Nuovo cittadino? Chissà, forse, vedremo
di Maria Rosaria Baldin
La definizione di cittadino italiano si trova nella legge sulla cittadinanza n. 91/92 art. 1:
1. E’ cittadino per nascita:
a. il figlio di padre o di madre cittadini;
b. chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono.
2. E’ considerato cittadino per nascita il figlio di ignoti trovato nel territorio della Repubblica, se non venga provato il possesso di altra cittadinanza.
Questo significa che l’Italia segue il principio dello jus sanguinis (la cittadinanza cosiddetta di sangue) e non lo jus soli (la cittadinanza di suolo, si diventa cittadini di quel certo paese alla nascita per essere nati). Ed ecco spiegato perchè le seconde generazioni, cioè i figli dei migranti nati in Italia o arrivati da piccoli in seguito al ricongiungimento familiare, sono considerati dallo stato stranieri. Questi ragazzi non hanno deciso di emigrare, ma hanno solo seguito le scelte dei genitori.
Eppure non importa se conoscono perfettamente l’italiano (e il dialetto! “viento fora stasera?” “no, me popà ga dito de no”), non importa se a scuola hanno imparato la cultura, gli usi i costumi, la storia, la geografia del nostro paese e non del loro, sono stranieri.
E se avranno dei figli, questi saranno a loro volta stranieri – di terza generazione.
E se dopo i 18 anni perderanno il lavoro, perderanno anche il permesso di soggiorno.
E se i nati in Italia vogliono acquisire la cittadinanza, la dovranno chiedere fra i 18 e i 19 anni, altrimenti niente da fare.
Le seconde generazioni si sono comunque messe in rete; da pochi giorni, in collaborazione con Asgi (Associazione Studi Giuridici Immigrazione) e Save the Children, e con un finanziamento dell’UNAR, hanno a disposizione uno sportello legale a loro dedicato. Qui trovate tutte le informazioni e gli approfondimenti.
Gli altri invece, i nati fuori dall’Italia, dovranno avere 10 anni di residenza e permesso di soggiorno regolari e continuativi per fare una domanda. Ma siccome la cittadinanza è una concessione e non un diritto, potrebbe succedere che non sono considerati sufficientemente “integrati” (ovviamente, non ci sono parametri per definire il grado di integrazione) o con scarsa conoscenza della lingua italiana.
Con le modifiche introdotte dalla legge n. 94/2009 (facente parte del cosiddetto “pacchetto sicurezza”), chiedere la cittadinanza è diventato ancora più oneroso. Infatti, tutta la documentazione dev’essere presentata in originale – anche lo stato di famiglia e il certificato storico di residenza, anche i certificati penali (anche se in questura, quando si digita a computer il nome di una persona, appare la sua situazione penale), si devono inoltre pagare 200 euro preventivamente e sono soldi che non saranno restituiti in caso di diniego dell’istanza.
Chi invece ha sposato un italiano/a deve aspettare due anni dal matrimonio. Ovviamente la risposta non arriverà subito, ma dopo almeno due anni – e non è detto che sia positiva.
Infine, una riflessione che non è mai stata fatta: quando si forniscono i numeri percentuali di presenze degli stranieri in Italia, non si prende mai in considerazione la diversa legislazione sulla cittadinanza che abbiamo noi rispetto, per esempio, a Francia e Gran Bretagna (dove vige lo jus soli). Se calcolassimo le presenze negli altri paesi tenendo conto della nostra legge sulla cittadinanza, i dati sarebbero completamente diversi e l’Italia risulterebbe un paese con un numero bassissimo di stranieri rispetto agli altri paesi UE.
http://www.liberamigrante.blogspot.com
http://www.labottegadellestorie.blogspot.com
labottegadellestorie@gmail.com