Nicaragua: l’eruzione continua (e il dibattito pure)
Come interpretare l’attuale scenario politico in Nicaragua? Prove di destabilizzazione contro Ortega sul modello degli attacchi al Venezuela bolivariano o ribellione spontanea contro un sandinismo che ha ormai tradito gli ideali degli anni Settanta? La discussione resta aperta
di David Lifodi
Colpo di stato contro Ortega o ribellione dal basso contro un governo che ha del tutto smarrito gli ideali del sandinismo all’epoca della rivoluzione del 1979, quando le truppe del Fsln entrarono trionfalmente a Managua? Non è semplice decifrare lo scenario politico del paese centroamericano, precipitato dallo scorso 18 aprile in una spirale di violenza.
Su quanto sta accadendo in Nicaragua è interessante riportare le parole di Manuel Zelaya, l’ex presidente honduregno rovesciato da un colpo di stato ordito a Washington e portato a termine dall’oligarchia locale nel 2009, intervistato da Giorgio Trucchi. A proposito delle organizzazioni internazionali impegnate in Nicaragua sul campo dei diritti umani, sostiene Zelaya, “sono dirette dagli Stati uniti”. Inoltre, Zelaya è convinto che dietro ad una ribellione presentata come spontanea e popolare si celino, ancora una volta, gli Usa, pur condannando gli episodi di violenza, da qualsiasi parte provengano: “Somos solidarios con la protesta de los pueblos, pero condenamos las fuerzas reaccionarias que quieren que caiga el gobierno”.
Eppure non è semplice prendere posizione e, anche tra le sinistre, europee e latinoamericane, le opinioni risultano essere tra le più diverse. Aldilà di hashtag come #SosNicaragua sui social network, che sembrano replicare tecniche di disinformazione già sperimentate per mettere in difficoltà il Venezuela bolivariano, lo slogan Nicaragua cristiana, socialista y solidaria pare essere più di facciata che di reale cambiamento in un paese dove la coppia Ortega-Murillo più volte ha effettuato delle notevoli giravolte. Due esempi. Da tempo, aldilà della retorica antimperialista, il Nicaragua è divenuto un paese assai appetibile per le transnazionali, alle quali non è parso vero di poter ottenere le concessioni necessarie per la costruzione del contestato canale interoceanico, per non parlare del via libera all’estrazione mineraria e alla rapina delle risorse naturali, il tutto senza occuparsi minimamente delle proteste delle comunità indigene e contadine. In pratica, secondo il Fondo monetario internazionale, il Nicaragua non ha mai creato problemi di sorta.
In secondo luogo, fa riflettere anche l’evoluzione del rapporto tra Daniel Ortega e il cardinale Obando y Bravo, negli anni Novanta acerrimo nemico in quanto figura del somozismo e successivamente divenuto uomo di pace disponibile al dialogo. Tutto ciò per dire che da tempo il sandinismo verticista, o danielismo che dir si voglia, aveva iniziato ad intraprendere una strada quantomeno ambigua ed è proprio sfruttando le contraddizioni governative e il disorientamento del sandinismo di base che i guarimbeiros nicaraguensi hanno avuto gioco facile nello strumentalizzare le proteste di piazza e porsi alla testa in maniera violenta delle manifestazioni che ormai da mesi scuotono il paese.
Tuttavia, il quadro continua a rimanere di non facile interpretazione. Tra intellettuali, giornalisti, scrittori e militanti che hanno vissuto in Nicaragua sostenendo fin dall’inizio la rivoluzione sandinista non c’è un’opinione univoca. Per alcuni, pur considerando i molteplici errori di Ortega, è la destra statunitense, con l’appoggio di quelle latinoamericane (in preoccupante espansione), ad essere la principale responsabile dell’attuale situazione di caos, per altri invece la ribellione è frutto di una serie di episodi precedenti che hanno contribuito a far aumentare la rabbia contro il governo. Ad esempio, nessuno ha dimenticato il vero e proprio patto segreto che nel gennaio 2009 permise all’ex presidente Alemán di scampare al carcere con l’accusa di corruzione in cambio del raggiungimento della presidenza da parte di Ortega. Come mai lo storico comandante della rivoluzione sandinista strinse un patto con uno degli uomini più corrotti del pianeta, in seguito condannato a venti anni di carcere trasformati peraltro in una sorta di detenzione dorata?
Sono pesanti anche le critiche alle politiche economiche di Ortega, che secondo molti ha finito per affossare le classi sociali più povere scommettendo su un assistenzialismo poi rivelatosi fonte di corruzione e, al tempo stesso, fa riflettere, come ha sottolineato la rivista Envio, che alle proteste a cui ha dato impulso la gioventù universitaria, ogni giorno si è unita una parte maggiore della popolazione: “Non si tratta di una cospirazione proveniente dall’esterno, ma di una gran massa di lava accumulata all’interno. I vulcani non avvisano”.
Nella speranza che prevalgano pace e dialogo, il dibattito sul Nicaragua resta aperto. Tutti i contributi all’insegna della riflessione e del confronto sono ben accetti (in particolare quelli di coloro che vivono, o hanno vissuto in Nicaragua, in contatto con il sandinismo) nell’auspicio che il paese torni a rappresentare una speranza, come all’epoca della rivoluzione del 1979, per l’America latina e per l’Europa.
In Bottega ci siamo più volte occupati di Nicaragua negli ultimi mesi.
Ecco qui i principali articoli:
Nicaragua: l’ultima rivoluzione tradita
Nicaragua: il pantano danielista
Gentile David Lifodi,
Crede, in tal contesto, sia esagerato o non corretto tornare a parlare di Contras? Di “moventi” in questo caso gli USA ne avrebbero avuto a iosa…
Gentile Riccardo,
parlare di contras mi sembra un po’ eccessivo in questo caso.
Alcuni gruppi di studenti che hanno svolto un ruolo di primo piano nelle proteste di piazza, utilizzando metodi simili alle guarimbas, ci sono stati ed hanno incontrato anche esponenti statunitensi dediti a creare le premesse per una sorta di rivoluzione arancione in Nicaragua.
D’altra parte, però, l’opposizione è molto eterogenea e mi sembra un segnale chiaro l’abbandono del Fsln da parte di personaggi storici del sandinismo, a partire da Gioconda Belli. Inoltre Ortega, aldilà di una retorica antimperialista da tempo, secondo me, ha tradito da tempo gli ideali del 1979, come ho scritto in questo ed altri articoli. Al tempo stesso, penso che debba essere la popolazione nicaraguense, senza ingerenze esterne, a dover bocciare Ortega e Rosario Murillo nelle urne, nelle strade e nei quartieri. Molti appartenenti al sandinismo di base non si riconoscono più nell’orteguismo.
Certo, abbattere Ortega rappresenterebbe un ulteriore colpo ai paesi bolivariani, ma mi sembra altrettanto evidente che il Nicaragua appartiene all’Alba più nella forma che nella sostanza e sono presenti anche alcuni ambienti della destra liberista Usa che affermano di trovarsi molto bene con Ortega, distinguendo ciò che dice da quello che poi realmente fa.
La situazione resta comunque molto ingarbugliata e indecifrabile.