NOTAI
(di Pabuda)
notai una volta
sarebbe il verbo
più preciso, più indicato) –
nel corso
di una di quelle inutili
ma obbligatorie
sedute notarili –
notai… un notaio
che si ficcava un dito
nel naso.
avendolo beccato
in un atteggiamento
talmente inappropriato,
ero indeciso sul da farsi:
faccio finta di niente
o lo tengo sotto tiro?
dopo qualche
tentennamento,
decisi
per la seconda opzione:
osservai
e mentalmente
registrai, annotai
ciascuna operazione
portata a buon fine
dal notaio sporcaccione:
tutto il lavorio di scavo,
(coll’evidente godimento
allegato a quella pratica:
glielo si leggeva sul faccione)
poi d’un qualcosa l’estrazione
e per finire…
(eh, eh: qui ti volevo,
coglione!)
senza ombra d’esitazione:
della caccola,
estratta e rapidamente
tra due dita
minutamente appallottolata,
la (come dire?) applicazione
sotto il piano ligneo
della pregiatissima scrivania.
proposi e pretesi
che l’accaduto
(che mica era avvenuto
per caso:
il costoso professionista
s’era deliberatamente,
e senza costrizione alcuna,
ficcato quel ditaccio
nel naso)
fosse compiutamente
verbalizzato
nel papiro notarile
che si stava redigendo.
ma il notaio in questione
oppose in vario modo
resistenza,
gli altri clienti presenti
si divisero
in due fazioni equipollenti:
ci fu un bel volar di sedie,
di vaffanculo, di volumoni,
di raccoglitori,
e di risme di carta bollata
ridotta in coriandoli:
insomma: una bella rissa da osteria
presso lo studio notarile,
una scazzottata in piena regola.
tempo dopo, ancora, notai
che s’era sparsa una voce
tra i notai:
diceva la voce:
“quel Pabuda è un pazzo,
lasciatelo perdere o son guai”.
AH, Ah, AH! Laidi e ladri…