Nostalgia di Gigi Riva

di Ignazio Sanna e Mario Guerrini

L’ultimo saluto. A Gigi – Mario Guerrini

L’ultimo saluto. A Gigi. Gigi Riva. Sul Colle di Bonaria. Dove sono nato. E dove spero di chiudere gli occhi per l’ultima volta. Anche io. A pochi metri dalla ultima mia casa. Accanto a quella imponente Basilica. Che tanto amo. E che ammiro dalla finestra. Tutti i giorni. È l’ultimo saluto di una città. Di una Regione. A quel mito incredibile di calciatore che è stato Gigi. Con un filo che ci accomuna. Perché io sono figlio di un calciatore rossoblù. Mancino come lui. Ma terzino. Di altra epoca. Con lo stesso destino. Venuto da Livorno. E rimasto per sempre, sino all’ultimo respiro, nella mia Cagliari. Come Gigi. Dalla lombarda Leggiuno. E per questo eroe del pallone c’è appunto un posto particolare nel mio cuore. Perché la mia carriera professionale di radio e telecronista è stata illuminata anche dalla sua grandezza. E dalla nostra reciproca considerazione personale. Perché io ero il cantore sardo delle sue gesta. Spero non dimenticato. Ho vissuto con la mia voce le sue glorie e i suoi dolori. Che sono parte indimenticabile della mia esistenza. Oggi Gigi avrà anche il mio saluto. L’ultimo. A quel bravo ragazzo del nord. Che ha voluto vivere al sud. Nell’Isola di Sardegna. E trovare quaggiù il riposo eterno. Come Ilio. Il mio Papà. E come me. Quando sarà. Senza fretta. Perché la vita è bella.

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MOLTO PIU’ CHE UN ROMBO DI TUONO – Ignazio Sanna

La vicenda biografica di Luigi Riva da Leggiuno (Va) è nota, almeno a grandi linee. Rimase orfano di padre a nove anni, e la madre, costretta a metterlo in un collegio, morì quando ne aveva sedici. E così gli fece da madre la sorella maggiore Fausta, venuta a mancare nel 2020. Il giovanissimo Gigi manifestò da subito un carattere ribelle, insofferente alla disciplina rigidissima dei collegi. Ma per fortuna la natura l’aveva dotato di un talento calcistico davvero fuori dal comune. E difatti ben presto cominciò a manifestarlo. La prima squadra di un certo livello dove giocò fu il Legnano. Ma il primo a credere fino in fondo nelle sue capacità fu Andrea Arrica, che riuscì abilmente a sottrarlo al nascente interesse di altre squadre per portarlo a Cagliari.

Non è un mistero che per il giovane campioncino (19 anni) non fu una bella sorpresa. Anzi, quando arrivò era fermamente deciso ad andarsene subito. Presa di posizione non troppo difficile da capire se si pensa che si era nel 1963 e la Sardegna non solo era perfino più provinciale dell’Italia dell’epoca, ma soprattutto era molto poco conosciuta. Lo sfruttamento turistico delle sue coste non era ancora cominciato, e della Sardegna si parlava in genere soltanto per episodi di cronaca nera. Ma non ci volle molto perché il ragazzo si rendesse conto delle notevoli qualità umane della grande maggioranza dei sardi, decidendo infine di restare a Cagliari per tutta la vita. E, detto per inciso, come tanti altri lui è diventato sardo per scelta, non per caso o magari per interesse, e come tanti altri è stato accettato come uno di noi. Per restare nel mondo del calcio, altri calciatori che hanno vestito la maglia del Cagliari hanno scelto di restare a viverci anche dopo la fine della loro carriera. Dopo un precursore come il livornese Ilio Guerrini, che ci giocò dal 1929 al 1934, tra i compagni di squadra di Riva, quelli che vinsero lo scudetto del 1970, ci furono Beppe Tomasini, Adriano Reginato, Ricciotti Greatti, Mario Brugnera, Mario Martiradonna, Cesare Poli, Nenè. E poi, negli anni successivi, Pino Bellini, Roberto Quagliozzi, Emanuele Gattelli, Alessandro Agostini, Daniele Conti. E probabilmente ne ho dimenticato qualcuno.

Sul piano strettamente calcistico Gigi Riva è stato il più grande calciatore italiano di tutti i tempi, e uno dei più grandi al mondo, forse secondo soltanto a Pelè.

Non a caso, con le sue 35 reti in 42 partite, detiene ancora oggi il record di goal segnati in Nazionale, davanti a figure mitiche come Giuseppe Meazza e Silvio Piola. L’incredibile potenza del suo sinistro, terrore dei portieri, gli valse l’appellativo di ‘rombo di tuono’, coniato dal giornalista Gianni Brera. Il Cagliari avrebbe potuto vincere più di uno scudetto, come nel 1969, quando arrivò secondo insieme al Milan dietro la Fiorentina. O nel 1971, quando la squadra dovette fare a meno di lui per quasi tutto il campionato dopo il grave infortunio in Nazionale contro l’Austria. In ogni caso la sua influenza è stata tanto grande che anche in seguito, pur tra alterne fortune, il Cagliari è stato spesso ad alti livelli, potendo contare tra le sue fila giocatori di grande livello internazionale come il ‘principe’ uruguaiano Enzo Francescoli o l’eroe del Chelsea Gianfranco Zola, per citare soltanto due tra i principali. E tra le squadre a sud di Roma il Cagliari è quella che ha giocato il maggior numero di campionati di serie A dopo il Napoli, con 42 partecipazioni (https://it.wikipedia.org/wiki/Classifica_perpetua_della_Serie_A_dal_1929). Anche alla grandezza di Riva come calciatore si deve il fatto che la squadra di una città medio-piccola come Cagliari sia risultata in un’indagine della Lega Calcio del 2013, “l’8ª squadra d’Italia per numero di tifosi, con 446.376 sostenitori” (https://it.wikipedia.org/wiki/Tifoseria_del_Cagliari_Calcio). Tra i tanti tifosi non sardi del Cagliari qui possiamo ricordare il regista Riccardo Milani, noto anche per essere il marito di Paola Cortellesi, autore del film su Gigi Riva Nel nostro cielo un rombo di tuono (2022) (https://www.mymovies.it/film/2022/nel-nostro-cielo-un-rombo-di-tuono/).

Lasciato il Calcio giocato Riva gestì brevemente il Cagliari, del quale è stato in seguito nominato Presidente Onorario dall’attuale Presidente Tommaso Giulini. Sul sito del Cagliari Calcio c’è un bel ritratto a lui dedicato: https://www.cagliaricalcio.com/SpecialeLeggenda. E poi per tanti anni fu il team manager della Nazionale italiana, dove fu stimato e apprezzato da tutti, a cominciare dai giocatori fino a chiunque vi abbia avuto un ruolo. E, come tutti noi, anche il suo luogo di nascita gli renderà omaggio: https://www.varesenews.it/2024/01/leggiuno-ricorda-gigi-riva-saremo-al-funerale-e-intitoleremo-a-lui-il-campo-sportivo/1825300/

Dopo avere tanto parlato del calciatore è doveroso parlare dell’uomo, che è stato almeno altrettanto grande. Sempre pronto a rispondere cortesemente al saluto delle persone comuni che lo incontravano per le strade della città nella vita quotidiana, Gigi Riva era una persona integerrima sotto ogni punto di vista. Ne è la dimostrazione principale il suo ripetuto rifiuto ai corteggiamenti miliardari delle cosiddette grandi squadre, a cominciare dalla Juventus. Non era più povero, ma non era avido di denaro, a differenza di altri suoi colleghi di ieri ma soprattutto di oggi. Non posso fare a meno di pensare, a titolo di esempio, a uno come Cristiano Ronaldo, tra i pochi ad essersi avvicinato ai livelli sportivi di Riva, che oggi gioca nell’Al-Nassr di Riad, Arabia Saudita, probabilmente attirato non esattamente dalla passione sportiva per questo club. Il ricordo personale che ho di lui, come tifoso, è la partita da lui giocata contro il Cagliari con la maglia della Juventus, durante la quale cercando improvvidamente di colpire la palla sferrò un calcio in faccia al portiere Alessio Cragno procurandogli un taglio, e anziché preoccuparsi delle sue condizioni si intrattenne a chiacchierare amabilmente con l’arbitro, che incredibilmente non lo espulse (https://www.fanpage.it/sport/calcio/cristiano-ronaldo-andava-espulso-il-grave-fallo-di-gioco-commesso-su-cragno/).

Vorrei concludere con un aneddoto-confessione. All’età di sette anni mi ritrovai con i miei genitori a una festa alla quale partecipava Gigi Riva. Mia madre volle farmi parlare con lui, il quale mi chiese: Per che squadra tifi? E io, sotto l’influenza nefasta di alcuni miei cuginetti più grandi: Juventus. Visto lo sbigottimento di mia madre lui, sorridendo, le disse: Vedrà che cambierà idea. Posso testimoniare che la sua profezia si è avverata senza alcun dubbio. Infatti quell’episodio è ciò di cui mi vergogno di più in assoluto in tutta la mia vita. Ma sono sicuro che ormai Gigi mi ha perdonato.

 

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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