Nicaragua: verso il partito unico
A sostenerlo è Juan Carlos Ortega Murillo che su X, già il 14 marzo 2022 aveva scritto: «Il sistema dei partiti politici deve reinventarsi o prendere la strada più sana, ovvero farlo scomparire e instaurare il modello del partito unico ecc.»
di Bái Qiú’ēn
i mali che fuggi sono in te. (Seneca)
è solo per merito dei disperati che ci è data una speranza. (Walter Benjamin)
Sono trascorsi parecchi anni da quel maggio del 1987, quando Eduardo Galeano utilizzò il termine «democradura» per descrivere quei regimi o governi che si erano insediati nel continente latinoamericano con volti democratici e pratiche dittatoriali, autoritarie e autogiustificate, per commettere abusi e soprusi contro la sovranità del popolo. Questo gioco di parole tra «democracia» e «dictadura» può essere agevolmente “tradotto” con «democrazia totalitaria» o «totalitarismo democratico». Nello stesso 1987 il Nicaragua rivoluzionario stava vincendo la guerra di cosiddetta “bassa intensità” scatenata da Reagan tramite la contra. Tre anni dopo, contro tutti i pronostici e generando un forte trauma all’interno del FSLN, l’opposizione unita nell’Unión Nacional Opositora (UNO) vinse le elezioni anticipate (con il 54,74%) e il governo rivoluzionario cedette il potere alla coalizione neoliberista capeggiata da Violeta Barrios de Chamorro.
Nella struttura interna del FSLN, le componenti democratiche favorevoli all’apertura politica nel Paese, che in un decennio aveva trasformato radicalmente la cultura, la politica e la concezione tradizionale del potere che per lunghi decenni predominarono nella società nicaraguense, riuscirono a prevalere su quelle autoritarie, proseguendo nella transizione da una quarantennale dittatura alla democrazia. Transizione in pratica avviata già nel periodo della lotta rivoluzionaria. Lo shock della derrota del 1990 si può considerare il punto di partenza dell’attuale realtà del Nicaragua: il terrore di perdere nuovamente il potere “giustifica” la mancanza di scrupoli politici e morali della coppia regnante e dei relativi cortigiani.
Molto prima di Galeano, un certo Platone scrisse che in una società nella quale «chi comanda finge, per comandare sempre di più, di mettersi al servizio di chi è comandato e ne lusinga, per sfruttarli, tutti i vizi; in cui i rapporti tra gli uni e gli altri sono regolati soltanto dalle reciproche convenienze nelle reciproche tolleranze», «in un ambiente siffatto, dico, pensi tu che il cittadino accorrerebbe a difendere la libertà, quella libertà, dal pericolo dell’autoritarismo?». Concludendo il proprio ragionamento: «Ecco, secondo me, come nascono le dittature» (Repubblica [Πολιτεία], cap. VIII).
Con il termine «democratura» si indica, pertanto, un sistema politico-istituzionale improntato alle regole formali della democrazia (liberale), ma ispirato nei comportamenti e nelle scelte a un effettivo e sostanziale autoritarismo.
Chiunque abbia viaggiato in Nicaragua negli anni Ottanta ha vissuto esperienze e situazioni che ne mutarono per sempre la vita e la concezione di una società di nuovo tipo, assai lontana dal socialismo reale e forse più simile all’idea di “socialismo dal volto umano” della Cecoslovacchia del ‘68.
La clamorosa e inaspettata sconfitta elettorale del 1990 causò una crisi interna del FSLN, che si manifestò nell’emergere di nuove ma minoritarie correnti ideologiche che tentarono di avviare un radicale mutamento della cultura politica e della tradizionale concezione del potere, con importanti dichiarazioni di critica all’autoritarismo e all’abuso di potere*.
Una “nota di colore”: poco prima della sconfitta elettorale Tomás Borge pubblicò 6.000 copie di un piccolo volume di sue poesie, intitolato La ceremonia esperada. Nei giorni successivi fu ritirato dalla circolazione e le numerose copie stampate e non ancora vendute furono collocate nell’enorme sala che fungeva da biblioteca dell’abitazione del comandante, le cui pareti erano tappezzate da numerosissime crocifissi di vario formato e dimensione.
Chiunque torni oggi in Nicaragua, difficilmente potrà assistere alla stessa “scena” descritta da Salman Rushdie:
«Cosa pensa della rivoluzione?», le domandai.
«Non ho tempo per queste stupidaggini», rispose.
«È contraria?».
«Chi se ne frega». Alzò le spalle. «Sì, forse».
[…] Era anche importante che questa donna non avesse avuto paura di esprimersi. Anche la presenza di vari funzionari dello stato non le aveva fatto né caldo né freddo.
(Il sorriso del giaguaro, 1989, p. 75)
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Dopo l’inaspettata sconfitta elettorale il FSLN ebbe una rilevante opportunità di riflessione e la stessa militanza di base chiese a gran voce che fosse un partito maggiormente inclusivo e democratico. Nei fatti non si produsse alcuna risposta adeguata a quelle legittime richieste, tanto che all’inizio del 2018, poco prima dell’esplosione sociale di aprile non era difficile ascoltare le lamentele dei sandinisti nei confronti della gestione del potere da parte di Daniel e Soci: «Fanno, disfano. Rifanno e tornano a disfare… ma a noi non chiedono mai nulla. Serviamo soltanto per votare o per andare in piazza il 19 luglio».
A livello psicologico pare che nei sedici anni di opposizione, con tre sconfitte elettorali consecutive alle spalle, Daniel abbia poco a poco abbandonato qualsiasi scrupolo e perduto ogni remora morale. Ha infatti concentrato nelle sue mani il FSLN, che inizialmente era diretto da nove comandanti in rappresentazione delle tre tendenze (Guerra popular prolongada, Proletaria, Insurreccional o Tercerista), nel 1997-‘98 dall’opposizione patteggiò con Arnoldo Alemán garantendogli una comoda prigionia dopo la prevedibile condanna per corruzione (250 milioni di dollari) in cambio di una riforma elettorale che gli garantiva la vittoria al primo turno (lo zoccolo duro del FSLN fu sempre calcolato al 35% dell’elettorato). Come corollario, Daniel patteggiò con lo stesso Alemán la spartizione del potere nelle varie istituzioni (le famose poltrone). Il tutto, non solo a discapito di qualsiasi altro partito esistente ma tendente ad affossare le numerose e importanti conquiste democratiche e istituzionali degli anni Ottanta, quando la Rivoluzione Popolare iniziò a creare un modello diverso rispetto a quello del cosiddetto socialismo reale dove il superamento del sistema capitalistico si era trasformato in autoritarismo burocratico e in negazione di ogni spazio democratico. Nello stesso periodo la reputazione personale e politica di Daniel subì un deciso tracollo, ponendo in dubbio la sua stessa integrità morale quando la figlia di Rosario lo accusò pubblicamente di ripetuti abusi sessuali.
Potrà sembrare una storia vecchia e consunta, ma quel patto scellerato è tuttora vigente e operante: a tutti gli effetti resiste e persiste quell’accordo per limitare la presenza e l’azione dei partiti rivali al FSLN e al PLC affinché non possano vincere le elezioni e vengano gradualmente eliminati dalla competizione elettorale e dal panorama politico. Si tratta, al di là di ogni ragionevole dubbio, di una visione proprietaria della cosa pubblica, “normale” in un partito di destra, meno “normale” in uno che si dichiara di sinistra.
Al tempo stesso Daniel iniziò ad avvicinarsi sempre più sia alla borghesia imprenditoriale (con l’intermediazione dei cosiddetti «imprenditori sandinisti», capeggiati da Bayardo Arce) sia alle gerarchie religiose, non scordando qualche concessione all’ex contra rientrata nella vita civile. Per mostrarsi affidabile agli occhi di Washington, inoltre, l’inno sandinista con la frase «luchamos contra el yanque, enemigo de la humanidad» fu sostituito prima dall’Inno alla Gioia di Beethoven e poi da una versione “speciale” di Give Peace a Chance di John Lennon (con inserti rap) che recita «lo que queremos es trabajo y paz».
In questo periodo il neoliberismo riuscì a smantellare quasi tutte le trasformazioni sociali avviate dal processo rivoluzionario degli anni ’80 e instaurò un capitalismo vorace e disumano. I servizi pubblici furono privatizzati, l’economia consegnata al capitale transnazionale, il territorio nazionale ceduto in concessioni minerarie e forestali, promuovendo la privatizzazione a tappeto della sanità e dell’istruzione. In conclusione del Congresso del FSLN (ormai monopolizzato a livello personale) Daniel annunciò la sua decisione unilaterale di abbandonare la strategia delle lotte popolari per intraprendere la via dei compromessi e dei patti (eufemisticamente: denominata «riconciliazione»): «Nicaragua unida: la tierra prometida».
Dopo la vittoria elettorale del 2006 con il 38,07% di voti, Daniel iniziò a mettere fuorilegge i partiti che più gli davano fastidio, a partire dagli scissionisti “socialdemocratici” del MRS, organizzazione fondata nel 1995 e soppressa l’11 giugno 2008, per terminare con l’eliminazione dell’organizzazione indigena della Costa Atlantica Yatama (Yapti Tasba Masraka, Figli della Madre Terra), fondata nel 1987 e soppressa il 3 ottobre 2023. È assai lungo il conto dei numerosi partiti eliminati dal panorama dal 2008 a oggi (compreso lo storico Partido Conservador). Per quanto non si possa parlare di un sistema a partito unico, almeno per ora, la strada è però tracciata: alle elezioni del 2021 erano presenti solamente sei partiti, compreso il FSLN. Due di questi, nonostante la loro sostanziale alleanza con Daniel sono stati soppressi dopo le elezioni: Camino Cristiano (CCN) nel 2022 e Yatama l’anno successivo. Non occorre molta fantasia per ipotizzare che pure gli altri faranno, prima o poi, la medesima fine, salvandosi probabilmente soltanto il PLC di Arnoldo Alemán (un patto è un patto).
Nella realtà del panorama politico attuale esistono in pratica quattro partiti (legali), mostrando un panorama assai striminzito rispetto al 1990: la UNO era composta da ben 21 partiti di varie tendenze, oltre ad altri otto che non si unirono nell’opposizione. Con il FSLN in totale erano 30.
È indubbio che il tasso di democrazia esistente in un Paese non possa essere misurato esclusivamente sul numero di partiti, sebbene la differenza tra il 1990 e il 2024 sia più che evidente. Nelle elezioni amministrative realizzate il 6 novembre 2023, l’orteguismo ha stravinto in tutti i 153 Comuni contro altri cinque partiti (nelle precedenti elezioni si era accontentato di conquistarne 135, lasciando un minimo spazio agli altri). Nessuno si aspettava un simile risultato, ritenendo che alcuni partiti zancudos** avrebbero conquistato qualche sindaco in località poco significative, quanto meno per dare l’impressione di regolarità nel conteggio dei voti.
Nelle elezioni politiche del 2021, con un’affluenza ufficiale del 65,23%, su 90 seggi disponibili, ben 75 furono assegnati all’orteguismo, 9 al PLC di Alemán e i restanti 6 agli altri partiti. Nella maggior parte delle votazioni parlamentari, tutti i deputati a prescindere dal partito che rappresentano, votano in modo identico. In pochissime e rare occasioni qualcuno decide di astenersi o di non votare. Per quanto il partito di Alemán persista nel dichiararsi di opposizione e avversario di Daniel, nella sostanza, non esiste alcuna dialettica né alcun confronto parlamentare.
Esercito e polizia dipendono direttamente dal presidente della Repubblica, ossia da Daniel. Tutte le istituzioni sono monopolizzate dal FSLN (partito ormai del tutto personalistico), con alcune poltrone concesse al partito di Alemán in base al famigerato Patto del 1998. Con una realtà istituzionale siffatta, nessuno sano di mente può pensare di effettuare un colpo di mano e ribaltare la situazione.
Dal 2018 in poi si è assistito a un vero massacro della società civile e all’annichilimento di qualsiasi organizzazione sociale (ambientalismo, femminismo, ecc.), con la scusa del golpe blando. Spiegazione al contempo semplice e consolatoria: semplice perché non indica alcuna origine endogena dell’esplosione sociale, consolatoria perché la motiva esclusivamente con le ingerenze straniere in sostegno dell’opposizione. Al contempo è un’interpretazione che serve a giustificare ogni e qualsiasi restrizione delle libertà, fino alla sepoltura delle basi stesse sulle quali si fondavano la lotta antisomozista e la Rivoluzione Popolare che trionfò su una delle dittature più atroci e corrotte del continente americano.
Se il decennio degli anni Ottanta fu all’insegna del pluralismo politico (principio sancito a chiare lettere nell’art. 5 della Costituzione del 1987), la parabola iniziata nel 2007 non può che essere definita come tendente a una vera e propria democratura: con le varie “riforme” alla stessa Costituzione e con le numerose leggi ad partitum si è completamente distrutto ciò che con fatica e sacrifici si era iniziato a costruire nel decennio rivoluzionario. Dall’effettivo pluralismo politico degli anni Ottanta si è progressivamente giunti al monopolio del potere, eliminando tutti i possibili concorrenti e lasciando “in vita” alcuni partiti nella sostanza insussistenti e ininfluenti.
Il restringimento degli spazi politici e sociali, però, non è il risultato esclusivo delle proteste popolari del 2018: fin dal 22 aprile 2009, due anni dopo il ritorno alla presidenza della Repubblica, Daniel aveva infatti dichiarato che «dal momento in cui si promuovono i partiti, si promuove la divisione delle persone, divisione che ha portato anche alle guerre tra partiti» (intervista al programma Mesa Redonda della TV cubana). Se non bastasse, aveva aggiunto che «Il multipartitismo non è altro che un modo per disintegrare la nazione. Questo è multipartitismo: disintegrare la nazione, scontrarsi con la nazione, dividere la nazione, dividere i nostri popoli». Un vero e proprio inno al sistema del partito unico, ben distante dal Programma Storico del FSLN redatto da Carlos Fonseca nel 1967.
Come se ciò non bastasse, l’art. 5 dello Statuto del FSLN (vigente dal 2002) recita testualmente: «Il FSLN sostiene un socialismo che risponda alle attuali condizioni storiche e la sua essenza consiste ne: […] La promozione della democrazia attraverso la partecipazione attiva della società civile, attraverso la democrazia partecipativa, come asse centrale di un modello politico inclusivo che ha come contenuto principale: a. Il pluralismo politico; b. Lo Stato di diritto; c. L’indipendenza dei poteri dello Stato».
Belle parole tradite nei fatti: da chi viola reiteratamente e senza ritegno la Costituzione e le leggi da lui stesso emanate, non ci si può attendere il rispetto delle dichiarazioni statutarie e programmatiche del partito.
Del resto, chiunque affermi che sono i partiti a creare le divisioni, parte con il piede sbagliato: i partiti nascono proprio perché esistono e sono ineliminabili le diversità di visione politica.
Formalmente la cittadinanza è chiamata a votare (con voto libero e segreto), formalmente esiste un’assemblea legislativa, formalmente i vari poteri sono autonomi e indipendenti, formalmente la democrazia pare esistere. Formalmente.
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Alejandro Serrano Caldera, giurista e filosofo sandinista, dal 1985 al 1988 ricoprì la carica di presidente della Corte Suprema di Giustizia (in precedenza, a partire dal 1979 fu ambasciatore in Francia fino al 1984). In una sua analisi storico-politica descrisse il sistema nicaraguense con la seguente immagine: «un movimento circolare in cui la violenza è ricorrente, con alcuni periodi nei quali le sparatorie tacciono ed emergono i compromessi politici che, insufficienti nella loro portata e spurie che nelle loro intenzioni riaprono la strada alla violenza e alla “cultura” dello scontro e della sparatoria, per cedere il passo, ancora una volta, a un nuovo patto in cui vengono ridistribuite le quote di potere… e via di questo passo. Autoritarismo, intolleranza e caudillismo sono stati, tra gli altri, vizi periodici che emergono in quella roulette che ruota tra scontro e compromessi tra gli interessi dominanti» (En busca de una nación, in: Historia y violencia en Nicaragua, 1997, pp. 21-22).
Le ambizioni dei vari governanti e le loro pretese di perpetuarsi sulla poltrona presidenziale sono state una condizione con la quale la società nicaraguense ha vissuto perlomeno negli ultimi 170 anni (ossia dal 1838, quando divenne uno Stato indipendente a tutti gli effetti), fatta eccezione almeno parziale nel decennio rivoluzionario.
A questo meccanismo ripetitivo e costante nel tempo, oggi come oggi non sfuggono Daniel, Rosario e la loro Corte, avendo ormai assunto il FSLN le medesime caratteristiche caudilliste e clientelari dei partiti borghesi, oltre ad aver cancellato l’esistenza di quei movimenti della società che contribuirono al trionfo rivoluzionario e al processo di transizione democratica negli anni Ottanta.
Come corollario risulta evidente che lo slogan El pueblo presidente sia soltanto un guscio vuoto, non contenendo al suo interno nulla di sostanziale, se non la retorica propagandistica: le relazioni tra la società civile (quasi totalmente smantellata dal 2018 a oggi) e lo Stato sono totalmente inesistenti, il Governo e le istituzioni operano soltanto per la loro conservazione e perpetuazione saecula saeculorum.
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Il 14 marzo 2022 Juan Carlos Ortega Murillo (reincarnazione di A.C. Sandino secondo la madre Rosario), in un post di Twitter (oggi X) aveva scritto: «Il sistema dei partiti politici deve reinventarsi o prendere la strada più sana, ovvero farlo scomparire e instaurare il modello del partito unico ecc.».
Pare che l’originaria parola d’ordine «Patria o muerte» si sia trasformata in «Poder o muerte». Morte civile degli altri, ovviamente.
* Suggerimento di lettura: Florence E. Babb, Después de la Revolución. Género y Cultura Política en la Nicaragua Liberal, Instituto de Historia de Nicaragua y Centro América (IHNCA), 2012.
** «Zancudo» è il termine generico che in Nicaragua indica qualsiasi tipo di zanzara. Con questa definizione fin dal 1957 sono indicati i partiti collaborazionisti, i quali simulano di essere all’opposizione (quando sono in campagna elettorale) ma appoggiano il partito al governo. Come le zanzare, succhiano il sangue della povera gente intascando i contributi economici previsti per chi partecipa alle elezioni e le prebende relative alle poltrone occupate.