Nicaragua, Covid-19 e… solidarietà

Un testo sulla sciagurata gestione della pandemia da parte dell’orteguismo

di Bái Qiú’ēn (*)

«Los pueblos han de tener una picota para quien les azuza a odios inútiles; y otra para quien no les dice a tiempo la verdad» (José Martí Pérez, Nuestra América, 1891).

«El Sandinista debe tener un auténtico espíritu crítico, ya que tal espíritu de crítica constructiva le da consistencia mayor a la unidad y contribuye a su fortalecimiento y continuidad» (Carlos Fonseca Amador, ¿Qué es un sandinista?, 1975).

Un semplice raffronto fra i dati ufficiali, per avere chiaro di cosa stiamo parlando.

31 marzo: 2 deceduti.

30 aprile: 4 deceduti.
30 maggio: 35 deceduti.

30 giugno: 83 deceduti. 31 luglio: quanti saranno?

L’elenco di pazzi scatenati, buontemponi, bugiardi patentati, inventori, megafoni acefali e apprendisti stregoni che in questi mesi hanno sproloquiato a vanvera sul Nicaragua e sulla pandemia sarebbe assai lungo, per cui ci limitiamo a un solo esempio per categoria. Cercando di scegliere i corifei più rappresentativi e utilizzando ciò che è facilmente reperibile sul web.

Sgomberiamo il campo da facili e comodi equivoci: come avviene in tutto il mondo, la destra nicaraguense utilizza qualunque occasione che le si presenta per raggiungere il proprio obiettivo. Non solo è nella logica della lotta politica, ma è un dato di fatto ed è infantile lamentarsi di ciò. Se però il Governo le dà armi a iosa e facilmente strumentalizzabili, attuando scelte politico-sanitarie quanto meno discutibili e fornendo numeri improbabili, la responsabilità di chi è? Chi dei due ne approfitta a mani basse, a livello politico?

Fra i pazzi scatenati, un posto d’onore spetta all’ex ministra della Salute, attuale consigliera della Presidenza e medico Sonia Castro, che il 19 febbraio ha dichiarato ufficialmente che nel Paese «non c’è né ci sarà mai quarantena»,neppure per gli stranieri in arrivo da Paesi con pandemia in atto. Esattamente come nei tempi antichi, quando vigeva la regola aurea: medicus non accedat nisi vocatur. Puntando con evidenza all’immunità di gregge, ma senza dirlo, per mantenere fede a un dogma assurdo, dettato da una incomprensibile e ingiustificabile decisione politica, non certo sanitaria. Se Cuba e Venezuela non si sono comportati in questo modo irresponsabile, in Nicaragua qualcuno ha scordato il giuramento di Ippocrate.

Basta ascoltare con attenzione ciò che afferma un esculapio nel video della Juventud Sandinista

¿Neumonía o Covid-19? (13 maggio): un sintomo del virus è il catarro. Ossia: la tosse grassa. In termine medico: tosse con espettorato. Nessun commento è necessario, visto che a metà maggio tutti, in tutto il mondo, sapevano benissimo qual è la sintomatologia. In fondo, c’è pure chi sostiene che la Terra è piatta come una tortilla. In compenso, chiunque sostenesse il contrario era un supuesto epidemiólogo independiente. Che lo si voglia o no, è lo stesso meccanismo utilizzato dalla de- stra populista erede di Göbbels per deviare l’attenzione su altri argomenti: non si controbattono le idee con altre idee, bensì si squalifica a livello personale chi le afferma.

Fra i buontemponi in vena di facezie, William Grigsby ha affermato che il Covid-19 è il virus dei ricchi e dei bianchi (Sin fronteras, 25 marzo). Ergo, i miserabili meticci che popolano il secondo paese più povero del continente sono immuni: ce l’hanno nel Dna, fin da prima del concepimento. Infatti, pure i sassi sanno che a Cuba sono tutti ricchi e soprattutto bianchi: per questo nell’arcipelago caraibico c’erano già 51 morti alla fine di marzo, contro i 2 del Nicaragua. Qualcuno afferma che in gringolandia i due terzi dei deceduti sono di colore, ma è certamente una bufala: è infatti provato scientificamente che solo i brokers bianchi di Wall Street si beccano il virus. I cosiddetti wasp.

Pure di fronte all’evidenza vige l’inderogabile ¡No hay marcha atrás! «Noi tireremo dritto!», disse a suo tempo un romagnolo tristemente noto in tutto il mondo, conducendo l’Italia in un baratro. Del resto, in Nicaragua sono pochissimi a conoscere il boccacesco Decameron, con i dieci ragazzi che per dieci giorni si allontanano da Firenze, in una auto-quarantena, per evitare di essere contagiati dalla Morte Nera del 1347-’52. Quasi sette secoli fa. Ma tutti noi italiani ne abbiamo quanto meno sentito parlare, sui banchi di scuola.

Fra i bugiardi patentati, il giornalista residente in Nicaragua ma d’origine uruguayana Jorge Cape- lán, che ne ha sparate di ogni tipo. Dall’elenco infinto, questa perla: «Ancora non si sa quale sarà lo sviluppo futuro della pandemia in Nicaragua» (Nicaragua y la Covid-19: El secreto mejor ocultado por los medios occidentales, 6 aprile 2020).

Nessuno possiede una magica sfera di cristallo attraverso la quale leggere ciò che accadrà. Eppure, pochi paragrafi prima cita il Protocolo de preparación y respuesta ante el riesgo de introducción del nuevo virus, redatto il 9 febbraio precedente da una Commissione interistituzionale capeggiata dal Minsa, ma opportunamente dimentica di citare ciò che è scritto a pag. 52 rispetto ai primi sei mesi di diffusione della pandemia nel Paese: «Si stima che potrebbero esservi 32.500 interessati, di cui il 75% è lieve o moderato (24.375) e il 25% grave (8.125). Se si prende come tasso di mortalità il 2,5% come riferimento rispetto alle persone colpite, potremmo avere 813 morti. I deceduti sono l’80% dei pazienti che necessitano dell’Unità di terapia intensiva [Uci], quindi si calcola che 1.016 entreranno nell’Uci».

Questa ipotesi era ed è ufficiale, ragionata e vagliata da una commissione istituita ad hoc dal Governo il 21 gennaio, non sparata a vanvera dalla locale destra picapiedra per la propria costante campagna di discredito e per dipingere il Paese come un enorme lazzaretto. Nei siti ufficiali è spes- so citata, ma in nessuno è riportata la versione integrale. Marx la chiamerebbe «falsa coscienza» e di marxisti immaginari è pieno il mondo.

Fra gli inventori di situazioni inverosimili non può mancare il giornalista nostrano Fabrizio Casari:

«La maggior quota produttiva dei nicaraguensi è legata infatti ad attività di tipo rurale e una larghissima parte della sua popolazione vive di semina, raccolto e vendita dei prodotti agricoli. Combattere il propagarsi possibile del virus con la morte certa per fame non è sembrata una via percorribile. Si sono garantite invece produzione e distribuzione dei beni fondamentali, primo fra tutti il cibo, che rappresentano la garanzia di tenuta del Paese» (Il Nicaragua resiste bene al Covid 19 e alle fake news, 17 aprile 2020).

Se nel quartiere romano dove vive, i negozi di alimentari erano tutti chiusi durante il lock-down, deve essere una eccezione unica nel panorama mondiale. Non risulta che vi sia stato un solo paese colpito dalla pandemia, occidentale o meno, che abbia impedito ai contadini di lavorare (pur fra mille problemi) e di vendere i propri prodotti, e ai consumatori di acquistarli nei piccoli negozi sotto casa o nei supermercati. Per quale recondito motivo in Nicaragua si dovrebbe impedire ai contadini di coltivare e raccogliere i propri prodotti e alla catena distributiva di venderli?

Che, in realtà, il Nostro abbia la mentalità di un redivivo Torquemada o di un Berija, per cui parafrasi in modo pedissequo e acritico l’ipse dixit pronunciato dal presidente Daniel Ortega in Tv a reti unificate nel tardo pomeriggio precedente, nulla toglie. Conferma solo il suo sfrenato e stratosferico culto della personalità, che sconfina pericolosamente nell’idolatria, facendo rientrare dalla finestra quell’autoritarismo ben descritto da Marcuse e che per la sinistra europea si presumeva cacciato per sempre dalla porta principale dopo la destalinizzazione e ancor più dopo il ‘68 e il ‘77. Per non parlare del più recente movimento no-global, volutamente senza capi a dettare la linea.

Fra i megafoni acefali, il giornalista irlandese Stephen Sefton, residente in Nicaragua: «Durante l’intensa campagna educativa volta a prevenire la diffusione del virus, le principali misure evidenziate dal Governo sono state l’importanza di lavarsi accuratamente le mani per almeno 20 secondi con acqua e sapone e di fare attenzione quando si starnutisce o si tossisce per evitare di infettare altre persone» (Nicaragua y la Covid-19, 29 marzo 2020). Lo stesso 29 marzo, i morti ufficiali per Covid-19 erano due.

Nessuna ulteriore indicazione da parte delle autorità sanitarie nicaraguensi: nulla su mascherine, di- stanziamento sociale e assembramenti, assolutamente esclusi dalle misure preventive fino alla fine di aprile, quando finalmente sono state consigliate all’intera popolazione. Eccettuato il susseguirsi di manifestazioni culturali, sportive, turistiche e politiche sino alla fine di giugno et ultra, sicuri fo- colai di trasmissione del virus. Esattamente come fu nel giugno del 1630, dopo la processione religiosa voluta dall’arcivescovo Borromeo a Milano, per chiedere l’intervento divino di far cessare la peste (è storia, non romanzo manzoniano).

La questione degli asintomatici non ha sfiorato minimamente il cervello di chi ha deciso una simile scelta politico-sanitaria. Per quale motivo il Nicaragua dovrebbe fare eccezione? Per pura e semplice gratia Dei?

Sì, per gratia Dei. Per difendersi dal contagio, era infatti sufficiente invocare le forze soprannaturali e ottenere la loro divina protezione, secondo le indicazioni quotidiane della vicepresidente- moglie. Si dice che la fede muova le montagne. In questo caso, si tratta di montagne di spropositi che con la medicina e la salute pubblica nulla hanno a che vedere. E neppure con la fede vera, essendo paganesimo a tutti gli effetti.

Per essere chiari, stiamo parlando di un Paese che nel 2019 ha visto come prima causa di ricoveri la polmonite (32.632), alla quale segue l’infezione acuta alle vie respiratorie (11.449). Che ha 26.534 malati cronici di asma bronchiale e 15.908 di cardiopatie. Senza contare i diabetici (84.846) e gli ipertesi cardiaci (170.881). Dati del Minsa: Mapa nacional de la salud en Nicaragua. Tutte patologie che contribuiscono alla letalità del virus.

Guarda caso, in questi mesi sono aumentati in modo esponenziale i decessi ufficialmente catalogati come polmoniti atipiche (tranne rarissime eccezioni, meno letali di quelle normali, come qualunque medico può confermare). Lo ha dichiarato il presidente Ortega, nel discorso televisivo del 18 maggio, raffrontando i decessi nel periodo 1° gennaio-15 maggio 2019 (222) con quelli dello stesso periodo nel 2020 (309), con un incremento del 39% (+87).

Fra gli apprendisti stregoni di goethiana memoria possiamo annoverare il biologo e antropologo nicaraguense Jorge Jenkins Molieri, il quale sostiene che «Lo stile di vita nel Paese si sviluppa attorno a spazi orizzontali, dove prevale la separazione delle abitazioni. Molto diverso è il caso di Panamá, il paese più colpito della nostra regione. Lì è assai comune la vita in appartamenti dove il contagio è più facile» (Covid-19: la singular estrategia de Nicaragua, 8 aprile 1920).

Possiamo pure ignorare la sua convinzione che i nostri appartamenti siano comunicanti e le varie famiglie dello stesso piano abitino in un unico open space o in una comune, ma le comunità degli indios Kuna dell’arcipelago di San Blas sono state contagiate nella stessa percentuale di chi vive a Panamá City. Per non dire di talune popolazioni indigene dell’Amazzonia, contagiate e con parecchi indios deceduti? Come tutti sanno, vivono in enormi edifici nella foresta tropicale, attaccati l’uno all’altro e open spaces… ma soprattutto sono ricchi e bianchi.

L’autore non è sfiorato neppure un attimo dal ridicolo della sua affermazione totalmente illogica prima ancora che a-scientifica, con buona pace della geometria euclidea e della novacula Occami: le abitazioni, pur sviluppandosi a livello orizzontale, anziché verticale, sono comunque attaccate l’una all’altra, senza soluzione di continuità e formano i classici isolati (cuadras) spesso lunghi centinaia di metri. Nessuna differenza sostanziale con i condomini panamensi e occidentali, se non per la diversa disposizione direzionale.

Last but not least, ma primo per il ruolo che ricopre e perciò inclassificabile in qualsiasi categoria precedente, se non in quella del Deus quos vult perdere dementat prius, il presidente Ortega che, dopo alcune fantasticherie pronunciate il 16 aprile nelle quali privilegiava la questione economico- produttiva su quella della salute di un popolo (papa Francesco avrebbe da ridire), il successivo 30 aprile riesce a dichiarare: «Se diciamo alla gente di stare a casa, chi fumigherà? Se diciamo di stare a casa, quale infermiera lavorerà? Nessuna. Tu hai questo diritto, se ci rimani tu, ci resterò anch’io. Quale medico lavorerà, quale poliziotto lavorerà, quale soldato lavorerà. Per questo io vi dico che così si distrugge il Paese». Chissà perché torna in mente: «In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita» (Giovanni 6:47-48)? Ite, Missa est.

In quale paese colpito dalla pandemia infermieri, medici, poliziotti e militari sono stati obbligati a restare a casa? Anzi, proprio i medici e gli infermieri erano e sono in prima linea, facendo turni massacranti negli ospedali e pagando un prezzo altissimo per questo loro impegno. Mentre gli agenti e i militari sono stati e sono impegnati nel controllo sul territorio del rispetto delle regole, dure finché si vuole e sulle quali si può discutere e opinare. Se facciamo eccezione per il generale Pappalardo e i suoi scherani, nel nostro Paese nessuno può affermare il contrario.

Oltretutto, il comandante Ortega riesce a spacciare l’isolamento forzato come un diritto, mentre si tratta di una draconiana misura preventiva che, assieme alle altre, ha contribuito al rallentamento e in taluni casi al blocco dei contagi. Quindi, al ritorno a una quasi normalità, qualunque cosa questo termine significhi e sul quale è lecito discutere, ma nessuno vuole restare confinato in casa per l’eternità. In attesa che una benevola divinità incorporea veda e provveda, sia essa Zeus, Api, Ometecuhtli, Pachamama, Yahweh o Allah. Un dio sotto le vesti di vaccino non si era ancora visto!

Per concludere il panorama, se non fosse tragica la situazione effettiva, si potrebbe considerare una lunga barzelletta il documento della Presidenza della Repubblica Al pueblo de Nicaragua y al mundo (Informe sobre el Covid-19 y una estrategia singular), del 25 maggio. Che cita il già ricordato Protocolo de preparación ecc., riconoscendolo ufficialmente, ma senza fare riferimento alla pag. 52.

Questo Informe è un puro e semplice riassunto di tutte le fantasticherie raccontate nelle settimane precedenti, con l’aggiunta di un parallelo che sta solo nella mente di qualcuno: «Il Nicaragua e la Svezia rappresentano alternative al lockdown totale in un paese in via di sviluppo e in uno sviluppato» (p. 14). Come se fosse possibile raffrontare il secondo Paese più povero del continente americano con uno dei più sviluppati al mondo, che comunque ha applicato alcune norme restrittive del tutto ignorate in Nicaragua. No es tan chiche chiflar y comer pinol. Non si dice, peraltro, che su dieci milioni di svedesi, alla fine di maggio i deceduti erano 4.500, non solo più dei cinesi (che hanno una popolazione un tantino superiore), ma con il tasso di mortalità più alto nel mondo. Mentre a Cuba, con più abitanti della Svezia e l’applicazione immediata di drastiche misure preventive, compresa la sospensione delle manifestazioni per la festa dei lavoratori, sempre a fine maggio i deceduti erano 83. Oltre alla rapida chiusura del turismo, fonte essenziale di entrate economiche del Paese (il 40%): la vita di un popolo viene prima di tutto. Differenza più che evidente, persino al classico cieco che non vuol vedere.

***

Tutte queste follie propagandistiche, vere e proprie eresie ideologico-sanitarie, senza rapporto alcuno con la realtà e con la verità, ossia con ciò che si chiama corretta informazione, sono state accettate come oro colato e ripetute dal coordinamento dell’Associazione Italia-Nicaragua, senza alcuno spunto critico, né alcuna parvenza di dubbio. Perinde ac cadaver, direbbe un gesuita dell’Ottocento. Sostenendo e osannando al contempo qualunque eresia ideologica della dirigenza politica in Nicaragua, fino a occultare che il 19 luglio 2019 dal palco per il 40° anniversario della Rivoluzione popolare sandinista ha parlato Ralph Drollinger il predicatore nazi-evangelico di Trump e di Pence (Casari era su quel palco), ma condannando senza attenuanti qualunque pensiero no embedded in Italia e nel mondo, catalogandolo come fiancheggiatore dei golpisti, quando non assoldato dalla Cia. Coerenza veramente esemplare, non c’è che dire. Lontana millenni luce dall’agostiniano si enim fallor, sum.

E, al tempo stesso, accusando di terrorismo chiunque proponeva concrete misure atte a impedire o a limitare il contagio e la sua diffusione, definiti uccelli di malaugurio da vari rappresentanti governativi. E usando la teoria del tradimento, con annesse accuse di falsa sinistra e di malafede, nei confronti di qualunque espressione di dissenso dalla versione ufficiale. Con immediata condanna al rogo o al gulag (Fabrizio Casari, Nicaragua, il virus del golpismo, 2 giugno 2020).

Per quanto questo atteggiamento tertullianesco del credo quia absurdum possa essere assunto in buona fede, come capitava agli affezionati lettori di Realtà Sovietica, e facendo proprio l’assurdo concetto cristocentrico del «Qui non est mecum, contra me est» (Matteo 12:30), ripreso in seguito

dal romagnolo di cui sopra («O con me, o contro di me»), è indubbio che conduca inevitabilmente alla consunzione dello spirito che deve animare la solidarietà, rischiando concretamente di finire come il manzoniano don Ferrante, che negò l’esistenza del bacillo della peste e morì per una causa da lui ritenuta inesistente.

Dopo la pars destruens, veniamo alla necessaria pars constuens. Cosa ostava poter dire fin dall’inizio al Governo nicaraguense: avete la fortuna di non essere colpiti in modo feroce dalla pandemia, come sta succedendo da noi. Finché siete in tempo, pónganse las pilas e fate il possibile per evitarne la diffusione, con tutte le misure preventive applicabili senza bloccare il Paese con un ferreo lock-down, ma limitando al massimo le possibilità di contagio: approfittate di questa contingenza favorevole con mascherine, distanziamento interpersonale e divieto di assembramenti. Misure che non costano un centavo partido por la mitad e non incidono minimamente sull’apparato produttivo, sull’economia o sul commercio. Invece, era più che sufficiente lavarsi spesso le mani e non tossire in faccia agli altri, azioni fondamentali, ma da sole non sufficienti. E, al tempo stesso, propagandare il sistema sanitario pubblico come il migliore del mondo, anzi dell’universo noto e ignoto. Migliore persino di quello cubano, per cui lo si è osannato con bombo y platillo sia all’interno del Paese sia all’estero, senza pensare che se ciò fosse non ci sarebbero decine di clini- che e ospedali privati.

La solidarietà non è carità né pietosa elemosina: essendo la ternura de los pueblos (de los pueblos!) è anche e soprattutto un rapporto paritario fra chi la fa e chi la riceve, fatta di idee e di opinioni che si confrontano e, se necessario, si scontrano. Oggi come oggi, il ruolo fattivo e propositivo è esprimere il proprio punto di vista critico, quando è il caso. Proponendo concrete alternative e divenendo un coefficiente attivo del progresso del Paese, non un puro e semplice megafono che spaccia la propaganda come fosse informazione o, addirittura, controinformazione. La solidarietà in questo terzo millennio deve forzatamente assumere un volto diverso, attivo-propositivo, se vuole ancora avere un ruolo e una funzione. Per non ridursi a mera testimonianza di irriducibili puri e duri del frangar no flectar, ridotti a una pseudo-risorgimentale e insignificante «vendita di carbone».

(*) il testo è stato scritto nel mese di luglio. Bái Qiú’ēn era il nome cinese di Norman Bethune

Redazione
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