Nicaragua: non esiste una rivoluzione per decreto
Rileggendo una lunga analisi di William Grigsby Vado, direttore dell’emittente La Primerísima, per riflettere sul significato della rivoluzione sandinista nel 1979 e ai giorni nostri, dove il senso e la storia di quei giorni è adesso utilizzata ad uso e consumo dell’orteguismo.
A seguire, un articolo di presentazione delle elezioni municipali di Geraldina Colotti ed un breve commento di Bái Qiú’ēn sui risultati.
di Bái Qiú’ēn
Nel formare i dirigenti è fondamentale la premessa: si vuole che ci siano sempre governati e governanti oppure si vogliono creare le condizioni in cui la necessità dell’esistenza di questa divisione sparisca? (Antonio Gramsci).
Per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare? (Antonio de Curtis)
Nel numero di settembre 2007 di Envío, rivista mensile dell’Universidad Centroamericana (UCA) di Managua, comparve una lunga analisi di William Grigsby Vado, direttore dell’emittente La Primerísima e all’epoca esponente della corrente di sinistra del FSLN, sia sulla situazione interna del partito sia dell’attività iniziale del governo dopo la vittoria elettorale dell’anno precedente e l’elezione di Daniel alla presidenza della Repubblica, dopo sedici anni di becero neoliberismo. Riteniamo che dalle sue parole, pronunciate quando ancora era possibile pensare ed esprimere liberamente le proprie idee, si comprenda assai bene come tutti i germi di ciò che è accaduto nel successivo 2018 fossero già attivi e operanti undici anni prima. A nostro avviso sensibilmente aggravati nel decennio successivo, tuttora presenti e operanti.
Suggeriamo ai lettori di riflettere con attenzione sulle parole usate nel 2007 dal Chele Grigsby, che spesso hanno un senso “pesante” di critica dall’interno e dedichiamo questa traduzione a tutti coloro che ritengono possibile arrivare al socialismo grazie a un decreto presidenziale approvato dall’Asamblea Nacional e controfirmato da un paio di ministri.
Attento e acuto osservatore politico, oltre a varie accuse assai pesanti, negli anni precedenti il Chele denunciò alcuni esponenti del Frente Sandinista per le minacce e le intimidazioni ricevute, affermò che il partito rappresentava un’esigua minoranza del sandinismo e rimproverò Daniel di voler essere l’eterno candidato, sebbene «aveva un’immagine grigia, con i baffetti folti, gli occhiali enormi e grotteschi, i capelli sempre arruffati. I suoi discorsi erano molto noiosi e spaventosi e nel suo carattere conservava tracce visibili dei suoi sette anni di prigionia» (Envío, marzo 2004), con ciò guadagnandosi l’odio viscerale di Rosario.
In seguito a pesanti minacce di costringere la radio alla chiusura, alcuni mesi dopo le proteste dell’aprile 2018 che inizialmente aveva sostenuto, ha fatto una giravolta di 180 gradi, diventando uno dei sostenitori più accaniti dell’orteguismo-chayismo. Nel corso di una rapida chiacchierata nella sede della radio, un paio di anni dopo concordò, comunque, con il fatto che all’inizio delle proteste la Polizia si comportò assai malamente.
Data la notevole lunghezza dell’intervista, ne riportiamo solo alcuni stralci.
Qui, il testo integrale di: Envío, n. 306, settembre 2007:
https://www.envio.org.ni/articulo/3638
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La prima domanda a cui dobbiamo rispondere per analizzare il governo del Frente sandinista è definire se siamo o meno in una “rivoluzione”. Ci sono due risposte, due correnti, due modi di analizzarla. Sia Daniel sia Rosario, che sono le forze dominanti all’interno del Frente sandinista, ritengono che siamo in una nuova fase rivoluzionaria. E spesso parlano della «seconda fase della Rivoluzione».
A mio parere, non siamo in un processo rivoluzionario. Preferisco definirlo come un processo di transizione verso qualcosa di diverso. Una transizione a cui non sappiamo cosa ci porterà, se sarà per qualcosa di meglio o di peggio, resta da vedere. Mi sembra che i presupposti, gli elementi che possono definire come un processo rivoluzionario non siano oggi presenti in Nicaragua. Cos’è la Rivoluzione? In una frase del 2001, Fidel lo esprimeva così: “La rivoluzione è il senso del momento storico. È cambiare tutto ciò che deve essere cambiato. È piena uguaglianza e libertà. È essere trattati e trattare gli altri come esseri umani. È emanciparci da soli, con i nostri sforzi. È sfidare le potenti forze dominanti dentro e fuori la sfera sociale e nazionale. È difendere valori in cui si crede al prezzo di ogni sacrificio. È modestia, disinteresse, altruismo, solidarietà ed eroismo. È combattere con audacia, intelligenza e realismo. Significa mai mentire o violare i princìpi etici. È una convinzione profonda che non c’è forza al mondo in grado di schiacciare la forza della verità e delle idee”i.
Queste idee mi sembrano giuste per analizzare e definire questa fase che stiamo vivendo. E da esse vediamo che non stiamo vivendo una rivoluzione in Nicaragua. In primo luogo, perché non abbiamo un popolo organizzato, e questo è dovuto alla mancanza di consapevolezza. E se non c’è coscienza, non c’è organizzazione. In secondo luogo, poiché il motore di una Rivoluzione, il Frente Sandinista, non è sufficientemente organizzato né è una maggioranza politica nella società. Terzo, perché nemmeno il governo del Frente ha un programma volto a cambiare le strutture socioeconomiche della nostra società.
Se guardiamo alle azioni del Governo -non al discorso-, mirano a migliorare sensibilmente l’amministrazione del sistema. Migliorare la politica energetica, migliorare la politica sanitaria, migliorare la politica dell’istruzione, aprire le politiche del credito. Ma non stanno pensando o parlando di un cambiamento strutturale della società. E non perché non lo voglia il Frente o perché non lo vogliano Daniel o Rosario, ma perché non ci sono possibilità politiche per realizzare queste trasformazioni economiche e sociali. Non esiste una correlazione di forze nella società per raggiungere questo obiettivo, né esiste questa correlazione nell’arena internazionale. Per tutti questi motivi -potremmo ampliarli ulteriormente- non stiamo vivendo un processo rivoluzionario.
Abbiamo un governo che ha lo spirito di migliorare l’amministrazione degli affari pubblici, di cambiare le priorità politiche dell’esercizio pubblico e di dare priorità alle masse impoverite. Se dal 1990 al 2006 abbiamo avuto -o subìto- tre governi il cui obiettivo principale era migliorare il reddito dei settori ricchi e rendere più ricchi coloro che erano già ricchi, ora abbiamo un governo con la tendenza a porre le masse impoverite come priorità politica. Questo è di per sé rivoluzionario? È discutibile. È rivoluzionario nel senso che è nuovo o nel senso del risultato che questo avrà per i più poveri. Ma non è rivoluzionario nel senso tradizionale del termine, non è in relazione alle trasformazioni strutturali che il Nicaragua richiede.
[…]
Vorrei fare anche un’altra domanda: il Nicaragua ha bisogno di una rivoluzione? Questo Paese, la società nicaraguense, ha urgente bisogno di una trasformazione delle sue strutture? Questa domanda è pertinente, poiché quando il sandinismo ha iniziato la sua lotta c’era un’evidente necessità di una rivoluzione, sentivamo che la società doveva essere cambiata. Primo, per il potere assoluto della dittatura. In secondo luogo, a causa dell’accumulazione di ricchezze nelle mani della famiglia Somoza e di un piccolo gruppo di oligarchi che erano loro associati. E, terzo, a causa dell’enorme povertà della stragrande maggioranza della popolazione. Esistevano una realtà economica e sociale, una serie di contraddizioni all’interno della società, che ci facevano pensare e sentire che non poteva continuare così. Per questo ci fu una Rivoluzione.
Ma la Rivoluzione non si inventa, la Rivoluzione non esce dalla testa degli esseri umani. Risponde a un’esigenza della società. Una cosa è che si abbiano idee rivoluzionarie e un’altra cosa è che quelle idee corrispondano a una necessità sociale. Partendo da questo, dobbiamo chiederci: il Nicaragua ha oggi bisogno di una Rivoluzione? Abbiamo problemi strutturali che richiedono cambiamenti strutturali? A mio parere sì, ma in questo momento noi non siamo in grado di intraprendere una Rivoluzione. Dobbiamo creare le condizioni. E soprattutto, quelle che ci mancano di più: le condizioni soggettive. Secondo la vecchia teoria, quando le condizioni oggettive -struttura sociale, peso economico- si uniscono alle condizioni soggettive, nasce il movimento rivoluzionario, cosa che accade molto raramente, ma che segna la storia.
[…]
Cosa abbiamo fatto durante i dieci anni della Rivoluzione? ci siamo difesi. L’ideologia è stata discussa con la gente? Durante l’alfabetizzazione e un po’ dopo l’alfabetizzazione, poco di più, poco meno di niente. Si formarono molte organizzazioni popolari, alcune già esistenti furono rafforzate e altre furono formate. Il CDS basato sui Comitati di Protezione Civile, i sindacati, l’ATC, l’UNAG, l’AMNLAE, che era stata creata già dal 1977 sulla base dell’AMPRONAC, la Gioventù Sandinista… Ma quello che abbiamo fatto di più in quegli anni è stato difendere noi stessi e obbedivamo agli ordini. La formazione politico-ideologica era il tallone d’Achille del Frente.
A mio avviso, la rottura più grande avvenne quando si decise di trasformare la lotta alla controrivoluzione in una lotta istituzionale e si creò il Servizio Militareii. Per legge dovevi andare a difendere il Paese e la Rivoluzione. Fino ad allora, tutto si basava su una scelta volontaria. Ma quel filone si stava esaurendo, poiché la gente stava morendo sui fronti di guerra. Nella misura in cui inizi a seppellire i tuoi morti, ci pensi due volte prima di andare a combattere. E nella misura in cui non senti che quello che andrai a difendere con la tua vita è tuo, ci pensi tre volte. Senza un massiccio lavoro politico era molto difficile mobilitare le persone per far loro prendere coscienza.
L’impatto del Servizio Militare è stato brutale, devastante. Non solo perché stavi andando in guerra e potevi morire, ma anche per la procedura messa in atto di “caccia ai ragazzi”. Lo stesso accadde con la Riforma Agraria. Avevamo distribuito la terra, ma quella terra distribuita non aveva un proprietario.iii Fino al 1984-1985, ero convinto che tutti vivevano meglio con la Rivoluzione. Quando in quegli anni mi mandarono a raccogliere il caffè scoprii che non era così.
Per tutti gli anni ‘80 il Frente sandinista come partito è stato alimentato dalla sua forza storica. […] Fino ad allora, la filosofia del Frente era quella del classico partito di quadri: entravano solo i migliori, i più abnegati, i più umili. È stato molto difficile entrare nel Frente. La maggior parte dei ragazzi che stavano prestando il Servizio Militare non erano del Frente. Quindi, il Frente non si nutriva delle forze che stavano davvero combattendo. Nel 1990 le cose peggiorarono: la riduzione dell’Esercito, i massicci licenziamenti… Ricordo i militari in pensione, uomini adulti che piangevano di rabbia, perché erano stati licenziati dall’Esercito, dopo aver perso tutta la loro giovinezza nell’Esercito. E ti dicevano: “Con tutto quello che ho fatto e non sono nemmeno del Frente”.
A quel tempo, il Frente era più o meno la Cenerentola delle priorità della Rivoluzione. Non c’era una chiara consapevolezza di cosa fosse un partito. Negli anni ‘80 quello che c’era era un Partito-Stato, i ministri erano l’Assemblea sandinista, i delegati della Presidenza nei dipartimenti erano quelli che governavano. E mentre così era, le persone che erano in guerra, nelle fabbriche, i poveri, non militavano nel Frente.
Dopo la sconfitta elettorale è arrivata la famosa discussione ideologica su quale direzione avrebbe preso il Frente. Riassumendo: essere un partito di sistema o un partito antisistema? […]
Nel 1994, al Congresso del Frente, ebbe luogo quella discussione. E abbiamo vinto quel Congresso, che credo sia stato il processo più democratico realizzato nella storia dei partiti politici nicaraguensi. Perché ci fu una vera discussione alla base da febbraio a maggio di quell’anno. Ogni fine settimana discussioni politiche con una partecipazione super numerosa. I delegati che sono arrivati a quel Congresso hanno rappresentato ciò che si pensava e si diceva.
In quel Congresso, tutto il settore che riteneva che il Frente dovesse modernizzarsi, abbandonando i metodi della lotta popolare e assumere la lotta parlamentare e quella elettorale come prioritarie, se ne vanno del Frente e fondano un altro partitoiv. Non vi furono espulsioni né esclusioni. Se ne andarono. Nel Frente restò la tendenza di sinistra rivoluzionaria. Però la vita fa parecchie giravolte e le idee che avevamo sconfitto nel 1994 sono quelle che, con il passar del tempo, trionfarono nel Frente che oggi conosciamo. Le idee, non le persone.
Nel 1998, con il governo di Alemán, si arrivò a un’altra spaccatura. Esistevano due opzioni: trasformarsi in un partito di sistema e iniziare a condividere quote di potere o mantenere l’opzione rivoluzionaria. In quel momento, il Frente, così come era, non era più in grado di vincere un’elezione né di vincere con la lotta popolare. Occorreva cambiarlo. Per cui iniziò una lotta interna. Dura. Dalla porta posteriore, quasi di nascosto, surrettiziamente, entrarono coloro che facevano parte del cosiddetto “Blocco degli Impresari”v, il quale cominciò ad avere una poderosa influenza all’interno del Frente. E prese sempre più forza la corrente che proponeva la necessità di negoziare, poiché occorreva trovare degli spazi di potere, ci si doveva preparare per le elezioni e non era più il tempo delle lotte rivoluzionarie di massa, dato che la correlazione internazionale di forze non era favorevole… così si cominciò a costruire il patto con il PLCvi. Il testo scritto del patto fu la riforma alla Ley de Propiedad, alla metà del 1997. Poi venne altro e altro ancora.
Di cosa si è nutrito il Frente in tutti quegli anni? Chi è entrato nei ranghi del Frente in quel momento? Nel 1994 è stato effettuato un censimento del partito e 104.000 militanti avevano lasciato il Frente nella sola Managua. A livello di tutto il Paese eravamo 420mila. Una forza potentevii. A partire dal 1996, con la grande delusione per la sconfitta elettorale di quell’anno, molti se ne andarono. Non andarono in un altro partito, lasciarono la politica, non volevano sapere più niente di politica, restano elettori del Frente ma non attivisti sandinisti. Il Frente, partito di attivisti e di militanti o partito di elettori? Questo era un altro aspetto fondamentale della discussione. Nel 1994 si può ancora parlare di partito di militanti, ma con il passare del tempo il Frente sandinista è diventato un partito di elettori.
Dopo la sconfitta elettorale del 1996, che crescita ha avuto il Frente, aveva una politica di crescita? Non ce l’aveva. Nuovi militanti del Frente? Nemmeno uno, poiché essere militante non attraeva più nessuno. Inoltre, quali erano le principali vittime delle politiche dei governi liberali? I sandinisti per essere sandinisti. I contadini sandinisti per essere sandinisti. Coloro che erano sandinisti furono espulsi dalle strutture dello Stato. E poi, cosa vedevano le persone? Che coloro che continuavano a essere deputati del Frente avevano un buon lavoro e guadagnavano bene. E guadagnavano bene anche i consiglieri del Frente negli uffici del sindaco. Allora, tutti nel Frente avevano cominciato a voler essere consiglieri e deputati o, almeno, essere “broder”viii di chi era deputato o consigliere.
Non aspiravano più ad usare il potere per servire le persone, per cambiare il sistema, per migliorare il tenore di vita della gente, ma solo per comandare, per avere un po’ di spiccioli in tasca, ad avere la macchina, la casa, affinché i figli potessero studiare in un luogo anziché in un altro…ix Da allora questo fenomeno si è generalizzato nel Frente. Quella corruzione, che diventa politica dello Stato, corrompe anche la mentalità della base popolare sandinista.
[…]
Vari cambiamenti ideologici nel Frente, una base sociale sandinista dispersa, perdita di prestigio a causa della piñata sotterraneax, il cambio di posizione del Frente come partito, fine del partito antisistema per diventare un partito del sistema, un partito non di militanti ma di elettori, non di lotta di massa ma di lotta elettorale… Ed errori ideologici e politici che non trovano spiegazione né possibile difesa, come uno dei più recenti: dimenticare ciò che ha fatto il cardinale Obando ed essersi collusi con lui, criminalizzando l’aborto terapeutico… Con tutto questo in più, in queste circostanze il Frente Sandinista -un partito di elettori con un esercito di circa 30.000 scrutatori altamente efficaci- ha vinto le elezioni del novembre 2006.
Oggi, questo è il Frente. Questo e niente di più. Uno scheletro efficiente, una macchina elettorale efficiente diretta da determinate persone. Partito dei militanti? Ovviamente sono compagni sandinisti e continuano a difendere le idee di Sandino, le idee della Rivoluzione degli anni ‘80, e hanno educato i loro figli in questo modo. Ma militanza, discussione su dove stiamo andando, com’è il Paese, cosa possiamo fare, cosa proponiamo, come lavoriamo? Non c’è niente di tutto ciò. Niente di tutto ciò esiste da anni.
Questo è il Frente con cui sono state vinte le ultime elezioni. […]
Daniel e Rosario conoscono questa realtà politica. Entrambi sono consapevoli di ciò che è successo. Sono assolutamente chiari. Probabilmente la valutazione che fanno è il rapporto costi-benefici. Tutto quello che è successo è stato il costo da pagare per vincere le elezioni, per arrivare al governo. Questa è probabilmente la conclusione che traggono. Personalmente, ne ho un’altra.
In questo modo, sanno che non possono avanzare nella società se non dispongono di uno strumento che li aiuti a raccogliere i benefici che il governo può attuare per favorire i poveri. Entrambi sanno che qualcuno deve fare il mietitore. E non hanno più gente da mietere, perché al Frente tutti hanno cercato il loro “ossicino”: “Mi trovi un piccolo impiego?”: queste sono le “discussioni” di oggi. Perché non c’è lavoro politico da molto tempo. Quindi, se vogliono avanzare, se vogliono vincere la lotta ideologica contro la destra, non possono ottenere nulla senza uno strumento politico di base. È essenziale per loro. Vuoi non essere solo uno dei vari governi, hai l’aspirazione di fare meglio e di più, di cambiare? Perciò hai bisogno delle persone. Ecco perché hanno deciso di creare i Consejos del Poder Ciudadano [CPC]xi. Quello che succede è che questa base con coscienza la stanno organizzando per decreto: “Decreto che oggi il popolo si organizzi”. E non è così, non funziona così, secondo me.
[…]
I CPC non sono molto pluralistici. In qualche quartiere forse sì, ma la tendenza predominante è altra. Inoltre, non sono nemmeno molto pluralisti tra gli stessi sandinisti. Perché ci sono sandinisti che stanno con i segretari politici e sandinisti che non sono con loro, e quelli che non lo sono non possono entrare nel CPC. […]
Questo è ciò che è successo. Uno strumento che avrebbe potuto avere potenzialità di sviluppo è diventato, in un gran numero di casi, uno strumento politico per realizzare le aspirazioni delle strutture del Frente. E queste strutture sono oggi fondamentalmente solo una macchina elettorale, dove in un buon numero di casi, i leader delle comunità non guidano. I vertici delle strutture del Frente sono solo degli organizzatori elettorali: quelli che portano l’elettore alla cabina elettorale, quelli che garantiscono che non ti venga rubato il voto, quelli che mobilitano il popolo quando il candidato sta per arrivare. Ma al di là di queste attività elettorali, non c’è nient’altro. E per aumentare la consapevolezza, per entrare in contatto con le persone, ciò di cui abbiamo bisogno è una vera leadership da parte delle comunità. Dobbiamo forgiarla o attrarla. E questo non lo si fa.
Il bisogno che abbiamo, l’aspirazione del governo, non è stata pienamente soddisfatta dai CPC, tra l’altro perché è proprio quella struttura del Frente, parassitaria delle cariche politiche e istituzionali, che ha preso il sopravvento sui Consigli. […]
Il Frente sandinista, come partito politico, quello che conoscevamo, quello che alcuni di noi hanno come riferimento storico, non esiste più. Quel Frente è stato polverizzato dal mercato, dai comportamenti personali, dalle decisioni politiche strategiche. Qual è il grosso problema che ha il Frente Sandinista? È il Frente stesso. Perché è diretto da persone che aspirano ad avere quote di potere e non a servire, a cambiare la realtà del popolo. Questa non è l’aspirazione della maggioranza. L’aspirazione è occupare una posizione per avere un buon stipendio.
A livello statutario la massima autorità del Frente è il Consiglio nazionale sandinista, credo che i membri siano 35. Hai sentito parlare di incontri? L’Assemblea sandinista, credo che ci siano 700 membri. Si è riunito? A livello istituzionale, in basso, ci sono i Consigli sandinisti dipartimentali, comunali e territoriali. Funzionano in generale? Se è un partito che è arrivato al potere, sarebbe più ragionevole per me iniziare a discutere di cosa farò con il potere come partito? Ma no. Il Frente non esiste nemmeno a livello istituzionale. C’è chi ricopre cariche istituzionali e ha rappresentanza legale, e quindi ha i timbri, e ha anche quote di potere istituzionale. Ma la verità politica è che istituzionalmente il Frente non esiste.
In questa situazione, e per andare avanti, il governo -dalla loro prospettiva, che siamo nella “seconda fase della rivoluzione” o dalla prospettiva che altri propongono-, che questo è un governo di transizione; in entrambe è necessario organizzare le persone in modo molto coscienzioso. Ha bisogno di strumenti politici per raggiungere la gente, tutta la gente e non solo il popolo sandinista. Ne hai bisogno. In caso contrario, non si potrà continuare.
[…]
Sfortunatamente, i CPC non sono abbastanza plurali mentre questa società è plurale. E noi sandinisti siamo una minoranza. È qualcosa che ancora non comprendiamo appieno. Siamo una minoranza. Se aspiriamo ad essere la maggioranza, dobbiamo lavorare sulla coscienza delle persone. Siamo una minoranza elettorale e siamo una minoranza sociale. In termini sociali, cioè ideologici, penso che siamo intorno al 20% e sono ottimista. In termini elettorali si misura al 38% per le ultime elezioni, anche se penso che potrebbe essere salito forse al 45%, soprattutto tra le persone che non hanno votato per il FSLN, non per convinzione anti-sandinista, ma per paura.
Se non raggiungiamo la maggioranza, se non avanziamo con la coscienza delle persone, come potremo cambiare le cose? […]
Quello strumento che era il FSLN ha perso la propria validità? Credo che queste quattro lettere continuino a proteggere la gente, che la bandiera rosso-nera continui a essere quella che protegge i sandinistixii. Penso che lo strumento sia ancora il Frente. Ma come è ora, non ci facilita a cambiare il sistema. Probabilmente servirà a vincere le elezioni, ma non ci aiuterà a cambiare il sistema. Affinché funzioni, dobbiamo cambiare il Frente sandinista. Ma se le persone al piano di sotto non sono cambiate, come cambieranno le persone al piano di sopra? Mi è stato insegnato che tutti i cambiamenti iniziano alla base. Se vogliamo cambiare il modo in cui il governo sta facendo le cose, dobbiamo essere coinvolti, lavorare dal basso, sporcarci le mani, lottare.
Ti emarginano, ti censurano, ti fanno passare le mille pene dell’inferno? Non importa, dobbiamo continuare a lavorare alla base. Non conosco nessun altro modo. Non vedo alcun senso essere come un cecchino, in attesa di criticare gli errori del governo. La realtà è che avremo questo governo per almeno cinque anni e possiamo migliorare le cose. Chiunque deve avere l’opportunità di aderire ai CPC. E se i segretari politici non ci lasciano partecipare per un qualsiasi motivo, facciamo un altro CPC! E vediamo chi ha più gente!
Credo che l’idea di essere in una seconda fase della Rivoluzione sia una delle cause che dà origine a errori nelle analisi e nelle decisioni politiche. Penso che dobbiamo essere meno ambiziosi, più umili, aspirare almeno ad avere un buon governo che ci permetta di accumulare forze, aspirare a lavorare sulla coscienza delle persone affinché nelle prossime elezioni ci permettano di aprire davvero quel nuovo spazio rivoluzionario. E nulla di tutto ciò può avvenire per decreto.
NOTE
i Discorso pronunciato il 1° gennaio 2000 nella Plaza de la Revolución a La Habana.
ii Il Servizio Militare Patriottico, ossia l’obbligo di leva (Decreto No. 1327, publiccato ne La Gaceta No. 228 del 6 ottobre 1983).
iii Con la Riforma agraria del luglio 1981 (Decreto No. 782) la terra fu data in uso ai contadini, finché l’avessero lavorata. Altrimenti sarebbe tornata in proprietà dello Stato.
iv Si riferisce al MRS (Movimiento Renovador Sandinista), che nelle elezioni del novembre 2006 ottenne l’8,69% dei voti per l’Asamblea Nacional, eleggendo 5 deputati, e il 6,44% per il candidato alla presidenza Edmundo Jarquín Calderón. Il 21 giugno 2008 gli fu tolta la personería jurídica.
v Il Bloque de los empresarios era capeggiato da Bayardo Arce Castaño (nome di battaglia: Clemente), appartenente alla tendenza Proletaria del FSLN: da proletario a industriale (grazie alla piñata) e dal 2007 consigliere economico della Presidenza della Repubblica.
vi Partido Liberal Constitucionalista, di Arnoldo Alemán.
vii Nel 1994 gli abitanti erano calcolati in 4,559 milioni. Nell’agosto del 2021 gli iscritti al FSLN erano poco più di due milioni su sei milioni e mezzo di abitanti.
viii Broder: dall’inglese brother, fratello. Spesso assume però il senso di leccapiattini.
ix La distinzione è tra le scuole pubbliche e quelle private, queste ultime ritenute generalmente più formative.
x Jaime Wheelock Román. La verdadera piñata. IPADE, Managua 1991.
xi Creación de los Consejos y Gabinetes del Poder ciudadano, Decreto ejecutivo n. 112-2007, approvato il 29 novembre 2007 e pubblicato ne La Gaceta Diario Oficial dello stesso 29 novembre 2007.
xii Grigsby utilizza il verbo “cobijar”, che ha il senso di “riparare, proteggere”, con un chiaro richiamo alla canzone La consigna: “rojinegra bandera nos cobija”, di Carlos Mejia Godoy. E, probabilmente, con un riferimento indiretto a un corsivo su El Nuevo Diario, opera di Onofre Guevara López (con il doppio pseudonimo Don Procopio y doña Procopia) che, in relazione alle divisioni e alle relative spartizioni interne del Frente nei primi anni ‘90 con sarcasmo ricordava la stessa canzone: “Dame la F… dame la S… dame la L…”.
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Nicaragua: municipi al voto e nuove sanzioni Usa (articolo di presentazione sulle elezioni 6 di novembre in Nicaragua, dove sono andati al voto i 153 municipi del paese, a cura di Geraldina Colotti).
Un breve commento di Bái Qiú’ēn sull’esito delle elezioni
Stando ai dati ufficiali, nelle elezioni amministrative del 7 novembre gli aventi diritto al voto erano 3.692.733, mentre lo scorso anno erano 4.478.334. Quasi 800mila desaparecidos dei quali non si sa che fine abbiano fatto.
In base alla somma di ciò che hanno preso i vari partiti, i voti validi sono stati 2.028.125.
Vedi:https://www.tn8.tv/nacionales/2do-reporte-de-resultados-de-las-elecciones-municipales-2022-en-nicaragua/
Il partito di Daniel-Rosario ha preso 1.494.688 voti: ufficialmente il 73,7%, qualcosa in meno rispetto al 2021 (75,92%). la percentuale sugli aventi diritto è però del 40,5%, il che continua a corrispondere alla percentuale storica del 35-40%.
In ogni caso, ci sarà sempre qualcuno che esulterà per la vittoria, anche se di Pirro, perché nessuna amministrazione comunale è stata conquistata dall’opposizione: un completo cappotto e, per questo, ci sarà chi canterà vittoria, anche se di Pirro.