Non è dato sapere
di Cristina Bove (*)
Fu la sillabazione delle ore
a riciclare tra tegami e piatti
i libri letti – costolature verdeoro –
e dieci sguardi famigliari
a condannare da un balcone il volo
della ragazza ch’era carta straccia.
La cucina una pista di rullaggio
in effetti ci volle per l’abbrivio
solo uno schiaffo dato in piena faccia
e l’asfalto fu un campo d’atterraggio.
Tanto ci volle a ricapitolare
diciott’anni per dire che la gente
viveva di conformità mortali.
Se avessero taciuto quelle bocche
di farisei
di sepolcri imbiancati__ disse un tale
che poi ci regalò questa cultura
di sproporzioni ignobili
(ne paghiamo ogni voce)
e l’assistenza che le fu negata.
E ancora adesso
cosa interessa a chi nel calderone
rimesta tutto ciò che cuoce?
Dicono taci, dicono sei viva
ma che ne sanno gli animi di pietra
di quanto sia ostinato quel momento
che sempre e sempre si ripete__che
ti sveglia da cent’anni in piena notte
e
malgrado accorgimenti d’ogni sorta
malgrado meraviglie
torna malefico e puntuale
ed ogni volta
vorresti essere uscita vittoriosa
come dal cancro e da tanti altri mali
mentre quel salto là,
quello strappo dai propri stessi piedi
non lo potranno mai capire i vivi.
(*) Il 21 marzo è la «Giornata mondiale della poesia» istituita dall’Unesco. L’idea era di farvi trovare oggi un blog molto particolare, cioè 24 poesie, una ogni ora. Dalla mia piccola lista amicale «my favorite things» (per l’occasione un po’ allargata) sono arrivate 28 poesie. Di ogni genere: alcune assai famose, altre inedite o scritte per quest’occasione. Così abbiamo deciso di allargare un pochino il giorno canonico. Si è perciò partiti alle 20 di ieri per terminare alle 23 di oggi. Buona lettura (db)
Niente di nuovo. La “solita” bella musica di Cristina Bove.
Sgorga da lei questa musica con la stessa facilità che in un Mozart fanciullo, inconsapevole della propria capacità di poesia.
Leggendo quella di quest’ora, pago dazio per la sfacciataggi di averne presentata una mia. L’imbarazzo…
Beh, diciamo che il valore di questa, compensa quella dell’altra. La mia. Sincera, sì, pertinente a un momento mio sincero. Ma composta con la clava, invece che con la penna.