Oltre frontiera… vietato vivere
Come criminalizzare la solidarietà con i migranti: a Ventimiglia e dintorni
di Angelo Maddalena
Passeggio lungo la strada che costeggia il fiume Nervia, per andare da Dolceacqua a Ventimiglia o da Dolceacqua ad Apricale (e ritorno). La gente si ferma, lo straniero è ben accetto, c’è curiosità, disponibilità all’incontro, mi dico e mi dicono. Molti calabresi e siciliani, molti liguri, qualche nordeuropeo che può essere un turista o un turista che si è trasferito in queste vallate scoscese, che aprono orizzonti e un po’ anche li chiudono, tra mare, fiume e montagne basse.
Mi dico che questi sono luoghi di frontiera, con l’attitudine all’accoglienza, allo scambio, a vedere viaggiatori andare e tornare, rimanere, ripartire.
Poi ci sono i viaggiatori senza speranza, senza difese, che arrivano da Paesi lontani del Sud del Mediterraneo, del Medioriente: non partono per volontà propria, scappano! Ma le frontiere sono sbarrate, rimangono per giorni e giorni davanti la stazione di Ventimiglia. Da giugno a settembre dell’anno scorso si erano ribellati alle frontiere sbarrate, avevano prima occupato gli scogli, poi l’area tra gli scogli e i balzi rossi, a poche decine di metri dal casello che divide l’Italia dalla Francia: finisce Ventimiglia e inizia Menton. Sino a fine settembre, sostenuti da volontari e solidali, avevano resistito, accampati in tende, 70 e più persone, poi i giornali, i sindaci e gli amministratori, e anche molti cittadini “indifferenti” o ignavi, hanno fatto sì che fossero allontanati dalla polizia, sgomberati, con la mediazione del vescovo, che ha convinto gli ultimi abbarbicati sugli scogli ad “arrendersi” in cambio della “libertà” di rimanere in Italia senza essere ricacciati nei loro Paesi. Almeno una decina di persone che avevano dato cibo e vestiario a quelli che molti chiamano profughi, erano incorsi in provvedimenti giudiziari come il “foglio di via”, in base a un’ordinanza del sindaco di Ventimiglia che “vietava la complicità materiale” (offerta di cibo e vestiti) ai profughi, ai cercatori di speranza.
Da allora le tensostrutture della Croce Rossa, dietro la stazione di Ventimiglia, accolgono quelli che arrivano e sono costretti a rimanere per impossibilità di superare la frontiera. Non si sa quale sia la qualità del cibo che la Crocerossa garantisce agli “abitanti” della piccola tendopoli: forse sufficiente, forse buono, o forse no; forse pasti freddi; poche cose tipo un succo di frutta e un pezzo di pane e una mela. Ma oltre a ciò, ci sono delle condizioni: ha diritto all’accoglienza della Crocerossa solo chi è disposto a farsi identificare (con le impronte digitali) e restare in Italia.
«Chi vuole proseguire il proprio viaggio è così criminalizzato ed è scoraggiata la spontanea solidarietà verso chi ha la “sola colpa” di non avere i documenti giusti; la stazione di Ventimiglia è un’area militarizzata, dove pare che solo i passeurs abbiano piena agibilità». Queste parole si trovano scritte in un foglio che da qualche settimana fanno circolare “alcuni solidali di Ventimiglia e dintorni”, si intitola: «Invito alla solidarietà» e ricorda che «c’è un’ordinanza nella città di Ventimiglia che vieta di fornire sostegno alimentare a tutti i migranti senza documenti regolari validi per il soggiorno o l’espatrio, con multe di 200 euro a chi viola l’ordinanza». L’ordinanza giustifica il divieto citando “motivi igienico sanitari”, della serie: se uno vuol dare qualcosa da mangiare a qualcuno che è affamato, deve dare cibo “burocraticamente certificato”? Oppure: uno che vuole dare da mangiare a chi non ha né cibo né soldi, è sospettato di voler avvelenare chi vorrebbe aiutare! Siamo alla parodia dell’assurdo, o no? In tutto ciò molti di quelli che hanno ricevuto i fogli di via per aver dato da mangiare o vestiti la scorsa estate a quelli che erano abbarbicati sugli scogli perché si rifiutavano di essere rispediti indietro nei loro paesi di origine, ecco quegli stessi “criminalizzati per atti di solidarietà” – altra parodia incommensurabile – da qualche mese hanno preso in affitto un locale («Free spot» lo chiamano, che fa da contraltare agli Hotspot, centri di detenzione istituzionale) a Vallecrosia, pochi chilometri da Ventimiglia, praticamente attaccata, e si sono premurati di dare assistenza legale, supporto morale e anche ospitalità in situazioni di emergenza a persone senza speranza e senza difese provenienti da Paesi da cui son dovuti andar via scappando o comunque contro la loro volontà di rimanere. Ebbene sì, questa assistenza, supporto e solidarietà fattive, non sono tollerabili. Certo – lo sappiamo – dovrebbe essere il contrario: meriterebbero elogi, forse premi, un contributo da parte delle istituzioni, in forma monetaria o comunque morale e materiale. Invece no, da qualche giorno, in questo inizio di aprile, su «La Stampa» (nelle pagine locali) e in altri quotidiani locali, arrivano lamentele, accuse, attacchi, da amministratori di Vallecrosia (qualcuno della Lega ovviamente) che accusano gli abitanti del «civico 68 di via Don Bosco», di «dare ospitalità a persone irregolari», preparare cibo dentro e fuori il locale, occupare la strada perché mangiano fuori (!?), hanno qualche cane che scorazza qua e là, soprattutto disturbano gli abitanti del quartiere e mettono a repentaglio gli esercizi commerciali della stessa via, che è come dire: non accettiamo che nessuno autogestisca la solidarietà spontanea, e se chi viene dai Paesi “disperati” vuole vivere, che lo faccia fuori dal nostro sguardo, possibilmente senza farsi aiutare da nessuno; se è il caso riempia le carceri, muoia, si dia allo spaccio di droga, preferiamo questo, anziché l’autogestione diffusa e spontanea della solidarietà. IN definitiva: vietiamo la vita. Ma la vita e la lotta continuano, anche se diventa sempre più difficile mantenere i nervi saldi e la serenità.
LA VIGNETTA è di MAURO BIANI