«Non eri tu il pazzo, erano proprio stronzi loro»

Una recensione – in gran ritardo – a «Oggi tocca a me: una guerra per bande», romanzo di Juri Di Molfetta (*)

OggiToccaAme-cop

      Ricordate cosa è successo il 3 luglio 2011 a Chiomonte, in Val di Susa? Dopo l’ennesimo episodio di arroganza militare dello Stato, a sostegno della Tav (Alta Voracità), la popolazione manifesta con molte persone o gruppi solidali che arrivano da fuori: è uno scontro duro. Juri Di Molfetta è molto bravo a raccontare quella giornata, come le vite che lì convergono. Non lo fa con gli occhi dei militanti ma soprattutto con lo sguardo di chi quel giorno lì capita per un caso, si mette in gioco e… molto capisce. Una visione «romantica». Forse. C’è qualcosa di male? Ed essendo un romanzo non stona (anzi) l’elemento fantastico, inspiegabile che accompagna una narrazione duramente realistica, spesso ancorata ai fatti.

Questo è, per me, uno dei libri migliori sulla lotta in Val di Susa che sì certe volte sembra il villaggio di Asterix assediato dai romani… e peccato che manchi «la pozione magica» come pensa Caterina che su quelle montagne è cresciuta. «Oggi tocca a me: una guerra per bande» (208 pagine per 13 euri) – prefazione di Luca Abbà, illustrazioni di Erika Bertoli – è stato pubblicato nel 2013 dalla Eris di Torino (www.erisedizioni.org) con licenza Creative Commons; io invece l’ho letto un anno fa, quando me lo ha regalato Rom Vunner. E mi ha convinto, conquistato. Mi è sembrato di riconoscere Teppa, Rita, Caterina, Maurizio-Giamaica, Panza, il cane-fantasma Guapo, Guido, perfino quel «gran bastardo» di Benza che vende coca, zio Luciano e «qualcun altro» che poi diventerà «uno»… Mi è parso di sentire l’odore dei gas lacrimogeni. Di respirare dubbi e pensieri “in attesa della battaglia”. Di essere dentro «il fiume eterogeneo di persone» – «sono arrabbiati eppure sono felici» – così diverse ma tutte disobbedienti a uno Stato di merda con i suoi miserabili Lopez a fare finta di essere un ispettore Callaghan. Forse ho sognato, con Panza, che i teppisti diventano rivoluzionari. Anche io forse come Caterina (nonostante la notevole differenza d’età) frequento soprattutto due categorie di persone: «quelle che pensano che il mondo non cambierà mai e quindi si accontentano del mondo così com’è perché ritengono inutile sbattersi per cambiarlo; e quelle che hanno smesso di chiedersi se cambierà mai e quindi si godono la gioia che deriva dal fotterlo giorno per giorno, nelle piccole azioni quotidiane, muovendosi nella società come tante cellule impazzite». Di certo non conosco la montagna ma da qualche parte ho incrociato “zio” Luciano, 60 giorni in fabbrica che si ricorda di un 4 luglio 1969 a Torino con le pietre che volano: «Non eri tu il pazzo, erano proprio stronzi loro: la stronza follia dei padroni, quelli che ti volevano cosa anziché uomo». E purtroppo riconosco uno dei giornalisti che “parlano con Dio”, senza verifiche o dubbi. Quanto alla pietra che “pensa” (e/o alla mano che, in modo imprevedibile, l’ha raccolta e tirata?) credo di averci parlato, anni fa.

«Capisco… Non ci sono solo i buoni e i cattivi, in mezzo ci sono un sacco di sfumature. Ma questo non cambia il senso del tutto». E il “senso” in Val Di Susa è chiaro.

Come di consueto, non rivelerò i nodi della trama. Ma se, presi dal ritmo, leggete di fretta… rallentate a pagina 141: lì c’è un gran colpo di scena. Il finale invece è “magico” o se preferite alla Manuel Scorza e alla sua altezza.

(*) Questa sorta di recensione va a collocarsi nella rubrica «Chiedo venia», nel senso che mi è capitato, mi capita e probabilmente continuerà a capitarmi di non parlare tempestivamente in blog di alcuni bei libri pur letti e apprezzati. Perché accade? A volte nei giorni successivi alle letture sono stato travolto (da qualcosa, qualcuna/o, da misteriosi e-venti, dal destino cinico e baro, dalla stanchezza, dal super-lavoro, dai banali impicci del quotidiano +1, +2 e +3… o da chi si ricorda più); altre volte mi è accaduto di concordare con qualche collega una recensione che poi rimaneva sospesa per molti mesi fino a “morire di vecchiaia”. Ogni tanto rimedio in blog a questi buchi, appunto chiedendo venia. Però, visto che fra luglio e agosto ho deciso di recuperare un bel po’ di queste letture e di aggiungerne altre, mi sa che alla fine queste recensioni recuperate e fresche terranno un ritmo “agostano” quasi quotidiano, così da aggiornare in “un libro al giorno toglie db di torno” quel vecchio detto paramedico sulle mele. D’altronde quando ero piccino-picciò e ancora non sapevo usare bene le parole alla domanda «che farai da grande?» rispondevo «forse l’austriaco (intendevo dire “astronauta” ma spesso sbagliavo la parola) oppure «quello che gli mandano a casa i libri, lui li legge e dice se van bene, se son belli». Non sono riuscito a volare oltre i cieli, se non con la fantasia; però ogni tanto mi mandano i libri … e se no li compro o li vado a prendere in biblioteca, visto che alcuni costano troppo per le mie attuali tasche. «Allora fai il recensore?» mi domandano qualche volta. «Re e censore mi sembrano due parolacce» spiego: «quel che faccio è leggere, commentare, cercare connessioni, accennare alle trame (svelare troppo no-no-no, non si fa), tentare di vedere perché storia, personaggi e stile mi hanno catturato». Altra domanda: «e se un libro non ti piace, ne scrivi lo stesso?». Meditando-meditonto rispondo: «In linea di massima ne taccio, ci sono taaaaanti bei libri di cui parlare perché perder tempo a sparlare dei brutti?». (db)

 

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

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