«Ombre digitali sul lavoro sociale»
db ragiona su una importante ricerca – con un “cantiere autogestito” di persone impegnate nel Terzo Settore – coordinata da Renato Curcio (*)
Il sottotitolo è «Socioanalisi narrativa sulle derive del Terzo Settore» e quel “derive” è clemente perchè leggendo si pensa invece a un naufragio con un ridotto numero di scialuppe per il salvataggio.
Nella prefazione Paolo Bellati si presenta come «operaio sociale» ed è importante precisarlo perchè da un lato c’è ancora chi pensa di fare un altro mestiere (il militante, il volontario ma un po’ pagato, il balsamo del mondo crudele) e dall’altro gli ultimi arrivati non sanno dare valore all’aggettivo “sociale” che dovrebbe essere assai qualificativo: è il frutto di un mutato scenario nell’organizzazione del lavoro oltrechè di scelte personali o di ricambio generazionale. A ogni modo non si tratta di impiegati ma di operai e operaie in una strana catena produttiva dove profitto e autoritarismo dominano ma si pretenderebbe di accoppiarli con «i servizi alla persona», bella ma ambiguissima definizione. «Imprenditoria sociale e industria umanitaria» è la definizione di Bellati che toglie subito le illusioni scrivendo: «il lavoro sociale, l’intervento sociale, il mondo del sociale come li conoscevamo solo fino a qualche anno fa non ci sono più».
L’ingresso, anzi «invasione», di piattaforme digitali nel cosiddetto Terzo Settore ha già prodotto sconquassi durante «lo tsunami pandemico». Ed è quasi solo l’inizio. In un futuro prossimo cresceranno «il controllo aziendale» come «frammentazione, medicalizzazione e tecnicizzazione della professione educativa». Il libro raccoglie – grazie a un lungo cantiere autogestito – testimonianze e riflessioni utilissime per chi voglia resistere e organizzare la difficile controffensiva. Per chi lavora come per gli utenti il confronto-scontro è sempre meno con Regioni, Fondazioni, Comuni (comunque istituzioni autoreferenziali) perchè, con l’innovazione tecnologica, anche qui comanda «un pugno di imprese a dominanza statunitense: quasi monopoli globali del capitalismo occidentale».
In primo luogo gli strumenti digitali tolgono «spazio e valore» alle persone (ribattezzate utenti) e ai loro bisogni: non è poco visto che siamo nel lavoro sociale e non nella statistica. In secondo luogo gli algoritmi conditi con precariato e sudditanza aumentano «ricattabilità e deresponsabilizzazione». In atto ovunque «processi di aziendalizzazione che della cooperazione mantengono soltanto il nome», con l’abbandono di idee e pratiche (degli anni ’70) di «una imprenditoria militante e valoriale». Sempre più drammaticamente evidente «l’abbandono di alcuni capisaldi culturali che costituivano la ragione stessa della cooperazione sociale»: l’ideale di partenza o la partecipazione contano zero, bisogna invece valorizzare i loghi aziendali.
«Ombre digitali sul lavoro sociale»
a cura di Renato Curcio
Sensibili alle foglie
16 euri, 2022
(*) questa recensione è uscita anche nella sezione libri dell’edizione italiana di «Le monde diplomatique» – con il quotidiano “il manifesto” – a firma Daniele Barbieri