Nicaragua: la neolingua dell’orteguismo…
… ovvero le ceneri di Sandino.
di Bái Qiú’ēn
La Rivoluzione è come Saturno: divora i suoi figli. (Pierre Victurnien Vergniaud, 1793)
Chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo. (lapide all’ingresso del lager di Dachau)
Se tutti i documenti raccontavano la stessa favola, ecco che la menzogna diventava un fatto storico, quindi vera. (George Orwell, 1984)
Nelle biografie di Sandino circolanti in Nicaragua è assai difficile reperire informazioni esaustive in relazione alla sua formazione politica giovanile. Eppure è da quel periodo che occorre partire per comprendere sia la sua lotta armata dal 1927 al 1933 (la prima guerra di guerriglia nel continente latinoamericano) sia la trasfigurazione orteguista che lo ha in buona sostanza assassinato per la seconda volta.
Nel 1921, a ventisei anni d’età, fuggì dal paesello natio (Niquinohomo) a causa del ferimento di un suo coetaneo per questioni di cuore. Andò prima sulla Costa Atlantica, poi in Honduras e in Guatemala (1923), infine in Messico, a Vera Cruz e poi a Tampico, lavorando per circa tre anni come meccanico presso una compagnia petrolifera. I lavoratori delle compagnie petrolifere erano all’epoca i più organizzati e combattivi di tutta la classe operaia messicana e in quel Paese ancora in rivoluzione Sandino entrò in contatto con la massoneria oltre che con i gruppi anarchici e comunisti.
Un testo fondamentale per la propria visione politica fu la Costituzione messicana del 1917, nella quale erano sanciti i diritti dei lavoratori ma soprattutto un forte antimperialismo politico-economico e culturale. In campo artistico-culturale il personaggio senza dubbio fondamentale per il Messico di quel periodo fu lo scrittore e filosofo José Vasconcelos Calderón, ministro della Pubblica Istruzione dal 1921 al 1924. Originario di Oaxaca, terra degli zapotecas, unica popolazione precolombiana che utilizzava la parola «arte» con il senso che le diamo oggi. Non a caso Vasconcelos fu il sostenitore del muralismo e in gioventù sostenne il Partido Antireeleccionista (che aveva lo slogan: «Sufragio Efectivo, No Reelección»), quando governava il dittatore Porfirio Díaz, il quale modificò la Costituzione per poter essere rieletto, restando al potere fino al 1910.
Più ancora Sandino fu influenzato dalle idee dell’anarchico Ricardo Flores Magón che nel 1906 aveva fondato il Partito Liberale Messicano, pure questo contrario alla rielezione, oltre a richiedere l’istituzione di un salario minimo e di un orario di lavoro “decente”, l’espropriazione dei latifondi e l’educazione gratuita fino ai 14 anni. Propugnò l’abolizione dello Stato e della proprietà privata, oltre a sostenere la lotta di Emiliano Zapata, pur criticandone alcune posizioni.
Quando rientrò in Nicaragua, Sandino aveva già una formazione ideale classista, da appartenente alla classe operaia: «Sono un lavoratore della città, un “artesano” come si dice in questo Paese, ma il mio ideale risiede in un orizzonte ampio di internazionalismo, nel diritto ad essere liberi e ad esigere giustizia, anche se per raggiungere quello stato di perfezione è necessario riversare il proprio e l’altrui sangue. Gli oligarchi, ovvero le oche nel pantano, diranno che sono un plebeo. Non importa: il mio più grande onore è emergere dal seno degli oppressi, che sono l’anima e il nervo della razza [indo-ispana]».
Il contenuto già antistatunitense e antioligarchico del pensiero di Sandino si espresse a partire dal maggio 1927 dopo la firma del compromesso tra il Partito Liberale (José María Moncada) e i marines nordamericani con il vergognoso patto dell’Espino Negro. Dall’analisi complessiva del succitato Manifiesto de San Albino (luglio 1927) emerge la chiara influenza della Rivoluzione messicana nei suoi aspetti culturali, nazionalisti e anarco-sindacalisti. Per lui, il concetto di «Patria» è ciò che unisce non solo gli strati nazionali ma anche sociali: riteneva che non potessero esistere una vera Patria e un vero patriottismo se non fondati su quella libertà che riguarda il territorio, la Nazione, la società e la persona. In poche parole: né socialismo senza libertà, né libertà senza socialismo. Due concetti fusi organicamente e inseparabili nel progetto di costruzione di un nuovo sistema socio-politico.
Lo stesso Sandino si autodefiniva «comunista razionalista»: non ignorava le dinamiche della lotta di classe, né il conflitto storico tra lavoro e capitale, però manteneva la speranza che l’amor di Patria (che nulla aveva di sovranista) sarebbe stato posto al di sopra di quei contrasti.
Aveva un programma e lo propagandava con i propri scritti, manteneva uno stretto e diretto contatto con la propria base sociale, sapeva esattamente cosa occorreva fare e come si doveva farlo. Non gi mancava una chiara visione del presente e del futuro. Riteneva inevitabile che, dopo l’espulsione dei marines dal Paese, esplodesse la lotta politica e sociale (di classe), per cui combattere per la libertà significava anche lottare per la democrazia diretta e per l’autogestione. Non a caso, dopo la cacciata dei marines e la firma dell’armistizio nel febbraio 1933 dedicò l’ultimo suo anno di vita al progetto sociale della creazione di cooperative agricole e minerarie nel Nord-Est del Paese e lungo il Rio Coco, poiché «Tutto sarà in cooperative».
Non a caso, dopo un primo sostegno alla sua lotta, con la sua tipica e ristretta visione stalinista, l’Internazionale Comunista (Komintern) insistette affinché l’Esercito Defensor de la Soberanía Nacional (EDSN), si trasformasse nel Partito Comunista del Nicaragua ed espellesse dalle sue file tutti gli elementi piccolo-borghesi, a cominciare dallo stesso Sandino, se necessario.
Fu assassinato a Managua il 21 febbraio 1934 per ordine del generale Anastasio Somoza. Il giorno successivo, dopo aver informato l’ambasciatore statunitense, la stessa Guardia Nazionale diretta da Anastasio Somoza García massacrò la maggior parte dei membri della cooperativa, per lo più ex appartenenti all’esercito sandinista. Sia l’uomo sia il progetto politico-sociale dovevano essere eliminati.
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«C’è Sandino e c’è l’Esempio, e c’è l’Ispirazione e c’è quella permanente parola d’ordine di saper Andare Sempre Oltre, verso la Luce, verso la Vera Vita, verso la Verità Suprema». Con queste parole, il 20 febbraio 2024 la poetessa Rosario Murillo ha ricordato A.C. Sandino alla vigilia del novantesimo anniversario del suo assassinio a tradimento per volere di Anastasio Somoza García e dell’ambasciatore statunitense Arthur Bliss Lane.
In qualsiasi luogo e circostanza, ogni parola ha un particolare e specifico potere evocativo, oltre a condizionare l’ascoltatore in un senso o nell’altro. La capacità di saper utilizzare in modo conveniente le parole è di solito definita demagogia, pratica politica tendente a ottenere il consenso delle masse lusingando le loro aspirazioni. Per il raggiungimento dei propri fini, la forza della parola di certo non è meno importante di quella delle armi, come ricordava a suo tempo un certo Niccolò Machiavelli: nel Dell’ Arte della guerra (1521) affermava infatti che nulla è più efficace dell’eloquenza per rafforzare la volontà e muovere le passioni dei soldati. È indubbio che, sebbene nacque come movimento politico-militare*, l’attuale FSLN è oggi, a tutti gli effetti, un’organizzazione militare tout court, con a capo il Comandante e la Vice; i militanti sono considerati come soldati ai quali arringare quotidianamente per rafforzare il legame tra la base e il vertice (le cui scelte e decisioni non possono essere messe in discussione).
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Una caratteristica peculiare del decennio rivoluzionario degli anni Ottanta fu il tentativo di organizzare un sistema politico-sociale basato sui diritti democratici, sul pluralismo politico e sindacale, sulla libertà di stampa e sul diritto d’associazione. La controrivoluzione (contra) finanziata e armata da Washington, oltre al blocco economico-commerciale deciso da Reagan, rallentò e a volte riuscì a bloccare questo progetto di società direttamente derivato dalle idee di Sandino.
I sedici anni di neoliberismo seguiti alla sconfitta elettorale del 1990 cancellarono o bloccarono parecchie conquiste rivoluzionarie.
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Se è vero che il linguaggio riflette la realtà, in numerose occasioni la crea o la distorce. Un esempio tra i molti che si potrebbero fare: parecchi anni or sono in Nicaragua si verificò uno sciame sismico che proseguì dalle prime ore del mattino fino al pomeriggio. Rosario, allora “semplice” portavoce del Governo, comparve in TV a reti unificate affermando grosso modo che non era possibile dire con esattezza quante scosse telluriche si erano verificate, di quale durata e con quale intensità. Peccato per la sua già scarsa credibilità che, subito dopo, fu intervistato il direttore dell’Instituto de Estudios Territoriasles (INETER), il quale comunicò il numero delle scosse telluriche, la loro intensità e la loro durata. Era troppo faticoso per Rosario alzare la cornetta del telefono per chiedere informazioni precise prima di sproloquiare a vanvera come suo solito? O, più probabilmente, avendo la presunzione di sapere tutto, non sentiva la necessità di informarsi da chi era preposto a sapere ciò che era accaduto.
Il 21 febbraio 2024, dopo aver ricordato che «Sandino è in ogni Eroe nicaraguense», la stessa Rosario ha parlato della «crescente dignità di questo grande popolo, di Rubén Darío, di Benjamín Zeledón, di Augusto Sandino, di Daniel, del Frente Sandinista de Liberación Nacional». Non può sfuggire al lettore attento il richiamo evocativo al Vangelo di Matteo rispetto alla genealogia di Gesù, discendente dal patriarca Abramo lungo varie generazioni (1:1-17). Del resto, ha aggiunto: «E andiamo avanti! Andiamo avanti, ispirati, rafforzati, pieni di quel Grande Spirito, Spirito che è trascendenza, Spirito che è Eternità, Spirito che è il Sempre Oltre, perché in ogni momento sappiamo che possiamo trascendere, andare avanti, superando le difficoltà, accettando le sfide». Noi tireremo dritto, disse qualcun altro qualche decennio fa.
Le parole di Rosario sono utili per ribadire per l’ennesima volta la diretta “discendenza” sia di Daniel sia dell’attuale FSLN da Sandino e dalla sua lotta guerrigliera contro i marines e contro le oligarchie locali. Vero “tormentone” da alcuni anni a questa parte, accompagnato da innumerevoli accostamenti fotografici diffusi abbondantemente in ogni angolo del Paese. Se è vero storicamente che il FSLN originario traeva il proprio “spirito” da Sandino e ne era l’erede storico e politico, nell’attualità è tutt’altro: fin da prima del trionfo elettorale del novembre 2006 e del ritorno di Daniel alla presidenza della Repubblica nel gennaio 2007 si è verificata la trasformazione di un progetto partecipativo di democrazia popolare in una democrazia liberal-borghese tipicamente rappresentativa e nessuno è in grado di mantenere il consenso popolare solo appellandosi all’eredità storica dei suoi predecessori, in special modo quando la tradisce applicando le ricette neoliberiste suggerite dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale.
Quanta distanza, infatti, tra l’attuale Daniel che pretende di mantenersi eternamente al potere per poi “trasferirlo” come eredità ai propri familiari e Sandino che di se stesso affermava: «L’uomo che alla propria Patria non chiede neppure un palmo di terra per la propria sepoltura merita di essere ascoltato, e non solo di essere ascoltato ma anche creduto». È sufficiente ignorare tutto ciò che non conviene ricordare, per assimilare Daniel a Sandino e il FSLN all’Ejército Defensor de la Soberanía Nacional de Nicaragua (EDSN), che la poetessa cilena Gabriela Mistral definí El pequeño ejército loco.
La parola, ossia il linguaggio, può condizionare e persino limitare la libertà degli esseri umani quando si riescono a mescolare strettamente la realtà e l’invenzione, dove non sono più distinguibili l’una e l’altra. In questo esercizio quotidiano di pseudo-comunicazione volto a inculcare nelle menti che non c’è soluzione di continuità tra Sandino e Daniel, occorre comunque ammettere che Rosario è davvero eccezionale, probabilmente perché crede fermamente in ciò che afferma, autoconvinta in base a una valutazione del tutto soggettiva dei dati di fatto e a una visione strabica della realtà. Per chiunque, compreso chi sta scrivendo queste righe, credere che ciò che si pensa sia la realtà o la verità assoluta, non significa che lo siano necessariamente. È sufficiente non prendersi troppo sul serio e non ritenersi la “Bocca della verità”.
Senza scomodare il linguista Ferdinand de Saussure, è indubbio che le parole posseggano un enorme potere e altrettanta forza. Un potere che è anche di suggestione. Una suggestione che può coinvolgere le masse (o le folle, secondo la definizione dello psicologo Gustave Le Bon, 1895). Suggestione che alle volte sconfina nel lavaggio del cervello per indebolirne l’autonomia di pensiero e, quindi, le possibili azioni indipendenti. La costante ripetizione delle stesse idee e degli stessi concetti, per quanto in varie “salse”, come quotidianamente fa Rosario nei suoi sproloqui, è a tutti gli effetti definibile indottrinamento o «lavaggio del cervello». Peccato per tutto il suo impegno che, secondo un recente sondaggio risulta che l’80% della popolazione teme di dire ciò che pensa (e oltre il 50% sogna di riuscire ad andarsene dal Paese).
Dal canto suo, dopo quasi due mesi nei quali non era comparso in pubblico (dal 27 dicembre 2023), lo stesso 21 febbraio Daniel ha ironizzato sugli oltre trecento nicaraguensi resi apolidi lo scorso anno, atto con il quale si sono violati tutti i trattati internazionali di diritto pubblico. Un centinaio di loro ha già ricevuto la nazionalità spagnola: «sono in Spagna, si sentono spagnoli, sono molto contenti di essere spagnoli, devono parlare già come spagnoli, sicuramente». Per rendere meglio il concetto “linguistico”, in modo burlesco da avanspettacolo Daniel ha pronunciato queste parole con l’accento spagnolo.
Chissà con quale accento si sono presentati i funzionari statali che, per ordine superiore, hanno sequestrato le proprietà di questi esuli privati della nazionalità e persino cancellati dai registri anagrafici?
Se è vero che Sandino affermò che Emiliano Chamorro e Adolfo Díaz avevano smesso di essere nicaraguensi per aver tradito il loro Paese (Manifiesto de San Albino, 1° luglio 1927), si trattò di un giudizio e di una condanna storico-politica, non della loro cancellazione dai registri anagrafici. Qualcosa di ben diverso, nella sostanza. Tant’è che se il secondo decise volontariamente la via dell’esilio, il primo morì nel suo letto a Managua il 26 febbraio 1966.
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Cosa resta, oggi, del progetto di Sandino? Cosa resta, oggi, del progetto degli anni Ottanta?
Domande alle quali non è facile dare una risposta esaustiva ma, di certo, l’eredità del sandinismo storico non è un miraggio né un sogno. Purtroppo nel Nicaragua attuale il sandinismo è usato da Daniel e dalla Chayo come grimaldello per mantenersi al potere.
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«Era sottinteso come, una volta che la Neolingua fosse stata definitivamente adottata, e l’Archeolingua, per contro, dimenticata, un pensiero eretico (e cioè un pensiero in contrasto con i princìpi del Socing [Socialismo Inglese]) sarebbe stato letteralmente impensabile, per quanto almeno il pensiero dipende dalle parole con cui è suscettibile di essere espresso. […] Ciò era stato ottenuto in parte mediante l’invenzione di nuove parole. Ma soprattutto mediante la soppressione di parole indesiderabili e l’eliminazione di quei significati eterodossi che potevano essere restati e, per quanto possibile, dei significati in qualunque modo secondari. Daremo un unico esempio. La parola libero esisteva ancora in Neolingua, ma poteva essere solo in frasi come “Questo cane è libero da pulci” ovvero “Questo campo è libero da erbacce”. Ma non poteva essere usata nell’antico significato di “politicamente libero” o “intellettualmente libero” dal momento che la libertà politica e intellettuale non esistevano più, nemmeno come concetti, ed era quindi, di necessità, priva di una parola per esprimerla».
Non è sufficiente mantenere il potere ed esercitarlo a proprio piacimento, Rosario vuole manipolare la mente dei cittadini, pretendendo non solo la loro sottomissione fisica, ma anche quella psicologica.
Tenendo presente il piccolo manualetto sulla Neolingua che George Orwell (all’anagrafe Eric Arthur Blair) mise in appendice al distopico 1984, linguaggio del futuro che si prevedeva d’uso generalizzato verso il 2050 in una società britannica omogeneizzata, non è azzardato un parallelo con il Nicaragua attuale. Paese al contempo colpito dalla stessa “peste” che Gabo descrisse per Macondo: la perdita della memoria causata da un’epidemia d’insonnia (o del sonno della ragione che genera mostri): «A poco a poco, studiando le infinite possibilità del dimenticare, si accorse che poteva arrivare un giorno in cui si sarebbero individuate le cose dalle loro iscrizioni, ma non se ne sarebbe ricordata l’utilità. […] Così continuarono a vivere in una realtà sdrucciolosa, momentaneamente catturata dalle parole, ma che sarebbe fuggita senza rimedio quando avessero dimenticato i valori delle lettere scritte» (Cien años de soledad).
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Al lemma «parola» dell’Enciclopedia Einaudi si chiarisce che «non esiste inganno che non cerchi di vestirsi con le apparenze della verità e della buona fede, che costituiscono perciò una condizione sine qua non dell’inganno» (vol. 10, pag. 431).
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Le recenti dichiarazioni positive del Fondo Monetario Internazionale in relazione all’economia (dicembre 2023), non cancellano il fatto che dal 2018 a oggi il Nicaragua orteguista è segnato dal soffocamento di ogni espressione autonoma della società a partire dalla soppressione dei mezzi d’informazione non graditi (ben 54 sono stati chiusi o confiscati) e oltre duecento giornalisti sono fuggiti all’estero per timore di finire nelle patrie galere. In seguito, a nessun giornalista straniero è stata concessa l’entrata nel Paese (eccettuati gli embedded, che vanno e vengono senza problemi, spesso con viaggio e soggiorno pagato dalla presidenza della Repubblica). Almeno quattro partiti sono stati cancellati dalla vita politico-sociale: Ciudadanos por la Libertad (CxL), lo storico Partido Conservador (PCN), Camino Cristiano Nicaragïense (CCN) e Yatama (con due deputati incarcerati, nonostante l’immunità parlamentare). Guarda caso, nelle elezioni regionali del 3 marzo 2024, l’orteguismo ha stravinto con una percentuale bulgara del 88,95%, lasciando le briciole agli altri quattro partiti concorrenti.
A tutt’oggi oltre 3.200 organizzazioni non governative (ONG), filantropiche o di aiuto sociale hanno visto la cancellazione della loro personalità giuridica, sempre accompagnate dal “passaggio” allo Stato dei loro beni mobili e immobili. Ultimo scioglimento, assieme ad altre nove organizzazioni di varia natura, quello dell’Associazione degli Scout (15 febbraio 2024) che, come è noto pure ai congiuntivitici, è da sempre dedita al terrorismo internazionale, esattamente come la Croce Rossa. Naturalmente, la storica fortezza di El Coyotepe, nei pressi di Masaya, appartenente agli scout fin dal 1965, è stata confiscata con la scusa di essere un luogo di interesse turistico e culturale. È assai probabile che l’ortego-chayismo non sappia che quasi cent’anni fa (nell’aprile del 1928) pure lo scoutismo italiano fu soppresso dal regime fascista, per sostituirlo con i Figli della Lupa e i Balilla, e ignora pure che gli scout italiani si ripromisero di durare un giorno in più del fascismo: oltre a dare rifugio ai ricercati dall’OVRA e alle persone di religione ebraica, molti di loro entrarono attivamente nella Resistenza.
Dal 1918 alla fine del 2023 si calcolano oltre 800mila persone uscite dal Paese (l’11,34% della popolazione stimata) alla ricerca di una possibilità di vita in altri luoghi. Una vera e propria fuga dal propagandato Paradiso Terrestre in costruzione, nel quale germogliano alberi assai belli a vedersi e con frutti saporosi. Basta non addentarne uno dall’Albero della Conoscenza, altrimenti la condanna divina è la morte (civile).
Se i sandinisti non danielisti (e meno ancora chayisti) sono probabilmente la maggioranza, addirittura nei circoli più vicini al potere aumenta di giorno in giorno il livello d’insicurezza, poiché persino i suoi più leali e convinti sostenitori rischiano l’accusa di tradimento della Patria (ogni disaccordo è tradimento) e la conseguente perdita del proprio posto di lavoro (dagli ambasciatori ai capi dei ministeri, ai magistrati ecc.). Uno degli ultimi a cadere in disgrazia in questo continuo “avvicendamento” (che qualcuno ha definito in modo pittoresco: “porta girevole”) è stato Marvin Ramiro Aguilar García, che dal 24 novembre dello scorso anno era stato posto alla presidenza della Corte Suprema in sostituzione della “decaduta” Alba Luz Ramos: il 19 febbraio 2024 un nutrito drappello di poliziotti in borghese gli hanno impedito di entrare nel suo ufficio e, a quanto pare, è stato posto agli arresti domiciliari. Di certo è stato “sollevato” dal ruolo di segretario politico del FSLN all’interno della magistratura (esempio lampante di come neppure i ruoli politici siano al sicuro).
Persino i più dundos hanno ormai compreso che l’aria è cambiata con una velocità impressionante ed è meglio non esprimere critiche o suggerimenti alternativi. È soprattutto Rosario a generare e a moltiplicare questo diffuso senso di paura con la persecuzione nelle sfere stesse del potere (quelle che all’epoca di Stalin si chiamavano “purghe”). In previsione di una sua sostituzione di Daniel alla massima carica istituzionale fa di tutto per rimpiazzare con soggetti a lei super-fedeli e possibilmente acefali il personale dirigente dei vari organi statali e pubblici. Consentendole in tal modo di conquistare un’elevata influenza politica per modellare la struttura dello Stato a suo piacimento e controllare l’intera società. Non importa che costoro sappiano fare il mestiere al quale vengono assegnati a dedazo: serve solo l’assoluta fedeltà del “Usi obbedir tacendo” e al diavolo il buon funzionamento della macchina statale e persino del Paese nel suo complesso. L’importante è conquistare sempre più fette di potere in previsione della sostituzione di Daniel, che oggi è ancora utile in quanto simbolo. «Chi non è con me, è contro di me», affermò Gesù e ripete costantemente Rosario. È sotto gli occhi di tutti la sua presenza costante negli atti pubblici, mentre sono sempre più lunghe le assenze di Daniel.
Tutte queste situazioni rappresentano la tipica visione cortoplacista (a breve termine), caratteristica storica della politica nicaraguense, ereditata dalle precedenti élite oligarchiche libero-conservatrici. Se, come conseguenza, il Paese andrà a rotoli e il sandinismo diverrà soltanto un bel ricordo del tempo che fu, poco male: il fine immediato giustifica i mezzi, anche se sproporzionati e controproducenti, causando sempre più profonde incrinature e crepe nella stessa militanza sandinista, che resta tale pur non accettando a scatola chiusa tutte le decisioni e le scelte che provengono dall’alto.
La fotografia della “pace” sociale instaurata in questi anni mostra un Paese sostanzialmente desertificato, esattamente come nella descrizione di Tacito: «ubi illes face un deserto insolite, illes lo appella pace».
Oggi, in pratica, non esistono mezzi di comunicazione se non legati al potere e si continuano a sopprimere le università, considerate “allevamenti” di oppositori (veri o presunti). Quando iniziò la protesta del 2018, Rosario affermò che i giovani universitari non conoscevano la storia del Nicaragua. Dimenticava opportunamente (e opportunisticamente), però, un piccolo particolare: quei ventenni avevano frequentato le scuole da quando Daniel era diventato presidente nel 2007 per cui, la responsabilità di detta “ignoranza” ricadeva totalmente sul percorso scolastico ed educativo della “seconda fase della Rivoluzione” e del “sandinismo 2.0.”. Del resto, basta chiacchierare con un o una militante della Juventud Sandinista per rendersi conto immediatamente sia della pochezza di visione politica sia della scarsa conoscenza persino della storia del proprio Paese. «L’ignoranza è forza» recitava uno slogan di 1984.
La politica sistematica di schiacciamento della società civile unita alla repressione massiccia di ogni manifestazione pubblica e agli arresti arbitrari, spesso motivati da rancori storici e/o personali, con le connesse e immancabili accuse di terrorismo convalidate da una magistratura che di indipendente dal potere politico ha solo la definizione costituzionale, sono chiari segnali che il sistema non è più in grado di conservare alcun livello di legittimità, pur mantenendo in vita formalmente una facciata democratica: «e nel farsi comandare ha trovato la sua nuova libertà» (Giorgio Gaber).
Stando all’Indice di percezione del livello di corruzione, nel 2023 il Nicaragua si è classificato ai primi posti, alla pari di Siria e Corea del Nord. Guarda caso, due Paesi nei quali il potere si tramanda all’interno della stessa famiglia…
La tolleranza nei confronti degli innumerevoli corrotti serve come arma di ricatto: avendo scheletri nell’armadio costoro sono obbligati a “obbedir tacendo” qualunque ordine giunga da El Carmen. Di contro, a El Carmen hanno il terrore ormai patologico di perdere il potere, per cui credono che la chiusura di ogni spazio di confronto democratico e di critica sia l’unica strada per evitare il crollo. Inoltre, tutto ciò che è stato attuato in questi ultimi anni e si sta ancora verificando contro centinaia e centinaia di organizzazioni e di singoli con l’obiettivo di smantellare del tutto la società civile contraddice abbondantemente la visione propagandistica dei “quattro gatti” che protestarono nel 2018 (definiti costantemente puchitos [pochini], minúsculos ecc.).
In questo desolato e desolante panorama, come sia possibile per alcuni continuare a ritenere di sinistra e addirittura rivoluzionario il Nicaragua odierno fa parte della perdita di memoria storica che ha dimenticato il valore non soltanto delle parole ma delle idee e persino dei sogni a cominciare da quello del maggio francese: «È vietato vietare».
Prima di definire “di destra” o “filo-statunitense” chiunque critichi l’attuale sistema orteguista, non sarebbe male se si leggesse e si meditasse con attenzione l’articolo del giovane Marx Bemerkungen über die neueste preußische Censurinstruction. Von einem Rheinländer (Osservazioni di un cittadino renano sulle recenti istruzioni per la censura in Prussia) nel quale affermò che questo strumento di controllo delle menti riduce il popolo a plebaglia (la folla nei suoi aspetti peggiori). Di questo testo del giovane Marx è ben nota l’espressione: «Tra i fiori non ce n’è uno che sia nero». Pare evidente che, unita alle altre azioni repressive, la soppressione dei mezzi di comunicazione non affini all’orteguismo (forma massima di censura) stia riducendo il popolo nicaraguense a plebaglia, una massa che può essere diretta verso qualsiasi obiettivo. Altro che El Pueblo Presidente.
Un brano di questo testo marxiano si adatta perfettamente alla situazione nicaraguense attuale: «Per ventidue anni consecutivi si ebbero azioni illecite da parte di un’autorità che tutela l’interesse supremo dei cittadini, cioè il loro pensiero, di un’autorità che, più ancora dei censori romani, non regola soltanto il comportamento dei singoli cittadini, ma più ancora l’espressione dello spirito pubblico»**. In poche righe, oltre un secolo prima il filosofo di Treviri “riassumeva” il 1984 di Orwell ma descrivendo la realtà fattuale a lui contemporanea.
Superfluo ricordare che queste Osservazioni furono pubblicare in Svizzera nel 1842, essendo impossibile farlo in territorio germanico e lo stesso Marx dovette emigrare in vari Paesi europei, morendo esule a Londra.
Se in 1984 Orwell creò letterariamente il Ministero della Verità, già Marx nello stesso articolo scrisse: «verità è ciò che il governo ordina» e Rosario quotidianamente parla di verità, anzi di vera verità (verdad verdadera)… È la sua verità. Una verità che, in quanto sua, è unica, eterna, immarcescibile e immortale. In realtà, non esiste una verità assoluta (una verdad verdadera), ma vale ciò che è più utile e perciò opportuno per il mantenimento del potere. Il linguaggio diventa pertanto un’arma essenziale per ottenere lo scopo: non importa che abbia un senso ciò che si dice, è sufficiente che le parole “colpiscano” l’ascoltatore, come quelle che pronunciò un certo Mussolini da un balcone di Lecce il 7 settembre 1934: «In questa giornata di sole e quindi fascista…» (se pioveva sarebbe stata certamente una giornata bolscevica).
È indubbiamente una sfida notevole per la sinistra di questo terzo millennio, anzi è la sfida per eccellenza, riuscire a coniugare effettivamente il socialismo con la libertà e la democrazia (con lo spirito della Primavera di Praga e della Perestrojka) , poiché non è una condanna divina che una rivoluzione popolare si trasformi per forza in un sistema totalitario con la concentrazione del potere in poche mani (o in una sola). Per questo, oltre alla lettura di Marx, sarebbe utile a tutti i sostenitori dell’attuale sistema politico del Nicaragua un’attenta meditazione pure sul Satiricon attribuito a Petronio (I secolo d.C.), da molti studiosi ritenuto il romanzo della decadenza dorata dell’antica Roma.
* «El FSLN es una organización político-militar cuyo objetivo estratégico es la toma del poder político mediante la destrucción del aparato militar y burocrático» (Programa histórico del FSLN).
** Karl Marx, Scritti politici giovanili, Einaudi 1975 p. 26.