coloni sionisti arrivano in Palestina, i palestinesi, preoccupati chiedono l’intervento del governo centrale di Istambul, perché i coloni vanno in giro armati. I coloni sono armati dalla Gran Bretagna che occupa la Palestina con l’intento dichiarato di trasformarla in una colonia per ebrei europei e che subito comincia a modificare il sistema delle leggi, a trasferire proprietà ai coloni, a espellere i contadini palestinesi dalle terre che coltivano da secoli e soprattutto a organizzare un esercito sionista che darà prova delle sue capacità militari contro la popolazione civile. I palestinesi sperimentano il sionismo soprattutto quando il paese viene consegnato alle bande armate sioniste che espellono tutti gli abitanti, a suon di stragi e massacri, dalle regioni che man mano occupano.

Oggi, i profughi palestinesi registrati dall’ONU sono 5.800.000 di cui oltre 2.000.000 si trovano nei territori occupati da Israele nel 1967. Se i profughi hanno assistito al furto delle loro terre e delle loro case, degli averi personali, del loro paese, della loro storia, della loro arte e di tutto ciò che forma un paese normale, coloro che non hanno subito quella sorte vivono sotto un regime di apartheid. Basterebbe un solo esempio: un bambino israeliano è considerato incapace di intendere e volere fino al superamento del quattordicesimo anno d’età, mentre un bambino palestinese sotto i quattordici anni può essere giudicato da un tribunale militare e condannato ad anni di carcere perché ‘sospettato’ di aver lanciato una pietra contro soldati armati di tutto punto. Senza parlare della continua demolizione di case, delle irruzioni notturne dei soldati, dei pogrom effettuati dai coloni protetti dai soldati, ecc.

 

Il discorso dell’‘Israele siamo noi’ non riguarda solo la ‘destra’, ma ha una dimensione che abbraccia tutta l’Europa e le sue estensioni coloniali. Ed è del tutto comprensibile: Israele è l’ultima colonia dell’Europa e il suo successo rappresenta una ‘ricompensa’ per l’esaurimento dei vecchi progetti coloniali.

Molti paesi che hanno subito il dominio coloniale hanno ottenuto l’indipendenza, formale nella maggior parte dei casi, effettiva solo in alcuni.  Altri colonialismi d’insediamento hanno avuto pieno successo, come in America, Australia, Nuova Zelanda, ecc. ma sono ormai “normalizzati” essendo riusciti a eliminare le popolazioni indigene e a sostituirle con nuove comunità coloniali. Altri ancora sono falliti, come in Algeria o in Sudafrica. Non è il caso di Israele che da una parte ha potuto occupare l’intero territorio della Palestina mandataria, oltre a territori siriani e libanesi, ma non è riuscito a eliminare gli indigeni, cioè i palestinesi, nonostante i ripetuti massacri, a cominciare da quello del 1948. Dopo 75 anni di continui tentativi infatti, gli indigeni sono ancora maggioranza nel territorio. Il genocidio strisciante che Israele porta avanti nei territori occupati nel 1967, intervallato da massacri come quelli di Genin del 2002 o del 2023 oppure quelli di Gaza del 2008-9 o del 2014, non ha portato al risultato sperato, ovvero provocare un esodo di massa dei palestinesi come quelli del 1948 o del 1967.

È di questi giorni l’invito del primo ministro israeliano Netanyahu rivolto agli abitanti di Gaza di andare via, nel Sinai, unico territorio attiguo a Gaza non occupato dagli israeliani. Lo scopo è quindi dichiarato: continuare la pulizia etnica della Palestina iniziata settantacinque anni fa e mai interrotta. L’espulsione, nella politica coloniale israeliana, è un primo passo che, nella prassi ormai consolidata, è seguito da pratiche tendenti a disperdere i profughi, spesso con intensi bombardamenti sulle tendopoli. È successo appena costituito lo Stato israeliano che ha cominciato a bombardare i profughi nella striscia di Gaza già nell’ottobre 1948, per continuare in Giordania, in Libano e in Siria.

Il massacro di questi giorni a Gaza dovrebbe portare, secondo Netanyahu, ad ‘alleggerire’ il peso demografico palestinese liberandosi di una fetta consistente della popolazione di Gaza, per potersi dedicare, con maggiore agio, alla pulizia etnica di altri territori, da Gerusalemme e la Cisgiordania alla Galilea. Il governo israeliano potrebbe allargare ancora di più il consenso mondiale al massacro e all’espulsione dei palestinesi di Gaza alimentando la campagna propagandistica con fake news che presentano i palestinesi come massacratori di bambini, e che altri forse in buona fede ripetono.

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Tareq Hajjaj: Ho scritto molte storie sulla Nakba. Oggi l’ho vissuta

Tareq Hajjaj si è svegliato venerdì con una chiamata dell’esercito israeliano : doveva fuggire da casa per salvarsi la vita. Gli orrori del suo viaggio verso la salvezza gli hanno ricordato le storie che aveva sentito sulla Nakba del 1948. Ma questa volta la stava vivendo.

La mattina del 13 ottobre sono stato svegliato alle 5 da una telefonata proveniente da un numero israeliano. L’ho ignorato e ho sfruttato il poco tempo che avevo per riposarmi.

Mi stavo riprendendo dopo una delle notti più terrificanti che abbiamo vissuto a Gaza la scorsa settimana. È difficile dormire in una casa piena di bambini terrorizzati. Urlano per ogni bomba che cade intorno a noi. Rende difficile seguire cosa sta succedendo. Vorrei sapere dove ha colpito la bomba e chi è rimasto ucciso, ma mi trovo impegnato a cercare di calmare la situazione all’interno della casa dove recentemente ha trovato rifugio la mia famiglia.

Israele dice che questa guerra è contro i combattenti di Hamas, ma io ho visto soffrire solo civili come noi.

Pochi minuti dopo, il numero mi ha chiamato di nuovo. Questa volta ho risposto al telefono e ho sentito l’esercito israeliano:

“Devi evacuare la tua casa. Vai al sud. Altrimenti sei responsabile della tua vita”. L’oratore si è identificato come appartenente alle “Forze di difesa israeliane”.

A un’ora così mattutina, tutti dormivano ancora. Non volevo svegliarli per dare loro la notizia. Ho guardato fuori dalla finestra e ho pensato che se avessi visto le persone evacuare per strada, avrei fatto qualcosa. Ma tutto era calmo, fatta eccezione per i bombardamenti israeliani.

Ho deciso di tornare a dormire. Era stata una lunga giornata e ne aspettava un’altra ancora più lunga.

Più tardi quella mattina, come ogni giorno, l’allarme che ci svegliò fu un enorme missile che colpì un bersaglio vicino alla nostra posizione. Ma gli eventi che seguirono furono ancora più terrificanti delle bombe.

Venerdì pomeriggio ho visto la gente ad al-Shuja’iyya, un quartiere a est di Gaza City, che iniziava a prepararsi. Stavano caricando le loro auto con le loro cose, fissando sopra i mobili. Ho visto altre persone semplicemente camminare, portando borse piene di cose sulle spalle, tenendo i loro bambini in braccio. Ho capito che l’evacuazione era in corso e che questi residenti stavano lasciando le loro case.

Ad essere sincero, non ho preso sul serio le chiamate dell’esercito israeliano. Pensavo fosse solo guerra psicologica. Ma sfortunatamente era reale. Le voci delle persone nelle case vicine iniziarono a diventare più forti e il caos crescente divenne un’altra fonte di terrore.

Quasi tutti coloro che hanno ricevuto il messaggio di evacuare il sud di Gaza volevano andarsene e recarsi lì immediatamente. Tuttavia trovare un’auto per spostarsi da Gaza City alle zone meridionali di Gaza, come Khan Younis, Rafah e Deir Al-Balah, è stato difficile. La strada più breve è di circa 17 miglia, ma la gente non è riuscita a trovare nessuna macchina per percorrerla. Solo chi possedeva un’auto era in grado di guidare; altre persone viaggiavano a piedi e ci volevano più di cinque ore per compiere il viaggio. Coloro che camminavano dormivano per le strade di Khan Younis alla fine del loro viaggio.

Fortunatamente abbiamo avuto il tempo di raccogliere le nostre cose. Non ho dovuto evacuare la mia casa perché l’avevo già evacuata nei primi giorni di guerra. Ma questa seconda evacuazione mi sembrava che sarebbe stata l’ultima. Fortunatamente avevamo le macchine per spostarci.

Abbiamo riempito in macchina i nostri materassi temporanei in schiuma, le bombole di gas da cucina, ciò che restava del nostro cibo e tutta l’acqua che avevamo ancora, e ci siamo diretti a Khan Younis: mio suocero, che ci aveva ospitato, ha un’altra a casa lì.

Mentre ci dirigevamo a sud, c’era un traffico massiccio, una fila lunga più di 10 miglia piena di macchine, autobus e carri pieni di donne e bambini tutti diretti a sud. Riuscivamo a malapena a muoverci perché il traffico era bloccato. Un viaggio che di solito dura 17 minuti da Gaza a Khan Younis ci ha impiegato tre ore e mezza.

Ciò che ho visto sulla mia strada può essere descritto solo come una nuova Nakba.

Ho scritto molte storie sulla Nakba del 1948 e ho intervistato persone che abbandonarono le loro case e le loro terre. Ho ascoltato le loro storie e ho visto le lacrime che hanno versato per ciò che hanno vissuto. Questa volta ho assistito a tutte queste scene. Ciò che ho visto sulla mia strada può essere descritto solo come una nuova Nakba.

Enormi camion carichi di donne che tengono in braccio i loro bambini. I giovani tenevano in braccio i loro genitori anziani. Donne che corrono scalze sul ciglio della strada con i bambini che piangono sulle spalle. Piccole auto stipate con più di dieci persone all’interno, tutte sedute una sopra l’altra. E in tutte queste scene, il panico appariva chiaramente sui volti di tutti.

L’esercito israeliano ci ha detto che sarebbe stato sicuro per i civili spostarsi dal nord di Gaza e da Gaza City al sud dalle 15:00 alle 20:00, e le persone sono state prese dal panico e si sono spostate. Ma ci hanno ingannato e bombardato mentre andavamo a sud. Hanno bombardato un enorme camion carico di famiglie e siamo stati costretti ad attraversare cadaveri e bambini fatti a pezzi lungo la strada.

Ogni scena che ho visto mi ha ricordato le storie che mi sono state raccontate sulla Nakba. La gente mi aveva raccontato tutte le stesse storie che ho vissuto durante il mio viaggio oggi. Anche loro attraversarono cadaveri per sopravvivere nel 1948, e anche loro pensavano che sarebbero tornati alle loro case. Ma sono ancora rifugiati oggi.

Quando finalmente siamo arrivati a Khan Younis, siamo rimasti sorpresi dalla folla che non aveva nessun posto dove andare se non sedersi per terra in pubblico. Siamo rimasti sorpresi anche dalla folla nei panifici, dove ci sono volute più di due ore per procurarsi il pane. C’erano folle anche nei supermercati perché la gente voleva conservare il cibo per la lunga guerra: sapevano che era lungi dall’essere finita.

Mentre scrivo queste righe, mi trovo a Khan Younis. Mi aspetto che presto ci verrà ordinato di lasciare Khan Younis e dirigerci a Rafah. E poi saremo costretti a evacuare in Egitto. Molto presto inizierò a parlare della mia Nakba, e ricorderò che ho trascorso tutta la mia vita cercando di fondare una casa a Gaza e di creare una famiglia, e quando finalmente ci sono riuscito, l’ho lasciata di nuovo sotto la forza del fuoco israeliano. E ancora e ancora e ancora …

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Ricordando la pittrice palestinese Heba Zagout – Pina Fioretti

 

 

La sera del 13 ottobre, durante i massicci bombardamenti israeliani su Gaza, Heba Zagout è morta sotto le macerie della sua casa distrutta da un missile. Con lei sono morti i figli e la sua intera famiglia. Sotto le macerie sono andate distrutte le sue meravigliose tele.

Nata a Gaza, figlia di profughi, aveva 40 anni e tre figli. Aveva conseguito il diploma di graphic design presso il Gaza Training College e si era laureata all’Università di Al Aqsa in Belle Arti e alternava il suo lavoro di pittrice con l’incarico di docente presso una delle scuole dell’UNWRA. I suoi quadri sono stati esposti in mostre collettive a Gaza, a Betlemme e in altre città palestinesi. Nei suoi dipinti ritraeva i luoghi della Palestina a lei interdetti perché ai palestinesi di Gaza non è permesso visitare la Palestina. L’assedio imposto da Israele dal 2007 impedisce a tutti i palestinesi della striscia di uscire anche solo per curarsi o per partecipare a mostre e conferenze.

Sulla tela fissava con colori brillanti le immagini di Gerusalemme e di altre città palestinesi. Pennellate di colori senza retorica. Tra le mura, le cupole e le case a volte si scorgono fiori, altre volte colombe.

È la Palestina che non vedrà mai, quella che ogni palestinese sogna, una pace che tutti sperano di trovare, un luogo di bellezza e di ritorno. Heba affidava alle tele i suoi sogni e quelli di tutti i palestinesi. Nelle tele degli artisti della Palestina, nei versi dei suoi poeti, nei romanzi dei suoi scrittori, nella musica dei suoi compositori la Palestina non è un mero concetto nazionalista: è il desiderio di una vita normale, la volontà di esigere il ritorno fisico ai luoghi di origine e soprattutto il ritorno a uno stato di vita dignitosa non più fatta di muri, assedi, prigione, povertà, esilio forzato, massacri.

Vi invito a guardare i dipinti di Heba, quelli che fortunatamente si sono salvati sulla sua pagina facebook. In alcuni quadri Heba dipinge i campanili delle chiese con il crocefisso ben visibile accanto alle cupole delle moschee. A giugno di quest’anno ha completato “Jerusalem is my city”, un acrilico su tela in cui emergono tre soggetti fondamentali della sua pittura: la donna, la natura e i luoghi di Gerusalemme. Lei, nata e cresciuta a Gaza, dipinge la speranza della convivenza ambientandola nella città di Gerusalemme perché, come tutti gli artisti palestinesi contemporanei, era ben consapevole della minaccia reale che incombe sulla città aggredita dalle politiche di occupazione ed espulsione dei governi israeliani.

I cipressi e gli ulivi che costeggiano una stradina che conduce a Gerusalemme, i campi di papaveri, i fiori di Ficodindia dai colori così tenui da far dimenticare le spine: la natura per Heba è vicinanza, i suoi colori e le sue forme l’aiutano a connettersi con i luoghi e gli affetti lontani.

Nei quadri dedicati alle donne c’è tanto di Heba: i suoi occhi profondi, il suo sorriso dolce, la forza della resilienza. Donne con i capelli sciolti ornati di fiori, donne che suonano il liuto, che raccolgono messi. A luglio ha completato il suo quadro “Alienazione”: un cavallo e una donna con la kufyah sovrastano le mura della città. Lo ha dedicato a tutti coloro che sono lontani dalla propria casa. La simbologia fortissima di una donna che con un cavallo raggiunge Gerusalemme può apparire anche molto audace se si opera l’associazione con il Buraq, il destriero mistico della tradizione islamica destinato ad essere cavalcato dai profeti

. La sua arte l’ha portata a collaborare con il Palestinian Feminist Collective. I soggetti femminili di Heba ritraggono tutte le situazioni che una donna palestinese, suo malgrado, è costretta a vivere e allora troviamo quadri dedicate alle donne prigioniere e alle anziane che conservano la chiave della loro casa occupata.

Heba era un’artista di grande talento, una donna che si divideva tra lavoro, arte e famiglia. Una mamma orgogliosa dei suoi figli, il più grande dei quali, Bara’ah, lo scorso dicembre aveva vinto un premio in un concorso di arte. Sono morti tutti, colpiti da questo attacco che sta violando ogni diritto internazionale e che cela solo l’ennesimo piano di pulizia etnica, in continuità con la nakba che non è mai cessata. Sembra che al diritto alla sicurezza di Israele debba corrispondere il dovere dei palestinesi di farsi massacrare, espropriare, espellere, cancellare. Negli ultimi giorni Heba, come molti palestinesi di Gaza, ha affidato ai messaggi su facebook le preghiere e le speranze di sopravvivenza. Il 19 settembre ha postato sul suo profilo facebook un suo quadro del 2020 dal tiolo “No to racism” che ritrae una donna nera dallo sguardo triste che stringe tra le mani una piccola colomba bianca. Ha accompagnato il post con questo messaggio:

“Cerchiamo sempre di avere una vita sicura. Possiamo trovare la nostra sicurezza nell’amore e non smetteremo mai di cercarla”. A distanza di un mese Israele e la sua cieca azione di cancellazione di un popolo, ha messo fine alle speranze di quest’artista. La morte di Heba deve ricordarci che la retorica   nazionalista di Israele e dei suoi complici occidentali accompagna e alimenta una feroce aggressione militare a un popolo, a più di due milioni di palestinesi, a persone che non dobbiamo ridurre a numeri come vorrebbe la narrazione a senso unico. Come Heba, a Gaza vivono molti artisti che hanno i loro atelier e studi nelle case che vengono bombardate. Sotto quelle bombe muoiono donne, bambini, uomini, scrittori, poeti, registi, giornalisti, artisiti, medici, architetti, operai. Un popolo che la cieca e violenta politica del governo israeliano vuole annientare, cancellare. Altri artisti che a Gaza in questi anni hanno cercato di aprire scuole e laboratori per educare all’arte stanno rischiando in queste ore lo stesso destino di Heba.

 

Tra loro voglio ricordare il pittore Mohammad Alhaj che lo scorso anno con il suo quadro “Immigration” ha partecipato alla collettiva “From Palestine With Art” alla Biennale Arte 2022. Ci scambiamo ogni sera un messaggio, mi rassicura che lui e la sua famiglia sono ancora vivi. Aspetto che arrivi la sera per averne conferma. Mi ripete che solo un palestinese piange la morte di un palestinese e che loro a Gaza restano forti e dignitosi mentre aspettano la morte che non cercano ma sanno che colpirà.

Le bombe di Israele hanno già distrutto le case e le opere degli artisti Maysara Barud, Raed Annabris, Tahany Sakik e Ashraf Soheil.

Quanta vita e bellezza nei quadri di Heba Zagout! Malgrado siano andati distrutti spero che possano sopravvivere le immagini che lei ha lasciato in rete sulla sua pagina facebook.

Nell’immaginario collettivo, influenzato da una narrazione che negli anni ha disumanizzato i palestinesi e nello specifico Gaza, forse è impossibile immaginare che a Gaza c’è chi affida all’arte, ai dipinti, alle forme e ai colori la voglia di vivere e di riscattare il proprio diritto alla vita. E invece è vero, tangibile. E la creatività di questi artisti è sorprendente quanto la loro resilienza.
da qui

 

 

Amira Hass: GERMANIA, HAI TRADITO DA TEMPO LE TUE RESPONSABILITÀ

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha dichiarato giovedì scorso che “le sofferenze e le difficoltà della popolazione civile nella Striscia di Gaza non potranno che aumentare. Anche Hamas è responsabile di questo”. Ma c’è qualche limite a questo aumento della sofferenza, dato che tu e i tuoi colleghi occidentali avete espresso un sostegno illimitato a Israele?

Accetterete che 2.000 bambini palestinesi vengano uccisi? 80.000 anziani che potrebbero morire di disidratazione perché non c’è acqua a Gaza sono un legittimo aumento della sofferenza ai vostri occhi?

Hai anche detto: “La nostra storia, la nostra responsabilità derivante dall’Olocausto, rende per noi un compito eterno difendere l’esistenza e la sicurezza dello Stato di Israele”. Ma Scholz, c’è una contraddizione tra questa frase e quella sopra citata.

“La sofferenza… non farà altro che aumentare” è un assegno in bianco per un Israele ferito che intende polverizzare, distruggere e uccidere senza ritegno, e rischia di coinvolgerci tutti in una guerra regionale, se non in una terza guerra mondiale, che metterebbe in pericolo anche la sopravvivenza di Israele, la sua sicurezza ed esistenza. Ma “responsabilità derivante dall’Olocausto” significa fare tutto il possibile per prevenire la guerra, che porta a disastri che a loro volta portano a guerre che aumentano la sofferenza, in un ciclo infinito.

L’ho imparato da mio padre, un sopravvissuto ai carri bestiame tedeschi. Già nel 1992, ogni volta che tornavo da Gaza con notizie sull’oppressione dei suoi residenti da parte di Israele, mi diceva: “È vero, questo non è un genocidio come quello che abbiamo vissuto noi, ma per noi è finito dopo cinque o sei anni” anni. Per i palestinesi, la sofferenza è andata avanti all’infinito, per decenni”. È una Nakba in corso.

Voi tedeschi avete da tempo tradito la vostra responsabilità, quella “derivante dall’Olocausto”, cioè dall’assassinio delle famiglie dei miei genitori, tra gli altri, e dalla sofferenza dei sopravvissuti. Lo avete tradito con il vostro sostegno senza riserve a un Israele che occupa, colonizza, priva le persone dell’acqua, ruba la terra, imprigiona due milioni di abitanti di Gaza in una gabbia affollata, demolisce case, espelle intere comunità dalle loro case e incoraggia la violenza dei coloni.

E tutto questo è avvenuto sotto gli auspici di un cosiddetto accordo di pace abbracciato da te e da altri leader occidentali. Avete permesso a Israele di agire contrariamente a questo accordo nella sua interpretazione europea – come percorso verso la creazione di uno Stato palestinese nei territori occupati da Israele nel 1967, e che molti palestinesi hanno sostenuto proprio per il loro desiderio di evitare ulteriori sofferenze e spargimenti di sangue.

Non mancano diplomatici e dipendenti di agenzie di sviluppo che hanno riferito di come centinaia di migliaia di giovani palestinesi abbiano perso ogni speranza e ogni significato per le loro vite, sotto l’arrogante oppressione di Israele e l’uccisione di civili – a volte alla spicciolata, a volte a ondate. Gli attivisti palestinesi per i diritti umani hanno ripetutamente avvertito che la politica di Israele potrebbe solo portare a un’esplosione di proporzioni inimmaginabili. Anche gli attivisti israeliani ed ebrei anti-occupazione vi hanno avvertito.

Ma sei rimasto sulla tua strada, inviando a Israele il messaggio che tutto andava bene – che nessuno lo punirà né insegnerà agli israeliani attraverso energici passi diplomatici e politici che non può esserci normalità accanto all’occupazione. E poi accusi i critici di Israele di antisemitismo.

No, questo articolo non è una giustificazione dell’orgia di omicidi e sadismo perpetrata dagli uomini armati di Hamas. Né è una giustificazione delle reazioni gioiose di alcuni palestinesi e del rifiuto di altri di affrontare le atrocità commesse in loro nome.

Piuttosto, è un appello a fermare l’attuale campagna di morte e distruzione prima che causi un’altra catastrofe su milioni di israeliani, palestinesi, libanesi e forse anche residenti di altri paesi della regione.

Traduzione a cura della redazione

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Catastrofe a Gaza: la morale e la politica – Gianni Lixi

Un politico italiano insignificante (Toti ex ministro con Berlusconi e presidente reg Liguria) l’altro giorno da Floris rispondeva provocatoriamente a chi parlava di catastrofe umanitaria a Gaza dicendo che il problema è politico e non bisogna guardarlo da un punto di vista della morale facendo il conto dei morti. Lui naturalmente intendeva il fallimento politico dell’attentato di Hamas.

Bene allora lasciamo perdere il lacerante conteggio dei morti da una parte e dall’altra e analizziamo l’episodio da un punto di vista politico :

1) Israele sa che non può radere al suolo Gaza, non perché non voglia o non può militarmente ma perché dosa ogni sua decisione al grammo fino a quanto può prendere per il culo gli occidentali e sa che questo è per adesso ancora impopolare, quindi è in difficoltà. In tutte le riunioni di gabinetto di governo degli anni passati che hanno dovuto desecretare c’è sempre molta attenzione a come prendere in giro noi occidentali (come spiegato molto bene nell’ultimo libro di Ilan Pappe’) spingendosi sempre , nell’attacco ai palestinesi, fino al punto di permettere all’Occidente di digerire le loro azioni, sono molto bravi in questo. Ma Hamas li ha costretti a mettersi un poco più a nudo e questo è un gioco che a loro non piace.

2)la Palestina sta scomparendo dalle mappe nel silenzio del mondo perché Israele riesce a silenziare il genocidio e la pulizia etnica attraverso la propaganda quotidiana della stampa (in quasi tutti i giornali c’è qualche sionista che indirizza titoli e depotenzia le nefandezze che i palestinesi subiscono magari facendo non pubblicare o pubblicando un articolo a babbo morto o senza dargli il giusto risalto). Ora da una settimana i titoli delle prime e seconde e terze pagine sono costretti a parlare dei palestinesi e questo non è quello che i sionisti vogliono perché comunque vada, l’attenzione sui social è altissima ed anche chi normalmente è distaccato impara qualcosa in più sulle ingiustizie che i palestinesi sopportano (nonostante il grande dispiegamento di tante “Oriana Fallaci” in tutti i dibattiti).

3) mai come in questi giorni in tutte le città del mondo si è vista tanta solidarietà per il popolo Palestinese e questo è qualcosa con cui “il capitale” che sceglie i politici deve fare i conti.

Insomma a ben guardare se vogliamo essere cinici come Toti e non interessarci ai morti mi sembra che un risultato politico ci sia e sia in favore dei palestinesi.

L’alternativa per loro è morire sopravvivendo.

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Il Pentagono utilizza Sigonella per armare Israele – Antonio Mazzeo

La grande base aeronavale siciliana di Sigonella viene impiegata in queste ore dal Pentagono per i velivoli adibiti al trasporto di sistemi d’arma, munizioni ed equipaggiamento per le forze armate di Israele impegnate nei bombardamenti contro le milizie di Hamas e la popolazione di Gaza.

Il 13 ottobre è stato tracciato il volo di un grande aereo cargo C-17A Globemaster lll da Sigonella fino alla base aerea di Nevatim, nel deserto del Negev a pochi km dalla città di Beersheba.

 

L’installazione è una delle maggiori installazioni dell’Aeronautica Militare israeliana (anche nota in codice come Air Force Base 28), quartier generale del 116° Squadrone “Lions of the South” e del 140° Squadrone “Golden Eagle” – equipaggiati entrambi con i nuovi cacciabombardieri F-35 a capacità nucleare – e del 122° Squadrone “Nachson” per le operazioni di intelligence, sorveglianza e guerra elettronica grazie ai sofisticati velivoli-spia Gulfstream G550 e agli aerei radar AWACS/CAEW.

Il C-17A Globemaster lll è stato identificato con il codice di volo “RCH794” assegnato ai velivoli in forza al’Air Mobility Command (Comando Mobilità Aerea) delle forze aeree degli Stati Uniti d’America, responsabile per tutti gli aerei da trasporto strategico, tattico e da rifornimento in volo, con quartier generale presso la Scott Air Force Base, Illinois.

E’ stato possibile accertare che il grande aereo cargo era decollato la sera del 12 ottobre dall’aeroporto internazionale civile-militare di Tucson (Arizona) con destinazione la grande base aerea di Ramstein (Germania). Il C-17A Globemaster lll ha poi lasciato la base tedesca alle ore 12,39 del 13 ottobre per atterare due ore e dodici minuti dopo a NAS Sigonella. Dalla base siciliana il velivolo è decollato meno di due ore dopo verso Israele per atterrare alle alle 22.08 locali.

Alle prime ore del 14 ottobre il C-17A Globemaster lll di US Air Force ha fatto rientro a Sigonella.

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Livorno: Manifestazione in solidarietà con la Palestina violentemente repressa dalla polizia

Alcunə giovani di Livorno sono stati violentemente repressi per aver mostrato una bandiera e aver gridato “Palestina libera e indipendente” davanti al presidio pro-Israele, convocato dall’associazione Italia Israele Livorno.

Lə giovani hanno espresso il loro dissenso contro la posizione presa dall’Amministrazione e soprattutto contro il revisionismo storico sionista. Hanno esposto due striscioni uno che menzionava il confronto tra i civili uccisi in Palestina e quelli in Israele tra il 2008 e il 2020, l’altro titolava “Né con Israele né con Hamas: Palestina libera e indipendente”. Le forze dell’ordine hanno imposto di togliere gli striscioni e le bandiere palestinesi mentre il presidio pro-Israele ha inneggiato insulti razzisti. Le forze di polizia hanno aggredito lə studenti e alcunə sono statə portati in questura…

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Said e il futuro della Palestina – Eliana Riva

L’unica decisione che sarà necessario prendere per quanto riguarda la conoscenza della Storia è se dovremo insegnarla dall’indietro in avanti o da avanti all’indietro

(Tertuliano Màximo Afonso).

Si potrebbe cominciare raccontando del caprone e dell’acro di Weizmann oppure dell’ultima escalation militare, quella dello scorso maggio, tra Israele e Hamas; si potrebbe partire da Sheikh Jarrah o dall’occupazione israeliana del 1967. È complicato individuare un altro storico, scrittore, intellettuale che sia tanto legato al suo tempo e al suo luogo pur riuscendo ad attraversarli, superarli e ritornarvi.

Nel 1996 Edward Said scriveva, in uno dei suoi interventi meno pessimisti sul futuro, che “La scommessa stava nel trovare un modo pacifico di coesistere non come ebrei, musulmani e cristiani ma come cittadini a pari diritto in una stessa terra”.

All’inizio di luglio la Corte Suprema israeliana ha decretato la legittimità della cosiddetta Legge fondamentale o legge Stato-Nazione, che la Knesset aveva approvato nel 2018. Ha rigettato le obiezioni di chi riteneva che questa legge non fosse democratica e rispettosa delle minoranze. La legge Stato-Nazione è il provvedimento che sistema giuridicamente e rende legale la definizione di Israele come Stato della nazione Ebraica. Lo stato degli ebrei.

In Israele circa il 21% della popolazione è composta da arabi, dai palestinesi. La legge Stato-Nazione dichiara che “l’adempimento del diritto all’autodeterminazione nazionale nello stato di Israele è unico per gli Ebrei” e fa esplicito riferimento alla Terra d’Israele quale patria storica degli ebrei. La Terra d’Israele così intesa è la Palestina storica, tutta la regione, quindi che comprende ora Israele e i Territori Palestinesi Occupati. E la norma vi promuove lo sviluppo dell’insediamento ebraico.

Cosa significa tutto questo?

Quando si analizzano le leggi, i regolamenti e le decisioni politiche e giuridiche in Israele, anche quelli più recenti, è necessario tener sempre bene a mente che nella stragrande maggioranza dei casi sono in completa continuità con un progetto pensato, scritto e sostenuto molti anni fa, almeno un secolo. Come le altre, dunque, la legge Stato-Nazione non fa altro che formalizzare una direzione e un progetto che Israele o meglio, l’Organizzazione Mondiale Sionista, aveva già ben chiaro in mente, prima ancora della nascita dello Stato ebraico. Certo, la legge Stato-Nazione in un certo senso legalizza l’apartheid e la discriminazione, ma non ne decreta certo la nascita. Il Jewish National Fund, l’organismo autorizzato a comprare la terra e a gestirla in nome e per conto dell’intero popolo ebraico, è nato nel 1901 e ha cominciato ad acquistare terra nel 1905. Acquistava e affittava terre solamente per gli ebrei. Lo sviluppo dell’insediamento ebraico ne era già l’obiettivo. Perseguito poi negli anni, fino all’occupazione delle case e dei terreni dei profughi palestinesi del 1948, ai quali è stato negato il diritto al ritorno sancito dalle leggi internazionali, e ai quali non è consentito reclamare la proprietà di quelle terre, cosa permessa invece agli ebrei.

Il progetto è stato portato avanti anche in seguito, con gli espropri, con l’espansione delle colonie israeliane nei Territori Palestinesi Occupati, con la Legge degli assenti, con la politica demografica, il divieto al ricongiungimento familiare e così via.

“Il successo del sionismo – dice Edward Said – e la sua efficacia a superare la resistenza arabo-palestinese, sta nel suo essere una politica attenta ai minimi dettagli e non semplicemente una generica visione colonialista. Quindi la Palestina, già dal principio, era un territorio con le sue caratteristiche che fu studiato fino all’ultimo millimetro per pianificarne la colonizzazione, fino ai minimi particolari”.

E il progetto sionista poteva essere realizzato solo centimetro per centimetro, passo per passo. “Un altro acro, un altro caprone” come disse appunto Weizmann, il primo presidente dello Stato d’Israele.

E i palestinesi? Said scrive “gli arabi non hanno saputo rispondere a questo progetto. Forse perché credevano che bastasse il fatto che vivevano lì e possedevano quelle terre”.

Ma come è potuto accadere che un piano tanto ambizioso e complicato venisse nei fatti realizzato e che anzi sia dopo un secolo in avanzatissima fase attuativa, con gli espropri a Gerusalemme Est, le colonie in espansione, la distruzione dei villaggi beduini, eccetera?

Sono stati di fondamentale importanza i negoziati di pace e il ruolo di giudice assegnato agli Stati Uniti d’America. Said ha letto con estrema lucidità ciò che per molti è diventata un’evidenza solamente dopo molti anni: il Processo di pace aveva il compito di dare maggiore sicurezza e terra a Israele, non di restituirla ai palestinesi

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Due Stati, uno o nessuno? – Guido Viale

Non è vero che Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente. Lo è solo nel suo ordinamento giuridico, che prevede un Parlamento elettivo e un governo eletto dal Parlamento. Ma di fatto è una repubblica razzista (“Stato ebraico”, cioè degli ebrei), militarista (armato fino ai denti, compresa l’atomica; anche se protetto dalle eventuali atomiche altrui, che ucciderebbero, insieme ai bersagli ebrei, anche milioni di arabi), che pratica apartheid e stragi (di un’organizzazione non statuale diremmo “terrorista”, come lo erano le organizzazioni armate ebraiche prima di costituirsi in Stato). L’unica vera democrazia del Medio Oriente è quella confederale del Rojava, fondata sulla convivenza di popoli, culture e religioni diverse (curdi, arabi, yazidi, sunniti, sciiti e cristiani), su un comunitarismo che si esprime nella partecipazione di tutti alla vita politica, su una cultura con una forte impronta femminista (la principale minaccia per il fondamentalismo degli Stati islamici, la cultura patriarcale e il maschilismo delle loro popolazioni).

Niente giustifica il razzismo e il militarismo di Israele. È vero che ha di fronte un’organizzazione militare che non esita a compiere stragi e un popolo i cui esponenti predicano l’eliminazione di Israele e la cacciata di tutti gli ebrei dai territori della Palestina; ma il Rojava non sembra aver meno nemici, anche molto potenti e molto violenti, che ha combattuto e combatte senza imboccare per questo una deriva analoga…

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L’equanimità dei pazzi – Richard Seymour

In risposta al conflitto a Gaza, i media internazionali hanno sistematicamente minimizzato la gravità degli eventi e hanno contribuito a creare confusione e falsità da parte di Israele. Richard Seymour analizza la ” folle equanimità dei media di fronte alla barbarie”

I.

Fin dall’inizio l’inquadramento è stato sbagliato e fuorviante. Si comincia con le piccole cose. L’attacco di Hamas nel sud di Israele, per quanto crudele e prevedibilmente brutale, non è stata un’“invasione” come è stato ampiamente riportato. Perché si tratti di un’invasione, dovrebbe esserci un confine, il che implicherebbe che esista già una soluzione a due Stati. Non ci sono due stati, ma uno stato di apartheid, in cui milioni di sudditi senza diritti sono governati, dice B’TSelem , da un regime di “supremazia ebraica dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo”.

Gaza non è uno stato-nazione.

Non è nemmeno una “prigione a cielo aperto”, come spesso si dice. Si tratta di un ghetto fortificato controllato dallo Stato di Israele e bloccato dallo Stato di Israele, che consente l’ingresso a Gaza solo di cibo sufficiente a fornire il minimo indispensabile di calorie ai residenti, e che ha sistematicamente “sviluppato” Gaza al punto in cui più della metà delle persone vive in povertà e l’ottanta per cento dipende dagli aiuti umanitari. È un regime di disperazione obbligatoria. Ecco perché Netanyahu era favorevole al finanziamento di Hamas. Questo è ciò per cui pensava di pagare. Hamas avrebbe dovuto gestire i servizi di base, risparmiando a Israele le responsabilità di una potenza occupante e concedendogli mano libera per annettere la Cisgiordania e “ trasferire ” la popolazione con i pogrom .

Gli onnipresenti riferimenti all’“invasione”, che per mero decreto lessicale cancellano dalla cronaca tanta storia recente, non sono innocenti. Durante la Marcia del Ritorno del 2018, ad esempio, gli abitanti di Gaza hanno avanzato verso la recinzione del ghetto in un atto di sfida civile contro il regime. Le squadre di cecchini israeliani li hanno abbattuti con i proiettili, uccidendone centinaia e ferendone altre migliaia. Sia la BBC che i politici di Westminster l’hanno definita “violenza al confine”. Così ha fatto la stampa internazionale, dal New York Times al Globe and Mail. In effetti, Netanyahu ha dato il tono, sostenendo che “i nostri coraggiosi soldati stanno proteggendo il confine di Israele ”. Lo scopo di affermare che esiste un confine tra Israele e Gaza è quello di eufemizzare la violenza israeliana e di rappresentare l’aggressore come impegnato nell’autodifesa.

Durante l’attacco del 7thOttobre, Israele non è stato invaso; il suo regime di ghetto crollò momentaneamente. Il fatto che i combattenti di Hamas abbiano ucciso molte centinaia di civili, alcuni in modi inconcepibilmente sadici, non cancella questo fatto ovvio. Né dà diritto a Joe Biden , al governo israeliano , ai giornalisti , alle riviste o agli editorialisti di paragonare grottescamente le loro azioni all’Olocausto. Farlo – nella piena consapevolezza della quantità enormemente maggiore di carneficina compiuta da Israele, e nella consapevolezza del suo status di potenza occupante, aggressore, portatore dell’apartheid razzista – non significa semplicemente abusare della memoria dell’Olocausto ma invertire la realtà dell’Olocausto. Significa colludere nella rappresentazione israeliana dei palestinesi come “nazisti” e di se stessi come eternamente sull’orlo dell’annientamento, contro la quale qualsiasi atrocità potrebbe essere condonata.

In aiuto di questo offuscamento, sia i politici che i media hanno fatto circolare volentieri affermazioni israeliane esplicite e false su quanto accaduto come se fossero fatti. Alla CNN, ad esempio, Sara Sidner ha riportato la notizia secondo cui Hamas avrebbe decapitato quaranta bambini nel kibbutz di Kfar Aza, nel sud di Israele. Non era la sola a farlo. Nel Regno Unito, la storia è stata riportata su The TimesThe TelegraphThe SunDaily Express e MetroJoe Biden ha persino affermato falsamente di aver visto fotografie di questo. Questa storia si è rivelata una bugia. Il governo israeliano, naturalmente, sostiene che sia “malato” discutere su questo, come se tali dettagli contassero alla luce della brutalità complessiva dell’attacco di Hamas. Se non avesse avuto importanza, però, la storia non sarebbe finita sulle prime pagine. E se una storia falsa può occupare le prime pagine con indagini apparentemente scarse o inesistenti, ciò non può essere imputato alla solita disinformazione online . Suggerisce qualcosa del clima febbrile e irrazionale del giornalismo e della credulità selettiva dei giornalisti.

Inoltre, ci lascia qualche dubbio su cosa credere. Ad esempio, la NBC News ora riporta che i documenti “ top secret ” di Hamas dimostrano che esisteva un piano risalente a anni fa per attaccare i bambini e “uccidere quante più persone possibile”. I documenti sarebbero stati trovati sui corpi dei combattenti di Hamas. È plausibile? I combattenti di Hamas con una ragionevole aspettativa di essere uccisi o catturati avrebbero portato in tasca documenti top secret? Cos’altro potrebbe essere falso?…

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DUE-UNO-ZERO – FEDERAZIONE ANARCHICA LIVORNESE

2 POPOLI, 1 TERRA, 0 STATI

Assistiamo con orrore all’aggressione delle forze armate israeliane alla popolazione civile di Gaza con attacchi continui che non lasciano scampo: a nord, a sud, negli ospedali, nelle strade percorse dai profughi, nei luoghi religiosi.
Chi condivide le scelte del governo di Israele, chi si arricchisce con il traffico di armi e le importazioni dal paese del Vicino Oriente, chi approfitta di una situazione determinata dal rifiuto, che dura da cinquantasei anni, dei governi israeliani di rispettare le risoluzioni delle Nazioni Unite,sono gli stessi che accusano di essere sostenitore di Hamas chiunque conservi un minimo di umanità e provi sdegno per le stragi compiute a Gaza.
Di questo abbiamo avuto un esempio a Livorno nelle scorse settimane. La manifestazione indetta da un’Associazione Italia-Israele, a cui hanno partecipato anche alcuni personaggi politici eredi di quelli che mandavano i cittadini Italiani accusati di essere ebrei nei campi di sterminio, ricordava per certi versi le prime manifestazioni dei Fasci di Combattimento. La questione è sempre una bandiera non esposta e per chi non concorda c’è l’aggressione e la repressione da parte di forze dell’ordine servili verso una lobby potente in città.
In tutto il mondo sono moltissime le voci di protesta contro questa guerra, voci che si alzano anche in Israele, come dimostrano i numerosi refusnik, i renitenti, i disertori, gli obiettori che mettono in discussione il ruolo delle forze armate israeliane, come dimostrano le dichiarazioni dei parenti degli ostaggi, come dimostrano le e i partecipanti alla manifestazioni, contrari alle politiche di sterminio di massa del governo Netanyahu.

L’esistenza dello Stato di Israele si è dimostrato, soprattutto a partire dal 1967, una causa di instabilità e di pericolo per i popoli vicini. Ma la nascita delle Stato palestinese non rappresenta certo la soluzione per la sicurezza di questo popolo martoriato.
La prospettiva della costruzione di uno Stato palestinese e la spartizione dei cospicui finanziamenti che arrivano sia in Cisgiordania che a Gaza stimolano la contrapposizione fra le varie fazioni che si contendono posizioni di dominio all’interno del nuovo Stato, fra cui l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e Hamas.
Lo Stato è il problema, non é la soluzione, lo stato che ha bisogno delle forze armate e delle armi; per il popolo palestinese, per quello israeliano, per tutti i popoli del mondo.
La ricerca di soluzioni per le popolazioni del Vicino Oriente e di altri contesti internazionali tormentati dalle guerre deve necessariamente tradursi anche in concrete iniziative per la pace da condurre in Italia, per contrastare l’azione del governo italiano, che ripete a pappagallo la narrazione israeliana, che asseconda e cerca di approfittare della politica di destabilizzazione internazionale portata avanti dai governi israeliani di varia estrazione, che sostiene con le armi e con l’intervento diretto l’aggressione di Netanyahu.
È significativo che in Italia le manifestazioni di protesta per l’aggressione israeliana coincidano con l’anniversario della battaglia di El Alamein, tradizionale appuntamento di nostalgici e militaristi.

Per la pace nel Vicino e nel Medio Oriente, per l’autodeterminazione dei popoli, per l’abolizione dei governi prima causa della guerra.
Fermiamo il militarismo e l’imperialismo italiano. Via il governo fascista, via il governo della fame e della guerra.

 

Con questi obiettivi parteciperemo e invitiamo a partecipare alla manifestazione del Coordinamento Antimilitarista Livornese il 4 novembre.

 

 

STIAMO NORMALIZZANDO UN GENOCIDIO? – Angelo Stefanini

…Scrivevo ad amici in Italia il 27 luglio 2002:

Il massacro di Gaza ha suscitato il vespaio che chiunque, compreso Sharon, poteva immaginare. Chi sosteneva la tesi che le bombe suicide palestinesi hanno una diversa rilevanza morale rispetto alla violenza dell’esercito israeliano (in quanto le prime colpiscono i civili mentre la seconda provoca “soltanto danni collaterali”), ora si trova costretto a meditare. Il governo israeliano, come avrete sentito o letto, si é giustificato dicendo che non aveva previsto che si verificassero morti civili. Chi vedesse l’area della città di Gaza in cui si è verificato il fatto si renderebbe conto della ridicolezza di tale affermazione. Quello che è successo è che, allo scopo di uccidere un attivista palestinese membro di Hamas, per quanto considerato pericoloso, è stato utilizzato un aereo da caccia F16 che ha sganciato una bomba di una tonnellata su un appartamento in un quartiere residenziale densamente popolato alla periferia della città di Gaza. La maggior parte delle vittime, tutte civili, si trovava nei palazzi adiacenti, tra cui uno di tre piani. L’attacco ha avuto luogo appena prima di mezzanotte quando tutti erano a letto a dormire. 15 palestinesi, tra cui più della metà bambini, sono stati uccisi, oltre 140 feriti. Come possono affermare le autorità israeliane che non si aspettavano vittime civili? 

Questa storia si sta ripetendo almeno dall’inizio della seconda Intifada nel settembre 2000: da allora palestinesi e israeliani, da entrambe le parti sono stati uccisi, la stragrande maggioranza civili disarmati. Sostenere che i primi sono morti “per sbaglio” mentre i secondi sono stati deliberatamente assassinati, ponendo così le due parti su due posizioni morali diverse, va contro sia il senso comune sia le prove a disposizione. Tutte le organizzazioni indipendenti per i diritti umani che hanno esaminato il comportamento di Israele (come Amnesty International, Human Rights Watch, B’Selem-Israele) hanno documentato un sistematico e deliberato uso della violenza contro civili palestinesi disarmati da parte dell’esercito israeliano.

Scrive il giornalista americano Chris Hedges nel suo “Diario da Gaza” pubblicato nell’ottobre 2001 sulla rivista Harper’s: “Ieri gli israeliani hanno colpito otto giovani di cui sei con meno di 18 anni. Uno ne aveva 12. Oggi pomeriggio ne hanno ammazzato uno di 11 anni, Ali Murad, e feriti seriamente altri quattro. Molti bambini sono stati uccisi nelle situazioni di guerra in cui ho lavorato – dalle squadre della morte in El Salvador e nel Guatemala, dai fondamentalisti in Algeria e dai cecchini Serbi – ma non avevo mai visto finora dei soldati attirare dei bambini in trappola come topi e poi ammazzarli, così per sport.

Allora, 20 anni fa, al mio arrivo nella Palestina occupata, come oggi che leggo inorridito quei pochi messaggi whatsapp che amici gazawi riescono a inviarmi, l’uccisione di persone innocenti da entrambe le parti è già abbastanza esasperante. Tuttavia, se tali atti sono seguiti da un’alzata di spalle collettiva e dal tetro eufemismo secondo cui le vittime rappresentano semplicemente “danni collaterali”, disumanizzandole e banalizzando le sofferenze inflitte alle loro famiglie, allora si aggiunge al danno la beffa. In Israele, l’uso del termine “danno collaterale” è diventato una sorta di giustificazione, addirittura un modo per incolpare coloro che sono stati uccisi dall’IDF semplicemente perché si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato, scagionando così i veri responsabili.

Guardandomi alle spalle nel tempo e cercando di dare una risposta agli interrogativi che mi ero posto, la vera novità che constato essere presente oggi di fronte a quanto sta succedendo a Gaza è, da una parte, la totale, acritica complicità attiva del blocco occidentale a quello che ormai si sta rivelando come reale genocidio, dall’altra, la nostra mancanza di consapevolezza dell’abisso morale in cui siamo sprofondati. Nelle parole di un’amica palestinese: “È la morte dell’umanità e della morale.”

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La strage degli innocenti: ogni 11 minuti un bambino di Gaza viene assassinato da Israele – Clara Statello

Il diritto alla difesa di Israele ha un effetto collaterale: l’olocausto dei palestinesi. Non esistono bombe abbastanza “intelligenti” da risparmiare i civili dai bombardamenti a tappeto di un’area densamente popolata come la Striscia di Gaza. Le prime vittime, manco a dirlo, sono i bambini.

“Si stanno punendo collettivamente i bambini per le azioni dei combattenti adulti”, ha dichiarato ieri ad Al Jazeera Sari Bashi, direttore del programma di Human Right Watch (HRW), sottolineando che il rifiuto di far entrare aiuti umanitari è un crimine di guerra.

I bambini formano quasi la metà della popolazione nell’enclave palestinese. Al 18 ottobre costituivano un terzo delle vittime degli attacchi israeliani, secondo i dati di una ONG palestinese citata da Al Jazeera. Per via dell’intensificarsi dei raid, il bilancio è drammaticamente aumentato. Nella sola giornata di ieri, le forze di difesa israeliane (IDF) hanno ucciso dall’alto dei cieli 305 bambini, su un totale di 704 vittime. Questo significa che ieri, nella Striscia di Gaza, è morto un bambino ogni 5 minuti. Una strage degli innocenti 2.0, mentre il mondo “libero e civilizzato” sta a guardare.

“Stiamo assistendo a un genocidio in tempo reale”, ha detto un portavoce di The Defense for Children International – Palestine (DCIP).

Mentre stamattina Gaza piange 140 morti degli intensi raid di stanotte, la maggior parte donne e bambini, il presidente francese Macron arrivava a Tel Aviv e porgeva la solidarietà per le vittime del 7 ottobre in Israele: “ciò che è accaduto non sarà mai dimenticato”, ha detto. Ciò che accade adesso a Gaza semplicemente non esiste. I massacri di bambini non trovano spazio nei messaggi di condanna, di cordoglio, viene censurato dai media e nei social network “democratici”.

Intanto il bilancio dei bombardamenti israeliani si è aggravato. Adesso il 40% delle vittime sono bambini, 2360 su un totale di 5.791 . Questo vuol dire che a Gaza ogni 11 minuti muore un bambino, 11 ogni due ore, per una media di 131 piccole vite interrotte al giorno…

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Redazione
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