Nicaragua: Daniel Ortega e il tramposo
L’inaspettato endorsement dell’orteguismo per Trump pur senza mai nominarlo.
di Bái Qiú’ēn
Illusione, dolce chimera sei tu che fai sognare in un mondo di rose tutta la vita. (Signora illusione, 1940)
«Salutiamo il popolo degli Stati Uniti d’America, che ha condotto una nuova campagna elettorale parlando apertamente delle proprie aspirazioni e necessità nella vita quotidiana e delle questioni scottanti che lo affliggono e che affliggono l’intera comunità umana».
Parole di Netanyahu? Di Orban? Di Salvini, Le Pen o Abascal?
NO! Così inizia il messaggio che il Buon Governo del Nicaragua ha inviato al popolo statunitense il giorno successivo al trionfo elettorale di Trump, senza minimamente nominarlo. Questo testo di sei paragrafi assai superficiali e generici non è sottoscritto direttamente da Daniel e neppure da Rosario, per quanto lo “stile letterario” sia chiaramente quello della vicepresidente.
A parte il logico sospetto che questo “Saluto” sia stato redatto prima del risultato elettorale (quando ancora si parlava di un “testa a testa”) e, quindi, volutamente “adatto” a qualsiasi vincitore tra i due candidati, in almeno un paio di occasioni negli anni scorsi lo stesso Daniel aveva osannato coloro che presero d’assalto il Campidoglio a Washington e da tempo facilita il passaggio attraverso il territorio nicaraguense non solo di latinoamericani ma pure di africani e asiatici che premono sulla frontiera Sud degli USA, facendo il gioco di Trump sulla questione epocale dell’emigrazione. Se si tengono in considerazione questi due fatti, a tutti gli effetti il Buon Governo del Nicaragua è stato un “grande elettore” del 47° presidente (che entrerà in carica il prossimo 20 gennaio 2025).
Per quanto nel messaggio non compaia il nome di Trump (e neppure quello di Harris), risulta evidente la preferenza di Daniel e Rosario per il primo. Si tratta pertanto di un comunicato ufficialmente diretto al popolo statunitense che “tradotto” dalla Neolingua è niente altro che parlare a nuora perché suocera intenda. Qualcuno la potrebbe considerare come una mossa pragmatica, tendente a privilegiare un risultato concreto più che affermare dei princìpi.
Non è la cosa più semplice del mondo comprendere le ragioni politiche di questa scelta, ma di certo è importante per Daniel e Rosario la visione isolazionista e non interventista di Trump, che da gennaio è destinato a detenere un potere assoluto. Inoltre pare loro lecito aspettarsi una qualsiasi forma di ringraziamento per l’aiuto datogli in questi anni nella sua battaglia contro Biden: se si farà gli affari suoi nel suo Paese, come ha più volte dichiarato, e non si immischierà nelle questioni interne degli altri, noi avremo le mani più libere per fare ciò che vogliamo. Questo retropensiero avrebbe una sua logica, per quanto incomprensibile e folle. Del resto già lo psichiatra André Breton affermò circa un secolo fa che la verità della pazzia l’hanno soltanto i pazzi.
Che siano democratici o repubblicani i presidenti gringos, la storia insegna che l’America Centrale è e resta il cortile di dietro degli Stati Uniti. Daniel e Rosario scordano volutamente che nel corso della campagna elettorale Trump ha più volte assicurato che attuerà una severa politica estera nei confronti di quelli che considera governi autoritari.
Per valutare quanto sia assurdo il retropensiero ortego-chayista non importa elencare la lista infinita di interventi di vario tipo (militari, economici, politici) che si sono succeduti nel corso dei secoli: è sufficiente riflettere sulle sanzioni ad personam o dirette contro una serie di istituzioni applicate dopo la repressione delle proteste del 2018. Era o non era Trump il presidente all’epoca? Era o non era Trump colui che affermava che il Nicaragua orteguista rappresentava una «minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza nazionale e la politica estera degli USA»? Era o non era Trump il presidente quando fu approvato il famigerato Nica Act che impedisce agli organismi internazionali di concedere prestiti al governo di Daniel e Rosario?
Quale ringraziamento si aspettano oggi Daniel e Rosario da un Trump sempre più incattivito e vendicativo? Che si dimentichi del Nicaragua e cancelli queste sanzioni ad personam che non incidono minimamente sulla vita del popolo nicaraguense, ma solo su chi occupa posizioni di potere?
«America first» è uno slogan che Trump ha rispolverato e aggiornato, ma nacque nella seconda metà dell’Ottocento. Non a caso, fu utilizzata sia da repubblicani sia da democratici, indifferentemente e a seconda delle contingenze. Negli anni Venti del Novecento se ne appropriò il Ku Klux Klan e non a caso oggi appartiene ai suprematisti bianchi.
La scarsa memoria storica di Daniel e della Chayo è abissale: il generale Sandino combatté contro le truppe inviate in Nicaragua dal presidente repubblicano Calvin Coolidge, il cui slogan era (grosso modo): «Gli affari dell’America [leggasi: degli USA] sono gli affari». Un altro modo per ribadire il concetto di «America first». A Coolodge seguì il repubblicano Herbert Hoover che, a conclusione della campagna elettorale del 1928 pronunciò il famoso «discorso sull’individualismo», sostenendo che i problemi della vita sociale ed economica statunitense dovessero essere risolti all’interno del modello economico dell’individualismo statunitense. Altra forma di isolazionismo che non impedì allo stesso Hoover di dichiarare «fuorilegge» Sandino e di mantenere i marines in Nicaragua fino al 1933.
Non essendo l’America latina una sua priorità, nel corso del suo primo mandato Trump decise di delegare agli esuli nicaraguensi le decisioni politiche della sua amministrazione relative al Nicaragua. È possibile pensare che in questo secondo mandato si comporterà in modo diverso? Non a caso gli oppositori di destra hanno già affermato che «Il deciso sostegno della nuova amministrazione sarà fondamentale nella lotta contro i regimi dittatoriali come quello di Ortega-Murillo in Nicaragua».
A parte il fatto che le priorità di politica estera siano l’Ucraina e il Medio Oriente, Trump ascolterà gli oppositori esuli o resterà stupito dalla fantasticheria di Rosario che nello stesso messaggio al popolo statunitense si mostra del tutto fuori dalla realtà quando afferma: «camminiamo già in un altro Mondo, che conosciamo e rendiamo possibile».
Credere che il neo-isolazionismo professato da Trump possa corrispondere a un disinteressamento nei confronti della coppia reale del Nicaragua non è solo illusione, ma follia allo stato puro. Vero o falso che sia (comunque verosimile) l’oppositore esiliato Félix Maradiaga ha già reso noto che alcuni collaboratori di Trump lo hanno contattato via telefonica per incontrarsi e discutere con gli oppositori nicaraguensi che attualmente vivono negli Yunais.
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Se, come ripetutamente dichiarato, Trump espellerà tutti gli immigrati, che fine faranno i 536.632 nicaraguensi che sono entrati negli USA dal 2021 a oggi (secondo le cifre ufficiali)? Che fine faranno tutti coloro che, in un modo o nell’altro, riescono a inviare ai familiari rimasti in Nicaragua un po’ di dollari tutti i mesi, necessari non soltanto alla sopravvivenza quotidiana di molte persone ma indispensabili all’economia del Paese?
Già questo dovrebbe preoccupare seriamente la coppia reale: stando ai dati forniti dal Banco Central, nel 2016 le rimesse degli emigrati negli USA erano 769 milioni di dollari e nei primi nove mesi del 2024 hanno abbondantemente superato la cifra stratosferica di 3 miliardi di dollari. È un importo di tutto rispetto in relazione al Prodotto interno lordo (che nel 2023 era di 17 miliardi di dollari).
E se quel mezzo milione di emigrati decidesse di rientrare in Nicaragua, trovandosi a camminare il quel Mondo che ben conoscono e dal quale sono fuggiti negli anni scorsi, dove è più facile vincere el gordo alla lotteria che trovare un lavoro che non sia informale?
E se il popolo nicaraguense esternasse nuovamente le «proprie aspirazioni e necessità nella vita quotidiana e delle questioni scottanti che lo affliggono»?