Nicaragua e Cina Popolare: noterelle senza pretese
A proposito della scelta del Nicaragua di riprendere le relazioni diplomatiche con la Cina e romperle con Taiwan.
di Bái Qiú’ēn
Non conta il colore del gatto, conta che acchiappi il topo.
K’ung-fu-tzu (Confucio)
Non importa se un gatto è bianco o nero, finché cattura i topi.
Deng Xiaoping
Una breve cronologia a cavallo degli ultimi due mesi dell’anno, per non perdersi nei recenti avvenimenti di politica internazionale del Nicaragua:
11 novembre: la sindaca di Managua, Reyna Rueda, concede all’ambasciatore Chin-Mu Wu e alla sua consorte Chun-Chiao Wu Liu le chiavi della città, dichiarandolo «ospite distinto».
12 novembre: l’ambasciatore informa la stampa che la settimana successiva si concluderà il suo incarico diplomatico e la sua attività lavorativa, dopo 42 anni di servizio. A Managua è stato in carica due volte: dal 2007 al 2011 e dal 2017 al 2021.
15 novembre: il ministro degli Esteri Denis Moncada a nome del governo nicaraguense gli concede l’«Orden José de Marcoleta en Grado de Gran Cruz», la massima onorificenza per uno straniero.
23 novembre: Yueh-Jung Lee subentra a Chin-Mu Wu come ambasciatore di Taiwan a Managua.
5 dicembre: su proposta del comandante Daniel, i deputati all’Asamblea Nacional concedono la nazionalità all’ambasciatore Chin-Mu Wu e alla sua consorte Chun-Chiao Wu Liu.
10 dicembre: nella città di Tientsin è firmato il comunicato congiunto tra il governo della Repubblica Popolare Cinese e quello del Nicaragua sul ristabilimento delle relazioni diplomatiche. Il giorno precedente Moncada aveva dichiarato pubblicamente «di riconoscere che esiste una sola Cina al mondo […] e Taiwan è una parte inalienabile del territorio cinese».
10 dicembre: Wang Jing, l’impresario di Hong Kong che doveva costruire il chimerico Canale interoceanico con la impresa mista nica-taiwanese HKND Group registrata alle isole Caymans, saluta con gioia il cambio di alleanze.
14 dicembre: con carattere di urgenza, Daniel invia alla Asamblea Nacional una legge che prevede derogare (cessare) il Trattato di libero commercio in vigore dal dicembre del 2006 e tutti i successivi accordi economico-commerciali con Taiwan. Senza discussioni e con ottanta voti è immediatamente approvata.
15 dicembre: il governo nicaraguense dà tempo ai diplomatici taiwanesi fino al 23 dicembre per andarsene dal Paese. Il governo di Taiwan replica con la stessa data per i diplomatici nicaraguensi. La prassi internazionale vorrebbe che il tempo minimo fosse di un mese, prorogabile in caso di necessità.
È indubbio che il peso politico ed economico della Cina Popolare sia infinitamente maggiore rispetto a quello di Taiwan. Per il momento, però, Pechino si è limitata a donare duecentomila dosi di vaccino Sinopharm contro il Covid-19 (che dovrebbero diventare un milione entro breve). Puro gesto simbolico, a nostro parere.
La Cina Popolare non dovrebbe avere problemi a sostituire Taiwan nelle donazioni. In fondo si tratta solo di 27,9 milioni di dollari all’anno, stando ai dati del Banco Central (oltre la metà del totale ricevuto nel 2020: quasi 46,8 milioni di dollari). La donazione più recente è stata il 3 dicembre, una settimana prima della rottura delle relazioni e quando erano ormai in dirittura di arrivo le pratiche segrete con la Cina Popolare: ben 960mila dollari in sostegno della colazione scolastica. Per un colosso economico come Pechino, una trentina di milioni di dollari equivale a offrire un caffè a un amico.
Intanto, però, una ambasciata è chiusa e l’altra deve ancora aprire. Chissà se nello stesso edificio?
È possibile che possa essere una risposta preventiva alla possibile espulsione del Nicaragua dal Trattato di libero commercio DR-Cafta, come è previsto dalla legge denominata «Renacer». Resta comunque il fatto che mentre le relazioni commerciali con Taiwan sono state bruscamente interrotte, quelle con Pechino non esistono ancora, mancando la stesura e la sottoscrizione dei trattati. Per quanto rapidamente potranno essere resi operativi, il Nicaragua sta vivendo una sorta di limbo volontario. Esattamente come la rinuncia isolazionista a far parte della Oea, per evitare l’isolamento. La logica appartiene a un altro mondo.
A livello di numeri, nel 2020 il Nicaragua aveva esportato a Taiwan 143,5 milioni di dollari di prodotti, soprattutto frutti di mare, carne bovina e caffè: ben 64 milioni di dollari solo per i gamberi. Mentre le importazioni equivalevano a 22,8 milioni di dollari. Con un notevole saldo positivo nella bilancia bilaterale dei pagamenti fra i due Paesi. Stando ai dati forniti dal Ministerio de Fomento, Industria y Comercio, come partner commerciale Taiwan era al quinto posto (dopo Stati Uniti, Messico, Centro America e Unione Europea).
Non siamo degli esperti economisti, ma su un valore di oltre 5.000 milioni di dollari di esportazioni, 143,5 milioni non ci pare una quota rilevante. Ma a chi venderanno nel 2022 i prodotti destinati a Taiwan?
Che l’interruzione dei rapporti commerciali sia una scelta politica è indubbio: pur non avendo rapporti diplomatici, dal 2007 El Salvador mantiene in vigore il trattato di libero commercio con Taiwan (non cancellato dal Fmln quando vinse le elezioni due anni dopo).
Un’altra questione strettamente legata ai rapporti economico-commerciali è quella delle zone franche (maquilas): su 188 imprese solamente tre sono a capitale taiwanese (Formosa Textil, Chinas Unidas e Huelcham) e su quasi 130mila lavoratori in totale danno lavoro a sole 2.800 persone.
Il loro commercio è essenzialmente diretto verso il mercato degli Stati Uniti e se dopo oltre venti anni dovessero cessare le attività a causa del «Renacer Act» e della rottura delle relazioni diplomatiche, l’impatto sarebbe comunque trascurabile. Se non stessimo parlando di un Paese che è il secondo più povero del continente.
A tutti gli effetti, se sommiamo la perdita delle esportazioni, per quanto temporanea, a un discreto numero di possibili disoccupati a media o a lunga scadenza, qualche problema potrebbe presentarsi.
Un aspetto mai tenuto in considerazione è che vi sono pure un buon numero di taiwanesi che, nel corso degli ultimi anni, hanno acquistato parecchie attività nel Mercado Oriental. Entrando a tutti gli effetti nell’ingranaggio del commercio interno. E in un Paese nel quale le leggi sono fatte per essere violate dalle stesse istituzioni, non è detto che possano continuare tranquilli il loro mestiere.
Non sappiamo esattamente quanti taiwanesi siano residenti in Nicaragua, ma adesso dovranno recarsi alla loro ambasciata in Guatemala o in Honduras (ammesso che la neo eletta Xiomara Castro mantenga ancora i rapporti con Taiwan) per poter sbrigare qualsiasi pratica sia migratoria o di altro genere. Non è garantito che siano disposti a farlo vita natural durante. Ma questa è una questione esclusivamente personale, che ci interessa solo per elencare le problematiche.
Ultimo, ma non ultimo per importanza: nel Banco interamericano de integración económica (Bcie) gli Stati Uniti non hanno voce in capitolo e negli ultimi anni ha prestato svariate centinaia di milioni al Nicaragua. Uno dei soci è Taiwan, con una forte presenza azionistica e un corrispettivo peso decisionale. Il voltafaccia diplomatico e commerciale non è detto che non abbia serie conseguenze nel prossimo futuro.
Esistono accordi fra il Bcie e la Oea in tema di sviluppo dei programmi di cooperazione. E il combinato disposto tra cambio delle relazioni diplomatiche e uscita dalla Oea potrebbe vedere la chiusura o il ridimensionamento dei rubinetti dei finanziamenti al Nicaragua. Il prestito di 382,6 milioni di dollari concesso il 14 dicembre potrebbe essere uno degli ultimi (in totale il Nicaragua ha ricevuto 2.671,6 milioni di dollari dal 2017 a oggi).
Vorremmo concludere con una dichiarazione di parte: l’attuale Cina Popolare non ci piace granché, ma ancora meno ci sentiamo vicini a Taiwan. Però, dato che il «compito di dire sul muso a tanta illustre gente dure ed amare verità, di sorpassare il coro delle voci plaudenti con la nostra, indicante senza tregua contraddizioni e sciocchezze, è generalmente grato al nostro spirito» (Antonio Gramsci, 11 gennaio 1916), vediamo la reazione a caldo del megafono de Roma.
Appena saputa la notizia del cambio diplomatico, l’Innominabile allegramente aveva scritto: «Sorprendendo non poco la comunità internazionale, il Nicaragua ha deciso di riallacciare al massimo livello i rapporti diplomatici con la Cina e, di conseguenza, rompere i rapporti diplomatici con Taiwan, che sono stati sempre di natura commerciale, mai politica» («Managua-Pechino, la nuova rotta», 11 dicembre 2021). Chissà cosa intende per «mai politica»? Già la scelta di intrattenere relazioni diplomatiche con un Paese e non con un altro è una scelta politica. Esattamente come decidere chi consideriamo un amico e chi no.
Ma il Nostro non sa, o finge di non sapere, che la diplomazia fa parte della politica estera di qualsiasi Paese, ossia delle scelte strategiche conformi ai propri interessi interni ed esterni. Non solo, ma la instaurazione di un rapporto diplomatico non è obbligatorio, bensì oggetto di libera scelta degli Stati. E con ciò, volutamente o meno, l’Innominabile inganna se steso e i suoi assidui lettori.
Il ripristino delle relazioni con Taiwan risale agli anni del governo di Violeta Barrios de Chamorro. In precedenza, la Rivoluzione popolare sandinista aveva politicamente scelto di interrompere i rapporti con un Paese che sosteneva la dittatura somozista. Tornato al potere, Daniel avrebbe potuto fare la stessa cosa. Però, non doveva irritare gli Stati Uniti, anche se scontentava i sostenitori: sarebbe interessante ripercorrere la storia delle relazioni politiche, economiche, militari ecc. della segunda etapa de la Revolución con Washington. Ne uscirebbe un quadro non certamente coerente con la retorica e a demagogia dei discorsi ufficiali. Ma basta ricordare che il 19 luglio 2019 dal palco del quarantesimo anniversario parlò Ralph Drollinger il predicatore nazi-evangelico di Trump. Invitato da Daniel. E su quel palco c’era pure l’Innominabile, però non ha mai scritto una riga su questa stranezza (chiamiamola così, per carità di Patria).
Tralasciamo la scarsa conoscenza delle ideologie politiche da parte dell’Innominabile: per quanto con differenze anche sostanziali, sia la visione liberale (Adam Smith) sia la visione social-comunista (Karl Marx) sono accomunate dall’idea di fondo che la politica dipenda dalla economia. Forse, non ha mai sentito parlare di struttura e di sovrastruttura. Ci è venuta la voglia di suggerirgli la lettura di qualche testo, ma è assai probabile che sia tempo perso.
In ogni caso, senza rendersi conto della palese contraddizione con se stesso e con la propria visione dogmatico-settaria, poche righe dopo afferma che «Con la chiusura delle relazioni con Managua, Taiwan perde anche l’ultimo lembo di associazione politico-commerciale con l’America Centrale». Chissà cosa intende con «associazione politico-commerciale»?
«Ah saperlo, saperlo!» diceva un tormentone di Quelli della notte.